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Autore: ColeSeya    22/01/2009    2 recensioni
Il racconto è una specie di AU ma con riferimenti storici.
Diciamo che è uno storico con rivisitazioni da parte mia...
Cesare Borgia, dopo un lungo tempo trascorso lontano da casa, ritorna vittorioso da una battaglia che gli porterà onore e gloria, ma anche l'ammirazione da parte di suo padre Papa Alessandro VI e di sua sorella Lucrezia...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole era alto all'orizzonte, e le truppe dell'esercito del Papa assediavano oramai da cinque giorni quel dannato castello.
Quella roccaforte d'eretici.
All'interno di quelle mura stupri e sacrifici al demonio continuavano ininterrottamente, non pensando minimamente a quello che accadeva fuori.
Gli uomini dell'esercito, capitanato da un certo Alfonso D’Este, erano oramai alo stremo delle forze, e lo stesso Alfonso era rimasto ferito al torace durante l'attacco del giorno precedente. Per loro era la fine, non gli rimanevano che trenta o quaranta uomini, non di più.
Contro una roccaforte impenetrabile, contro le truppe del Demonio. Alfonso si alzò, tutto malandato com'era, prese in mano la sua spada e l'alzò verso il cielo. "Soldati, state pronti, perché questo sarà il nostro ultimo attacco."
Il morale dell'esercito era a terra, ma la possibilità di combattere per il Papa donava loro una forza misteriosa.
Tutto d'un tratto il campo iniziò a muoversi velocemente.
I cavalli furono sellati.
Gli scudieri finirono di lucidare le armi.
I cavalieri indossarono le loro pesanti armature.
Ed Alfonso D’Este, sul suo cavallo bianco, simbolo di purezza, avanzava lentamente verso le file dell'esercito improvvisamente schierato.
"Soldati, ringrazio tutti voi per l'enorme sforzo che avete compiuto venendo in battaglia per Papa Alessandro VI. Ma, vi chiedo un ultimo sforzo, forse il più grande che avete mai fatto."
Un silenzio sovrannaturale cadde sulle truppe di Alfonso "Vi chiedo di seguirmi alla roccaforte e combattere con me, per Alessando VI, contro quel misero gruppo di eretici e pagani" Alcuni soldati si guardarono negli occhi l'un l'altro, altri parlarono fra di loro a bassa voce poi, come prima, il silenzio. Tutti si voltarono verso Alfonso, verso il loro comandante, con un volto duro privo di qualsiasi espressione ma pieno di determinazione.
"Dai vostri occhi vedo che siete con me.. Bene, forza Fratelli! Uccidiamo gli infedeli e recuperiamo la roccaforte per Nostro Signore" La terra iniziò a tremare. All'interno della roccaforte le persone si portarono alle mura per vedere cosa stesse accadendo. Inizialmente pensarono ad uno scherzo e sui loro volti comparve un sorriso, come potevano quaranta uomini penetrare all'interno della roccaforte? Poi, tutto d'un tratto il sorriso dei loro volti si trasformò in una smorfia di paura.
Laggiù, all'orizzonte, un intero esercito formato da mille uomini capitanato da un cavaliere in armatura nera che portava le insegne della famiglia Borgia, la famiglia di Papa Alessandro VI, stava caricando il castello.
I quaranta uomini di Alfonso D’Este non rimasero sorpresi o stupiti da ciò, forse ne erano al corrente, oppure forse a loro non cambiava tanto, morire per morire...
L’esercito capitanato dal cavaliere con le insegne dei Borgia guadagnava velocemente terreno, e si unì presto al piccolo gruppo di Alfonso. Il comandante dell’esercito disse qualcosa ad Alfonso D’Este, il quale sorrise e mandò i suoi uomini alla carica contro il portone, mentre l’altra parte dell’esercito si scagliava conto il castello.
L’assedio durò poco. In meno di tre ore il portone venne abbattuto e le truppe dei due eserciti entrarono nella roccaforte.
Panico.
Le donne presero in spalla i bambini ed iniziarono a correre per mettersi al riparo. Gli uomini cercavano d’impedire la veloce avanzata dell’esercito, ma senza risultati.
Come un fiume in piena l’esercito del Papa travolse tutto quello che si trovava davanti non risparmiando nessuno.
In meno di una giornata gli eretici furono uccisi e la cittadella purificata con il fuoco. L’esercito del Papato non risparmiò nessuno, né donne, né bambini, tutti erano uguali all’interno di quelle mura.
Tutti erano colpevoli.

“Grazie Cesare, senza il tuo aiuto probabilmente saremmo morti tutti…”
“Sicuramente Alfonso… Sicuramente…”
Il cavaliere in armatura nera si era tolto l’elmo e l’aveva appoggiato su una botte all’accampamento dell’esercito di Alfonso D’Este.
I lunghi capelli neri e l’armatura facevano risaltare gli occhi azzurro ghiaccio. Il ragazzo prese uno dei bicchieri pieni di vino appoggiati poco vicino e se lo portò alla bocca, poi lo riposò al suo posto e si voltò verso Alfonso
“Quanti di voi sono sopravvissuti all’assalto?”
“Una dozzina, non di più”
“Bene, torneremo subito a Roma allora, mio padre vi saprà ringraziare adeguatamente”
“Cesare, gli uomini sono stanchi e stremati dall’assedio e dalla battaglia, non potremo partire domani mattina?”
“No, il fumo della cittadella si è già levato in cielo e se attendiamo ancora un po’ probabilmente arriveranno eserciti a sostegno della cittadella caduta. E come hai detto tu, gli uomini sono stremati, e se non sono in grado di viaggiare figurati di combattere un’altra battaglia”
Alfonso D’Este volto la testa verso i pochi uomini a lui rimasti, erano in pessime condizioni. I cavalli erano stanchi e feriti quasi quanto i suoi uomini, lo sguardo si posò poi su Cesare Borgia, in una perfetta e luccicante armatura nera, per niente stremato dalla battaglia appena combattuta, poi abbassò lo sguardo a terra.
“Va bene, partiremo questa notte come vuoi tu…”

La notte sopraggiunse presto e l’esercito si mise in marcia verso Roma.
Sarebbero arrivati in due giorni a passo spedito, ma in quelle condizioni ci sarebbero voluti come minimo cinque giorni.
Il paesaggio attorno alle truppe era sempre il solito, alberi, cambi, una casa ogni tanto.

Come detto da Cesare, dopo cinque giorni si iniziavano a vedere le mura di Roma all’orizzonte. Il morale dell’esercito si alzò e in meno di dieci minuti raggiunsero le porte ed entrarono trionfalmente a Roma.
L’esercito venne accolto con sorrisi e grida d’entusiasmo, avevano sconfitto il Demonio all’interno della fortezza, e la popolazioni si sentiva sollevata.
Arrivarono alle porte del palazzo della famiglia Borgia ed una figura bellissima coni lunghi capelli biondi ed un abito azzurro lungo fino ai piedi corse giù dalle scale.
“Cesare… Oh Cesare, sei tornato, finalmente, non sai quanto ho sentito la tua mancanza…”
Il ragazzo in armatura nera scese con agilità dal cavallo e la ragazza si gettò al collo di questo
“Lucrezia dai, non fare così la bambina, che pensavi, che sarei morto in battaglia? In una battaglia del genere poi”
La ragazza guardo negli occhi Cesare. Le lacrime le solcavano il viso, era felice di vederlo. Felice di saperlo di nuovo fra le sue braccia. Felice di saperlo di nuovo suo.
“Lo so che non saresti morto per una cosa del genere, non te lo avrei mai perdonato”
Il ragazzo sorrise dolcemente alla sorella e poi assieme a lei entrò nella villa
L’interno era tutto ornato da quadri e mobili, colonne altissime sostenevano gli immensi saloni della casa ed alle pareti affreschi dei più importanti pittori dell’epoca.
“Vieni Cesare, voglio farti vedere una cosa”
La ragazza prese il fratello per una mano ed iniziò a correre per i lunghi corridoi fino ad arrivare ad una piccola porta “Chiudi gli occhi, è una sorpresa questa”
“Insomma devo vedere o no?”
“Si, ma chiudi gli occhi, a te lo mostro prima che a papà, quindi dopo averlo visto non dovrai parlarne con nessuno, va bene?”
“Entriamo allora?”
“Va bene Cesare? Me lo prometti?”
“Come vuoi Lucrezia, come vuoi tu, non dirò nulla a papà”
“Bene…”
Il ragazzo chiuse gli occhi e si lasciò guidare dolcemente dalla sorella.
La ragazza aprì la porta in fondo al corridoio. La stanza nella quale entrarono era una piccola stanza rettangolare con quadri appoggiati per terra ed al centro alcune sedie ed un treppiede con sopra un quadro coperto da un lungo telo rosso
La ragazza con il fratello per mano attraversò la stanza fino ad arrivare al centro di fronte al treppiede.
“Posso aprire gli occhi ora?”
“No Cesare, aspetta ancora un minuto…”
Lucrezia si avvicinò al treppiede e scostò il telo rosso, poi corse dietro al fratello
“Bene, aprili pure ora!”
Quando Cesare aprì gli occhi di fronte a lui vi era un bellissimo quadro raffigurante la sorella con un vestito bianco lungo ed una corona di fiori in testa. Il ragazzo rimase senza parole, il quadro era stupendo, guardandolo meglio capì che solo una persona avrebbe potuto creare un’opera di tale maestosità
“Devo ammettere che Leonardo ha fatto un ottimo lavoro”
La ragazza rimase sbalordita, con una sola occhiata era riuscito a capire chi l’aveva dipinto, il ragazzo la guardò e sorrise
“Cosa credi Lucrezia, ho visto Leonardo dipingere per degli anni, oramai riconosco a colpo d’occhio i quadri creati da lui, però devo dire che in questo ha proprio superato sé stesso. Stupendo, veramente. Fedelissimo all’originale”
La ragazza diventò rossa in viso come imbarazzata dalle parole del fratello.
Cesare posò un braccio attorno al colla della sorella
“Bene, torniamo dai, papà mi starà aspettando”
“Va bene, andiamo…”
Detto ciò i due fratelli si diressero verso le sale del padre. Arrivati davanti alle enormi porte Cesare e Lucrezia si sistemarono ed entrarono.
Al centro della stanza, tappezzata di veri rossi e bianchi alle pareti, vi era un trono con seduto Papa Alessando VI ed attorno una decina di ragazze,probabilmente alcune anche più giovani di Lucrezia.
Non appena videro entrare i due le ragazze scattarono in piedi ed uscirono dalla stanza di corsa
“Padre…” esordì Cesare “Eccomi di ritorno dalla fortezza del Demonio”
“Mi è giunta voce che oramai sei arrivato qui da un bel po’, non adesso. Ed oltretutto il Duca Alfonso D’Este è già passato a rendere omaggio a ma, mentre devo sempre aspettare per vedere mio figlio, il più valoroso di tutti i combattenti dell’esercito papale, mi spighi il perché?”
Il volto del Papa si fece severo nel parlare al figlio
“Scusate padre, è colpa mia” Lucrezia si portò avanti rispetto al fratello “Sono stata io a chiedere a Cesare di seguirmi, lui voleva venie direttamente da voi, ma dovevo parlargli”
“E ditemi figlia mia, di cosa dovevate parlare di tanto importante con vostro fratello? Era forse più importante che conferire con Me?” Lucrezia abbassò gli occhi
“Mi ha chiesto consiglio sul suo matrimonio Padre, come voi sapete bene Lucrezia ultimamente ha problemi con suo marito”
Il viso di Alessando VI si rilassò
“Bene, avete risolto dopo il consiglio di vostro fratello Lucrezia?”
“Si Padre, ora sto meglio”
“Ora possiamo parlare Cesare, Lucrezia,potresti lasciarci soli?”
“Come volete Padre… A dopo Cesare”
E con un inchino Lucrezia uscì dalla stanza dalle enormi porte dov’era entrata.
“Dimmi Cesare come vedere Alfonso D’Este?”
“Scusate padre?”
“Si, come lo vedete?”
“Potrebbe essere un buon marito per vostra sorella?”
“Potrebbe esserlo, forse è un po’ troppo altezzoso per i miei gusti…”
“Cesare, non deve sposare voi, ma vostra sorella”
“Lo so padre, ma avete chiesto un commento e questo è quello che penso io”
“Bene ne terrò conto. Avrei una domanda da porti Cesare, ed ho paura della risposta”
“Ditemi padre, non ho segreti con voi…”
“Possibile che Micheletto sia stato avvistato alla corte del Duca D’Argona?”
“No, Micheletto era con me fino a l’altro giorno, e non è possibile raggiungere la Francia in coli due giorni”
Il Papa fece una lunga pausa guardando negli occhi il figlio Cesare
“Mi fiderò delle tue parole Cesare”
“Potete fidarvi padre…”
Un sorriso apparve per un secondo sul volto di Cesare, sapeva benissimo che Micheletto non risarebbe mai fatto scoprire, ma allora perché suo padre sapeva questo? Non è che per caso anche lui aveva le sue stesse idee e aveva inviato pure lui un boia per uccidere il duca? Mah, non avrebbe rischiato a parlarne a sua padre. Avrebbe continuato per la sua strada.
“Tornando a noi, Padre, la missione è stata svolta e la cittadella è caduta ed è stata purificata con il fuoco, come da voi espressamente chiesto. Non un uomo, non una donna, non un bambino o un cane ne è rimasto”
“Bene Cesare, bene. Potete andare ora, andate da vostra sorella, e tenetela d’occhio prevedo tempi duri per lei”
“Come desiderate padre”
Cesare accennò un inchino al padre ed uscì dalle porte seguendo per gli appartamenti privati di Lucrezia.
“Signore…” Una voce dal fondo del corridoio raggiunse Cesare che si girò di scatto “Signore, aspettate…” Un ragazzo, un bambino stava avanzando verso di lui correndo con un qualcosa in mano: una pergamena.
“Mio signore, mi è stato detto di consegnarvi questo” Il ragazzino pose a Cesare un rotolo di pergamena con un sigillo in ceralacca. Questo prese il rotolo di pergamena e ringraziò il ragazzino, che si allontanò lasciando solo Cesare con la sua pergamena. Non appena Cesare fu solo ruppe il sigillo di ceralacca ed aprì la pergamena leggendo velocemente il contenuto.
“Bene bene, e così Micheletto non è solo… Come sospettavo, anche mio padre ha mandato i suoi uomini a compiere il lavoro sporco”
Alcuni passi giunsero nella direzione di Cesare così lui prese la pergamena, la piegò e l’infilò all’interno della veste
“Cesare…” Lucrezia scesa da una piccola rampa di scale in direzione del fratello
“Cosa ti ha detto papà? Ti ha creduto?”
“Si, non preoccuparti, è tutto sistemato ora”
“Meno male, ero in pensiero…”
Cesare posò una mano sulla testa della sorella
“Non preoccuparti, questa sera dovrai mostrare il quadro che ha fatto Leonardo a nostro Padre e agli, forza, vatti a preparare, passerò da te fra un’ora circa a prenderti… E mi raccomando, fatti trovare pronta… Non come al solito!”
Lucrezia sorrise dolcemente al fratello
“Come vuoi. Ci vediamo dopo allora”
Detto ciò la ragazza s’incamminò verso la direzione in cui era venuta, poi tutto d’un tratto tornò indietro correndo verso Cesare, gli gettò le braccia al collo e lo baciò dolcemente sulle labbra.
“Ti voglio bene fratello”
“Anche io te ne voglio Lucrezia”
“Lo so…”
Poi riprese la sua direzione

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“Lucrezia! Lucrezia sei pronta?”
Le grandi porte della stanza dove Lucrezia era solita vestirsi erano ricamata d’oro e la voce di Cesare giungeva molto lieve dall’atra parte
“Entra pure Cesare”
Il ragazzo spinse una delle due porte, entrò, e la richiuse dopo il suo passaggio. Dall’altro lato delle porte ricamate d’oro vi era un’enorme stanza con centinaia di vestiti, scarpe ed accessori che Lucrezia era solita scegliere uno ad uno.
“Sono qui Cesare!”
La voce di Lucrezia proveniva da dietro un paravento nero ricamato con fili rossi ed oro
“Non sei ancora pronta?”
“Si, aspetta un attimo… Eccomi”
Quando Lucrezia usci dal paravento Cesare rimase incantato dalla bellezza di sua sorella.
“Allora, come sto?”
“Beh… Non c’è che dire, proprio un bel abito!”
“Ed indovina chi l’ha scelto?”
“Ma io naturalmente!”
“Esatto!”
“Forza Lucrezia, nostro Padre e gli ospiti ci aspettano nel salone principale”
Cesare porse la mano alla sorella che la prese ed assieme si diressero verso la sala dove si sarebbe svolto il ricevimento
“Cesare posso farti una domanda?”
“Ma certo. Dimmi pure!”
“Mi resterai vicino per sempre?”
Il ragazzo si bloccò sul posto. Quella era forse l’unica delle promesse che non avrebbe mai potuto mantenere. Voleva bene a sua sorella, però sapeva che la sua fine sarebbe giunta in battaglia e che anche promettendolo non sarebbe stato mai vero. Oltretutto aveva più e più volte interferito nella vita di sua sorella scegliendo lui, per lei, quello che era migliore. Inizialmente pensò di non rispondere, ma ci sarebbe rimasta troppo male, e lui ne avrebbe sofferto. Quindi decise di mentire. Già altre volte aveva mentito a Lucrezia, ed una bugia detta a fin di bene non si poteva classificare come tale
“Allora Cesare?”
La ragazza lo aspettava qualche passo più avanti con le braccia appoggiate alla vita
“Si… Scusami, stavo pensando”
“Dicevo, mi resterai vicino per sempre?”
“Certo Lucrezia. Certo”
Le porte della sala del ricevimento si aprirono ed i presenti si voltarono tutti verso l’entrata.
Oltre la porta vi erano Lucrezia e Cesare Borgia.
La prima indossava un bellissimo vestito lungo bianco e blu, che metteva in risalto gli occhi veri della ragazza, con le rifiniture argentate ed il pizzo attorno alle maniche ed al collo. Mentre il secondo indossava una calzamaglia nera ed una veste blu con rifiniture bianche, chiusa attorno alla vita da una cintura, ed in testa un cappello blu con una piuma bianca.
Papa Alessando VI si alzò dalla sua sedia in fondo alla sala e si avvicinò ai figli.
Non appena fu abbastanza vicino Lucrezia e Cesare accennarono un inchino ad Alesando VI in quale porse la mano ai due perché gliela baciassero.
Poi si rivolse a tutti i presenti “Bene, adesso che è arrivata la protagonista della festa possiamo mostrare a tutti il regalo che le è stato donato da uno dei più grandi pittori della nostra epoca. Prego Leonardo vieni avanti!”
Dal fondo della sala si fece avanti un uomo sulla cinquantina d’anni “Signori, questo è Leonardo Da vinci, uno dei migliori pittori della nostra epoca. Dopo aver trascorso lontano da Firenze moltissimi anni è tornato ed ha deciso di donare questo meraviglioso ritratto a mia figlia, Lucrezia”
Papa Alessandro VI si girò verso Leonardo il quale spostò un telo rosso dal quadro appeso alla parete.
Gli ospiti rimasero senza parole. Il quadro era di una maestosità incredibile, di un realismo impressionante e di una bellezza inumana. Il silenzio cadde sulla sala e pochi attimi dopo un rumoroso applauso riempì tutto il palazzo.
La festa continuò per tutta la notte, ma Cesare se ne andò dopo poche ore.
Preferiva trascorrere la serata da solo su uno dei tanti balconi della villa.
Sospirò.
“Lucrezia… Così Leonardo è riuscito a cogliere quella tua straordinaria bellezza che solo io ero riuscito a vedere finora. E adesso quella bellezza sarà visibile a tutti. Forse sono geloso, no so. So solo che questo mi da fastidio. E che farei di tutto per far sparire quel quadro dalla Terra. Anche se questo potrebbe farti soffrire. Perché in quel caso soffriremmo assieme.”
  
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