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Autore: sasaneki    19/07/2015    5 recensioni
«Stavo pensando…»
«Tu che pensi? Che evento raro, torciglio»
«Sta’ zitto, coglione. Era una cosa seria, ma forse tu sei troppo stupido» rispose, leggermente indispettito.
«Di che si tratta?» domandò secco, senza nemmeno badare all’insulto ricevuto.
Il biondo non rispose all’istante. Si limitò ad aspirare nuovamente la sigaretta.
«A quella sera, due anni fa, quando mi ha baciato per la prima volta».
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Avevo sempre voluto scrivere una scena del genere e quindi, eccola. Ce l'avevo salvata sul pc da giorni, ma non ero del tutto convinta se pubblicarla o meno. Tutt'ora non sono convinta di aver fatto un bel lavoro e non ne sono particolarmente soddisfatta, perciò non so nemmeno io perché abbia deciso di pubblicarla.
Motivo per cui, sarebbe bello sapere che ne pensate. Sempre se abbiate voglia di esprimervi.
Buona lettura!

Disclaimer: One Piece © Eiichiro Oda
________________________________
Do you remember?

 

Non era una novità che, a quell’ora della notte, Sanji e Zoro si trovassero nella palestra, distesi sui divanetti che circondavano il perimetro della coffa, testa contro testa, completamente nudi dopo aver praticato una sana scopata.
Per loro era divenuta quasi un’abitudine. Non si davano nemmeno più esplicitamente appuntamento. Zoro se ne stava lì, fino a tarda notte, ad allenarsi, per poi interrompere i suoi esercizi quando Sanji faceva irruzione. Qualche insulto e imprecazione per rispettare un copione mai scritto, e poi si toglievano i vestiti, sempre con la stessa foga, sempre con la stessa voglia. E poi mischiavano le loro pelli, i loro respiri e le loro anime, fino a divenire una cosa sola.

Entrambi con le palpebre abbassate, ascoltavano il suono delle onde che si infrangevano contro la Sunny.
Il respiro calmo, il battito cardiaco regolare. In quel momento, sembravano essere immersi in uno stato di pace assoluta, mentre si godevano la quiete attorno a loro.
Il che era strano, considerata la natura di entrambi, sempre pronti a battibeccare.
Sanji se ne stava disteso, con una gamba piegata, una mano poggiata sul torace, mentre l’altra reggeva elegantemente la sua amata sigaretta.
Quella sigaretta, probabilmente, era quella che preferiva più di tutte le altre. Per lui, la sigaretta dopo il sesso era come un toccasana, la ciliegina sulla torta, che lo faceva sentire ancor più completo ed appagato.
Aspirò una lunga boccata, lasciando che il fumo gli bruciasse la gola per poi buttarlo fuori, andando a disegnare dei cerchi perfetti.
«Ehi idiota».
La voce del biondo era tranquilla, calma, rilassata.
«Perché devi rovinare sempre tutto, cuocastro?» domandò Zoro, anch’egli con tono placido.
«E tu perché devi sempre fare il burbero?»
Il verde, stranamente, non aveva la minima voglia di intraprendere l’ennesima battaglia. L’idea di continuare a rilassarsi, standosene lì sdraiato, completamente nudo lo allettava non poco.
«Che vuoi?» chiese, semplicemente.
«Stavo pensando…»
«Tu che pensi? Che evento raro, torciglio»
«Sta’ zitto, coglione. Era una cosa seria, ma forse tu sei troppo stupido» rispose, leggermente indispettito.
«Di che si tratta?» domandò secco, senza nemmeno badare all’insulto ricevuto.
Il biondo non rispose all’istante. Si limitò ad aspirare nuovamente la sigaretta.
«A quella sera, due anni fa, quando mi ha baciato per la prima volta».
Il suo tono di voce divenne via via più basso, quasi a divenire un sussurro. Forse perché, dopotutto, era qualcosa che un po’ lo metteva in imbarazzo. D’altronde, ricordare il primo bacio era roba da ragazzine e, per di più, qualcosa di estremamente romantico.
Non che Sanji non lo fosse, anzi. Per quanto pervertito potesse sembrare, era dotato di grande galanteria. Il punto era che sfoderarla con Zoro non gli era mai riuscito così bene, e ogni volta finiva per mascherare il suo romanticismo, rivestendolo di sarcasmo e lanciandogli i più svariati insulti. Oltretutto, Zoro non era certo noto per il suo sentimentalismo. Per cui, il parlare con lui di qualcosa come il così detto primo bacio lo metteva un poco a disagio.
Eppure non sapeva spiegarsi, Sanji, per qual motivo avesse tirato fuori l’argomento pur conoscendo il soggetto in questione.
Un rossore, quasi impercettibile, colorò le sue gote. E, fortunatamente, Zoro non poté notarlo poiché entrambi erano ancora sdraiati, con lo sguardo rivolto sul soffitto.
«Sì» rispose secco «Ed è stato divertente vederti arrossire come una ragazzina» sghignazzò.
«Perché ficcarmi la lingua in bocca, così di punto in bianco, per te era cosa normale, vero?!»

Il silenzio regnava sovrano sul vascello dei Mugiwara.
Cosa rara considerati gli elementi che la abitavano. Ma, dopotutto, a quell’ora della sera un po’ di tranquillità era del tutto normale, considerato che quasi tutto l’equipaggio si era ritirato nelle rispettive stanze.
Per la notte avevano deciso di ormeggiare la Going Merry nell’insenatura di una piccola isola, per poi ripartire alla volta del mare blu una volta sorte le prime luci dell’alba.
Non un suono si udiva sulla nave.
Sanji, come sempre, era rimasto in piedi per sistemare e ripulire la cucina, nonostante percepisse su di sé la stanchezza e la fatica, accentuate dal caldo torrido che avvolgeva la nave.
La fronte imperlata di un sottile strato di sudore, la solita giacca poggiata sullo schienale di una sedia e la camicia sbottonata metteva in risalto il suo fisico secco ma scolpito.
Recentemente si era ritrovato a ripensare a come sarebbe potuta essere la sua vita se non si fosse aggregato alla ciurma; a cosa si sarebbe potuto perdere se non avesse incontrato tutti quei compagni meravigliosi.
Tutti. Anche Zoro.
Per quanto il biondo si ostinasse a credere che fosse un emerito coglione, privo di senso dell’orientamento, bravo solo a maneggiare le spade e a scolarsi litri di saké, dovette ammettere – almeno a se stesso – che, se pur in minima parte, quel Marimo contava qualcosa.
Le giornate passate ad insultarsi, a tirarsi frecciatine, a rivolgersi imprecazioni e aspre battutine. Dopotutto, per quanto Sanji volesse nasconderlo, era qualcosa che lo appagava come poche cose erano in grado di fare. Le sfide continue per decidere chi dei due fosse il più forte. Ma, a quanto pareva, la loro rivalità era destinata a non avere fine, a non trovare un vincitore. E, probabilmente, il vero divertimento stava proprio lì, nella consapevolezza che mai, nessuno dei due, si sarebbe piegato al volere dell’altro. Di certo, Sanji non gliel’avrebbe mai data vinta a quella testa d’alga. Così come era consapevole che nemmeno Zoro, a sua volta, si sarebbe mai fatto sconfiggere.
D’altronde era la loro natura. Era ciò che li distingueva da tutti gli altri.
E, per quanto si ostinassero a mostrarsi odio reciprocamente, entrambi sapevano che sotto sotto, il loro legame andava ben aldilà di una sana rivalità. Ma questo, ovviamente, Sanji non lo avrebbe mai ammesso. Probabilmente nemmeno a se stesso.
Nemmeno per sogno avrebbe accettato il fatto che, in fondo, quel Marimo contasse molto più di quanto si ostinasse a credere. E quel pensiero non era nato dal nulla, per puro caso.
Qualche dubbio gli era sorto spontaneo da quando, da qualche sera a quella parte, lontano da occhi indiscreti, Zoro rimaneva sveglio fino a tardi per allenarsi, per poi fiondarsi in cucina con la scusa «Cuocastro, ho fame». La cosa strana, però, era che il verde, in quei momenti, non mostrasse la benché minia intenzione di attaccar briga, per poi finire in una battaglia di insulti, calci e colpi di spade.
Semplicemente, Zoro se ne stava lì, seduto al tavolo intento a mangiare lo spuntino che Sanji gli aveva preparato frettolosamente. E mentre si riempiva lo stomaco, il biondo finiva di ripulire le ultime cose.
Tutto quello sarebbe stato anche abbastanza normale, se solo Zoro non gli puntava, ogni volta, gli occhi addosso.
Era come se Sanji percepiva su di sé il peso di quello sguardo, come se volesse perforargli la schiena. E ogni volta si sentiva paralizzato, impacciato, imbarazzato, perché di certo non capitava tutti i giorni che Zoro lo squadrasse dalla testa ai piedi, quasi come se lo stesse
spogliando con gli occhi. Non gli sembrava nemmeno il caso di far presente una cosa del genere al Marimo, perché sicuramente, quell’essere irritante avrebbe negato ogni cosa fino alla morte.
Eppure, la curiosità aveva iniziato a farsi spazio nelle sue viscere. Portandolo a chiedersi per quale motivo Zoro, da qualche tempo avesse assunto un comportamento del genere, così diverso da quello che manteneva durante il giorno, alla luce del Sole e sotto gli occhi di tutti.



Ed eccolo. Alla solita ora.
Vide lo spadaccino varcare la soglia della cucina, privo della sua solita maglietta e con in dosso solo i pantaloni, i muscoli ancora gonfi per lo stremante allenamento, la pelle madida di sudore e il respiro affannato.
«Perché ti riduci così non ne ho idea, testa d’alga» esordì Sanji, porgendogli uno spuntino che aveva già preparato, per poi riprendere a ripulire gli ultimi piatti.
«Perché altrimenti diventerei un buono a nulla come te» rispose, dopo aver finito il panino nel giro di pochi secondi.
«Oh, Marimo. Ti piacerebbe essere più forte di me, eh…» ribatté il biondo.
E prima che Sanji potesse voltarsi, se lo ritrovò alle spalle, paurosamente vicino, come non lo era mai stato. Percepì i suoi pettorali premere contro la propria schiena e il calore della sua pelle che attraversava il tessuto sottile della camicia. Avvertì il fiato caldo di Zoro solleticargli la pelle sensibile del collo, mentre le labbra sembravano quasi che gli stessero sfiorando il lobo dell’orecchio.
Udì nettamente il suono del suo respiro, come se gli stesse rimbombando nell’orecchio. Ed era un respiro regolare e leggero, che gli fece venire i brividi all’istante.
Voltò leggermente il capo, Sanji, ritrovandosi le labbra appena schiuse di Zoro ancor più vicine alle proprie. Lo sguardo scivolò inevitabilmente sulla sua bocca, soffermandosi per la prima volta in vita sua a contemplarne ogni dettaglio, accorgendosi di come, in realtà, fosse maledettamente invitante. Si domandò come fosse possibile che, un essere così irritante, che per la maggior parte delle volte apriva la bocca solo per darvi aria, potesse avere delle labbra così… belle.
Sì, belle, cazzo.
Non sapeva che cosa gli stesse prendendo per trovare attraente la bocca di Zoro. Ma il fatto era che, se non fosse stato così dannatamente orgoglioso, gliel’avrebbe staccata a morsi all’istante.
Solo qualche attimo più tardi, Sanji si accorse che il verde aveva poggiato entrambe le mani sul bordo del lavabo, intrappolandolo, letteralmente, fra le sue braccia. E, probabilmente, l’ultima cosa di cui il biondo si rese conto era che il basso ventre di Zoro fosse fin troppo vicino al suo fondoschiena. Anzi, avrebbe potuto benissimo affermare che quell’idiota si fosse letteralmente appoggiato a lui. E poteva sentirlo, dannazione.
Poteva sentire la virilità dello spadaccino, coperta dai pantaloni, che esercitava una certa pressione, se pur impercettibile, sul proprio fondoschiena.
E, dannazione, la cosa non lo turbava più di tanto. Anzi, dal momento esatto in cui si era reso conto che il bacino nudo di Zoro fosse a contatto col proprio, una scossa attraverso la sua intera spina dorsale.
Ovviamente, però, Sanji aveva una dignità e un’immagine da mantenere. E, come in ogni sfida, non si sarebbe mai arreso davanti all’avversario.
«Si può sapere che diavolo stai facendo?» domandò, voltandosi a fatica per via del poco spazio in cui il verde lo aveva costretto. Il biondo, però, non aveva certo calcolato che girandosi avrebbe dovuto fare i conti con lo sguardo dello spadaccino. Avrebbe dovuto aspettarselo. Dopotutto, Zoro era stato in grado di procurargli brividi soltanto avvicinandosi a lui più del solito. E, ora che Sanji si era ritrovato dinnanzi a sé, ad un palmo dal viso, gli occhi magnetici del verde, era come se fosse divenuto incapace di pensare razionalmente. Ed era la prima volta in vita sua che si trovava a fronteggiare, a quel modo, lo sguardo di Zoro. E non aveva minimamente messo in conto la possibilità che avrebbe anche potuto perdersi in quegli occhi neri, dei quali difficilmente era possibile scorgere il fondo. Come se fossero stati in grado di risucchiarlo, gettandolo in un pozzo profondo dal quale a fatica sarebbe potuto uscirne. Per Sanji, quella era stata una scoperta sorprendente. E solo allora si rese conto che, in tutto quel tempo, mai aveva notato quel lato terribilmente pericoloso di Zoro. Ma, d’altronde, come avrebbe potuto immaginarlo? Di certo non si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi in una situazione del genere né, tanto meno, credeva che avrebbe avuto occasione di cogliere quel lato misterioso ma così terribilmente attraente dello spadaccino.
«Mi diverto» rispose l’altro, semplicemente, senza mai interrompere il contatto visivo. Era come se fra i loro occhi si fosse venuta a creare una tensione magnetica, come due calamite dai poli opposti che si attraggono reciprocamente.
La voce di Zoro suonò, alle orecchie di Sanji, terribilmente roca e calda. Di certo non avrebbe mai pensato che quel Marimo fosse dotato di una tale capacità seduttiva. E ostentare indifferenza, in quel momento, non era certo facile, dato che si era ritrovato il petto e gli addominali del verde premere contro i suoi e quella pelle bronzea che sfiorava la propria.
Inevitabilmente, un brivido gli percorse nuovamente la spina dorsale, irradiandosi per ogni centimetro del suo corpo.
Come ci era finito in quella situazione ancora non riusciva a comprenderlo. Era successo così, senza preavviso, facendosi cogliere alla sprovvista, e ora doveva trovare il modo di uscire da quella situazione, assolutamente al di fuori dal normale. Purtroppo, però, il corpo in bella vista di Zoro glielo impediva. E non solo quello. La sua bocca sembrava essersi avvicinata ancor di più alla propria, se pur impercettibilmente. Poté sentire distintamente il suo respiro caldo solleticargli le labbra, il suo odore virile che – dannazione – non credeva fosse così buono, perché mai aveva avuto l’occasione di constatarlo, per lo meno, non così da vicino.
E Sanji, per la prima volta in vita sua, in quel momento vedeva Zoro sotto tutt’altra luce.
Lo sguardo del biondo scivolò su quelle labbra schiuse, accorgendosi che erano leggermente piegate in un ghigno divertito. Quello spadaccino lo stava tenendo in pugno, ne era consapevole Sanji. Per questo motivo non si sarebbe mai lasciato sopraffare; non poteva permettere che Zoro l’avesse vinta, nonostante non si trattasse delle loro solite sfide.
Doveva pur reagire in qualche modo. Tirarsi indietro sarebbe equivalso a perdere, ad arrendersi. Per questo motivo, quella opzione, non era nemmeno contemplata.
Cercò di spingerlo via, ma Zoro, prontamente, gli afferrò i polsi saldamente, costringendolo ad abbassare le mani fino a fargliele appoggiare nuovamente sul bordo del lavandino.
A quanto pareva, l’unica scelta che gli rimaneva era quella di stare al gioco, se così poteva definirsi.
Percepì le dita del verde fare sempre più pressione attorno ai suoi polsi, mentre il suo ghigno sembrava essersi ampliato ancor di più. E, nemmeno per un secondo, Zoro aveva smesso di osservarlo, cogliendo ogni sua minima reazione, cogliendo con quanta attenzione Sanji stesse letteralmente fissando le sue labbra.
«Dimmi, Marimo, che cosa vuoi esattamente?» domandò il biondo, senza mai distogliere lo sguardo dalle labbra dell’altro, avvicinandosi impercettibilmente sempre di più.
Una scossa invase il corpo di Zoro, perché non si aspettava certo che la voce di quel cuoco assumesse un tono così caldo; non dopo essersi ritrovato così, di punto in bianco, in quella situazione. Ma nonostante questo, rimase piacevolmente sorpreso.
Aumentò ancor più la pressione contro il petto del biondo, per poi insinuare prepotente una gamba fra quelle di Sanji e spingere il proprio bacino contro il suo.
Un sussulto scosse impercettibilmente il corpo del biondo, mentre un lieve rossore colorò le sue gote perché, diamine, quella situazione era decisamente fuori dal comune. E poteva tollerare il petto nudo di Zoro premere contro il proprio, le sue labbra a un soffio dalle proprie, ma sentirsi strusciare sull’inguine la sua virilità lo metteva a dir poco in imbarazzo.
«Tu cosa credi che voglia?» domandò ironico, sfiorando appena le labbra del biondo e assottigliando lo sguardo.
Stava letteralmente perdendo il controllo di sé, Sanji. Non sapeva quanto ancora sarebbe riuscito a trattenersi dall’azzannargli le labbra. Inoltre, una vampata di calore intenso avvolse il suo corpo, mozzandogli quasi il fiato. Quella cucina non gli era mai sembrata così terribilmente calda, e ritrovarsi ad un soffio dal corpo marmoreo di Zoro non migliorava certo la situazione.
Sentì il proprio battito cardiaco accelerare e avrebbe tanto desiderato fare un respiro profondo, ma ciò avrebbe dato troppa soddisfazione a quello spadaccino. E, per di più, era già tanto se il biondo era riuscito a trattenersi dal boccheggiare.
«Se te l’ho chiesto significa che non lo so» rispose con voce roca «Anche se un’idea me la sono fatta» aggiunse, sussurrando.
E quando il verde percepì la sua voce farsi sempre più bassa e calda, avvertendo sulla propria bocca il respiro bollente del biondo, estinse lentamente quella distanza, ormai praticamente inesistente, che ancora li separava.
Con la punta della lingua leccò il labbro inferiore del cuoco, in un gesto che, agli occhi e ai sensi di Sanji, parve maledettamente sensuale e – diamine –
eccitante.
Il biondo dovette ammettere che quello spadaccino ci sapeva davvero fare, perché altrimenti non si sarebbe spiegato il brivido che si irradiò per ogni centimetro del suo corpo quando avvertì la lingua umida e calda di Zoro muoversi così lentamente, in maniera troppo provocatoria e lasciva.
Un sonoro sospiro abbandonò la bocca di Sanji, il quale schiuse lentamente le labbra, lasciando che la sua lingua incontrasse quella dell’altro, per poi intrecciarsi delicatamente con essa dando il via ad una danza armoniosa. Era come se quella non fosse la prima volta che si ritrovavano a sperimentare quel contatto. Sembrava quasi che lo avessero fatto chissà quante altre volte.
Entrambi abbassarono le palpebre, come per godere al meglio di quel contatto, lasciandosi trasportare da quella passione nata dal nulla.
Se solo Zoro avesse saputo prima quanto sarebbe stato piacevole abbandonarsi alla bocca del cuoco, probabilmente avrebbe fatto la sua mossa molto tempo prima. Sentiva la lingua calda di Sanji muoversi sinuosa, lenta, accarezzando la propria e assecondando alla perfezione i suoi movimenti.
Il verde si fiondò, finalmente, sulle labbra del cuoco, baciandole dapprima con passione, per poi mordergli il labbro inferiore e succhiarlo avidamente. In quell’istante, il respiro di Sanji si fece sempre più affannoso, come se avesse avuto il bisogno impellente di prendere una lunga boccata d’aria. Non riuscì nemmeno a trattenere una serie di gemiti perché il verde non ci aveva certo messo delicatezza nel mordergli le labbra.
In quell’istante si accorse che Zoro gli aveva finalmente liberato i polsi, permettendo a Sanji di afferrarlo con una mano per un fianco, sentendo sotto i polpastrelli la dura consistenza dei suoi muscoli e la pelle rovente, mentre l’altra andò a circondargli il collo taurino, spingendo il volto di Zoro sempre più vicino a sé. E il verde insinuò, a sua volta, una mano fra i capelli fini del biondo, mentre l’altra andò a posarsi sul fianco sottile di Sanji.
Il cuoco restituì il morso allo spadaccino, avventandosi sul suo labbro inferiore, mordicchiandolo per poi succhiarlo avidamente, traendone una smisurata quanto inaspettata soddisfazione.
Entrambi mescolarono i propri respiri, saggiando, per la prima volta, l’uno il sapore dell’altro. Ed era sorprendente come tutto quello riusciva loro così naturale; come le bocche di entrambi si schiudevano per poi congiungersi alla perfezione; come le loro lingue si cercavano disperatamente, intrecciandosi lentamente.
Si staccarono un istante per riprendere fiato, entrambi col respiro affannato e alla ricerca spasmodica di ossigeno. Ma quella tregua non fu destinata a durare a lungo. Gli occhi di Sanji si soffermarono, di nuovo, sulla bocca dello spadaccino, rendendosi conto di quanto ancora la bramasse, di quanto desiderasse consumargli quelle labbra del cazzo che erano state in grado di annientare il suo raziocinio. Si avventò nuovamente su di esse, aumentando la stretta sul collo del verde, come se avesse voluto riprendersi la rivincita per una sconfitta subita. E Zoro non si fece sopraffare, rispondendo perfettamente all’attacco di Sanji, spingendo ancor di più il proprio bacino contro il suo, aumentando la stretta sui suoi capelli biondi e strappandogli un gemito dalle labbra che andò a soffocarsi in quel bacio travolgente.
Zoro ghignò appena contro le labbra di Sanji, sorpreso ma al contempo divertito da come il cuoco aveva reagito a quella sua provocazione.
Si separarono di nuovo, allontanandosi di pochi millimetri. A tenerli in contatto solo un sottile filo di saliva, mentre i loro respiri flebili si solleticavano le labbra a vicenda, mentre l’uno scrutava attentamente la bocca dell’altro, come se la voglia di assaporarsi non si fosse ancora del tutto estinta.
Nessuno dei due abbandonò la propria posizione, entrambi ancora con le mani sul corpo dell’altro.
Solo qualche istante più tardi lo spadaccino si separò totalmente dal biondo, il quale, a sua volta, fece scivolare la propria mano dal collo marmoreo di Zoro sul suo pettorale, per poi riportare entrambe le braccia lungo i fianchi.
Sanji non accennò nemmeno ad alzare lo sguardo. Sapeva che, se lo avesse fatto, l’imbarazzo lo avrebbe sotterrato ma, sfortunatamente, non poté sfuggirvi. Di nuovo, il verde inarcò le labbra in un ghigno, per poi passarsi, con fare provocatorio, la lingua tra le labbra umide nello stesso istante in cui spostò gli occhi su quelli di Sanji, incontrando inaspettatamente il suo sguardo, nonostante il biondo avesse cercato in ogni modo di evitarlo.
«Dovremmo rifarlo, cuocastro» sussurrò con voce roca.
Inevitabilmente, le gote di Sanji si colorarono di rosso.
«Tu provaci, e giuro che ti faccio male» lo minacciò, cercando di sostenere il suo sguardo, nonostante sentisse su di sé il peso della vergogna, nonostante quel bacio gli fosse piaciuto da impazzire, nonostante avrebbe dato qualsiasi cosa pur di riceverne mille altri ancora.


«Non ti avevo ficcato la lingua in bocca di punto in bianco, cuocastro» ribatté «Mi pare di averti dato tempo a sufficienza per respingermi, ma non l’hai fatto» lo schernì.
E nonostante Sanji non potesse vederlo in viso, poté giurare a se stesso che quel bastardo avesse dipinto in volto un ghigno soddisfatto.
Dopotutto, aveva ragione ma, ovviamente, non lo avrebbe mai ammesso.
«Se arrivarmi alle spalle e spingerti addosso a me significa dare tempo…»
Zoro sorrise, sinceramente divertito. Dopotutto, non era così male ricordare certe cose.
«E se non sbaglio mi avevi anche minacciato dicendomi che mi avresti preso a calci nel culo se lo avessi rifatto»
Il volto del biondo assunse un’espressione indispettita. Si alzò di scatto, portandosi a sedere e voltandosi verso il verde, ancora comodamente disteso sul divanetto.
Zoro non fece nemmeno in tempo ad aprire bocca, perché gli venne prontamente tappata dalle labbra morbide e calde di Sanji, il quale gli aveva afferrato delicatamente il volto fra le mani.
Le loro labbra si congiunsero alla perfezione, baciandosi e assaporandosi lentamente a vicenda per l’ennesima volta, mentre il biondo avvertì le dita di Zoro farsi dolcemente spazio fra i suoi capelli.
«È vero, l’avevo detto» disse Sanji a un tratto, staccandosi per un istante dalle labbra di Zoro e guardandolo nell’iride scura «E sono sempre in tempo per rimediare, idiota di un Marimo»
«Certo, cuoco, come no»
«Vuoi vedere che ti prendo a calci adess–»
Non riuscì a terminare la frase, perché sentì la mano del verde aumentare la pressione, sospingendogli il capo verso il basso, finché la propria bocca si ritrovò, nuovamente, su quella di Zoro, che schiuse le labbra e abbassò le palpebre per assaporare meglio quel bacio.
Non c’era violenza o voglia di sopraffarsi l’un l’altro nei loro gesti. Solo la voglia e la necessità di instaurare un contatto che, una volta ogni tanto, metteva a zittire entrambi, facendo trovare loro un punto di incontro e un equilibrio stabile. Un contatto che comunicava silenziosamente qualcosa che entrambi volevano tenere segreto, ma di cui erano ben consapevoli esistesse. Dopotutto, dimostrarsi odio e considerarsi eterni rivali per natura era più facile che esprimere ciò che davvero li univa.
«Ti detesto, spadaccino» gli sussurrò a fior di labbra.
«La cosa è reciproca, cuocastro».
 
   
 
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