“Hey, vieni qua” mi voltai verso
di lui e riuscii a scorgere l’ombra della sua chioma scompigliata anche con
quell’oscurità.
Si era appena svegliato
sicuramente e si stava domandando come mai non fossi lì accanto a lui, sdraiata
contro il suo petto nudo, così come ci eravamo addormentati.
“Mi piace il vento” gli risposi
rimanendo tranquillamente seduta sul davanzale della finestra, le gambe che
fluttuavano nel vuoto.
“Hey” continuò lui imperterrito
finchè non mi voltai nuovamente
“Non dovrai mai più tornarci..a
meno che non sia tu a volerlo”
“E cosa succede se un giorno
cambierò idea e tornerò e mi sentirò ancora più ingabbiata di prima?”
“Questa è una di quelle cose che
non avverranno mai”
“Non puoi saperlo”
“Nemmeno tu”
Sorrisi ironicamente “Mi
conosco”
“Anche io” si mise a sedere sul
letto e mi fissò a lungo.
“Tu non hai mai voluto
conoscerti davvero. È questo il tuo grande problema”
“Hai voglia di litigare?”
“Lo vedi come sei? Credi di
avercela col mondo ma l’unica persona con cui ce l’hai veramente sei solo te
stessa”
Sospirai e tirai su le gambe.
“Mi spieghi perché mi stai
dicendo questo? Non potresti limitarti alle solite frasi ‘ci sarò io con te,
baby’ o meglio ancora continuare a dormire facendo finta di non esserti accorto
che mi ero alzata e che me ne stavo a riflettere sul mondo in cima alla tua
finestra?”
Scosse la testa, quasi divertito
dalla mia domanda e dopo qualche attimo di silenzio aggiunse “Lo sai..puoi
anche restare così...potrei scriverci una canzone alla fine su di te che te ne
stai seduta sul davanzale a riflettere sul mondo e soprattutto sul modo in cui
la maglietta ti lascia scoperto il fianco…è roba che fa impazzire…”
Mi scostai i capelli dalla
spalla e lo guardai, stavolta divertita “Così mi vorresti sfruttare per i tuoi
scopi commerciali?”
“Ah che brutta parola..lo sai
che scrivo solo per nutrire il mio animo di artista tormentato…”
“E il frigo è vuoto da due
settimane, vorrei precisare…sai non si vive di solo amore” lo rimbeccai io.
Rise “Di solo sesso, vorrai
dire”
“Ah già, dimenticavo che la
nostra è una storia che non vede altre mura all’infuori di quelle della camera
da letto”
“Era il patto, baby”
“Patto che sono stata io stessa
a stilare e che adesso vuoi fare tuo, ma se ben ricordo ‘le romanticherie
lasciamole a Jane Austen’ sono parole che sono uscite dalla mia bocca…”
“Eri ubriaca, tesoro”
“Lo sanno tutti che le grandi
verità si dicono sotto effetto della tequila”
Un alito di vento mi scompigliò
i capelli e rabbrividendo circondai le ginocchia con le braccia.
Restammo per un altro po’ a
goderci il silenzio della campagna inglese, ognuno perso in quei sentieri
ingarbugliati e spinosi che erano i nostri pensieri.
“Non c’è un altro posto dove
vorrei essere adesso..e credo anche domani…più di così non so dirti perché
potrebbe essere che fra una settimana, o forse tre, o qualche mese, o non lo
so…ma potrebbe essere che io me ne debba andare…e non per qualcosa che avrai
fatto o per qualcosa che farò io, ma perché un giorno mi sveglierò e mi troverò
a fare le valigie e non potrò farci niente”
“Potrei anche essere lì ad
aiutarti a chiuderle se è per questo…”
“Me ne andrei comunque mentre tu
dormi, bello…lo sai che sono per le uscite di scena teatrali…”
“Oh certo…”
Sorrisi maliziosamente “e anche
perché così il tuo ultimo ricordo di me sarebbe un tantino più piacevole…”
La piega che assunse la sua
bocca era una delle cose più eccitanti che avessi mai visto. Era il più palese
ed attraente degli inviti.
Mi alzai e con lentezza estrema
mi avvicinai al letto sfatto…lui aprì le braccia e mi fece stendere sopra di
sé, accarezzandomi lievemente la pelle lasciata scoperta dalla maglia.
“Potrei lasciartene un piccolo
assaggio ora..”
Mi abbassai a cercare la sua
bocca e quando la trovai deviai impercettibilmente sul mento, scendendo sul
collo.
“Non mi scorderò mai di questo
odore…” gli sussurrai
“L’odore della tua pelle, del
tuo cuscino, delle tue lenzuola, l’odore dei miei capelli sul tuo petto,
l’odore delle tue sigarette impregnato dappertutto…l’odore del vento nella
brughiera…”
“Non devi scordartene”
Scostò le sue labbra dalle mie e
si fece indietro per guardarmi meglio. “Io non lo farò”
Appoggiai la testa sul suo petto
e sospirai.
“Perché non ti fermi un attimo?”
Il battito del suo cuore che mi
risuonava nelle orecchie era in qualche modo pacifico e agguerrito al tempo
stesso.
“Non posso” risposi
semplicemente.
“E’ come se la tua mente non
smettesse mai di fuggire, come se fossi sempre impegnata a pensare che c’è
ancora altro da fare, altri luoghi dove andare…fermati.”
“No…”
“Perché?”
Con un dito gli sfiorai il
contorno del petto nudo.
“Non sono felice”
Neanche me ne accorsi che mi
stava spingendo via, e solo quando si mise completamente a sedere, mi ritrovai
dall’altra parte del letto, raffeddato dalla brezza che entrava dalla finestra
aperta.
“Non credo che la troverai mai
la tua felicità”
“Beh grazie” risi senza
allegria.
“No, no…sei tu quella da
ringraziare. Se sei così infelice, prenditela con te stessa, perché è l’unica
che ancora non ha capito che deve lasciarti andare”
Lo guardai in silenzio,
sinceramente senza niente da dire.
“Guarda, non lo dico per me. Non
ho mai detto che saremmo rimasti insieme per sempre. Lo dico per te. Lo dico
perché mi dispiace vederti rovinare giorno dopo giorno. Ti stai logorando
dentro.”
Dentro di me, in qualche
minuscolissimo anfratto, qualcosa cominciò ad incrinarsi.
“Credevi che andando via di casa
le cose si sarebbero sistemate..è stato così?”
Voltai la testa, sentendomi ogni
istante di più come una bambola di porcellana in caduta libera.
“Perché devi sempre scappare da
qualcosa? Perché devi sempre avere quest’agitazione di andare avanti? Non puoi
semplicemente fermarti, tirare un sospiro di sollievo e sorridere?”
“Non è così che sono fatta” lo
guardai “Non voglio accontentarmi”
Scoppiò in una risata acida
“Accontentarti? Ho una notizia per te…quelle come te non la raggiungono mai la
felicità e si devono accontentare. Sogni troppo grandi, piccola”
“Tu non ne sai niente dei miei
sogni”
Non volevo piangere. Avevo
smesso di farlo da anni e non avrei certo ricominciato ora.
“Cos’è che sognavi quando avevi
16 anni e ti nascondevi nel letto? Una vita al limite? Arte, musica, libertà,
nessun legame…cosa?”
“Ho un fottuto mal di testa,
puoi smetterla di parlare?” mi sdraiai e gli detti le spalle.
Tutto e niente di quello che
aveva detto. Le avevo sognate quelle cose, sì. E adesso le avevo. E adesso
continuavo a sognare altro, senza darmi pace.
Portai la mano destra sul
cuscino accanto al mio viso e fissai il braccialetto d’argento che da 6 anni
brillava sul polso. Il giorno che me n’ero andata l’avevo comprato ad una
bancarella.
Sarebbe stato il simbolo del non
ritorno, del prendere possesso della mia vita.
Adesso mi sembrava soltanto una
catenella di metallo senza senso.
Lo sentii sospirare accanto a
me, prima che si sdraiasse. Nel farlo mi sfiorò la schiena e soffocando il mio
orgoglio di donna ferita, mi voltai verso di lui.
“Vuoi che me ne vada?”
nell’istante stesso in cui formulai quella domanda, fui attraversata da una
scarica di terrore allo stato puro. Se avesse detto sì, sarei morta.
“Vuoi andartene?”
“Non puoi deviare la domanda.
Devi rispondere o sì o no. Vuoi che me ne vada?”
“No”
“Tu vuoi assolutamete me in
questo momento. Non vorresti essere in nessun altro posto al mondo all’infuori
di questo letto insieme a me.”
“Dannazione, sì”
“No, no. Non era una domanda”
sorrisi nell’oscurità che cominciava a schiarirsi, lasciando il proprio posto
ai preludi dell’alba.
“Era una constatazione.”
Mi avvicinai e gli sfiorai
delicatamente una spalla.
“Non sono fatta per i ‘Ti amo’”
“Nemmeno io”
“Se lo fossi stata però, questo
è il momento in cui te l’avrei detto” sorrisi.
Non alzai gli occhi per
guardarlo ma ero sicura che stesse sorridendo a sua volta, perché passò un
braccio attorno le mie spalle e mi strinse forte a sé.