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Autore: Nanek    20/07/2015    9 recensioni
E da sciocco credo sia anche una buona idea prendere un pezzo di carta, una penna e fingermi come la mamma, piccoli miei, fingermi scrittore e non compositore, fingermi autore di questa storia che chissà se mai vi verrà voglia di conoscere, di leggere.
Io la scrivo lo stesso, forse perché mi sento troppo ispirato, forse perché ora capisco cosa prova la mamma quando dice di dover sfogare su carta quello che le frulla in testa.
E pensare che tutti non ci avrebbero scommesso un dollaro su di noi.
E pensare che doveva finire nell’arco di qualche mese.
E pensare che era considerato tutto impossibile.
Perché, dai, chi crede che un cantante famoso possa innamorarsi perdutamente di una fan?

Una tra mille, milioni, una che non la distingui neanche dalla folla, una che è lì e ti sembra uguale a quella accanto.
Solo una fan in mezzo ad un mare di volti che cantano le tue canzoni, volti sempre diversi.
Dai, chi ci crede che questo possa funzionare davvero?
Beh, io e la vostra mamma lo abbiamo fatto.
~
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=kLzoGYhAfeE
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lune's Love'
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7. Drunk

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I wanna be drunk
when I wake up on the right side of the wrong bed,
And every excuse I made up
Tell you the truth I hate
What didn’t kill me
it never made me stronger at all
Love will scar your makeup lip stick to me
So now I’ll maybe leave back there
I’m sat here wishing I was sober
I know I’ll never hold you like I used to.
 
 
«Vanessa! Finalmente sei arrivata!»
E quel saluto non l’avevo neanche sentito.
Erano passati cinque mesi, bambini, cinque mesi dai Brits, cinque mesi da quella serata, cinque mesi che oserei definire “normali”.
Io e la mamma continuavamo la nostra relazione da ormai un anno.
O meglio, era ormai un anno che la conoscevo, da quel lontano 9 maggio del 2015, e sinceramente non ho mai dato una data di inizio alla nostra relazione, non ho mai pensato di chiederle di stare con me, come se per me fosse cominciato tutto quando i nostri occhi si sono incontrati.
Lei, poi, non sembrava neanche preoccupata di questo piccolo dettaglio, per lei io ero il suo ragazzo e lei era la mia ragazza, ormai lo sapevano tutti, il mondo intero ne era al corrente, non c’era bisogno di mettere le cose più in chiaro di così.
L’unica cosa di cui ero certo, era che il giorno 10 di ogni mese era il nostro momento, una sorta di promemoria di noi due, il numero dieci ce lo siamo preso come nostro e di nessun altro, e sembrava bastare, o almeno lo credevo davvero.
Non so, bambini, questo capitolo della nostra storia è un po’ l’introduzione alla catastrofe che stava per devastarci davvero tanto, un’introduzione ad una serie di incomprensioni, di silenzi, parole nascoste, che non riuscivo proprio a captare, perché la mamma si teneva tutto dentro, non facendomi mai mancare i suoi sorrisi e il suo amore per me, sopportando l’odio degli altri, sopportando la distanza e la solitudine, facendomi credere che tutto stesse andando solo a gonfie vele.
Quanto ero sciocco, anzi, coglione a pensarlo.
E il tutto è successo esattamente cinque mesi dopo quell’evento, cinque mesi dopo i British Awards, per la precisione il 7 luglio 2016, il giorno del compleanno dello zio Ashton che, a grande sorpresa, aveva deciso di dare una festa mozzafiato nel centro di Londra, in un locale fighissimo che era davvero da invidia.
Lo zio Ashton, bambini, a differenza degli altri zii, ci teneva davvero alla mia relazione con la mamma, infatti, pur di farci stare insieme almeno cinque giorni di seguito, mi aveva fatto una sorpresa in anticipo per il mio compleanno: aveva invitato lei e le sue amiche alla sua festa di compleanno, aveva pagato loro l’hotel dove alloggiavamo pure noi e aveva fatto trovare un taxi pronto a condurle fino a quel posto.
Lo zio Ashton aveva fatto davvero un ottimo lavoro.
Sospiro, bambini, sto davvero sospirando a ricordare quella sera perché… beh, è andata davvero nel peggiore dei modi.
Me ne stavo lì, seduto su una sedia, quella sera.
Messaggiavo con la mamma, ignaro del suo arrivo, logicamente, ero circondato da ragazze mai viste ma che Ashton “conosceva” anche solo di vista, invitate che pure Calum ha chiamato e che, chiaramente, volevano solo farsi uno famoso: la banalità della gente.
Ero lì e… beh, mamma era arrivata.
Dopo aver salutato Ashton, ha fatto una corsetta verso di me, con i tacchi alti che a momenti la facevano cadere a terra, ma ha resistito, è riuscita nel suo intento, mettendosi davanti a me e tossendo appena per farsi sentire.
Ho alzato lo sguardo e sono rimasto a bocca aperta.
«Sorpresa!» ha esclamato proprio un secondo prima che la musica partisse a manetta, assordandomi e mandandomi ancora più in confusione.
Non potevo crederci, era proprio lì, davanti a me, in quel vestito lungo, verde acqua, i capelli sciolti e i soliti occhi blu che nascondevano lacrime versate a mia insaputa.
Era lì, davanti a me, mi sorrideva e io vedevo solo perfezione in quel sorriso, vedevo solo l’effetto che le facevo, la felicità che ero sicuro di darle, anche se non era davvero sufficiente.
Non mi rendevo conto di molte cose, bambini, cose che solo tempo dopo ho realizzato, cose che rimpiango davvero tanto, cose che la mamma ha saputo perdonare, perché lei tende a non perdonare mai, ma io… io ero la sua eccezione.
L’ho abbracciata, bambini, l’ho abbracciata e l’ho baciata.
Non la baciavo da quattro settimane, se non di più, ormai mi ero pure stufato di ricordare a me stesso quanti giorni mi tenevano distante da lei, mi ero stancato del mio lavoro, della distanza, dell’impossibilità di vederla ogni giorno, dei miei mille impegni, di tutto quello che comportava a stare a mille miglia l’uno dall’altra.
Mi ero stancato, sì.
Eppure… ho solo commesso errori.
Quella sera mi ha presentato le sue amiche, mi ha presentato le zie Giada e Mary, elettrizzate come non mai per essere alla festa più invidiata da milioni di fan: una festa in un locale meraviglioso per festeggiare niente meno che Ashton Irwin.
Mi hanno stretto la mano, mi hanno sorriso emozionate, per poi cominciare a guardarsi attorno: una mirava a salutare Michael, l’altra Ashton, dovevano assolutamente parlare con loro, dimostrare che pure loro potevano lasciare un numero di cellulare su un foglietto e sperare nel miracolo.
Inutile dire che quella tattica funziona, insomma, visti i risultati, non vi pare?
Ad ogni modo, sono anche scappate subito per lasciare me e la mamma soli, almeno un po’.
Ci siamo appartati, ci siamo presi una stanzetta meno chiassosa, dove la musica non sovrastava le nostre voci, dove le nostre effusioni restavano per noi, senza troppi disturbi.
Era una stanzetta piuttosto piccola, le luci basse, solo un divanetto e un tavolino a riempirla e poi noi, seduti con i nostri drink in mano, e noi due con sempre troppe cose da dire.
«Luke… io devo dirti una cosa»
«Ti ascolto»
E volavano baci sul collo, baci vogliosi, baci che bruciavano la pelle.
«Sai che l’anno scorso ho partecipato ad un concorso per giovani scrittori, no?»
«Certo»
«Beh… io… non lo so come sia successo, lo giuro! Ma, all’Università, un mio amico è riuscito a… boh, io non lo so come ha fatto! Ma una casa editrice è interessata al mio libro!» e l’entusiasmo nella sua voce sembrava così strano, come se quella fosse l’unica cosa bella successa in quei mesi, come se non ci fosse altro di bello, come se… io la stessi distruggendo.
«Dici davvero?! Oh, cazzo! Vane è meraviglioso!» ed ero contento davvero, ero davvero fiero di lei, del suo talento, della sua voglia di non arrendersi, del suo impegno costante: ero fiero di lei e basta.
«Sì! Luke… io non posso crederci! Ti giuro, me l’ha detto ieri e… e… non vedevo l’ora di dirtelo» e, forse, solo in quell’istante ho notato uno strano luccichio, ho notato qualcosa di strano in quegli occhi blu, come se le lacrime fossero lì lì per tradirla.
Ma non ho potuto fare domande, perché la mamma si era già gettata tra le mie braccia, avvicinando le labbra alle mie, baciandomi con foga, con necessità, baciandomi come se stesse cercando di dirmi qualcosa, qualcosa che però non capivo.
Credevo fosse gioia.
Credevo fosse felicità.
Credevo fosse qualcosa di bello.
Le mie mani le accarezzavano la schiena, scendevano piano, lentamente, come se dovessi godere di ogni singolo istante, di ogni singolo momento lì con lei.
Beh, sì, bambini, mamma e papà se la stavano prendendo un po’ troppo comoda in quel divanetto, bisogna ammetterlo.
Ma, non temete, neanche in quel momento vi abbiamo dato vita perché, giusto per farci prendere un colpo, in quell’istante in cui mamma si era appena messa seduta sul mio bacino, qualcuno ha aperto la porta.
E niente meno che lo zio Calum, con un ghigno disgustato, a squadrarci dall’alto al basso, bruciandoci sul posto, facendo salire il rossore sulle guance di mamma, dato che sembrava particolarmente concentrato su di lei, sul suo vestito alzato, sulla spallina abbassata, sul segno violaceo che ben si notava sul collo.
«Calum!» ho esclamato io, mentre mamma, piena di vergogna, tentava di allontanarsi, nonostante io la stessi tenendo stretta, vicina a me «Che vuoi?» ho continuato, inarcando il sopracciglio: che aveva da guardare? Perché restare lì a fissarci? Mai visto una coppia? Mai visto il suo migliore amico intento a limonare in santa pace?
«Sei qui, allora» ha cominciato a dire, facendomi sorridere divertito, solo un attimo prima di cominciare il disastro «E sei ancora con questa troia, noto» e quella parola sembrava detta apposta per essere capita perfettamente pure dalla mamma.
Mi si è gelato il sangue al sentirlo dire quelle parole.
La mamma, invece, non ha osato dire nulla, mentre si alzava in piedi e scappava via, prima che io potessi dire qualcosa, senza che io potessi fermarla.
Ha chiuso la porta, sbattendola forte, lasciandomi solo con lo zio Calum, ancora intento a guardarmi serio, ancora intento a proseguire quella lite che ha portato solo a giorni da dimenticare.
«C'è qualcosa che devi dirmi, Calum? Oltre ad insultare gratuitamente la mia ragazza?» e vi giuro che ho tentato di mantenere la calma.
Un ghigno divertito da parte sua.
«La tua ragazza, dici? Quella troietta la consideri davvero la tua ragazza?»
«Potresti, cortesemente, andare al punto? Che ti ha fatto per meritarsi tutto questo? Non riesco proprio a capire»
«Ti ha cambiato, Luke. Ti ha cambiato in peggio»
«In base a cosa lo pensi?»
«Ma lo vedi, Luke? Lo vedi come sei preso? Non ti rendi neanche conto di come sei diverso, di come quella puttana ti abbia completamente rimbambito!»
«Ma cosa stai dicendo, Calum? Ma come puoi pensare una cosa simile di lei? Lei mi rende felice, Calum, lei è... è speciale»
E non l'avessi detto.
Da quel momento, ho come dato il via a milioni di segreti nascosti, ho dato il via a Calum di raccontare ogni cosa che vedeva, che sentiva, ogni singolo pensiero che mi aveva sempre tenuto nascosto fino al momento del limite massimo di sopportazione.
«Tu non fai altro che vivere per lei, Luke! Tu... tu... a te non te ne frega più un cazzo di noi! Della nostra musica, delle nostre canzoni, dei nostri impegni, del nostro sogno! Te ne stai tutto il giorno al cellulare o su quel cazzo di Skype, sempre alla ricerca di un fottuto Wi-Fi perché devi sentirla, devi vederla, non riesci neanche a respirare se lei non risponde ai tuoi messaggi! Quella puttana è la nostra rovina! È la rovina di tutta la band, dei nostri progetti, dei nostri mille piani ancora da vivere! Lei... hai deciso di sbandierarla ai quattro venti, facendoti fotografare mentre le ficcavi la lingua in bocca, ti sei fatto sempre vedere, senza preoccuparti di nulla! Senza preoccuparti del fatto che le fan si siano sentite offese, ferite, abbandonate, ti sei preoccupato solo di te stesso, solo di lei, di quella stronza!»
«Calum... ma cosa cazzo stai dicendo?!»
«Dico che, da quando ti frequenti con quella lì, abbiamo vinto solo uno schifoso premio ai Brits su ben tre nomine! Dico che, da quando ti fingi pure innamorato di quella lì, non ti interessa più un cazzo del tuo mondo, della musica, di quello che ti rende davvero felice! Non ti importa nulla di noi, dei tuoi amici!»
«Stai blaterando, quello che dici è solo frutto della tua stupida gelosia!»
«Se quello che dici è vero: da quanto tempo io e te non parliamo? Da quanto tempo non ci beviamo una cazzo di birra insieme mentre guardiamo la partita? Da quanto cazzo di tempo non andiamo in discoteca a divertirci con le prime che passano? Da quanto tempo non hai una conversazione con me che duri più di due fottutissimi minuti?!»
E, in quel momento, ho commesso l'errore di dargli ragione.
«Calum...»
«Tu non fai altro che spaccarti il culo per lei. Non fai altro che pensare a lei, a quanto sia bella, unica, perfetta, a quanto ti faccia stare bene, lasciando che ti porti via da noi, dal tuo vero mondo, dai tuoi amici, dalla tua vita, cazzo!»
«Calum.... io...»
«Ti rendi conto di quello che fai? Ti rendi conto che stai allontanando chi ti vuole bene per una persona che vedi sì e no quattro volte al mese? Ma ti sembra una relazione questa, Luke?! Ti sembra un rapporto?!»
Silenzio.
E il mio cervello... mi ha fatto credere che avesse ragione.
Come potevo considerare quella storia una relazione? Come potevo considerarmi felicemente fidanzato con una persona che non vedevo mai?
Ma, soprattutto, come potevo non accorgermi di come stavo cambiando per lei?
Lei che, poi, chi era?
Chi era lei di così importante? Chi era lei, se non una tra mille? Se non... una qualunque? Una facilmente rimpiazzabile?
Lei era solo... lo svago di qualche giorno al mese, quella che aspettavo con ansia, con mille timori per paura di vederla andare via; come ho potuto aver scelto lei, quando potevo davvero prenderne molte altre e senza complicarmi la vita a tal punto? Come ho potuto scegliere lei, lei che mi teneva solo lontano dalla mia vera vita?
Papà, bambini, era solo un coglione, un coglione di neanche vent'anni, un coglione che non avrebbe mai dovuto meritare il perdono della mamma, non dopo la scelta che ho preso in quel momento.
«Calum... io... mi dispiace» e ho scelto lui, ho scelto le sue idee, ho scelto senza ascoltare me stesso, senza ascoltare quella parte di me che voleva soltanto essere innamorato di quella ragazza dagli occhi blu «Hai ragione, Calum. Io... mi dispiace.»
Quello che ho deciso di fare subito dopo... è stato solo come segnare l'inizio di una discesa, una discesa che avrebbe solo sconvolto la mia vita e quella della mamma.
Siamo usciti da quella stanza con un sorriso complice.
Ho finto di non vedere la mamma per l'intera serata.
Lei... aveva sentito tutto, lei... si era preoccupata per me.
Ed io... avevo scelto gli amici, il mio mondo, la mia musica, scordandomi in fretta di lei.
Per tutta la serata, con quegli occhi blu puntati contro, ho bevuto fino a non capire più nulla.
Ho bevuto tanto, troppo.
Ridevo, sembravo un emerito idiota.
La testa che mi faceva già male, mi girava tutto, ma ridevo e ridevo, ed ero fuori controllo.
Calum mi trascinava da un'invitata all'altra come se volesse distruggere definitivamente il mio rapporto con la mamma, come se lei non meritasse neanche di essere lì presente, come se lei fosse solo la stronza che cercava di trascinarmi lontano dai miei migliori amici.
Non ricordo quello che ho combinato di preciso, bambini.
Ero talmente ubriaco che ricordo solo piccoli tratti di quella sera.
Ricordo le risate, ricordo gli alcolici, ricordo la musica alta e corpi che si strusciavano sul mio.
Ricordo, però, la mamma davanti ai miei occhi.
«Luke...»
«Che vuoi?»
«Noi... io e le altre... e pure Michael e Ashton... volevamo andare in hotel... sono quasi le quattro»
«E... la cosa dovrebbe interessarmi?»
«Sei ubriaco, Luke... non sai neanche reggerti in piedi, ti prego, vieni con noi»
Ricordo di aver sentito lo sguardo di Calum su di me.
Ricordo di averlo guardato.
Ricordo di aver riso.
«Senti, Vanessa, la strada la sai, le gambe le hai, usa quella testa bionda e incamminati, non sei super intelligente tu? Non vai pure all'Università? Bene, allora vai. Lo so io quando è ora di andare in hotel, non ho bisogno di una baby sitter»
«Luke... io...»
«Ancora qua sei? Ma te ne vuoi andare? Io sono in compagnia»
Il resto della serata non me lo ricordo proprio.
So per certo di essermi svegliato in hotel.
So per certo di aver avuto un mal di testa bestiale.
Non ricordavo nulla, tanto che è stato Michael a raccontarmi tutto.
Della sbronza, delle ragazze, delle risate, della mamma a fissarmi.
Mi sono vergognato come non mai.
Inutile è stata la corsa fino alla camera 316, la camera dove la mamma, Giada e Mary dovevano restare per cinque giorni.
Inutile, perché quando ho aperto la porta, non ho trovato nessuno.
I letti intatti, gli armadi vuoti, la finestra chiusa.
La mamma se n'era andata.
Ed era stata tutta colpa mia.

 
 
 
 
Note di Nanek
HEEEEEEEEEEEEEEEEEEY
Chi si merita il linciaggio per tutto questo devastante capitolo?
Io direi Calum comunque, non io U.U
È stato difficile scegliere la iena tra i 3 rimanenti, solo che: Ashton è stronzo in So out of reach quindi l’ho risparmiato, Michael è stronzo in No Heroes Allowed e quindi l’ho risparmiato… indovinate chi restava? Caluuuuuuuum.
Purtroppo doveva andare così, era tutto troppo perfetto per andare avanti, non trovate?
Già. Non so cosa dire sinceramente, perché… beh i capitoli che seguiranno saranno un po’… beh, preparate i fazzoletti e le imprecazioni contro di me ^^
Vi ringrazio come sempre per ogni cosa <3
Ci vediamo appena posso! Sono piena di cose da fare/da scrivere/da studiare, ma cerco di non farvi aspettare troppo dai!!
Io… ve la pubblicizzo di nuovo, dato che è lì e nell’attesa se volete leggerla non si muove: OS su Niall Horan Night Changes.
A presto <3
Nanek

 
 
  
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