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Autore: Lost In Donbass    20/07/2015    0 recensioni
California, 1987.
Questa è l'America della perdizione, della musica, delle libertà negate. E' il tempo di un'epoca giunta al limite, dove non c'è più niente da dire. E' l'America delle urla, delle speranze, dei cuori infranti.
Nella periferia di un'insulsa cittadina si muovono otto ragazzi, otto anime perdute e lasciate a loro stesse. Charlie se ne vuole andare ma gli manca il coraggio di voltare le spalle. Jimmie Sue spera, crede in qualcosa che la possa salvare ma a cui non sa dare un nome. Jake è al limite, soffoca tutto nel fumo, dimentica grazie all'alcol, non ne vuole più sapere. Jasper ha finito di sperare, di pregare, di credere; ha dimenticato cosa vuol dire piangere, cosa vuol dire vivere.
Tirano avanti come possono. Sono le creature di una periferia assassina e di una società fraudolenta e fallace. Sono dei bastardi senza gloria e senza onore.
E questa è la loro storia.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO TREDICI: I JUST WANT TO GET SOME PEACE OF MIND

Si consiglia di ascoltare durante la lettura “Lazy Bones” dei Green Day.
Piccola comunicazione di servizio: intanto, sorry for the late, ma ero in vacanza fino a una settimana fa all’estero e poi ora sono in montagna, perciò non posso pubblicare. I capitoli verranno perciò postati ogni settimana di lunedì, ma se non riesco a spedire in città per tempo, potrebbero passare anche due settimane prima del nuovo capitolo. Scusate per il disturbo, e grazie ancora a chi mi sopporta. Vi voglio bene (anche i Gentiluomini vi vogliono bene:D )
Charlie.

 
Jeremy sospirò rumorosamente, posando un grande mazzo di zinnie arancioni sulla tomba di sua sorella. Guardò mestamente la piccola foto che non rendeva giustizia alla bellezza della piccola Lucy Austin, con i suoi codini biondo scuro, gli occhi grandi e innocenti, il sorriso storto. Il ragazzo aggiustò i fiori preferiti dalla sua sorellina nel vaso di plastica posato sulla lapide piccola e ricoperta di muschio. A Lucy piaceva il muschio. A Lucy piacevano troppe cose. E a lui non era rimasto che vederle e trattenere le lacrime ogni santa volta. La colpevolezza lo schiacciava come una pressa, ogni volta che andava a trovare la piccola nel cimitero polveroso della cittadina. Oltrepassava un buon numero di tombe e finalmente arrivava sotto un grosso rovo che faceva un po’ d’ombra sulla pietra sepolcrale dove puntualmente lui si recava ogni tre giorni a pulire e a salutarla con voce rotta. E pensare che in fondo era tutta colpa sua. Se solo fosse stato più attento … se solo le avesse prestato un po’ più d’attenzione e l’avesse tenuta lì vicino a sé … invece no. Ma come poteva sapere lui, un povero undicenne che voleva qualcosa che nessuno sembrava in grado di dargli, che la bambinetta di sei anni fosse caracollata in mezzo alla strada proprio mentre passava un camion? Come poteva prevederlo? Soffriva, Jeremy, di un dolore che difficilmente si può capire. Un dolore misto alla consapevolezza di aver irrimediabilmente sbagliato e allo shock di non aver più nessuna bambola bionda da coccolare e da proteggere. A volte, quando andava a casa di Jake e lo vedeva prendere in braccio Margot, la più piccola della tribù Harris, gli veniva da piangere. Adesso, avrebbe avuto Lucy lui da proteggere e da abbracciare. Avrebbe avuto dodici anni e non avrebbe avuto più i codini, ma una coda di ricci biondi. Non avrebbe più voluto un gelato ma delle caramelle alla menta. Sarebbe cresciuta sotto la sua ala protettrice. Ma perché poi pensare al futuro di una morta? Che cosa ne avrebbe ricavato? Niente, se non altro dolore da sommare alla sua anima bucherellata dall’alcool e da Lucy. Lucy, che viveva nei suoi incubi. Lucy, che lo accompagnava sempre. Lucy, stampata a fuoco nei suoi occhi e nel suo cervello. Una lacrima colò pesantemente dalla guancia scavata del ragazzo fino sul pietra fredda. Si alzò di scatto. Non voleva rimettersi a piangere. Voleva solo tornare dagli altri e soffocare tutto, tornare a sorridere e a raccontare storie. Lui, Messer Jeremy il Cantastorie avrebbe superato tutto. Stampò un bacio sulla foto di Lucy e quasi gli sembrò che lei gli sorridesse e lo incoraggiasse a elaborare il lutto; quindi, si rinfilò le mani in tasca e si affrettò a passo di corsa verso il Suicide Ghost Old Bridge, dai suoi squinternati amici.
Mentre correva, vide in lontananza due figure più che conosciute. Jasper e Jake che anche loro, evidentemente, andavano al covo. Subito fu tentato di raggiungerli, di chiamarli, di farsi vedere, ma poi i suoi occhi ancora non perfettamente asciutti videro quello che ormai si aspettava da qualche tempo e che tanto desiderava, al di sopra di tutto: le loro mani intrecciate. Allora il miracolo si era compiuto. Finalmente, avevano capito quello che lui aveva già capito da tre mesi abbondanti. Bene, finalmente una luce positiva in quel grigiore che ricopriva i loro giorni e i loro anni, che ammantava i loro cuori e le loro pelli. Jeremy sospirò, sorridendo leggermente e prendendo un'altra strada per il covo. Forse Jasper non sarebbe stato particolarmente contento della sua entrata in scena urlata come nelle peggiori pantomime da cabaret scadente. Quella scena gli fece tornare alla mente un fatto fondamentale per la sua vita. Non ci avrebbe probabilmente più pensato se non avesse visto Jasper tenere per mano qualcuno in quel modo.
 
-Mamma, ma sei proprio sicura di aver lasciato Lu al parco da sola?- Jeremy mise una mano sulla spalla della madre in lacrime, seduta sul divano, raggomitolata su se stessa come una bambina.
-I … io … oddio, tesoro vieni qua.
Jeremy si nascose tra le braccia di sua madre, sentendo le sue lacrime bagnargli i capelli e la strinse forte, tentando di infonderle più calore e sicurezza possibile. Sua mamma era tornata a casa piangendo disperata, ripetendo all’infinito di essersi girata un attimo e poi non aver più visto la piccola Lucy, quattro anni di tenerezza, di averla cercata dappertutto e non averla più trovata. Suo padre era subito uscito a cercare la bambina, raccomandando a Jeremy di vigilare sulla mamma mentre lui era fuori. Jeremy si era sentito importante in quel momento, incaricato di “monitorare la situazione da casa”. Ancora nessuna notizia, e lui cercava di mostrarsi fiducioso di fronte alla mamma, anche se forse un bambino di appena nove anni sembrava solo uno scoiattolo caduto dal nido. Poi avevano suonato alla porta e lui era andato ad aprire, pronto a dire che non era il momento e che avrebbero dovuto ripassare più tardi. Quando aprì la porta gli si parò davanti un bambino che avrà avuto suppergiù la sua età, con una felpa sformata addosso,  i capelli corvini sparati in aria come un’aureola demoniaca e un mezzo sorriso che teneva per mano Lucy, rilassata e sorridente, splendente come un piccolo sole. Appena aprì la porta, sua sorella gli si scagliò addosso strillando
-Jerry! Mamma!
Subito, ne lui ne la loro mamma avevano fatto particolarmente caso al bambino che rimaneva fermo immobile fuori da casa loro, talmente presi dalla gioia di riavere tra le braccia la bambina sana e felice come al solito. Solo dopo averla soffocata di baci e abbracci, si ricordarono della figura fuori dall’uscio che attendeva pazientemente. Sua madre gli rivolse un sorriso sciupato dal pianto
-Oh caro, tu l’hai … l’hai riportata a casa …
-Si, signora. Ho trovato Lucy seduta per terra in lacrime vicino al supermercato. L’ho aiutata ad alzarsi e le ho chiesto dove abitava; mi ha detto “vicino al bar” e così l’ho accompagnata nella via, l’abbiamo percorsa tutta fino che non mi ha indicato questa casa.
Jeremy sorrise felice e gli tese la manina
-Non smetteremo mai di ringraziarti per aver riportato indietro mia sorella. Mi chiamo Jeremy Austin.
-Oh, figuratevi, non c’è di che. Piacere di conoscerti, Jasper MacKenzie.
E fu così che si conobbero, grazie all’intervento innocente di Lucy. E fu così anche che Jeremy entrò gloriosamente a far parte degli appena nati Gentiluomini del Ventesimo Secolo, circa due mesi dopo l’accaduto.
 
Per Jerry, Jasper era sempre stato il valoroso encomiabile che aveva salvato sua sorella, era stato il capobranco che li aveva cresciuti, era stato il suo santo da dover idolatrare. Era sempre stato il suo riferimento, un faro nella notte, un fuoco fatuo che non si spegne mai. Jasper era il Capo; colui che avrebbe sempre santificato, glorificato, riconosciuto come essere supremo. Colui che al funerale di Lucy non aveva pianto, ma si era dimostrato talmente triste che per circa un mese i Gentiluomini non si erano più riuniti, per lasciare che lui, il Cantastorie, elaborasse il lutto. Lo avevano aiutato a superarlo, come la vera famiglia che erano. La prima cosa che aveva detto Jasper era stata “Dovete far sì che per ognuno di noi la banda diventi la seconda famiglia, se non la prima”. Parlava per se stesso, riguardo alla prima. Lui, che la famiglia vera non l’aveva mai avuta. E Jeremy sapeva, era cosciente, del fatto che Jasper fosse un vero, unico eroe. Quello che non piangeva, che non si piegava, che non si inchinava, che non si spezzava.
Quando il ragazzo arrivò nel covo, vide i propri compagni alquanto agitati, tutti seduti attorno alla poltrona sfondata, dove Jasper sedeva scompostamente come il re caduto che era. Si prese un secondo prima di precipitarsi da loro per osservare il buffo assortimento che erano: Jasper semi sdraiato sulla poltrona, con una sigaretta spenta tra le labbra e la tipica espressione da capo che deve ideare una strategia per salvare i suoi sudditi. Ai suoi piedi, Ash con una faccia alquanto corrucciata teneva un braccio attorno alle spalle di Jimmie che ringhiava piano, Frizzy con aria grave fissava il capo, Boleslawa si mordicchiava il labbro inferiore agitata, Jake fumava agitato una sigaretta fissando Jasper e Charlie si limitava a guardarsi in giro come un cucciolo caduto dal nido, spaventato e elettrizzato allo stesso tempo.
Jeremy sorrise e si avvicinò finalmente ai suoi amici, fingendo di essere appena arrivato ed esordendo come suo solito:
-Salve a voi, fedeli sudditi! Qual buone notizie ha portato il sopraggiungere del nuovo giorno?
-Brutte nuove- gli rispose burbero Frizzy.
-Loro?
Jeremy si lasciò cadere per terra sbuffando rumorosamente. Aveva già capito tutto dalle espressioni dei suoi amici, non aveva bisogno di spiegazioni.
-Loro- annuì Jake sospirando. Ci mancava giusto un assalto non programmato da parte di quei mocciosi dei BHC … quella mattina avevano trovato il covo completamente messo a soqquadro, riempito di scritte a dir poco oscene, la poltrona rovesciata e bucherellata da nuove forbiciate, e una lunga striscia di urina puzzolente a delimitare il loro spazio. Jake e Jimmie Sue non l’avevano presa bene, rischiando quasi di esplodere per tutta la rabbia che era loro montata dentro in quel momento. Rabbia repressa, che covavano dentro da anni, rabbia assassina, infantile, violenta, piena di vendetta, una di quelle rabbie sconsiderate gonfie di ferocia. Boleslawa e Charlie c’erano rimasti male, rattristandosi, come i piccoli fantasmini che erano. Tristi, dispiaciuti, indispettiti come potrebbero essere dei cuccioli di gatto a cui è stato strappato il gomitolo preferito. Frizzy era semplicemente stufo: stufo dell’ignoranza dei Bones Hole Club, stufo di queste stupide vendette, stufo delle continue scaramucce tra i ragazzi del luogo, stufo del marciume che covava la loro città e fiero di fare parte di una banda intelligente. Ash era sconvolto, punto nell’orgoglio. Trovava fondamentalmente inconcepibile un affronto simile, non giustificato da nessuna loro azione, puro e semplice vandalismo. Illogico, sconsiderato, stupido, senza nessuna base. Jasper aveva preso con filosofia la questione, come qualsiasi cosa. Aveva fatto rimettere in ordine il disastro combinato dalla banda nemica, poi si era stravaccato sulla poltrona e si era immerso nei suoi pensieri, obbligandoli a sedersi ai suoi piedi e ad attendere trepidanti la soluzione del Capo. Che, qualunque sarebbe stata, sarebbe stata messa in pratica, anche contro il loro volere. “Gli ordini non si discutono, ragazzi. Si possono trattare civilmente, si possono apportare cambiamenti, ma non si devono discutere mai” aveva detto Jasper quando i Gentiluomini erano nati; e nessuno aveva mai osato disubbidirgli.
-Qualche idea, Jas?- ruppe il silenzio Jimmie Sue.
-Li possiamo picchiare, per una volta?- le diede man forte Ash. Insomma, doveva almeno una volta in vita sua usare una delle sue armi appositamente ideate, già che quei bastardi dei BHC erano riusciti in qualche modo a eludere il sistema dei coltelli.
-Per favore, Jasper, non tenerci sulle spine!- disse Frizzy, passandosi una mano tra i capelli color grano.
-In qualche modo dovremmo vendicarci!- sbottò Jake.
-Si, è un azione molto riprovevole- esclamò Boleslawa.
-Veramente, rendiamo pan per focaccia!- borbottò Jeremy, stappando una lattina con i denti.
-Beh, a rigor di logica, io che non ne so niente, immagino che dovrete, cioè, dovremmo far qualcosa per far valere il nostro nome, no?- sussurrò Charlie. Quando aveva visto il disastro, quella mattina, ci era rimasto davvero molto male. Ormai quella era la sua seconda casa, e non potevano rovinargliela così. Non quando anche lui si era affezionato a quel posto e a quella gente, non quando tutto sembrava aver preso un’ottima piega. Non era loro diritto rovinare la sua nuova casa.
-Vedi? Lo dice anche Charlie! Dobbiamo vendicarci- strillò Jimmie, incrociando le braccia al petto.
Charlie osservò Jasper con attenzione, che pareva non aver nemmeno sentito le loro lamentele, perso in chissà quali pensieri, quando finalmente la voce che tutti tanto aspettavano disse, sospirando, come se fosse dannatamente annoiato e stufo di tutto quello, come se lo facesse solo per accontentare loro. E forse era proprio così; se fosse stato per lui, se ne sarebbe rimasto in poltrona a disegnare, a pensare, a fingere che non fosse successo niente, nauseato da quello che era il mondo moderno. Aveva preso quella decisione solo per loro, per soddisfarli, per farli divertire, magari anche solo per levarseli da torno, per calmarli.
-Charlie, tu vai davanti, fai come se niente fosse e guarda bene che il loro covo sia vuoto. Mi raccomando, deve essere vuoto, ma non farti beccare, se no sono guai.
-Non posso andarci io in ricognizione?- si lamentò Boleslawa – Mi diverto.
-Bolly, tesoro, ti ricordo che tu non passi inosservata, e poi ti conoscono. Lui invece no. Quindi, ripeto, Charlie controlla attentamente che non vi sia nessuno, voi lo seguite separati e dovete accerchiare il covo come una morsa. Se per caso ci fosse qualcuno, Charlie devi fischiare. Assicuratevi che nessuno vi veda, poi entrate e fate quello che vi pare, non mi interessa cosa. Se per caso vi fosse una sentinella, cosa che non escludo, ignoratela. Picchiatela, legatela, fatene ciò che volete basta che non la uccidiate.
-Così si parla!- urlarono Jeremy, Jimmie, Jake e Ash balzando in piedi.
-Ehm, ma io … - balbettò Charlie, incapace anche solo di pensare. Lui?! Da solo in ricognizione?!
-Tranquillo- gli disse Boleslawa, sorridendo – Ti spiego dov’è il loro covo, non puoi sbagliarti.
Charlie avrebbe voluto esonerarsi, ma non poteva. Ormai c’era dentro e agli ordini non si discute. Mai.
-Grandioso! Andiamo, gente!- urlò Frizzy, per poi girarsi verso Jasper e sussurragli, come avesse timore che gli altri lo sentissero – Ma … Jas, aspetta. Tu hai finora parlato sempre in seconda persona plurale eppure ci sei anche tu con noi. Vuol dire che non vieni?
Jasper guardò l’amico con un leggero sorrisino, a metà tra il divertito e qualcosa che Frizzy non riuscì a cogliere.
-Esattamente. Io non vengo.
I Gentiluomini si voltarono simultaneamente, come un sol uomo, verso il Capo, con espressioni che andavano dal preoccupato, all’insospettito, allo sconvolto, all’interrogativo.
-Cosa vuol dire che non vieni?!
-Quel che ho detto, Ash. Io non vengo.
-Ma … ma …
-Ho altro da fare adesso. Comunque, andate. Vi do carta bianca sulla fiducia.
-Ma senza di te come facciamo?- chiese dubbiosa Jimmie.
-Prima o poi dovrete imparare a stare senza di me, no?
Detto ciò, Jasper si voltò e si avviò verso il profondo del Suicide Ghost Old Bridge, ancheggiando leggermente come suo solito, il rumore dei tacchi che si perdeva in lontananza con la sua figura allampanata.
I Gentiluomini si guardarono, indecisi sul da farsi. Se correre dietro al capo e trascinarlo indietro con la forza, oppure se andare senza di lui. Era la prima volta che Jasper li lasciava da soli con un ordine e scompariva senza dire nulla di indicativo. Era la prima volta che li lasciava soli, costringendoli a cavarsela senza il suo aiuto, e non sembrava una buona cosa.
-Beh … - iniziò Jake, confuso e abbastanza esitante – Se ci ha detto così, avrà i suoi motivi, no? Andiamo, dai.
Gli altri obbedirono in silenzio e si avviarono verso la loro meta, sempre gasati ma sicuramente molto meno di prima. Erano svasati, perplessi dallo strano comportamento di Jasper ma partirono comunque per compiere la loro vendetta. Charlie si bloccò un secondo. Una voglia irrefrenabile di correre dietro a Jasper lo pervase e una vocina nella sua testa tentava di convincerlo a seguirlo, a chiedergli una spiegazione, a capirci qualcosa. Perché non andava tutto bene, e lui doveva scoprire perché li aveva lasciati soli, senza guida.
-Charlie, muoviti.
Si sentì afferrare per il polso dalla mano di Jake e prestò non vide più nemmeno la poltrona, pronto per essere trascinato a compiere una vendetta che forse, lo sentiva, era anche sua.
 
 
  
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