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Autore: mudblood88    19/07/2015    4 recensioni
Seguito di "I cattivi non hanno mai un lieto fine, ma Regina ha Emma."
TRATTO DAL TESTO:
«Vuole il tuo cuore, Emma».
«Non mi importa» rispose la bionda, con fermezza. «Non ti lascerò andare da sola».
Regina fece un passo verso di lei, trovandosi a pochi centimetri dal suo viso.
«Emma, ascolta...»
«No» la interruppe, alzando le mani in un gesto deciso. «Non mi importa, qualsiasi cosa dirai ho preso la mia decisione. Avevo promesso a Henry che mi sarei presa cura di te. Che ti avrei protetta. Ed è quello che ho intenzione di fare. Io sono la Salvatrice!»
«Emma» disse Regina, in tono grave. «A volte... anche la Salvatrice deve essere salvata».
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10
Quattordici giorni prima del solstizio d'estate



Emma corse dietro all'ombra, stando attenta a non perderla nel buio, come spesso accadde. Ma, in un modo o nell'altro, l'ombra le riappariva sempre.

Si ritrovò ai limiti del bosco, dove soltanto poche ore prima lei e Regina stavano cercando l'oggetto nascosto da Tremotino. L'ombra slittò tra gli alberi, leggermente illuminata dal chiarore del cielo che pian piano stava accogliendo l'alba. Adesso, Emma poteva vederla più chiaramente; non somigliava all'ombra di Peter Pan, era una grossa sagoma scura indefinita, senza forma. Si chiese che cosa potesse essere, chi potesse essere. Si chiese se fosse saggio seguirla, e dove la stava portando; nessuna di queste domande trovò risposta, ma ormai non poteva tornare indietro. Doveva capire.

L'ombra accellerò, ed Emma fu costretta a mettersi a correre per starle dietro, fino a quando non inciampò in una radice d'albero e cadde a terra. Quando rialzò lo sguardo, l'ombra era sparita.

Lanciò un grido, rialzandosi. Si scrollò le foglie dai vestiti, e si guardò intorno. Si incamminò di nuovo verso il bosco, proseguendo a passo spedito, senza una meta precisa, finché non si rese conto che era inutile proseguire alla cieca.

Così si voltò, e solo allora si ritrovò davanti l'ombra. Sussultò, e d'istinto sollevò le mani, pronta a usare la magia. Ma l'ombra non si mosse.

Emma strizzò gli occhi, per vedere meglio ciò che si trovava davanti.

«Che cosa sei?» sussurrò, anche se non si aspettava certo una risposta.

Le mani erano ancora sollevate, interposte tra lei e l'ombra. Così ne allungò una, per cercare di toccarla.

Sentì una scarica elettrica quando le sue dita entrarono in contatto con l'ombra, o meglio, con quella che doveva essere l'essenza dell'ombra. Perché era inconsistente, tanto che Emma poté attraversare con l'intero braccio quella macchia nera, trapassandola da parte a parte. Il suo braccio formicolava, a quel contatto, poi sentì qualcosa stringersi intorno ad esso. Spaventata, ritrasse il braccio, ma non ci riuscì subito; qualcosa la teneva ancorata all'ombra, una forza sconosciuta la tratteneva.

Emma gridò, strattonando il suo braccio, cercando di liberarsi. Ormai l'ombra l'aveva inghiottita fino al gomito, e lei puntò i piedi a terra, tirando ancora più forte.

«Ehi!» gridò una voce.

L'ombra tremò, lasciandola andare, ed Emma perse l'equilibrio e cadde a terra, stordita.

«Ehi, cosa ci fai qui?»

Emma guardò davanti a sé; l'ombra era sparita, ma in compenso Neal, lo Sceriffo, si stava avvicinando. Le faceva male la testa e sentiva ancora il braccio formicolare, così ci mise qualche secondo per rialzarsi e reagire.

«Ma tu non dormi mai?» disse, sbuffando.

Il ragazzo le si parò davanti. «Non quando ho dei fuorilegge da catturare» e dicendolo, estrasse le manette.

«Sei serio?» borbottò Emma, guardandolo torva. «Stavo solo facendo una passeggiata!»

Neal la prese per le spalle, voltandola, e mettendole le manette.

«Sa benissimo che non è per questo che la sto arrestando» disse Neal. «Adesso, andiamo».

Emma, per un secondo, pensò di opporre resistenza e di cercare di scappare. Ma sentiva ancora quella sensazione alla testa, uno strano torpore che la stordiva e le rallentava il flusso dei pensieri. Prima ancora che se ne rendesse conto, si trovava già sulla macchina dello Sceriffo, diretta alla stazione di polizia.

 

**

 

Regina aveva tentato, invano, di prendere sonno. Continuava a lanciare occhiate all'entrata della cripta, nella speranza di vedere ricomparire Emma. Ma non accadde. Era l'alba quando si decise ad uscire a cercarla.

Provava una gran rabbia dentro al petto, e si sentiva ferita per le parole che Emma le aveva rivolto. Ma al tempo stesso si sentiva terribilmente in colpa, perché anche lei non c'era andata leggera. Si era fatta prendere dall'ira, per un attimo era stata incapace di controllarsi, e il risultato era che aveva detto cose che non pensava ferendo Emma, facendola arrabbiare, e magari portandola a commettere qualcosa di stupido e impulsivo. Perché la conosceva bene, ormai; Emma Swan agiva d'impulso, ogni volta che si arrabbiava.

Per questo non si stupì quando, uscendo, non la trovò. Percorse qualche passo nel prato, guardandosi intorno.

«Emma?» gridò. «Emma, sei qui?»

La preoccupazione salì quando non ricevette risposta. Si guardò intorno un paio di volte, prima di rientrare e mettersi a frugare nel baule.

Sapeva di avere ancora una fiala di pozione localizzante da qualche parte. La cercò in mezzo alla catasta di oggetti che si ostinava a tenere, ma si ripromise di mettere ordine dentro quel baule. Erano passati parecchi minuti quando finalmente trovò la pozione che stava cercando.

Ora le serviva soltanto un oggetto di Emma. Si guardò intorno nella cripta, cercando in ogni angolo qualcosa che appartenesse alla Salvatrice. La ragazza non aveva molti oggetti personali, infatti Regina trovò soltanto una cuffia, la cuffia grigia di Emma. Quando la prese, sentì un odore famigliare propagarsi nell'aria. Se la rigirò tra le dita un paio di volte, prima di avvicinarsela al viso. Quando la cuffia fu a contatto con il suo naso, respirò a fondo un odore di cocco e papaya, l'odore di Emma, dei capelli di Emma.

«Ma che diavolo sto facendo?» borbottò tra sé e sé, e subito si allontanò la cuffia dal naso. Stappò la fiala, versò un po' di liquido sull'indumento, e si lasciò guidare da esso fuori dalla cripta.

Quando la cuffia si fermò davanti alla stazione di polizia, Regina, ancora una volta, non fu sorpresa. Sicuramente Emma si era fatta beccare da Neal, presa in un momento in cui aveva abbassato la guardia. Probabilmente sarebbe riuscita ad evadere, esattamente come aveva fatto la prima volta, ma magari stavolta Neal l'avrebbe tenuta d'occhio.

Si infilò in un vicolo, anche se le strade erano ancora deserte. Doveva tirare fuori Emma di prigione, e sapeva benissimo di poterlo fare con la magia. Ma forse, era giunto il momento di mettere da parte l'orgoglio e decidere di farsi aiutare.

Così si incamminò verso il 108 di Mifflin Street.

 

**

 

«Questa volta, signorina Swan, non commetterò lo stesso errore» disse Neal, chiudendo la porta della cella.

Emma, con grande disappunto, tentò di liberarsi le mani dalle manette.

«Mi costringerai a tenerle?»

«Esatto» replicò il ragazzo. «L'altra volta, non so come, è riuscita a uscire di qui. Stavolta non glielo permetterò».

Emma alzò gli occhi al cielo. «Senti, mi dispiace di come mi sono comportata con te. E di aver fatto irruzione nel negozio di Go...» Emma si bloccò. Stava per parlare troppo, come sempre. «...di antiquariato. Ma non volevo rubare niente e non ho intenzione di fare niente di male, lo giuro».

Neal sogghignò. «Il fatto che si stia nascondendo da allora, mi fa dubitare delle sue parole».

Anche Emma sogghignò. «Non mi sembra che sia capitato niente di male in queste settimane, nonostante la mia presenza qui».

Neal non replicò, e fece una smorfia, come a non voler ammettere che Emma avesse ragione. Ma ciò non cambiava i fatti; lei era in prigione e lui aveva le chiavi.

Emma non poté fare altro che sedersi sul lettino sistemato dentro la cella. Con Neal in ufficio, non avrebbe potuto nemmeno provare a usare la magia. Ammesso che ci fosse riuscita, con le manette ai polsi.

Si mise a fissare il soffitto della cella, persa nei suoi pensieri. Ripensò alle parole che Regina le aveva rivolto, alla rabbia con cui le aveva parlato. Certo, forse aveva esagerato ad accusare Robin con così tanta insistenza. Ma Regina le aveva rinfacciato di aver abbandonato Henry, cosa che non aveva mai fatto da quando erano riuscite ad appianare le loro divergenze. Per un momento, le era sembrato di rivedere la Regina Cattiva, e questo la spaventava.

Certo era che anche lei non si era risparmiata, con le parole. Nemmeno si era resa conto di provare tutto quel rancore verso Regina, rancore che non sapeva ancora se fosse reale o solo frutto della sua impulsività. Non aveva mai davvero considerato Regina la responsabile di tutto. E' vero, lei aveva attivato il sortilegio, ma la decisione di metterla nella teca era stata solamente dei suoi genitori. Regina era responsabile soltanto in parte, ma anche se lo fosse stata totalmente, ormai non importava più.

Su una cosa, però, aveva enormemente sbagliato. Se Regina non avesse lanciato il sortilegio, lei non avrebbe mai incontrato Neal, e quindi non avrebbe mai avuto Henry. Alla fine, nonostante tutto, si rese conto che la sua vita andava bene così com'era. Avere Henry e poter finalmente avere adesso una famiglia, la ripagava di tutte le sofferenze che aveva dovuto subire quand'era una bambina.

Sospirò. Dovette ammettere però che anche Regina aveva ragione su una cosa.

Era gelosa. Era totalmente gelosa di lei.

Quando aveva rivisto Robin e aveva considerato la possibilità di perdere Regina, qualcosa si era mosso in lei, qualcosa che l'aveva spinta a fare accuse e a comportarsi come una squilibrata.

Si chiese cosa poteva fare per contattare Regina. Anche se avevano litigato, doveva trovare un modo per dirle dov'era.

Poi ripensò all'ombra. Ripensò alla sensazione che aveva provato quando l'aveva toccata, a quello strano formicolio che le aveva invaso il braccio. Si era sentita per un attimo svuotata di ogni emozione. In un certo senso, era stata una fortuna che Neal fosse intervenuto.

Sentì dei passi lungo il corridoio, e delle voci famigliari che si avvicinavano. Alzò la testa di scatto.

«Tesoro! Non sei tornato a casa neanche stanotte».

Emma si sentì mancare. Scese dal letto, con le gambe tremanti e il cuore che batteva veloce.

«Lo so, mamma» replicò Neal. «Avevo delle cose da sbrigare».

Mary Margaret abbracciò il figlio, che era più alto di lei di almeno venti centimetri. Era la prima volta che Emma la vedeva così da vicino. I capelli erano grigi, si era leggermente ingobbita ed era anche un po' ingrassata. Le rughe solcavano il suo volto ma i suoi occhi erano gli stessi di un tempo, pieni di calore e di speranza. Lo sguardo che rivolse a Neal riscaldò il cuore di Emma; erano gli stessi sguardi che rivolgeva a lei.

«Caffè e muffin alla ciliegia».

David entrò subito dopo, con un sacchetto e un bicchiere in mano. Anche lui era invecchiato, era un po' più basso di Neal, anche se di poco, ma aveva lo stesso sorriso e lo stesso portamento regale di quando era giovane.

«Devi almeno fare colazione» lo ammonì Mary Margaret. «Non devi strapazzarti così».

Neal afferrò il caffè e il sacchetto.

«Non me lo faccio certo ripetere due volte» disse, addentando il muffin. «Ho una fame!»

Neal si mise a sedere alla scrivania, gustandosi la colazione. Fu in quel momento che Mary Margaret e David si accorsero della presenza di Emma.

Per un primo momento, Emma li guardò negli occhi, prima uno e poi l'altra. Ma non riuscì a sostenere quel contatto per molto; si rimise a sedere sul letto, cercando di non farsi prendere dal panico.

«Buon giorno» la salutarono in coro.

Emma sospirò. «Buon giorno» borbottò. La sua voce tremava.

Era proprio per quello che non era andata a trovarli. Per evitare quegli sguardi indifferenti.

Neal prese un sorso di caffè. «Sapete, la signorina Swan...» e fece un gesto verso la sua direzione. «...dice di conoscervi».

Gli occhi di David e Mary Margaret si puntarono, in sincrono, su di lei.

«Come ha detto di chiamarsi, signorina?» le domandò David, strizzando gli occhi per vederla meglio.

Emma deglutì. «Swan. Emma Swan».

I suoi genitori si scambiarono un'occhiata.

«Non mi sembra di conoscere nessuno con questo nome» rispose David.

Mary Margaret non rispose subito. Si avvicinò alla cella, dove Emma era ancora seduta sul letto. Si parò davanti a lei, guardando tra le sbarre, squadrandola da capo a piedi.

Per un solo momento, ad Emma sembrò che sua madre si stesse ricordando di lei. Vedeva qualcosa nel suo sguardo, qualcosa di vivido. Tuttavia, non si mosse, non si avvicinò a lei; era come paralizzata.

«Nemmeno a me sembra di conoscerla» sussurrò. «Mi dispiace, signorina Swan».

Emma non rispose, ma si limitò a rivolgerle un lieve sorriso.

Poi ci fu rumore di altri passi, e pochi istanti dopo Regina fece il suo ingresso alla centrale, accompagnata da Robin.

Emma, di nuovo, si alzò di scatto dal letto. Regina trasalì, trovandosi di fronte i coniugi Charming. Il suo sguardo cercò quello di Emma, che era evidentemente scossa, così le rivolse un sorriso comprensivo. Il cuore di Emma fece una capriola.

«Neal, ho bisogno di parlarti» iniziò Robin, facendo un cenno di saluto ai coniugi Charming.

«Noi andiamo, tesoro» disse David, prendendo Mary Margaret per mano e uscendo dalla centrale. Il figlio li salutò con un gesto.

«Che è successo, Robin?» Lo sguardo di Neal si posò su Regina. «Un momento...» guardò Emma, e poi di nuovo Regina. «Lei è la donna che l'accompagnava quella notte!»

Robin alzò le mani. «Posso spiegarti, Neal. Sono mie amiche».

«Amiche?» replicò Neal, alzandosi dalla sedia. «Hanno fatto irruzione in un negozio, e sono fuggitive da allora».

«Non è così» rispose Robin. «Sono venute in città per aiutarmi, quello che è accaduto è stato tutto un malinteso. Sono brave persone, garantisco io per loro».

Neal sospirò, incrociando le braccia.

«Mi stai dicendo che pagherai la cauzione per liberare la signorina Swan, immagino».

Robin annuì. «Immagini bene».

Emma si voltò, per nascondere la sua espressione. Doveva essere grata a Robin, perché la faceva uscire di prigione. Ma non sopportava l'idea di dover essere in debito con lui.

 

**

 

Uscirono dalla centrale e si diressero da Granny a fare colazione.

«Grazie, Robin, per l'aiuto» disse Emma, sedendosi al tavolo. «Ti restituirò i soldi della cauzione il prima possibile».

Robin si mise a sedere di fronte a lei. «Non preoccuparti per quello, piuttosto...» prese un sorso di caffè. «Regina mi ha detto che state cercando un modo per spezzare il sortilegio. Se posso dare una mano...»

Emma non rispose. Regina ritornò al tavolo in quel momento, con un thé e una cioccolata calda per Emma.

«Con la cannella» le disse, posandole la tazza davanti. «Speriamo che ora lo Sceriffo ci lasci un po' di respiro».

«Sapete che l'invito a tornare a casa tua, Regina, è sempre valido» disse Robin.

Regina arricciò le labbra, prendendo posto accanto ad Emma. «Sei gentile, Robin. Ma noi stiamo bene nella cripta. Siamo meno in vista e questo ci da più margine di azione».

Regina si voltò verso Emma, per capire se la pensava come lei, per cercare una conferma. Ma la bionda era rimasta imbambolata.

Si sentiva terribilmente stupida. Si sentiva come una bambina alla prima cotta. Non era riuscita a trattenere un sorriso quando Regina si era seduta accanto a lei e non accanto a Robin, in più quando aveva pronunciato la parola "noi" il suo cervello era andato completamente in tilt.

Probabilmente Regina non si era nemmeno resa conto delle parole che aveva usato, ma per Emma erano importanti. Significava che nonostante la lite, nonostante la situazione complicata e il ritorno di Robin, forse avevano una possibilità. Forse poteva esistere un "noi".

«Emma?»

La bionda sussultò. «Sì, sono d'accordo» disse, d'istinto. «Più margine d'azione».

«In che cosa consiste il vostro piano?» domandò Robin, soffiando sopra alla sua tazza di caffè.

A Emma parve che Robin fosse un po' troppo insistente. Il suo super potere le mandava segnali contrastanti. Doveva fidarsi, oppure era semplicemente gelosa?

«Dobbiamo recuperare due oggetti» spiegò Regina, cauta. «Questi due oggetti serviranno per spezzare la maledizione, è solo che sono piuttosto difficili da reperire».

Robin si raddrizzò sulla sedia. «Che oggetti sono?»

Emma anticipò la risposta di Regina. «Non lo sappiamo ancora» e prese un sorso di cioccolata. Una strana idea le balenò nella mente. «Dobbiamo seguire una mappa, che indica un punto in cui Tremotino ha nascosto uno di questi oggetti».

Regina guardò Emma con la coda dell'occhio. Cosa stava cercando di fare? Fino a ventiquattro ore prima non voleva coinvolgere Robin né tanto meno accettare il suo aiuto. Cosa le passava per la testa?

Robin annuì. «Lasciatemi venire con voi. Vi guarderò le spalle».

Ancora una volta, Emma anticipò Regina. «Grazie, ci farebbe comodo il tuo aiuto. Ci vediamo domani mattina all'alba, va bene? Al pozzo di Storybrooke».

Robin sorrise, felice di poterle aiutare. «Va bene, ci sarò».

Regina, che ancora non riusciva a capire dove Emma stesse andando a parare, si limitò a fissare la sua tazza di thé.

 

**

 

«Improvvisamente Robin è diventato il tuo migliore amico?» domandò Regina, ironica.

Stavano tornando alla cripta. Non dovendosi più nascondere da Neal, ed essendo ormai pieno giorno, avevano preferito camminare piuttosto che ricorrere alla magia.

«Ah ah» rispose Emma. «Lasciami fare. Ho un piano».

«Era proprio quello che temevo» sbuffò Regina, alzando gli occhi al cielo. «E di cosa si tratta, se mi è concesso saperlo?»

Emma si immobilizzò. Si voltò a guardare Regina, che si era fermata a sua volta, sorpresa.

«Ti dimostrerò che non possiamo fidarci di Robin».

Regina riprese a camminare senza neanche degnarla di uno sguardo.

Per il resto del tragitto nessuna delle due parlò. Entrambe si lanciarono degli sguardi fugaci, cercando di non farsi vedere dall'altra, ma continuarono a camminare in silenzio e a debita distanza, come se un loro minimo contatto potesse scatenare di nuovo tutta quella rabbia che si erano rovesciate addosso la sera prima.

Emma sapeva che doveva chiederle scusa, e spiegarle che non la riteneva la vera responsabile di tutto. Ma non era sicura che Regina volesse ascoltarla, non in quel momento almeno. E in un angolo della sua testa sapeva benissimo che anche lei si meritava delle scuse.

Regina continuava a rimuginare sull'accaduto, ripetendosi che doveva mettere via l'orgoglio e fare il primo passo. Emma non aveva tutti i torti, e lei lo sapeva bene; il suo sortilegio aveva causato molti più danni di quanti avesse potuto immaginare. Ma si sentiva ancora ferita, e in un angolo del suo cuore sperava che fosse una storia superata, che Emma non ce l'avesse ancora con lei per quello. E aveva paura, in quel momento più che mai, che non avrebbe mai superato questa storia.

Le lanciò un'occhiata di sottecchi. «Come...» iniziò, con voce insicura. Forse non era pronta per affrontare quella conversazione, ma quel silenzio era molto peggio. «Come mai sei stata arrestata?»

Emma trasalì, come se non si aspettasse che Regina le rivolgesse la parola. Avevano quasi raggiunto la cripta.

«Neal mi ha sorpreso nel bosco, mentre seguivo un'ombra. Cioè, quell'ombra...»

Regina sgranò gli occhi. «Vuoi dire...»

«Non era l'ombra di Peter Pan. Era più una macchia scura, totalmente inconsistente e priva di forma. Mi è apparsa, l'ho seguita, e mi ha portato nel bosco. Ho cercato di toccarla ed è stato come... non so spiegarlo».

Regina la ascoltava in silenzio, senza neanche sbattere le palpebre. Arrivarono alla cripta ed entrarono, non appena Regina tolse il sigillo di protezione che aveva imposto.

«Quando l'ho toccata, le dita e il braccio hanno cominciato a formicolarmi» proseguì Emma. «E quando ho provato a ritirare la mano, bè... non ci riuscivo. Era come se mi attirasse a sé».

Regina si voltò a guardarla. «E hai pensato bene che fosse prudente scappare nel bosco in piena notte seguendo questa ombra sinistra che per quel che ne sappiamo potrebbe essere capace di tutto».

Emma la guardò, sbattendo le palpebre. «Mi stai davvero rimproverando per...»

«Non ti sto rimproverando» la interruppe. «Dico solo che un'ombra che si manifesta di notte avrebbe almeno dovuto farti venire un paio di dubbi».

Emma non rispose, incredula di come Regina le stesse parlando. Nonostante tutto, pensò, non aveva un briciolo di rimorso per come le aveva parlato la sera prima anzi, stava rincarando la dose.

Si guardarono in silenzio a lungo, poi la ragazza si avviò per raggiungere la stanza adiacente alla cripta.

«Vado a riposare un po'» sbraitò. 
Quando Emma scomparì dalla stanza, Regina si mise a sedere sul pavimento, sotto lo specchio appeso alla parete. Si rannicchiò, abbracciandosi le ginocchia con le braccia, maledicendosi per come aveva parlato a Emma. Avrebbe dovuto chiederle scusa, avrebbe dovuto per lo meno parlare in modo normale e non attaccarla.
Ma non era sorpresa. Ogni volta che qualcosa di bello capitava nella sua vita, Regina non riusciva mai a viverselo, e finiva col distruggerlo, frantumarlo, come fosse un fragile specchio. 
E quello che provava per Emma, anzi Emma Swan stessa era, sicuramente, qualcosa di bello. Per questo Regina la stava distruggendo. 
E, senza neanche rendersene conto, la lacrime cominciarono a scenderle lungo le guance, tirando fuori quel groppo allo stomaco che la attanagliava da tutto il giorno. 




  
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