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Autore: Xebfwalrk    20/07/2015    2 recensioni
Pratis, una regione ignota a molti, divisa in sette stati dove regna una pace ottenuta dalla distruzione di uno di quei sette.
Daiden, un giovane alchimista, accompagnato da Ikrimah, un Jinn Ifrit, attraversano l'intera Pratis per recuperare un oggetto importante, rubato loro da uno Stregone, il quale ha sempre rubato reliquie rare ad ogni sorta di ignaro viandante. Tra i due, padrone e servitore non vi è un gran rapporto d'amicizia e mantenere sotto controllo lo spirito distruttivo dell'Ifrit è sempre un'impresa degna di un gigante. Daiden scoprirà la storia del suo compagno di viaggio, ma riuscirà a chiamarlo amico?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Pratis'
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Prologo
«Il pianto di una giovane vita, la fuga di una stirpe.
L’agonia di una fine improvvisa e senza pietà.
La nascita di un amico, la venuta di un vendicatore.
La vendetta ricercata in vano per anni, il trionfo dei balordi che ti hanno ucciso che ti hanno portato a invocare l’aiuto di un mostro, una creatura talmente spaventosa da non essere mai nominata, che il suo nome porta disgrazie a chiunque, chiunque cerchi di pronunciarlo tropo forte.
Alla fine. Tu, nato dal sangue e dal fuoco, dalle preghiere di un infante e dalla magia di un’antica stirpe, nata lontano da quelle terre.
Tu infante, figlio di Hita e figlio di Arthe.
Ignoto come la goccia d’acqua che ha attraversato le montagne per raggiungere i suoi cari nel mare.
Tu, simile a tutti e diverso da pochi, uguale a nessuno e importante per tua madre e tuo padre.
In fuga, ancora una volta da quei balordi, balordi che hanno ucciso tua sorella e tuo fratello, che hanno ucciso i genitori dei genitori e figli dei figli.
Adesso è il momento di cambiare, di smettere di fuggire. Non puoi continuare a scappare da quella guerra.
Guerra preannunciata e combattuta più volte nell’arco della vita di ciascuno.
Vinta e persa una volta per uno.
Sarà la fine di molti e la vittoria di altri.
Ma non la loro.
Periranno, periranno sotto l’assalto del fuoco e del sangue che hanno stillato dai loro corpi, non meritano di essere felici.
Ti prego Demone aiutami a difendere la mia famiglia…»
 
Il lamento di un morente.


 

Il cartografo

«Daiden? Dobbiamo proprio stare in questo luogo noioso?» Ikrimah sbuffò sulle carte alzando una nuvola di polvere scura.a casupola era scarsamente illuminata, le pareti erano costituite da scaffali ricoperti di carte arrotolate e imbrattate di polvere, al centro della stanza un tavolo enorme ingombro di mappe aperte. Cera bianca sciolta imbrattava il pavimento di legno rogato e consumato. Una serie di portacandele faceva compagnia alla povere ponendo sguardi vuoti al cielo.
«C'è qualcuno? Cartografo?» Daiden urlò ignorando il compagno di viaggio.
Una tenda oscurata dalla polvere vibrò facendo uscire il volto scheletrico di un uomo. «Desiderate?»
«Ovviamente cerchiamo una mappa» Ikrimah fece un'espressione di disprezzo con il suo bellissimo volto «Daiden, siamo sicuri che questo umano ci possa aiutare?» domandò indicando l'uomo.
«Ikrimah. Fai un po' di luce, vediamo se può aiutarci.» Daiden approfittò dell’occasione per dar sfoggio della sua conquista.
L’altro ragazzo dal volto angelico sorrise eccitato, i capelli e la barba biondi parvero farsi più scuri; i suoi occhi sembrarono mutare forma. Attorno al collo un collare dorato brillò un momento nella semioscurità. Ikrimah voltò la mano con il palmo verso l'alto e si accesero tutte le candele nella stanza; una fiamma alta e pericolosa. Chiuse la mano, le candele ebbero uno spasmo e le fiamme si abbassarono ad altezze normali, senza più minacciare le preziose mappe. Le unghie della mano a pugno erano nero lucido tanto a tal punto che attiravano la poca luce delle candele, all'indice indossava un anello allo semplice, anch'esso d'oro.
«Dunque, cartografo, stiamo cercando la dimora di un uomo…» cominciò Daiden.
«Dove vive lo stregone che cerca i manufatti rari? Rispondi umano!» lo interruppe Ikrimah, sbattendo le mani sul tavolo: gli si sollevarono le maniche della camicia di lino crudo, mostrando due bracciali, anch'essi in oro. Simmetrico alla mano destra l'indice sinistro era adornato da un cerchio dorato.
Il cartografo guardò disperato Daiden, il suo volto era incorniciato da capelli corvini tesi verso il terreno, la pelle pallida quasi diafana con quegli occhi, occhi che difficilmente si dimenticano: di un verde smeraldo che cattura l’anima ad uno sguardo; bello nel complesso ma non da ostentarla come faceva l’altro che trasudava bellezza ad ogni respiro.
«Ehi!» Ikrimah attirò l'attenzione su di se «Guardami!» lentamente sbottonò la camicia con fare sensuale «Ci darai una mappa?» il cartografo osservò il corpo definito del ragazzo, il petto glabro attirò la sua attenzione come un magnete attira una moneta di ferro.
A rilento, l’uomo scheletrico, si mosse, prese una mappa «Questa» mormorò, cercando di guardare il tavolo e non quei tipi strani che erano piombati nella sua attività.
«Ikrimah, portami quella ferraglia, mettila sul tavolo, ora!» intimò Daiden.
«Agli ordini, padrone…» scocciato raccolse della ferraglia e la mise sul tavolo.
Daiden estrasse da una tasca nascosta un'ampolla «Per ringraziarti» ne versò una generosa quantità sul metallo e senza aspettare uscì.
Quello cominciò a sfrigolare poi si illuminò cambiando colore dal grigio-nero del metallo sporco e ossidato al giallo-oro, luccicante e bramoso oro.
Daiden e Ikrimah uscirono, lasciando l'uomo a guardare rapito la trasmutazione di quello sciocco metallo in puro e ambizioso oro.
Quando furono fuori Ikrimah sorrise al suo padrone «Ti diverte tanto fare magie e poi scappare?»
Daiden lo ignorò, come faceva sempre, fece qualche passo verso una zona in ombra, distese la pergamena con le mani e l'aprì: osservò la mappa su cui era segnata, stando alle dicerie, la casa dello stregone.



 
 Aikenpool
Stavano viaggiando da tre giorni quando arrivarono ad Aikenpool. Ikrimah era di umore nero, non avevano incontrato anima viva per tutto il viaggio e Daiden non gli dava soddisfazione alcuna: essendo immune al suo fascino e, a quanto pareva, alle sue continue lamentele. Scorsero da lontano, sopra le vette degli alberi più bassi, il sottile strato di legno che separava la città dalla foresta di lecci che l’assediava.
«Questa sarebbe una muraglia difensiva?» Commentò Ikrimah una volta arrivati alle porte della città.
«Nel Regno di Alabastro non c’è più guerra dal disastro di Terra Rossa[1]
«Andiamo alla taverna, devo parlare con qualcuno» Ikrimah si avviò alla locanda «Sarete anche creature inferiori, ma io sono essere socievole e richiedo dialogo, anche con voi miseri umani.»
Daiden lo seguiva silenzioso, mantenendo uno strato di ghiaccio tra lui e il suo compagno di viaggio, le lunghe vesti che lo coprivano interamente lasciandogli scoperta poca pallida pelle frusciavano ad ogni passo, appesantite in punti strani da chi sa cosa portasse nelle sue tasche segrete.
Era metà pomeriggio di autunno: le foglie cadevano continuamente spinte dalla brezza tiepida. Ikrimah procedeva spedito, la camicia mezza sbottonata mostrava il corpo definito e tutti si giravano per ammirarlo; lui rispondeva con sorrisi e occhiate trasudanti malizia e promesse di notti indimenticabili.
«Questa locanda» annunciò Daiden entrando al Gatto Molesto.
Il buio all'inizio fu accecante, in poco tempo la luce fioca delle candele si fece strada fino ai loro occhi mostrando una stanzona con tavoli di legno tondi mal ridotti. Sul fondo un lungo bancone con uno scaffale colmo di bicchieri e bottiglie.
Ikrimah non perse tempo, andò al bancone e ordinò a gran voce alcol in abbondanza.
Daiden origliò la risposta del locandiere: «Che genere? Un brucia budella, ragazzino?»
Ikrimah rispose: «Versa il più forte che hai, vecchio. Offro un giro a tutti!»
Daiden perse interesse per il comportamento inconcludente del Jinn[2], si mise in un angolo e osservò gli avventori, impegnati ad ubriacarsi. Un tipo incappucciato gli apparse improvvisamente, anche lui in un angolo a guarda con circospezione la locanda. Aveva barba e capelli lunghi e scuri, pelle olivastra, gli occhi nascosti in parte dal cappuccio e dal boccale. Non esitò; in pochi passi gli fu dinnanzi.
In piedi, leggermente piegato lo interrogò: «Sei il mago che cerca manufatti?»
«Senti ragazzino, non ho spiccioli da darti» rispose con voce impastata, scacciandolo con un gesto della mano. Daiden notò i suoi occhi, chiari. Si alzò e lo lasciò al suo farneticare, era solo un ubriacone sospettoso, non il maledetto ladro.
Il chiasso si fece più intenso al bancone: Ikrimah aveva tolto la camicia, le spalle larghe e muscolose in mostra, i bicipiti gonfi, barba e capelli dorati sempre in ordine. Due donne gli stavano sedute ai lati e gli facevano il filo in maniera volgare, si appoggiavano a lui e ridevano, ridevano. Erano completamente perse nel suo fascino, lui le ammaliava sempre più con sorrisi di malizia e occhiate provocatorie.
«Oche buone a nulla, se solo sapeste cosa vi farebbe» commentò a denti stretti «Ikrimah, andiamo» scostò la mora di lato, quella protestò mugugnante.
«No, mi sto divertendo» rispose inondando di fascino la bionda rimasta.
Daiden notò come gli effetti inebrianti del Jinn dilatarono le pupille della donna e la facessero piombare in uno stato di istinti primordiali.
«Ikrimah, ti vieto di stare con loro» fece un gesto che comprendeva mezza locanda.
«Sei un guastafeste!» Si lamentò, guardandosi intorno «Potevi divertirti anche tu… se le volevi…» Ikrimah sbuffò ancora. Fece per alzarsi, poi vide una scappatoia al suo obbligo, si chinò all'orecchio della bionda e le disse qualcosa sfiorandola con le labbra piene e sensuali. Quella si alzò, quasi correndo, si diresse da delle persone dietro Daiden, civettò un momento ridacchiando come una cretina e portò al bancone tre omaccioni barbuti e corpulenti.
Daiden osservò la scena spazientito, vedere il suo Ifrit[3] sfruttare il suo potere di persuasione per aggirare gli ordini del suo padrone, una cosa inaudita e fastidiosa.
«Ikrimah, va' all'entrata della città e aspettami» Daiden lo guardò indifferente «È un ordine.» Rimarcò, certo che lo avesse capito alla prima.
L'Ifrit si oppose ostinato, afferrando una spalla corpulenta, i dischi d'oro che lo ornavano brillarono tutti all’unisono, bruciando la sua carne, macchie di pelle rossa si mostrarono nei pressi del suo giogo, come sospinto da una forza ignota si alzò, graffiando la schiena dell’uomo e camminò forzosamente verso l'uscita.
«Devi pagare il suo conto!» l'oste apparve dal buio del bancone.
Daiden osservò l’uomo con un sopracciglio alzato. Quello lo guardò intimorito.
Con un gesto altezzoso e superbo gettò a terra delle monete e se ne andò.
 
Appena fuori dalle mura della città un piccolo falò illuminava la foresta ormai immersa nella notte. Daiden capì che fosse opera di Ikrimah  già dall’odore di bruciato che sentiva mentre si avvicinava, odore di carne carbonizzata. Quando fu davanti alle fiamme Ikrimah disse: «Mi annoiavo» si mise in posa, guardando Daiden con un'espressione di ammaliamento e sfida al contempo.
Tre persone stavano ardendo in un fuoco vivace, alimentato dalla follia del demone.
«Questo non ci aiuterà a trovare quel maledetto stregone» Daiden rigettò la sua disapprovazione con sguardi ammonitori. «Andiamo, la prossima città non è lontana.» Gettò una boccetta con un liquido grigastro nelle fiamme.
Mentre si allontanavano sentirono una piccola esplosione e del rogo non rimase che un cratere.
 
Erano trascorse delle ore, ormai mancava poco all’alba, Daiden era perso nei suoi pensieri e seguiva il sentieri tra i boschi senza guardare veramente davanti a sé.
«Ehi?» Ikrimah gli saltellava attorno «vuoi divertirti?» Si toccava il petto nudo, evidenziando il pettorale ben definito e tonico.
Daiden, impassibile, proseguiva nel sentiero del bosco senza neppure guardarlo, la sua mente era altrove.
Ikrimah si diede per vinto e seguì il suo padrone, consapevole che il suo fascino non attaccava con lui.
Daiden proseguiva imperterrito a camminare, la lunga veste nera bordata di rosso frusciava. Il sentiero era mutato in una strada abbastanza grande da permettere il passaggio di una carrozza, dovevano essere entrati nella strada principale per la capitale. La regione di Lilla non era la più baciata dal sole, le montagne oscuravano sempre quelle terre, l'unica cosa che vi cresceva erano i frutti dell'albero di lilla, buoni da mangiare, usati anche per ottenere colorante viola, da qui proveniva quasi la totalità dei pigmenti di Patis.
«Non si vede nessuno.» Ikrimah sbuffava, il suo volto splendido era adombrato dalla noia «Che noia!» Sottolineò tuonante e avvilito, lanciando una fiammata dalle mani verso il celo.
Daiden lo ignorò consapevole del carattere di Ikrimah ma soprattutto delle abitudini degli Ifrit, irascibili, molesti, maliziosi e distruttivi, ma soprattutto ingannatori nati, eccetto Ikrimah, lui non era nato per ingannare, solo per distruggere questo ormai era chiaro.
Mentre camminavano, Daiden si strappò la veste. Consapevole che un uomo del suo rango non poteva aggirarsi da straccione si fermò.
«Un'altra pausa?» Ikrimah proseguì per qualche passo «Ci siamo fermati circa tre ore fa, a che proposito ci fermiamo ora? Uno spuntino?» Le braccia alte al celo con fare tragico.
«Devo sistemare l'abito» fu di poche parole, scrutò l’abito cercando lo strappo, estrasse una busta di cuoio. Prese un pizzico di polvere grigia e la gettò sullo strappo, un luccichio flebile illuminò il tessuto che si riassemblò come fosse d'argilla.
«Bravo!» Ikrimah esultava applaudendo «Ora fondi questi?» disse mostrando il giogo dorato ai polsi.
Daiden si alzò, sistemò l'abito e ripartì alla volta di Jasaeni, capitale di Lilla.
 
[1] Prima Guerra Pratale, dove vide tutti gli stati combatterono su due fronti tra le regioni di Arancionia e Terra Rossa.
[2] Nella religione preislamica rappresentava un'entità soprannaturale, intermedia fra mondo angelico e umanità, che ha per lo più carattere maligno.
[3] Jinn del fuoco.                                           


 
Jasaeni, capitale di Lilla
Varcarono la soglia della città in piena notte. Daiden prese Ikrimah per una spalla «Non fare nulla che potrebbe farmi arrabbiare» lo intimidì.
«Non farò nulla che possa farti arrabbiare» Ikrimah mise le mani avanti «ma come faccio a sapere cosa ti fa arrabbiare?» Domandò lisciandosi la barba corta sul mento.
«Tu, mi fai arrabbiare» Daiden gli rispose in cagnesco lasciandolo all’ingresso della città e addentrandosi.
Impiegò poco tempo a raggiungere una locanda di classe, già dai portali di pietra dell’ingresso si vedeva la sua insega brillante di acciaio lucido “Lilas”; nonostante le brutte esperienze del passato per un viaggiatore sarà sempre fondamentale una locanda per riposare e mangiare. Ignorando tutto il passato entrò: grandi lampadari illuminavano l’atrio, gli avventori erano seduti e chiassosi a tavoli squadrati con tovaglie violette, un piccolo palchetto ospitava una sinfonia di archi, proprio di fianco il bancone con l’oste. Si avvicinò con calma e chiese una stanza per la notte.
Una ragazza giovanissima apparve alla sua sinistra appena mise otto monete d’oro sul bancone, con sorrisi e inchini della testa a ripetizione lo portò lungo un corridoio fino alla sua stanza: il bagno che gli proposero fu caldo e sufficiente per rinfrancarlo dal viaggio che aveva intrapreso e da togliere la povere dalla pelle. Non cenò, troppo stanco e invitato dal letto comodo.
 
Per un brevissimo istante il verde baleno dell’alba invase gli occhi di Daiden. Con calma si alzò e scese nella locanda. L’oste, già in piedi gli propose la colazione tipica della regione. Le uova al lilla. Daiden si sedette ad un tavolo e attese qualche minuto che gli servissero delle uova viola. Le mangiò, assaporando il sapore amaro e piccante del frutto di lilla e la consistenza gelatinosa delle uova. Ringraziò della cortesia e uscì per andare al mercato di Jasaeni.
Un gran baccano quasi lo stese, non appena voltò l'angolo dell'edificio.
Commercianti cercavano clienti tra i passanti, che nonostante l’ora erano già in molti, elogiando le loro merci e vantandosi dei loro ciottoli ricamati.
Daiden si mise in un angolo vuoto, raccolse alcune ferraglie e le dispose in cerchio, con mosse abili, misurate e ben architettate, si mise ad attirare l’attenzione dei passanti: intinse l'estremità di un pezzo di ferraglia in una polvere gialla, e l'estremità dell'altro pezzo in una polvere aranciata, disse due parole, così per lo spettacolo e avvicinò i pezzi ricoperti di polvere. Un bagliore rossastro scaturì dal contatto dei due metalli, seguito da un'ondata di calore, nell'aria si liberò un odore acre e pungente, il tutto accompagnato dallo sfrigolio del metallo.
Durò pochi secondi ma tutti i passanti vicini ne rimasero affascinati. Quando gli occhi, resi ciechi dalla luce abbagliante tornarono a vedere i due pezzi di ferraglia erano fusi insieme.
Daiden ripeté l'operazione più volte, creando un piccolo tavolo sbilenco.
«Qualcuno ha qualcosa da aggiustare?» domandò, sapendo che qualcosa di rotto non mancava mai in città.
Subito ricevette un boccale di metallo al quale si era rotto il manico, spolverò le parti fratturate con le due polveri, poi ne prese un'altra, rossa come rubino e la depose su quella arancione «Questo è per migliorare la bellezza del boccale.»
Mormorò delle parole a caso, diverse e unì i due pezzi, solita reazione con lo sguardo perso degli astanti, ci fu uno scoppio finale che fece trasalire i presenti.
Il boccale fu come nuovo, i punti di fusione erano perfettamente levigati: un anello lucido come di rubino circondava i punti di fusione abbellendo ulteriormente il boccale.
«Grazie!» L'uomo quasi si commosse «Come posso ringraziarti? Non ho molto denaro.»
«Non voglio denaro» disse «Dammi il tuo boccale» l'uomo guardò Daiden storto e a malincuore cedette il boccale.
Daiden prese due boccette, una con un liquido lattiginoso e l’altra con uno trasparente, intinse un pennello in quella con il liquido trasparente e tracciò sul boccale delle linee intrecciate, dopo di che usò quella con il liquido lattiginoso e tracciò linee parallele a quelle trasparenti. Usò ancora una polvere, nerastra questa volta, e la cosparse a spaglio sulle linee.
Non successe nulla, nessuna luce, nessun odore, nessun boato. Daiden posò il boccale, girando il manico verso l'uomo, le linee dipinte erano ricoperte di polvere nera. L'uomo fece per prendere il boccale, ma come lo toccò si scottò la mano. Quello guardò sconcertato Daiden, consapevole della reazione. Lui gli sorrise, prese una borraccia e ne versò il contenuto dentro il boccale, riempiendolo quasi totalmente. L'acqua andò in ebollizione dopo pochi secondi. Prese ancora una boccetta con un liquido scuro e lo versò dentro. L'acqua congelò istantaneamente. Daiden diede qualche colpetto sotto al boccale con le nocche e il ghiaccio uscì frantumandosi. Gli abitanti del villaggio andarono in visibilio per lo spettacolo inatteso, urlando e applaudendo. Diede nuovamente il boccale all'uomo, era tutto grigio metallizzato, il manico sistemato con l'anello color rubino e strisce nere polverose.
«Pulisci pure il tuo boccale» lo esortò.
L'uomo prese il tessuto del vestito e lo strofinò sulle strisce nere, quelle si scrostarono facilmente, rivelando una zona trasparente seguita da una dorata, in una trama a spirale.
Uno scroscio di applausi si fece sentire nuovamente con rinnovato vigore.
«Buon uomo, saprebbe dirmi dove si trova lo stregone che cerca manufatti rari?»
«È un suo collega?»
«Non proprio, ha informazioni?»
«Io so dove vive!» Dalla folla una donna corpulenta si era alzata, sventolando la mano «Io so dove vive!» A spintoni arrivò davanti a Daiden, la gonna che suonava di ciottoli che sbattevano tra di loro.
«Ti dirò dove vive solo se aggiusterai queste cose, come per il suo boccale.» ricattò.
Daiden si mise a lavoro, sistemò teiere di metallo e tazzine di ceramica, pentole in terracotta e vestiti di lino, usò quasi tutte le pozioni e le polveri che aveva con sé.
Quando ebbe finito ormai non era più così interessante e i passanti non lo osservavano più rapiti come prima, in quel momento si rese conto che l’alchimia non era più quello spettacolo dei tempi del Signore Alchimista.
«Dove trovo questo stregone?» domandò spazientito dopo aver consegnato nelle manone della danna l’ultima tazzina da tè.
«Verso ovest nella Terra Rossa, là vi è la dimora dello stregone che ruba le reliquie. Tutti a Lilla lo sanno, la filastrocca lo insegna.»
Mentre lo diceva due bambini si fermarono vicini alla donna. Dall’aspetto sembravano mendicanti.
«Recitate la filastrocca» li esortò, sembrava conoscere i fanciulli.
 
«… Se viver bene vuoi
a Lilla te ne stai
con gli occhi tuoi
Foreste Blu, te ne vai.
E se poi tu vorrai
delle Lande Verdi, sai
che dallo Speziale Giallo
non passar mai.
Arancionia è lontana ma,
Terra Rossa non si va’! …»
 
Recitarono una strofa per uno.
Daiden rimase spiazzato, era così evidente dove doveva andare, quale posto poteva essere meglio di Terra Rossa, in pochi vivevano in quelle lande.
«Grazie signora» Daiden salutò la donna corpulenta con un cenno della mano e si voltò.
In pochi minuti fu nuovamente all’entrata della città, dove lo attendeva Ikrimah con uno sguardo sardonico, era completamente nudo, senza curarsi di chi o cosa lo potesse vedere. Man mano che si avvicinava vide sempre con più nitidezza il rosso che macchiava gran parte del suo corpo.
Quando gli fu davanti si guardarono negli occhi: Ikrimah era ricoperto di sangue, altrui, verso la foresta un sentiero di morte. Daiden non batté ciglio, ormai abituato alle abitudini omicida del compagno di viaggio «So dove si trova lo stregone che cerca i manufatti.» Riferì con tono pacato.
Ikrimah fu deluso della reazione del suo padrone «Dove andiamo?» domandò senza troppo entusiasmo, rivestendosi.
«La nostra destinazione è Terra Rossa» rivelò. «Va’ a darti una pulita prima di vestirti, il sangue secco puzza.»


 
Fiori bianchi
Si erano lasciati alle spalle ormai le coltivazioni di lilla, lunghe distese di questi arbusti dalle bacche viola che tappezzavano la via maestra per la città più vicina. Con il passare dei chilometri e l’allontanamento dalla capitale Jasaeni la strada si fece sempre più stretta e acciottolata, trasformandosi in un sentiero di pochi metri. Gli arbusti di lilla lasciarono finalmente il paesaggio, in lontananza si iniziavano a intravedere i primi alberi di confine tra Lilla e Foreste Blu.
Si inoltrarono in un sentiero nascosto dalle fronde dei salici azzurri, alberi dalle foglie tinte di verde azzurro così chiaro quasi da brillare. Inoltrandosi nella foresta le foglie erano più blu che verdi, i fusti degli alberi erano chiazzati di tutti i colori dell’arcobaleno; gli uccelli stridevano continuamente e volavano come saette da un ramo all'altro. Insetti, grossi come conigli, ronzavano vicino alle orecchie in maniera molesta.
Uno sfrigolio seguito dal puzzo di insetto bruciato «Cos'è questo posto? È disgustoso!» La popolazione di insetti si era accorta della presenza del Jinn ed aveva cominciato a ronzargli attorno. Ikrimah non apprezzò il benvenuto e carbonizzava tutti gli insetti che gli si avvicinavano troppo.
«Temi queste bestioline?» Daiden lo prese in giro con tono neutro.
«Sono enormemente disgustosi!» il volto magnifico di Ikrimah era corrotto da un'espressione di sommo disgusto «Tutte quelle zampe e antenne, quel loro ronzio odioso, fanno schifo…» mosse le mani come a scacciare qualcosa da davanti a sé.
Daiden era stranamente di buon umore ma Ikrimah era troppo concentrato a carbonizzare insetti corpulenti per accorgersene.
Camminarono a lungo per il sentiero e quando furono nel folto di Foreste Blu Daiden cominciò a raccogliere cortecce multicolori, foglie blu, fiori contorti, rami secchi e radici affioranti.
«Ci siamo messi a fare lavoro da schiavi adesso?» Ikrimah si concesse una pausa, si fermò e carbonizzò tutti gli insetti che gli stavano andando incontro in un colpo solo, provocando una fiammata da tutto il corpo «Tra quelle erbette che cogli non è che c’hai un repellente per questi elefanti di legno?» Domandò, guardando male quelle bestie che iniziarono a fare dietrofront dopo la sua fiammata.
«Sapevi che la maggior parte dei miei ingredienti vengono da qui? Faccio rifornimento, di prima qualità!» una forte emozione traspariva da quel guscio di ghiaccio che era Daiden. «Non ci sono repellenti per la fauna locale, Foreste Blu, non è un posto per tutti gli umani, solo le creature della natura ci vivono in armonia» Daiden si sentiva in vena di discorsi, molto più del solito.
Ikrimah fu subito sospettoso, annusò l'aria in cerca di una spiegazione dato che dal paesaggio colori e suoni non gli andavano incontro. Starnutì violentemente. Poi vide dei fiori alti, bianchi, che rilasciavano un aroma quasi impercettibile ma che gli irritava le vie respiratorie da Jinn e intontivano la sua metà umana.
«Daiden, cosa sono quei fiori?» Chiese «e perché questi cosi non ti ronzano dintorno?» concluse schiaffeggiando un moscone con irritazione.
Daiden alzò lo sguardo ignorando il fastidio dell’Ifrit «Svelto! Cogline in quantità!» Daiden era completamente perso «Sono fiori inebrianti!» ridacchiò.
Ikrimah lo guardò sconcertato: il suo padrone barcollava e ridacchiava come non lo aveva mai visto. Un’idea malvagia si accese sul suo volto angelico, un sorriso calcolatore si fece strada sui suoi lineamenti scultorei, occhi gialli si accesero giusto un momento, pregustando la sua idea malvagia.
Tranquillamente fece come gli era stato ordinato: si mise a cogliere quei fiori che sfioravano appena la sua testa, ne colse alcuni e li passò al suo padrone, rimase un secondo a guardare come lui li osservasse, e notò come ne inspirava di nascosto l’odore. Così decise di attuare veramente il suo piano, gliene passo ancora e ne colse alcuni per sé e, data l'incapacità temporanea del padrone di intendere e volere, fu certo che non se ne fosse accorto. Avrebbe potuto usarli per farsi liberare dal giogo che lo imprigionava o per lo meno per fargli oltrepassare il limite.
Mentre stavano cogliendo i fiori, di soppiatto ombre si avvicinavano. Daiden non si accorse di nulla, troppo stordito dall'odore inebriante dei fiori. Ikrimah, dal canto suo, non essendo completamente umano non era soggetto all'inebriamento provocato da quella pianta e notò che li stavano accerchiando.
Non disse nulla, continuò a raccogliere quei fiori. Le ombre presero forme distinte. Umani. Erano incappucciati per non essere colpiti dall'inebriante odore dei fiori.
«Fermi dove siete! » gridò uno.
Ikrimah si voltò lentamente, sfoggiando la sua espressione più ammaliata e persa «Dite a noi?» sorrise trasudando di fascino.
«Ikrimah! I banditi! Cosa facciamo?» Daiden era disperato, aveva urlato di terrore, ormai tutte le sue inibizioni era cadute.
Ikrimah provò per la prima volta una nuova sensazione, il dispiacere. Gli dispiaceva veramente che quel ragazzo impassibile e austero adesso fosse così fragile e disinibito, privato del suo carattere duro e risoluto.
«Ragazzi, che ne dite se adesso ce ne andiamo ognuno per conto suo?» Ikrimah provò con le parole. «Stranamente non ho voglia di uccidervi seduta stante. Questi fiori devono aver calmato il mio senso di furia omicida… o forse è per quella roba che mi ha dato da mangiare Daiden stamattina?» Proseguì, più per sé stesso che per i nuovi arrivati.
«A terra, o morirai ragazzo!» gli intimarono. «Svuota le tasche e dacci tutti i tuoi gioielli!» disse uno di fianco, impugnando un arco.
«Eliminerei volentieri questi ornamenti dal mio corpo ma lui me li ha fusi addosso, adesso levatevi di torno, umani» Ikrimah si stava alterando, l’effetto dei fiori, o della colazione stava svanendo velocemente.
«Lanciagli una feccia e rapiamo il mago» ordinò l'uomo.
«Non sono un sudicio stregone, io sono un alchimista! Il figlio del Grande Alchimista!» Daiden ribatté con furore, scaturito dalla presunta offesa.
L'altro scoccò la freccia, ignorando le parole di Daiden, quella impattò nel petto scultoreo di Ikrimah: la camicia grigia si tinse di rosso nel punto d’ingresso.
«Credo che mi sto arrabbiando seriamente, appena questa freccia sarà fuori dal mio corpo morirete tutti, lentamente e dolorosamente» confidò con tono calmo. Si sbottonò la camicia e spezzò la freccia. Tirò brevemente il moncone, ma il dolore fu tale da impedirgli di proseguire. Si tolse l'indumento macchiato di sangue e lo gettò a terra stizzito. I banditi osservarono rapiti quel corpo stupendo, al quale ne uomini ne donne potevano fare a meno di rimanerne rapiti, ma il fascino dell’Ifrit non durò a lungo dati gli effetti dei fiori circostanti.
Ikrimah passò all’offensiva, si concentrò chiudendo gli occhi, si scrocchiò le dita delle mani. Un’ondata di calore anomala attraversò la foresta, il cui epicentro era proprio il Jinn. Il legno degli alberi iniziò a crepitare di un fuoco invisibile, il metallo della punta di freccia colò via, fuso, dal suo petto. La ferita svanì, semplicemente, lasciando solo il sangue come ricordo tormentato.
I banditi rimasero impietriti, mai avevano visto una cosa del genere. Si guardarono tra loro per capire cosa fare, in attesa di un ordine dal loro capo, instupidito come loro dagli eventi.
«Ikrimah! Sbarazzati di loro» ordinò Daiden dal basso della sua confusione.
«Con piacere padrone» il sorriso che gli deturpò il volto fu terribile, la sua pelle divenne rossa, a tratti squamosa, le sue unghie divennero come smaltate di nero lucido e si allungarono ad artigli. Il fuoco lo pervase e bruciò via quella faccia ammaliante dalla barba e in capelli biondi. Quando il fuoco si attenuò le sue orecchie erano a punta a sfidare la gravità, i suoi occhi dorati erano diventati come quelli dei gatti, i denti più acuminati, un sorriso perverso, capelli neri come l'ossidiana lunghi e fluenti. Brevi corna si aprirono la strada sulla sua fronte, scure e minacciose.
«Morirete, tranquilli, vi ho riservato il trattamento lungo» la sua voce era mutata non più calda e maliziosa, ma profonda, minacciosa e assetata di morte.
Si mosse, ad ogni passò l'erba diventava cenere, la terra scura diventava roccia bianca e sterile.
Fu davanti all'uomo che aveva dato l'ordine, ormai lo sovrastava di sessanta centimetri. Lo guardò con quello sguardo felino e gli spacco una gamba con un calcio fulmineo «Così non fuggirai lontano» motivò sopra le urla dell'uomo, coprendole con il fragore delle sue risate.
Osservò gli altri quattro uomini che correvano come topi, andavano verso Daiden che li osservava rapito, incapace di difendersi.
Ikarimah camminò con calma verso quegli uomini così concentrati a rapinare il loro bottino. Presero Daiden ad un braccio, questo reagì di scatto estraendo un coltellaccio da una piega del suo abito e tagliando profondamente il suo aggressore all’addome, Daiden scoppio a ridere nel vedere il sangue scorrere tra le sue mani, viscido e caldo.
Ikrimah proseguì, sconvolto e compiaciuto dalla reazione così assurda del suo padrone di ghiaccio; prese due di loro e li sgozzò con i suoi artigli. I briganti caddero rantolando. Rimaneva il provetto, l’arciere che aveva osato ferire la sua controparte umana. Si mise a correre urlando. Ikrimah lo raggiunse in poche falcate e lo prese per il collo, con calma lo trascinò, facendogli toccare terra giusto con le punte dei piedi per allungare la sua agonia. Arrivò ad uno con un braccio ferito, lo guardò «Tu brucerai… brevemente» rise sguaiato e conficcò gli artigli nel collo dell'arciere. Puntò la mano sul ferito e quello bruciò urlando per il dolore. Il sangue scorreva in rivoli dal collo dell'arciere gorgogliante. Giunse infine all’uomo con la gamba spezzata, era strisciato via, lasciando una scia di sangue, abbandonando i suoi compagni di brigata.
«Caro capitano, caro viscido e pavido capitano, la tua morte sarà un piacere!» ormai Ikrimah era fuori controllo. Sbatté l'arciere a terra, fratturandogli qualcosa e si si concentrò sul capitano. «Brucerò di te un pezzo alla volta» e così fece, gioendo delle sue urla per ogni arto carbonizzato, talmente a lungo da provocargli dolore, abbastanza lentamente da non fargli perdere conoscenza.
L'arciere si era rimesso in piedi, con una mano tamponava le ferite, zoppicante osservava la scena inorridito.
«Arciere! Tu morirai per le tue stesse frecce, frecce che hai osato piantare nel mio petto da umano» rise, con una fiammata gli fu affianco, gli strappò la faretra dalla spalla, slogandogliela, e lo buttò a terra con forza brutale. Con colpi secchi lo puntellò al suolo con due frecce per arto. «Tu rimarrai così, come monito» concluse, osservando la sua opera.
Prese Daiden per un braccio e lo levò dalla pozza di sangue aggrumato dell'uomo che lo aveva aggredito. Le sue vesti erano imbrattate di sangue. Ikrimah aveva perso i suoi fiori inebrianti, ma andava bene così, il suo padrone in fondo all’animo sapeva come ci si divertiva con gli umani.
Ikrimah tornò al suo aspetto umano, le orecchie tonde, la pelle rosea e gli occhi dorati; barba e capelli biondi e corti, ma soprattutto con il suo sorriso dalla struggevole bellezza.


 
Città Monile
Quando Daiden si riprese erano passate delle ore. Era adagiato su un giaciglio di fieno giallo, ma privo di aromi, si voltò e aprì gli occhi. La prima cosa che mise a fuoco fu il sorriso a trentadue denti di Ikrimah, disteso su un secondo giaciglio di fianco a lui.
«Ben tornato nel mondo delle persone serie e musone!»
«Cos'è successo?» Daiden si guardava intorno sperduto.
«Nelle Foreste Blu, dove hai raccolto un sacco di cose tra cui dei fiorellini simpatici, ci hanno attaccato dei briganti. Morti.»
«Dove siamo?»
«Siamo nelle care e vecchie Lande Verdi» rispose inorgoglito Ikrimah. «All'ombra di Colle Monile» osservò la montagna con occhi persi «Sai, è triste» sospirò «Ormai la sua cima non fuma più.»
«Dobbiamo raggiungere Terra Rossa, sai il perché.»
«Quanta fatica per quel dannato ciondolo.»
«E se si trattasse del tuo fascino che fosse stato rubato?»
«Non puoi rubare il fascino di un Ifrit!» si gonfiò orgoglioso.
Per breve tempo rimasero in silenzio, contemplando il celo limpido del primo mattino.
«Vorrei andare a vedere la mia vecchia dimora a Colle Monile.»
«Vuoi vedere la tua grotta?» chiese conferma Daiden alzando un sopracciglio.
«Non mi dispiacerebbe vedere se qualcuno è andato a disturbare il luogo in cui ho dimorato così a lungo.»
Daiden osservò quell'essere con i soliti occhi, la faccia perfetta di un venticinquenne dall'aspetto curato, quasi di altri tempi, il corpo tonico e muscoloso quasi sempre svestito. Qualcosa scattò dentro di lui e decise, decise di rischiare. «Andiamo. Magari quella gentaglia, che mi deve il favore di averli liberati di te, ha delle informazioni su quel maledetto stregone.»
Il volto di Ikrimah si fece più luminoso «Non vedo l'ora di tormentarli.» Sorrise sadico.
«Non credo che ne avrai occasione.»
«Perché?»
«Potrai passare dal centro della città per raggiungere in breve tempo la tua vecchia dimora, e rimanere là per qualche ora, ma poi dovrai tornare da me all'ingresso della città, sappi che questo è un ordine. Soprattutto non potrai tormentare quella gentaglia.»
Ikrimah abbassò la testa simulando falso dispiacere, ma in cuor suo era contento di non dover tormentare quelle persone come unico scopo di vita.
Daiden osservò il circondario, solo erba verde. La domanda gli venne spontanea, dove aveva trovato Ikrimah erba secca per fare due giacigli in quel luogo dove l’Autunno e l’inverno non potevano mettere piede? Voltando la testa a destra e a sinistra notò un campo di sola terra scura, bruciacchiata. Ikrimah aveva seccato dell'erba per farlo riprendere dall'effetto stordente dei fiori inebrianti. Daiden sorrise, sapeva che in fondo, in fondo Ikrimah non era poi quella bestia che è sempre sembrata o che tutti avevano sempre descritto, il demone rosso di Città Monile.
 
Arrivarono alle porte della città, Ikrimah parve a disagio, ma solo per qualche istante. Appena varcarono la soglia la popolazione riconobbe prima il loro salvatore, che camminava davanti e quasi sembrò gioire, ma poi, seguito a breve distanza apparve il volto serafico e malizioso di Ikrimah. Si sentirono imposte sbatacchiare, portoni chiudersi con assi di legno. Daiden comprese al volo cosa stesse succedendo, tutti pensavano che gli aveva riportato la bestia, che avesse deciso di infrangere la promessa che aveva fatto a quelle genti mesi prima. Giunsero nel centro della città dove la fontana riforniva di acqua potabile tutti.
«Cosa volete?» domandò scorbutico il capo villaggio, la barba bianca arruffata.
«Ikrimah è in visita alla sua dimora» disse Daiden mettendo in chiaro cosa fossero venuti a fare «Io sono in cerca di informazioni.»
«Andatevene!» gridava una donna da una finestra, nascondendosi dietro l’imopsta appena la videro.
«Senti baldracca, non sai cosa ha fatto tuo marito con la vicina, non dirmi di andare via, piuttosto scaccia il porco di tuo marito.» Quella si ritrasse ancora di più dal lume della finestra con offesa palpabile.
«Forse è meglio se ve ne andata da Città Monile.» proseguì il vecchio.
«La tua grotta l'abbiamo distrutta!» gridò un giovane, da dietro la fontana.
«L'avete distrutta?» chiese sconcertato Ikrimah «Devono morire!» disse con tono ovvio.
«Ikrimah» lo richiamò all'ordine.
L'Ifrit si bloccò, il giogo dorato brillò intensamente, obbligando la bestia al comando.
Daiden mise le braccia conserti sul petto «Chiedo delle informazioni.» Scandì.
«Non avrai nulla da noi!» Gridò qualcun'altro.
«Sapete dove vive lo stregone che cerca manufatti?» ignorò l'uomo scontroso.
«Temo che non avrai questa informazione da noi» il capo villaggio mise un braccio tra se e Daiden «Non vogliamo guai.»
«Cosa vi è stato chiesto per liberarvi dalla bestia della montagna?»
«Nulla» ammise il capo villaggio.
«Forniscimi questa informazione e forse Ikrimah non raderà al suolo Città Monile.»
Il vecchio sbiancò. «Sappiamo di un vecchio stregone che tratta manufatti verso Arancionia.» gli tremò la voce «Sul confine con il Regno di Alabastro.»
«Non dovevi dirglielo» un giovane si fece avanti a fronteggiare il capo villaggio.
«Ha detto che avrebbe distrutto la nostra città.»
«Non lo avrebbe mai permesso, ci ha salvati dalla bestia della montagna.»
«Piccolo nanetto di merda, la "bestia" ha un nome! Mi chiamo Ikrimah, e so cosa hai fatto a quel ragazzino.» Ikrimah rimase fermo, ma la voglia di uccidere quel giovane era palpabile.
«Questo è demoniaco. Uccidiamo la bestia!»
«Ikrimah, radi al suolo questa piazza e brucia chiunque vi sia» Daiden diede l'ordine guardando la gente negli occhi, voltò le spalle e camminò lontano dall'incoerenza di quella gente priva di integrità.
«Con piacere, padrone.» Ikrimah mutò nel suo aspetto da Jinn, il fuoco lo circondò, andando a bruciare i suoi indumenti, la pelle divenne rossa come il fuoco, i capelli si allungarono fino alla schiena, la barba svanì, i suoi occhi divennero da felino, le orecchie si allungarono.
Rise sguaiato, piantò i piedi a terra e urlando per la gioia della distruzione e la morte di quelle persone. Evocò un rogo grande quanto la piazza, bruciando il capo villaggio gli uomini e le donne che erano accorsi per intimargli di andarsene. Le grida delle persone furono un canto per le orecchie di Ikrimah, finalmente poteva liberarsi di quei bigotti che lo avevano chiamato bestia senza sapere il motivo per cui un Ifrit appare su una città.
Il rogo durò un paio d'ore, Ikrimah bruciò persino la pietra, fondendola e rendendo irriconoscibile la piazza.
«Chi ti ha evocato su questa città?» Daiden era seduto su una panchina di pietra, alle sue spalle il bagliore della piazza incenerita con un tramonto rosa da sfondo.
«Tu sapevi che non ero lì per caso?» Ikrimah parve stupito.
«Rispondi.»
«Non sono sicuro di chi mi abbia evocato su quella montagna, ma il richiamo era molto chiaro, voleva una punizione.» Ikrimah, nudo e senza vergogna, si sedé di fianco a Daiden, la faccia stanca per lo sforzo di fondere la dura roccia «Il richiamo di un ragazzino. L'ho sentito chiaramente per tutta la mia vita.»
«Chi dovevi punire?»
«Tutti coloro che avevano partecipato alla morte della sua famiglia. A quanto pare altre famiglie rivali si sono coalizzate per eliminarli tutti fino all'ultimo.» Ikrimah osservava il tramonto, dando le spalle alla prateria verde. «Sai, da quando ho questi» disse indicando i bracciali «non sento più tanto forte la sua voce» confessò.
Daiden rimase in silenzio non domandò quello che, secondo Ikrimah, voleva chiedergli da quando lo aveva catturato.
«Sai» cominciò dopo poco Ikrimah «Non ho mai passato così tanto tempo con la stessa persona. Ora credo di capire quale fosse la maledizione che hanno deciso di lanciare su questa città, la solitudine.» Disse sincero come mai prima di allora.
«Non avrei dovuto catturarti.» Ammise Daiden.
«Non avresti dovuto, vero» convenne «ma non avresti potuto godere di questo spettacolo.» Ikrimah evidenziò la muscolatura dell'addome andando in tensione.
Rimasero spalla contro spalla ancora un momento; poi Daiden si voltò osservando di soppiatto il sole arancione tramontare che sfumava di rosa e viola il celo.
«Nonostante tutto, adesso sono più libero di prima, adesso posso viaggiare e fare scelte per conto mio. Non sento più quel giovane bambino che di notte mi svegliava chiedendomi di aiutarlo a punirli. Di vedere quelle persone nel loro intimo e di giudicarle.»
Daiden comprese i sentimenti contrastanti di Ikrimah, non volle indagare oltre, ma ormai ne era pienamente convinto.
«Proseguiamo, seguiamo la mappa del cartografo, la casa dello stregone è in Terra Rossa, ora sappiamo che è al confine con il regno di Alabastro e Arancionia.»
«Vuoi tornare a casa?»
«Non sono sentimentale come te» scherzò Daiden, per la prima volta in mesi di conoscenza sorrise di gusto «andiamo prima che Città Monile opti per mettere me al rogo.» I due si alzarono «Ikrimah, tieni.» porse al nudista pantalone e camicia «va bene mostrare il proprio corpo, ma non andare a giro nudi.» lo disse impassibile, ma sembrava quasi una battuta. Si incamminarono verso ovest, con il sole tramontante davanti agli occhi e la città alle spalle.


 
Piaghe
Dopo una camminata di otto giorni furono sul confine della regione Speziale Giallo.
«Cosa sono questi alberi tagliati a quest’altezza? Tutti piantati in fila…» Ikrimah era sinceramente incuriosito da quel confine fatto di mozziconi di alberi.
«Questo è il vecchio confine della Pace[4], varcato questo limite saremo nella vecchia Helianthus, città della pace.»
«Ah» Ikrimah parve intimorito dalla rivelazione dell’Alchimista. «Dobbiamo passare per forza da qui? Le storie sullo Speziale Giallo arrivavano anche a Città Monile. Non sembra un bel posto»
«Vedi questi resti, immortali?» Daiden indicò uno dei tronchi tagliati a quaranta centimetri da terra «Questo era un Girasole Eterno, simbolo della pace di Helianthus, nati dalla magia e dall’alchimia, e da qualcos’altro a quanto pare.»
«E cosa li ha fatti fuori se erano immortali?»
«La stessa magia e alchimia che li ha creati, infrangendo il vincolo di pace che regnava. Da allora la magnifica città che vi era nella regione non esiste più.» Daiden parve riflettere per un momento sul percorso «Andiamo a Methaures. Voglio vedere la città.»
 
«Dobbiamo aggirare questa città» Daiden era serio e calcolatore, avevano viaggiato in una foresta quasi morta per alcuni giorni prima di incontrare i resti delle mura di Methaures.
Proprio per il viaggio tetro l'alchimista e il Jinn parlarono molto. Si era formato una sorta di legame, Ikrimah aveva smesso di provocare Daiden con il suo corpo, quando parlava alludeva meno alla malizia, ma quando sorrideva trasudava fascino, incapace di impedirlo. I suoi denti candidi e perfetti la faceva da padrone, persino il forte Daiden li osservava talmente bianchi che sembrava impossibile racchiuderli in un sorriso così tranquillo e terribilmente sensuale. D'altro canto Daiden non dava più ordini all'Ifrit, tanto meno si lamentava se durante il tragitto uccideva qualcuno o qualcosa: nella regione in cui si trovavano nulla aveva più senso delle vecchie regole.
«Non possiamo dare alle fiamme questa città malata?» rifletté serio «Epurazione.» Scandì duramente.
«Ikrimah, non uccideremo tutti quanti. Se è possibile aggiriamo l'ostacolo.»
«Ammettilo, hai avuto un’idea orribile.»
Daiden alzò un sopracciglio a rimprovero.
«Come vuoi tu…» Ikrimah di soffermò a osservare l'andirivieni di barelle cariche, coperte da lenzuola gialle sbiadite «Io rimango dell'idea di accendere un bel falò ed epurare questa zona dagli umani malati» sorrise.
«Andiamo di qua!» Daiden si alzò, cominciò a camminare nel folto della foresta malata percorrendo un perimetro di sicurezza dalla città, convinto che bastasse per non fare spiacevoli incontri.
 
Camminarono delle ore. Alla fine Ikrimah incontrò un banco di moscerini che gli sbattevano sul volto incantati dalla sua essenza di Jinn, preso da un moto d'isteria esplose in una fiammata di due metri, incenerendo la foresta verde scuro. Daiden lo ignorò, tutta scena e poca sostanza.
Fecero qualche passo prima di accorgersi della presenza di qualcun altro, sentirono il frusciare di vesti contro il fogliame avvizzito davanti a loro, si stava avvicinando senza curarsi di fare rumore.
Un parlottio privo di senso si iniziò a miscelare ai rumori della foresta e del transito di quelle persone.
Un ragazzino apparve da un cespuglio. Grandi lesioni coprivano la sua faccia e la pelle scoperta dai brandelli di vestiti che indossava.
«Daiden, è uno dei malati che si sono visti prima?» Ikrimah si avvicinò al ragazzino, quello lo guardò rapito nella sua posizione aggobbita. Lui si accucciò sulle ginocchia e toccò con l’indice il ragazzino, come se fosse un animale morto o un insetto strano «È così carino!» Il tono di Ikrimah era tetramente serio.
«Io starei lontano, la piaga di Speziale Giallo[5] è molto virulenta.»
«Sono un Ifrit, e di conseguenza immortale, al massimo infetta la mia forma umana, che guarirebbe all'istante» Ikrimah ne era convinto fino al midollo.
«Non è una piaga comune, prima questa città si chiamava Helianthus, per le infinite distese di girasoli. Da cinquant’anni a questa parte viene chiamata Speziale Giallo.» Daiden lo disse con serietà.
«Eh beh?» Ikrimah prese in braccio il bambino strozzandolo «Mi ricorda quei bambini di Colle Monile, ma non sento il bisogno di terrorizzarlo. Possiamo tenerlo?» Lo prese sotto le ascelle porgendolo al suo padrone come un gatto randagio.
«Non è un giocattolo! Per giunta è un'arma letale contro di me!»
«Sistemalo! Ma poi lo voglio.» Ikrimah puntò i piedi strizzando tra le braccia il ragazzino.
«Mettilo a terra» rispose mentre rifletteva «vediamo se trovo una cura» faceva lo scocciato, ma in verità gioiva nel cercare la cura alla piaga dello Speziale Giallo.
Si mise in uno spiazzo abbastanza pulito, spazzò via le poche foglie marcescenti con i piedi e si sedé a terra. Tirò fuori tutte le sue boccette e le dispose in semicerchio davanti a lui; cominciò a pestare in un mortaio polveri e liquidi, ogni tanto si sentivano sfrigolii e vampate, flash e trasmutazioni del pestello da pietra a legno o oro. Bofonchiava i suoi insuccessi e mugugnava i progressi.
Infine tirò fuori una pasta dal pestello, era gialla e molliccia, aveva l’aspetto più di un veleno che di un rimedio.
«Quel putridume salverà il bimbino?»
«Ikrimah, spostati» Daiden lo fulminò con uno sguardo, offeso dal commento. Dispose la poltiglia di minerali e vegetali sulle piaghe del fanciullo con cura, svestendolo completamente. Prese dell'acqua, estrasse da una manica un bicchiere e sciolse la poltiglia; gli fece pure bere.
«Ora va sotterrato, il rimedio che ho tentato risale ai tempi dell’Antico Secolo[6], riguarda conoscenze a me non del tutto chiare» ammise tranquillamente «ricordati di lasciare il naso e la bocca scoperti, altrimenti soffocherà.»
Ikrimah fu svelto a fare una montagnola di terra per il suo nuovo amico, dopo aver scavato con le sue mani artigliate per qualche centimetro vi depose il ragazzino assopito dall’infuso di Daiden e lo ricoprì di terra. Mentre si intratteneva con il ragazzino, stuzzicando il suo naso con una foglia vizza nel vano tentativo di farlo starnutire, nessuno prestò molta attenzione ai rumori che li circondavano. Altri si erano nascosti tra i cespugli, spiando l'alchimista all'opera.
«Tra un paio di ore dovrebbe essere guarito completamente» affermò in tono formale Daiden.
«Dorme?» chiese Ikrimah notando l'immobilità del fanciullo, nonostante le sue molestie.
«È necessario» Daiden si distese sull'erba ingiallita dal sole e contemplò il cielo limpido. Mugolii e rantolii lo fecero svegliare dal suo sopimento, il bambino si era svegliato e cercava di alzarsi dal suo momentaneo tumulo.
«Daiden? E adesso?» Ikrimah era tutto in fermento.
«Liberalo.»
Con qualche mossa veloce lo tirò fuori dalla terra, le ferite erano ricoperte dalla poltiglia giallognola, imbrunita dalla terra. Ikrimah scrostò laddove vi era una piaga: la pelle era cicatrizzata.
«È guarito! Possiamo tenerlo!» Urlò vittorioso.
Detto questo dalla foresta si levò un gemito inarticolato, persone piene di piaghe si fecero avanti. Ikrimah agì per il suo istinto: mise il suo nuovo giocattolo dietro di sé e carbonizzò tutti, dal primo all'ultimo.
«Potevamo curarli…» rifletté Daiden «ma va bene così.» commentò. «Non avevo abbastanza ingredienti.»
Ikrimah prese il ragazzino sotto braccio e proseguì in direzione est lasciandosi la città di Methaures alla sua destra.
Daiden lo stava per seguire quando qualcosa lo prese per la caviglia. Abbassò lo sguardo: uno dei corpi parzialmente carbonizzato, sempre in vita, si avvinghiò alla sua caviglia da sopra l’abito. Si avvicinò per sentire cosa avesse da dire, consapevole che si potesse trattare del delirio di un moribondo.
«Hai salvato mio figlio, grazie» Daiden guardò con gli occhi sgranati quel corpo ormai privo di vita. Forse Ikrimah aveva agito troppo istintivamente. Forse avrebbe dovuto impedirgli di essere la bestia che dicevano.
Non disse nulla ai suoi compagni di viaggio, si limitò a guardare l'Ifrit strapazzare il bambino ormai orfano.
Consapevoli che il ladro stregone fosse a nord, tra il confine di Arancionia e Terra Rossa proseguirono verso levante. Avrebbero chiesto informazioni una volta usciti dallo Speziale Giallo.

 
 
[4] Nel III secolo durante la guerra delle Maki (avvenuta tra i Landini, gli abitanti delle Lande verde e gli Arancesi, gli abitanti di Arancionia) ci fu una rivolta interna alle popolazioni in conflitto. Moltissimi umani si rifugiarono nelle foreste tra il confine delle Lande Verdi e Arancionia, erigendo un forte per difendersi dagli attacchi congiunti dei vecchi schieramenti. Evocatori, originari delle Lande Verdi e Alchimisti di Arancionia si combattono fino alla sconfitta di quest’ultimi dovuta alla grande perdita di soldati (gli schieramenti erano principalmente di umani) e per l’evocazione di una forza superiore da parte dei Landini.
Prima del culmine della guerra i ribelli contattarono Stregoni della lontana Terra Rossa che, assieme all’aiuto di evocatori e alchimisti reietti, crearono i girasoli eterni, li piantarono in un confine scelto dai fuggitivi creando il confine della pace, che impediva qualsiasi genere di conflitto fisico tra le persone che vi vivevano all’interno.
La regione neoformata venne chiamata Helianthus, in onore dei girasoli che la proteggevano e il forte eretto al centro di essa Methaures, come il soldato che ebbe l’idea di fuggire dalla guerra e creare un mondo senza guerre.
[5] Nel VII secolo scoppiò la Terza Guerra Pratale. Combattuta apertamente tra Helianthus e le forze unite di Arancionia e Lande Verdi e occultamente dal Regno di Alabastro. Essendo impossibile, a causa dei Girasoli Eterni, e del confine di Pace che creavano, far scoppiare una guerra nella regione di Helianthus. Alchimisti, aiutati da rimasugli di stregoni reietti o privi di morale, crearono un rimedio in grado di uccidere quelle piante, frutto di sapienza antica. Si creò un morbo che fece seccare le piante, portando quegli antichi girasoli a morte in poche settimane. Dopo pochi mesi l’istinto belligerante si fece sentire nuovamente, dopo quattro secoli di pace nella regione di Helianthus. Scoppiò definitivamente la guerra che durò poco più di tre mesi. A distanza di sei anni chiunque si ritrovasse nel confine di Pace vene colpito dallo stesso morbo che avevano creato per eliminare i Girasoli Eterni, questo provocava lesioni su tutto il corpo fino ad uccidere per setticemia. La morte risultava molto lenta, poiché il confine di Pace si era trasformato in una zona di punizione, dove i malati morivano lentamente.
[6] L’Antico Secolo è un periodo precedente al primo concilio delle stirpi che hanno decretato i confini di Pratis. Da allora le conoscenze di ogni stirpe è stata separata e nascosta alle altre, ma quelle molto antiche rimangono come patrimonio a comune tra tutte le stirpi.


 
Argo Panoptes
Il tragitto tra Methaures e la regione di Arancionia fu relativamente breve, una volta oltrepassato il confine tutto sembrò prendere più colore. Capirono di essere nella regione di Arancionia per la particolare flora, alterata dalle pozioni alchemiche versate e sperimentate, ma anche per la varietà di animali e insetti dai colori più assurdi. Reazioni collaterali dall’alimentazione con quegli esperimenti falliti di alchimisti mediocri.
«Ti senti a casa?» Già dal terzo giorno di marcia, Ikrimah, si era stancato del fanciullo e aveva iniziato a bruciacchiarlo per passare il tempo.
«No, questa non è casa mia, qui vivono solo gli alchimisti falliti. Il Regno di Alabastro è la mia casa.» Rispose, tenendo la mano del ragazzino, impedendo al Jinn di sfogare su di lui la sua noia. «Passiamo dal tempio di Argo Panoptes[7]» disse d’un tratto.
Poco più a nord si vedeva una torre altissima circondata da alberi dalle foglie dai colori assurdi.
«Non mi piacciono gli accoliti di Argo, sempre così saccenti.»
«È Argo Panoptes che dà loro l'onniscienza. Se non sbaglio anche tu hai questo dono su Città Monile.»
«Si, ma non mi piacciono, così altezzosi, sempre vestiti con quei cappottini» Ikrimah ne era disgustato.
«Vuoi dire che possono essere immuni al tuo fascino?»
«Nessuno è immune al fascino di un Ifit!» disse con orgoglio lanciando un’ondata di fascino così forte da far venire un capogiro al ragazzino.
«Smetti di strapazzare questo umano.» Lo ammonì.
Proseguirono fino ai piedi della Sacra Guglia, una torre senza finestra, con una sola entrata, inerpicata sulla punta di una collina a strapiombo sul mare di foglie colorate. «Non dovrebbe splendere la sommità di questo fallo gigante?» Ikrimah si mise una mano sul mento pensieroso.
«Così narrano le leggende.»
«Avranno terminato le candele» sogghignò.
Salirono al tempio seguendo un sentiero di scalini bassi e tortuosi. In cima bussarono. Le grandi porte di legno frammisto a pietra cigolarono violentemente. Una volta socchiuse uscì dal buio più totale un uomo incappucciato.
«Benvenuto figlio del Grande Alchimista, Daiden» annunciò con voce tremula, poi rivolto all’altro «Ifrit, non sei ben accetto tra le nostre mura, ma ti lasceremo accompagnare il tuo padrone.» fece una pausa guardando il ragazzino guarito ma sfigurato dalla malattia. «Giovane anima... Tu rimarrai con noi» si scostò di lato permettendo a tutti di entrare.
Daiden notò subito gli occhi opachi e vitrei dell’uomo mentre gli passavano di fianco.
Appena furono all’interno l’adepto chiuse il portone sferragliante, il tempio era buio, non si vedeva nulla «Ma due candele non usano? Il tempio di Argo Panoptes è così povero da non permettersi l'illuminazione.» Commentò spregevole Ikrimah.
«Nel tempio del sommo Aro Panoptes non serve illuminazione. I suoi accoliti, che tutto vedono, non hanno sicuramente bisogno di illuminazione artificiale quando l'illuminazione che ci fornisce il nostro Dio è sufficiente a vedere tutto quello che accade nel mondo, senza troppi pensieri.»
L'uomo camminava con sicurezza ma dal suo tono di voce sembrava che stesse pensando a tutt'altro.
Arrancarono dietro a quella figura, più percepita che vista veramente. Non incontrarono anima viva per tutto il percorso finché giunsero in una stanza, dall’eco delle voci sembra una grotta, ma avendo percorso scale lo esclusero. Una finestra sul soffitto illuminava un cerchio perfetto sul pavimento della stanza. L’oscurità dentro al tempio era tale che la luce del mezzodì non rischiarava nulla.
«Deve essere veramente sudicio questo posto. Altrimenti perché ostinarsi a stare al buio?» Ikrimah non smetteva di fare commenti sarcastici sullo stile di vita degli accoliti. «Lasciamo qui questo piccolo umano e poi andiamocene.»
L'accolito si voltò «Lascerete qui il ragazzo, vero, ma prima il tuo padrone ci deve promettere una cosa.»
«Cosa possono volere, coloro che tutto vedono, da un umile alchimista?»
«Umile non proprio, Daiden, ma hai colto la nostra incapacità di agire. Possiamo vedere ogni cosa in ogni momento, ma non possiamo agire. Il nostro potere non ci aiuta nei movimenti o nei combattimenti. Non siamo soldati.» fece una pausa calcolata «Sappiamo che stai cercando Edimathis lo stregone che colleziona manufatti rari. Costui è riuscito a ingannare persino il Sommo Sacerdote di Argo.»
«Sono proprio curioso. Cos'ha usato per oscurare la vostra vista penetrante?»
«Un manufatto raro, ovviamente, purtroppo questo particolare manufatto si protegge dalla vista del nostro Dio, impedendoci di vedere colui che lo indossa.»
Daiden si illuminò di un’idea, ma non disse nulla.
«Vogliamo che troviate il manufatto che Edimathis ha rubato a noi. lo ha nascosto da qualche parte nella Terra Rossa, nei pressi di una città, Alizarina.»
«E cosa sarebbe questo manufatto che vi ha rubato?» Ikrimah sembrò curioso.
«Ci ha sottratto l'occhio di Argo.» dall'ombra dei muri si udì un canto lamentoso, a quel punto seppero che non vi erano solo loro in quella stanza.
Ikrimah preso alla sprovvista prese fuoco, illuminando la stanza. Erano circondati da uomini incappucciati che cantavano quella nenia lamentosa, un quantitativo indefinito di persone, a terra, come aveva malevolmente commentato Ikrimah, comparvero le sporcizie più assurde, compreso sangue rappreso.
«Se troveremo la vostra reliquia ve la porteremo.» Daiden rimase impassibile.
L'uomo tirò fuori un pezzo di pergamena. «Qui è segnata l'esatta posizione della città di Alizarina» storse il naso «in questo punto il destino di chiunque è ignoto, ma confidiamo nel successo tuo e della tua bestia addomesticata» disse consapevole della sensibilità di Ikrimah.
«Sei un vecchiaccio» gli fece la linguaccia.
«Ifit, sappi che tornerai ancora a chiedere il nostro aiuto, e noi te lo forniremo ma ad un prezzo assai salato» si levò dal coro una melodia urgente e ripetitiva «È ora che ve ne andiate, rimanete sul confine con il Regno di Alabastro, non addentratevi in Arancionia, rischierete di non uscirne per tempo.»
«Grazie per la dritta» Ikrimah lo salutò con un cenno «alla prossima vecchiaccio bisbetico.» Ikrimah proseguì nell’emettere calore luminoso dal suo corpo. Oltrepassarono corridoi squallidi e sporchi fino all’atro, con un calcio poderoso lo spalancò ed uscì da quel tugurio di oscurità «Finalmente aria fresca. Non credo che tornerò in questo posto. Speziale Giallo in confronto è Hakabal[8]
Daiden guardò Ikrimah giusto un attimo e prese la strada per il Regno di Alabastro, come gli aveva suggerito il Sommo Sacerdote. Ikrimah guardò l’oscurità dentro il tempio, fece un gestaccio alla porta e si incamminò dietro il suo padrone lasciando il battente spalancato.
 
[7] Gli adepti al culto di Argo Panoptes possedevano l’onniscienza, grazie al potere dell’occhio di Argo. Questo culto risale all’Antico Secolo e ha sempre avuto sede in Arancionia, nella Sacra Guglia, una torre altissima costruita su una bassa collina appena al confine tra Speziale Giallo e Arancionia.
[8] Il paradiso dei Jinna

Città Fantasma
Avevano lasciato il tempio di Argo Panoptes ormai da due giorni. La foresta lasciò rapidamente spazio alle Praterie d’inverno, una fascia di erba bassa perennemente in autunno, punteggiata di arbusti dalle foglie verde glauco. In quella zona vivevano alcuni nomadi, gli Arcidi[9].
«Salve, cerchiamo la strada per Terra Rossa, può indicarcela?» «Ma certo, sempre a dritto!» Ikrimah stava impazzendo. Con la mano destra e la sinistra simulava discorsi che non poteva fare con la popolazione locale.
«Hanno paura» lo zittì Daiden.
«Mi annoio, il prossimo che vedo lo faccio arrosto.»
Daiden gli osservò il volto per capire se fosse serio. Ormai non era più certo di quello che diceva il Jinn e quello che aveva realmente intenzione di fare.
Al tramonto incontrarono un uomo.
«Ehi! Tu! Fermati!» Ikrimah ruggì con la sua voce da Ifrit. Quello si mise a correre.
Il Jinn fu più svelto del padrone e si trasfigurò nella sua forma demoniaca, apparve innanzi al fuggiasco facendolo finire con il sedere a terra. «Fermo ti ho detto!» il sorriso sadico da pazzo gli apparve da orecchio a orecchio.
«Ikrimah, no!» Daiden arrivò con qualche secondo di ritardo, ma giusto prima che l’Ifrit si facesse riconoscere. «Dov’è Terra Rossa?»
Quello spaventato a morte indicò una direzione. In lontananza, nell’ombra del tramonto vide una distesa piatta e scura. Poteva essere.
«Andiamo Ikrimah» il giogo d’oro che lo legava all’alchimista brillò e lo costrinse a tornare umano, contro ogni suo istinto seguì Daiden nella direzione indicatagli.
Viaggiarono per oltre tre sei giorni, senza mai incontrare anima viva. Man mano che si avvicinavano Daiden comprese dove li avesse mandati l’indigeno terrorizzato. Il Pathan. L’unica palude ancora intatta in tutta Pratis. L’odore di marcio e morto si iniziò a sentire all’alba del settimo giorno.
«Dove ci ha mandato quel dannato Arcid?»
«Basterà attraversare la palude, non è enorme. Tempo due giorni e saremo nella desolazione di Terra Rossa.» Daiden mise il primo piede nel fango e proseguì imperterrito.
Il viaggio durò quasi una settimana, tra le continue lamentele di Ikrimah per l’assenza di cibo e persone. Durante il viaggio dovettero nutrirsi solo dei frutti prodotti dagli alberi alchemici istantanei che Daiden produceva con le sue pozioni.
Una volta giunti in Terra Rossa tirarono un profondo sospiro. Tempo qualche ora di marcia nella bassa erba secca perché Ikrimah si facesse sentire ancora.
«Daiden, quasi rimpiango l'odore della palude» fece.
Il paesaggio era mutato in uno schioccare di dita, quasi non se ne resero conto. L’erba che da prima verde malsano era passata ad essere secca e sempre più rada ormai non esisteva più, si era fermata di colpo come su una linea prestabilita. La terra era diventata arida e polverosa, ma soprattutto era rossa, rossa come sangue rappreso misto a mattoni frantumati. Per concludere l'aspetto alieno non vi era nemmeno un'altura a perdita d'occhio, solo polvere rossa, leggera e sterile.
«Sai il perché dei nomi di ogni luogo?»
«Beh, so che Città Monile deriva dalle montagne e le colline che la circondano» rifletté Ikrimah «Per il resto non ne ho idea.»
«La tua sincerità alle volte è disarmate.» Daiden soppesò i pro e i contro di fare una lezione di storia a quella bestia nata da un fanciullo. «Incamminiamoci, nel frattempo ti racconto come sono nati i nomi del nostro stato» disse mettendo il primo piede in Terra Rossa.
Mentre camminavano Daiden notà come il terreno fosse sconnesso, la sabbia di ematite e quarzo ricopriva buche profonde, ma non sosteneva il peso dei viaggiatori risultando incoerente e di difficile transito.
«Insomma? Come mai questi nomi? Sappiamo che città di Lilla è per quelle orribili bacche, Speziale Giallo per la piaga che l'affligge e le altre?»
«Foreste Blu ovviamente per la vegetazione dal colore così particolare» rispose, estraendo un'ampolla con della corteccia azzurra «Lande Verdi per i prati di erba verde tutto l'anno.»
«A Città Monile non c'era molto verde. Quando uscivo per mischiarmi alla popolazione in città trovavo solo pavimenti di pietra, forse mi è capitata un po' di erbaccia verso il monte alla mia grotta.»
Daiden guardò male il compagno di viaggio per l'interruzione. «La vecchia Helianthus, la città i cui confini erano i Girasoli Eterni, alti come alberi e pieni di fiori, era la più bella, nonché giovane. Talmente bella da suscitare l'invidia del Regno di Alabastro che si coalizzò con Lande Verdi e Arancionia per distruggerla, mandando un bravo alchimista, diffondendo una piaga che uccidesse i Girasoli Eterni, solo che la piaga si mutò e colpì anche le persone.
Sfortunatamente la cura risedeva nei semi della pianta di girasole eterno ormai estinta.»
«E come hai curato il bambino?»
«Non ho detto che fosse l'unica cura» rispose con un’ombra nello sguardo.
Camminarono ancora, cercando di non sprofondare in buche nascoste.
«Guarda» fece Ikrimah. Prese una manciata di polvere e la strinse nelle mani, poi le aprì e una sfera perfetta rosso sangue, liquida, si sollevò dalle sue mani. «Come posso far volare la sabbia liquida? Non è fuoco.»
«Arancionia» proseguì Daiden «Era nota per la cucina, così buona da rapirti per sempre, oggi è nota per i criminali e le sale di gioco d'azzardo dove i ricchi del Regno di Alabastro vanno a sperperare i loro patrimoni. Ma non solo per quello, basta notare gli esperimenti falliti degli alchimisti in giro per la regione. Infine abbiamo Terra Rossa.» fece una pausa.
Ikrimah, che stava qualche passo indietro,  lo raggiunse e rimase di sasso.
«La storia di Terra Rossa è la più triste e cruenta» Daiden abbassò lo sguardo a terra, prese un seme da una tasca e lo depose sulla sabbia incoerente. Afferrò una boccetta con un liquido biancastro e fece gocciolare sul seme il suo contenuto. Goccia dopo goccia, il seme germinò: fece una radichetta bianca che si conficcò nella sabbia morbida, crebbe rapidamente fino ad una decina di centimetri. Ikrimah glielo aveva visto fare decine di volte da quando erano partiti dal Regno di Alabastro. Daiden cessò il flusso di gocce sulla pianta. L’arbusto appena nato imbrunì, disseccò e morì in pochi istanti.
«Qui è stata combattuta l'ultima guerra tra alchimisti e stregoni. Le pozioni e gli incanti hanno infettato la terra, il sangue e le ossa dei caduti sono diventati polvere creando questo deserto.»
A perdita d'occhio piante secche poco più basse di quella fatta germinare da Daiden facevano da tappeto erboso macabro.
«È usanza tra alchimisti e stregoni piantare un seme di Frassino per valutare quanto la terra sia infetta. Sembrerebbe che se l'albero sopravvive la terra dovrebbe essersi liberata dal suo anatema.»
Ikrimah fece cadere la sfera di ematite fusa a terra, macchiandola con una pellicola rossa.
«E come si chiamava questo posto prima della Guerra Pratale?» Ikrimah pendeva dalle sue labbra.
«Terra Rossa, l’ematite è sempre stata presente nel suolo, assieme ad altri minerali. Qui vi erano le cave di metallo che rifornivano tutta Pratis, dopo la guerra il suolo è diventato desertico e i minerali rossi si sono dispersi nella sabbia accentuando questa sua caratteristica.» Daiden ripose la boccetta in una tasca nascosta «non è finita qui. Il motivo per cui puoi manipolare ogni cosa nel territorio lo scoprirai a breve.»
Daiden concluse il discorso, lasciando Ikrimah incuriosito.
«Dimmelo, sto impazzendo» ruppe il silenzio di pochi minuti.
«Stiamo per arrivare, un giorno al massimo.»
E così fu, fecero una piccola deviazione al centro di Terra Rossa.
«Questa che vedi la chiamano Cratere. Un tempo qui sorgeva la capitale di Terra Rossa: Wolframio.»
I due erano davanti ad un cratere enorme la cui sommità sbeccata permetteva liberamente l’accesso. Tutto il circondario era di roccia solida, neppure un granello di sabbia sembrava potervi rimanere a lungo. Man mano che si addentravano nel cratere si notava sempre più una sfera trasparente di trenta metri che sembra essere al suo centro. Quando vi furono dinnanzi lo videro: qualcosa, tipo una statua al centro della sfera trasparente e calda.
«Quello che vedi è la conclusione degli scontri» Daiden indicò la statua al centro della sfera «esattamente in quel punto.»
Ikrimah si addentrò oltre la sfera con noncuranza «Tu non vieni?» domandò vedendo Daiden fuori dal confine.
«Non posso» dimostrò battendo la mano sulla sfera ialina «Va’ e scopri la verità.»
Ikrimah fece una smorfia per la solennità delle parole, d'altronde era solo a trenta metri di distanza, quale rivelazione potrebbe mai nascondersi dietro ad una statua a trenta metri dal suo padrone.
Mente si avvicinava al centro sentì che perdeva il controllo sulla sua forma umana. Ad ogni passo si trasformava sempre più in Ifrit, qualcosa scatenava i suoi poteri di Jinna finché, arrivato proprio davanti lo vide. Alto trenta centimetri più di lui, pelle squamosa e screpolata, rossa; capelli neri striati di bianco, orecchie lunghe e affilate, corporatura muscolosa nonostante l'età che dimostrava, artigli nero lucido a mani e piedi. Cementato in una posizione di sottomissione con anelli e bracciali d'oro ancora lucidi. Un Ifrit giaceva immobile con gli occhi chiusi in un sonno disturbato.
Ikrimah allungò una mano artigliata per toccare il primo Ifrit che avesse mai visto, eccezion fatta del suo riflesso. Qualcosa glielo impedì, si voltò e vide Daiden che gli negava quel contatto in maniera decisa.
Ikrimah non capì, ma lasciò perdere comunque. Conosceva bene il proprio carattere: irascibile e impulsivo, se anche quel suo fosse stato intrattabile, senza il suo padrone, sarebbe potuta finire male, in fondo, anche se non poteva morire il dolore lo sentiva sempre, e non gli era mai piaciuto.
Tornò da Daiden. «Cosa significa? Un altro Ifrit? Quale evocatore in passato ha chiamato a punire un Jinn Ifrit?»
«Quello non è un Ifrit qualunque, è il primo Jinn Ifrit nato su questo mondo, nato per volere non della stirpe di Hita[10], nato per la disperata supplica della stirpe di Arthe[11]
La rivelazione non colpì Ikrimah come Daiden credeva.
«E quindi?»
Daiden rimase un attimo a pensare «Il confine di Terra Rossa è stato segnato dal suo potere, il suo padrone, un alchimista, gli ha ordinato di distruggere tutto e fermare la guerra per sempre» si fermò.
«Ho notato gli ornamenti» commentò Ikrimah.
«Quando lui morirà questa terra tornerà fertile, ma nessuno può accedere alla difesa primordiale che ha eretto, solo altri Jinni.»
«Temi che possa svegliarlo?»
«Potresti, ma non lo so, meglio andare» Daiden concluse il discorso e se ne andò verso la città indicata dalla mappa lasciatagli dal Sommo Sacerdote.
Camminarono per un paio di ore; a Ikrimah sembrò un'eternità, la desolazione era totale, di diverso dalla sabbia e dalle rocce c'erano solo loro, ma qualcosa insisteva a pungolargli la testa, alla fine lo chiese:
«Perché mi hai fatto vedere l’altro Jinn Ifrit?»
«Ikrimah, non sei l’unico Jinna di Pratis, devi saperlo, esistono storie che parlano di altri Jinna nel passato, che dimorano nascosti per intervenire a favore di qualche padrone.»
«Non fare l’enigmatico.»
«Accampiamoci, ne parleremo un’altra volta.» Daiden freddò la conversazione fermandosi di botto in mezzo al nulla. Appallottolò un indumento apparso dal nulla e lo usò come cuscino mentre si stendeva nella sabbia tiepida.
 
«Quanto manca alla città?» Ikrimah era sfinito dalla noia, erano passati quattro giorni dalla famosa conversazione e Daiden non aveva lasciato spazio a chiarimenti.
«Siamo arrivati secondo la mappa.»
Si fermarono davanti al niente, Daiden si mise a riflettere, lentamente prese una fiala e versò parte del suo contenuto a terra: spuntò erba verde.
«Dan! Dan! Dan! Colpo di scena!» fece Ikrimah «Ma non avevi detto che non ci doveva crescere nulla?»
«Infatti» Daiden mise a posto la boccetta «Abbiamo trovato la dimora di Edimathis.»
«Evvai!» Ikrimah sfoggiò una dose letale di sarcasmo.
I due entrarono dal varco aperto nell'incantesimo di occultamento. Davanti ai loro occhi si presentò una città in rovina, edifici diroccati e piazze sconnesse, il tutto adornato da una ricca distesa di vegetazione verdeggiante.
«Beh, tra la refurtiva ha anche qualcosa che inibisce l'anatema dell'originale» Ikrimah commentò tranquillamente mentre calpestava con gioia i primi fili d'erba.
Daiden fece finta di ignorarlo, pensando subito a quale diavoleria si potesse essere inventato per far crescere erba su quella sabbia sterile.
Girarono quella città in lungo e largo, furono certi che si trattava di Alizarina da un cartello nel centro della città: una piazza messa meglio delle altre che aveva un pozzo funzionante. Si fermarono bevvero l’acqua
«Non c'è anima viva…» Ikrimah era deluso.
«È una città fantasma» Daiden si sentì di confermare l'ovvio.
 
[9] Popolazione nomade delle Praterie d’inverno, sono umani che vivono dei frutti della foresta alchemica, sono una popolazione molto diffidente, spesso venivano rapiti dagli Arancesi o dai Terrani (popolazioni di Terra Rossa) per fare studi o esperimenti per le loro ricerche.
[10] Hita: una delle cinque stirpi, originaria della Lande Verdi, rappresenta gli Evocatori, in grado di richiamare spiriti o energie occulte a questo mondo.
[11] Arthe: una delle cinque stirpi, originaria di Arancionia, rappresenta gli Alchimisti, in grado di creare pozioni e rimedi con minerali, vegetali e animali e di trasmutare i materiali.


 
Edimathis
Cominciarono ad esplorare la città in lungo e largo, partirono dalla piazza mettendosi a cercare indizi su dove potesse aver nascosto la refurtiva. Ikrimah canticchiava sommessamente il motivetto patriottico di Lande Verdi: “Alla fine vincerò[12]” mentre sbatteva le porte delle abitazioni, aprendo stanze con espositori di vario genere con oggetti di ogni manifattura, da Lilla a Terra Rossa.
Daiden dalla parte opposta della strada apriva le porte con cautela, temendo di trovare qualche congegno di sicurezza e finire folgorato o ammazzato in qualche modo.
«Questo posto è un noiosissimo museo! Mi sta crescendo la barba! Lo sento!» Ikrimah era sull'orlo di una crisi di nervi, era da troppo che non tormentava qualcuno con le sue doti da Jinn. Dal canto sui Daiden non rispondeva, la sua ricerca era troppo importante. Guardava dentro ogni espositore alla sua disperata ricerca.
Alla fine furono davanti all'ultima casa. Ikrimah faceva rimbalzare sulla mano l'occhio di Argo Panoptes. «È l'ultima, che ne pensi, troveremo qua quello che cerchiamo?» si distrasse e per poco non fece cadere la reliquia «Welàh! Numero!?» Ikrimah continuava a giocare con la sfera dall'aspetto fragile «Dici che nel tempio dei lezzi se ne accorgono che faccio rimbalzare la loro reliquia?» Ikrimah rise di gusto «Lezzi? Mi sentite? Ho trovato la vostra palla di cristallo, che volete che ne faccia? Una bella polvere?» Ikrimah urlava a pochi millimetri dalla sfera, sembrando completamente pazzo.
«La reliquia costituisce i loro occhi,ì non le loro orecchi, saranno tutti distesi a terra, con un gran voltastomaco direi» una voce ignota ma familiare li colse di sorpresa.
Ikrimah e Daiden si voltarono all'unisono pronti a fronteggiare il nuovo venuto.
Daiden divenne viola dal furore. «Edimathis!» ruggì.
Ikrimah rimase di stucco nel vedere il furore del padrone, sempre così misurato.
«Senta stregone da quattro soldi, che ne dice di renderci la refurtiva?» Ikrimah cercò di usare le buone un’altra cosa che faceva da quando stava con il suo padrone.
«Potrei, ma non credo proprio» Edimathis li guardava dall'alto in basso, era seduto su una pietra di un vecchio edificio crollato, la sua barba corta e scura era pulita e pettinata come i suoi capelli. Le vesti da viaggiatore, erano linde e prive di graffi. «Ciò che cercate è alle vostre spalle, ve lo assicuro.» Sorrise bonario, i suoi occhi castani non persero di vista un secondo l’alchimista «Lo dico, non solo perché è l’ultima porta dell’ultima casupola rimasta, e neppure perché la tua bestia ammaestrata ha guardato a malapena gli espositori. È la dentro.»
Daiden si voltò di scatto e con un calcio ben piazzato buttò giù la porta. Corse dentro come se andasse a fuoco e si fiondò sull'unico espositore al centro della stanza. Illuminato da pietre iridescenti, il suo medaglione, riflesso assieme alla sua immagine mille volte negli specchi dell'espositore.
Ikrimah gli fu alle spalle. «Prendilo e torniamo agli agi di Regno di Alabastro.»
Daiden cercò di sollevare l'espositore, ma quello non si mosse nemmeno di un millimetro.
«Credevate davvero che non ci fossero misure di sicurezza a casa mia?» Edimathis li scherniva dalla soglia della porta «Adesso sarai parte integrale della mia collezione.» I suoi occhi castani ebbero un’illuminazione d’origlio «L'Ifrit ovviamente.» disse qualcosa di sconnesso e una luce abbagliante illuminò l'edificio per qualche istante. Ikrimah si fiondò verso lo stregone, ma appena prima della soglia rimbalzò contro un muro invisibile.
«Dimenticavo, qua dentro il tuo fuoco non esiste, Jinn» Edimathis rise di gusto «se te lo stavi chiedendo, Daiden l’alchimista, non è una reliquia rara che impedisce all’anatema della Guerra Pratale di raggiungere questo luogo. Sono stato io, ho creato un incantesimo talmente potente che è in grado di inibire il potere di un Jinn Ifrit» Rise ancora, soddisfatto e se ne andò.
Ikrimah era furioso, non solo per la trappola in cui erano caduti, ma anche perché non riusciva a capire di cosa parlasse lo stregone. Frustrato tirò un pugno fiammeggiante contro la parete per incendiarla. Provò solo il dolore della mano sbattuta violentemente contro la pietra, nessuna fiamma si era accesa.
«Come può farlo?» Il tono di Ikrimah era disperato.
Daiden lasciò l'amico ad arrovellarsi su come dar fuoco a tutto e si concentrò sul suo medaglione. Il vetro non si spostava. Doveva trovare il sistema per prenderlo. Così vicino e non poterlo nemmeno toccare.
Ikrimah notò come gli occhi di Daiden fossero presi solo e soltanto dal Medaglione. Avevano girato tutta Pratis a piedi per trovarlo, e finalmente era lì, a pochi centimetri dalle sue mani. Non riusciva proprio a concentrarsi su nulla, lo voleva e non sapeva come fare per averlo.
Preso da un moto di compassione Ikrimah buttò a terra il piedistallo, il vetro si infranse e Daiden afferrò il medaglione in pochi secondi, come se potesse sciogliersi a stare a terra.
Lo tenne in mano un secondo: era tondeggiante e sopra vi era inciso lo stemma di famiglia.
«Finalmente» disse sollevato Daiden.
«Cos'ha di speciale?»
«È stato il primo regalo di mio padre, primo e unico» rispose stringendo il medaglione con la mano «Usciamo di qua.»
Daiden provò a varcare la soglia, consapevole che non ci sarebbe riuscito: sbatté il naso contro un muro trasparente. Osservò meglio la casa e capì. L'incanto di confinamento era collegato all'integrità della casa, solo le soglie di porte e finestre rilucevano della magia di Edimathis mentre le pietre che la componevano erano normali.
Andò in un angolo. Si sedé e si mise a trafficare con le sue pozioni e polveri.
Impiegò una mezz'ora per sistemare tutto «Stai lontano Ikrimah, adesso usciamo.» prese una boccetta e si allontanò dalla parte opposta. «Accucciati» disse all'amico. Lanciò l'ampolla con il liquido azzurrino. Quella si ruppe a terra e il liquido prese fuoco, incendiò le polveri e quelle esplosero.
Il boato fu assordante e l'onda d'urto fu brutale. Daiden ne rimase intontito. Ikrimah coprì il padrone giusto in tempo per impedire a frammenti di pietra di ferirlo, straziando l’indumento che aveva. Prese Daiden per una mano e uscirono dalla falla nel muro.
Daiden si riprese alla svelta, si mise a sedere su un macigno bianco. «Abbiamo recuperato il mio medaglione» disse stringendo il pendente che aveva al collo.
«E l'occhio dei sudici» confermò Ikrimah mostrando la pietra che aveva nascosto in tasca.
«Possiamo anche andare…» Daiden lasciò la frase in sospeso.
«Personalmente non lascerei quel ladruncolo in vita, ha cercato di farti fuori e trasformare me in un soprammobile della sua casa dei furti.»
«Ricordo ancora quando ha cercato di catturarti sotto il mio naso.» commentò Daiden ripensando a quella sera.
«Dici alla locanda?»
«Esatto, dopo che ha notato il tuo giogo dorato ha subito tentato di farti uscire con lui. Poi quando mi sono accorto che si trattava di uno stregone mi ha strappato il medaglione, arrecandomi una grave offesa.» ricordò.
Ikrimah lo guardò complice.
«Cosa stai proponendo?»
«Morte tra le fiamme» Ikrimah sorrise malevolo.
Daiden soppesò l'idea «Cerchiamo Edimathis per la sua punizione finale.»
 
[12] L’inno della regione Lande Verdi “Alla fine vincerò” fa riferimento alla battaglia continua degli Evocatori contro gli umani nella loro terra, infatti questi si danno una sorta di battaglia segreta per la conquista delle donne più belle e degli uomini più belli per portare a famiglie di bell’aspetto. Questa filosofia di vita incentrata sulla bellezza dell’aspetto fisico è stata poi esportata nel Regno di Alabastro, dove ha preso una piega molto più esagerata, portando anche a piccoli genocidi sotto lo standard imposto dalla legge.


 
Fuoco e Agonia
Cercarono lo stregone per tutta Alizalina, era svanito nel nulla. Ikrimah gridava tutte le tortura che voleva fargli, di come lo avrebbe fatto soffrire e di quanto avrebbe prolungato la sua agonia. Era convinto che se gli faceva sapere subito che sarebbe morto lentamente sarebbe uscito allo scoperto.
Daiden gli dava la caccia come si da la caccia da un cervo, cercava le sue tracce, magiche, muovendosi silenziosamente per non farsi scoprire. Ma anche la sua tecnica non risultò efficace.
Edimathis si fece trovare al tramonto. Li aveva fatti cercare in lungo e in largo per tutto il giorno. Forse nel vano tentativo di farli stancare o demordere dai loro intenti.
«Ben trovati, graditi ospiti» disse con falsa accoglienza. «Sapete?» Fece una pausa calcolata «Non ricevo mai visite, tanto meno ne voglio. Ho scelto la mia dimora in Terra Rossa proprio per la bassa quantità di invadenti ospiti» Daiden e Ikrimah rimasero immobili «nessuno viene in Terra Rossa, troppo arida, troppo sterile. Nonostante le varie regioni dello Stato siano tutte grandi uguali… eccetto il Regno di Alabastro, ovvio» Edimathis rimase perplesso dal suo stesso parlare «ho scelto questo posto per il grande potere che vi è intriso, dal sangue della stirpe di Boga[13] e di Arthe, degli stregoni e degli alchimisti, perennemente in contrasto. Daiden, sappi che odio la tua alchimia» lo guardò malissimo «vorrei annunciarvi che la città è sigillata. Non potrete uscire entrambi vivi di qui.» sorrise malevolo.
«Abbiamo deciso una cosa» iniziò Ikrimah.
«È giunta l'ora che tu ceda la tua vita» recitò Daiden come se avessero seguito un copione, ma ancora più importante ignorando il monologo dello stregone.
Lo scontro partì in un lampo, Ikrimah bruciò le sue spoglie umane e divenne Ifrit. Cominciò a lanciare fiamme verso il nemico. Edimathis, di contro, usava l'acqua del pozzo per spegnere il fuoco del demone, mormorando i suoi incantesimi e muovendo le mani ordinava all’acqua dove andare e cosa attaccare. Lo scontro sembrava alla pari. Daiden pensò svelto, prese tre ampolle e le frantumò sul pozzo, ci fu un lampo e l'acqua evaporò violentemente in un getto di vapore prorompente, lo stregone si spostò appena a tempo.
«Piccolo alchimista guastafeste!» Edimathis non batté ciglio e usò la terra che li circondava per difendersi dal fuoco, nuove creazioni di pietra apparvero dal nulla.
Ikrimah bruciava con vigore dove lo stregone si sistemava per contrattaccare. Lo scontro era chiaro, ikrimah attaccava e l'altro si difendeva usando l’energia del lugo.
Daiden tentava di impedirgli di usare la terra ma era come impedire ad un uccello di volare sottraendo una boccata d'aria alla volta. Mentre lanciava pozioni congelanti lo stregone gli fu davanti e si mise a fare un incantesimo.
Mentre pronunciava svelto le parole per creare l’incanto, Daiden si metteva le mani nell’abito per prendere un’ampolla. La scena sembrava al rallentatore. Ikrimah vide tutto, cercava di avvicinarsi più velocemente possibile. Poi si mise in posizione e evocò il suo fuoco attorno al corpo dello stregone. Quello guardò Ikrimah negli occhi, soddisfatto dell’operato del demone. Aprì le braccia come ad accogliere le fiamme.
Il tempo tornò a scorrere normale. Edimathis urlò e fuggì rendendosi invisibile.
«Dov'è?» Ikrimah rimase deluso dalla sparizione del nemico.
«Distruggi tutto» ordinò Daiden preso da una furia incontrollabile, notò la sua mano diventare grigia, morta.
«Con piacere» Ikrimah non notò il disagio del padrone, troppo preso dalla foga del combattimento. Diede sfogo a tutto il suo potere, l'erba carbonizzava, le pietre e la terra si fondevano come ghiaccio al sole.
Daiden aveva abbandonato l'Ifrit ormai fuori controllo al centro della città. Si stava spostando verso il limitare del confine d’occultamento. Si osservava la mano. Quel maledetto stregone gli aveva maledetto la mano, non la sentiva più era fredda e rigida. Si mise in una zona riparata e usò tutti i rimedi curativi che conosceva.
Passarono due ore d'inferno. Daiden quasi non vide la città scomparire davanti ai suoi occhi,  quasi non vide come Ikrimah gioiva della distruzione totale. Rimase nascosto a cercare di curare la mano maledetta. Non gli importava nulla di quella città.
Ikrimah tornò da Daiden, il suo aspetto umano era provato per la fatica di bruciare ogni cosa.
«L'ho trovato.»
Daiden nascose la mano dentro l’abito, ignorando gli sguardi del Jinn. Lo seguì fino allo stregnone
Edimathis era lì, immobile, rinchiuso in una bolla di energia, che quei maledetti stregoni sapevano controllare.
«Combatti!» lo esortò Daiden.
Quello aprì gli occhi, era visibilmente sotto sforzo per resistere alle fiamme di Ikrimah, che si nutrivano di quell'energia come fosse ossigeno.
«Ultimo desiderio? » domandò Ikrimah con sarcasmo, premendo ancora più forte sul suo scudo.
«Sarai mio schiavo un giorno e distruggerò Regno di Alabastro con le tue fiamme.» Promise.
«Ah, ah!» esclamò «Non hai l'occhio dei luridi quindi non vedi il futuro.» Ikrimah pose una mano sullo scudo eretto dallo stregone «Ti svelerò un segreto, i Jinna possono assorbire energia, proprio quell’energia che usano gli stregoni, ho proprio bisogno di carica!»
«Ikrimah, termina la vita di questo essere.»
«Subito Padrone» Ikrimah pose il palmo della mano sulla sfera, assorbì l'energia dello scudo e si riebbe in un baleno, poi lo stregone cadde in ginocchio.
Edimathis guardò l’Ifrit con un sorriso stentato dalla fatica, attendendo l’inevitabile.
Ikrimah lo carbonizzò, lentamente, dandogli fuoco dalle gambe fino a circondarlo di fiamme. Gioendo delle sue urla.
 
[13] Una delle cinque stirpi, originaria di Terra Rossa, rappresenta gli Stregoni, in grado di richiamare le forze ancestrali e di plasmare le energie a loro piacimento.


 
Tramonti sulle terre di Pratis
Edimathis urlava a squarciagola, Ikrimah lo stava ustionando lentamente, lasciando carne nera dopo il passaggio. L'agonia durò fino a metà petto quando lo stregone svenne e morì carbonizzato senza nemmeno accorgersene.
Quando divenne una massa di carbone Ikrimah si voltò verso Daiden. I due si guardarono negli occhi. La loro avventura si poteva definire conclusa.
«Andiamo a casa Ikrimah, finalmente possiamo tornare a Regno di Alabastro.»
«Conoscerò il resto della famiglia» fece con tono malizioso.
«Smettila dai» Daiden sorrise per la prima volta a Ikrimah.
«Allora vedi che ti piaccio!»
«Menzogne, solo menzogne» tornò quello di sempre.
«Andiamo…» Daiden si mise una mano al petto, strinse il medaglione che aveva al collo, bruciava. Cadde in ginocchio.
«Cos'hai? Daiden?» Ikrimah fu al suo fianco in un secondo.
Daiden mugugnava di dolore. Il medaglione brillava dall'opaco del suo grigio metallico.
«Daiden?» Ikrimah non capiva, il panico, una nuova sensazione per quella bestia che conosceva solo malizia e disprezzo. «No! Cosa ti ha fatto?» Notò la mano morta e avvizzita che gli aveva regalato lo stregone prima di perire.
Daiden era disteso prono, le braccia molli lungo i fianchi; Ikrimah gli sorreggeva la testa e lo smuoveva, urlava il suo nome, invano.
Il medaglione bruciava la sua veste.
Un rantolio alle sue spalle lo fece girare: il corpo carbonizzato dello stregone si muoveva preso da spasmi, la vita stava tornando in quel guscio vuoto e ridotto a carbone.
«Alla fine siamo diventati amici…» rantolò.
All'unisono Daidan spirò ed Edimathis inspirò.
«Daiden?» Ikrimah urlò il suo nome, consapevole che il suo primo e unico amico fosse appena morto. Era distrutto, un'emozione mai provata lo travolse: il dolore per la perdita, il furore per la vendetta. Si voltò e vide Edimathis, la pelle che tornava lentamente rosso vivo e copriva quel corpo bruciato a morte, vide che si alzava in piedi, completamente nudo. Ikrimah rimase spiazzato, non reagì subito. Gli lasciò il tempo di sparire, troppo preso dalle prime lacrime di dolore emotivo che gli colavano sul volto.
Sconvolto l'Ifrit scoppiò in una bomba di fuoco dirompente, talmente forte da far sparire le case lungo l’onda d’urto. Risparmiò solo il suo amico, raccolto fra le sue braccia.
Un cratere si aprì sotto i suoi piedi e capì cosa potesse aver scatenato la fine della guerra.
Lacrime colarono sulle sue guance lasciando un sapore amaro.
Ikrimah aprì gli occhi. Nella sua forma umana. Ai suoi piedi una pozza d'oro, il giogo era stato infranto.
Ikrimah era libero, libero dal controllo di Città Monile, libero da Daiden.
Lui era lì disteso, morto. Prese il suo medaglione e lo mise al collo.
L'Ifrit era libero, libero di dare la caccia all'assassino del suo unico amico.
 
A chilometri di distanza aprì gli occhi. La foga del suo simile lo aveva ridestato dal sonno durato cinque decadi.
Qatadah alzò lo sguardo ad un cielo ormai sconosciuto. Lentamente riprese forma umana.
«È passato troppo tempo.» commentò vedendo il suo corpo invecchiato.


 
 
Immagini dei personaggi:
1 Daiden
2 Ikrimah umano
3 Ikrimah Hifrit
 
 Questa storia partecipa al contest "The Ancient Tales"
 
 
  Questa è un’opera di fantasia.
Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio.
Qualunque somiglianza con luoghi, fatti o persone reali, viventi o defunte, è del tutto casuale.
 
 
   
 
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