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Autore: Tomi Dark angel    20/07/2015    8 recensioni
STEREK.
Tratto dalla storia: "-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-La... la camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-"
Stiles Stilinski sparisce per tre anni. Per tre anni tutti lo credono morto, per tre anni di lui non si hanno notizie. Quando però riappare, non è più lo stesso. Di lui non resta che una creatura nuova, un incubo talmente orrendo che anche Beacon Hills teme di accogliere.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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“Non ti tenti, o uomo, ciò che luccica,
Poiché la luce riflessa vedrà a breve l’estinzione.
Guarda invece ciò che brilla,
Poiché una candela o un sole
Sanno espandere calore laddove
Il gelo di una luce morente non saprebbe arrivare.”
 
Vita e morte sono due identiche facce di una stessa medaglia. Si bilanciano, lottano tra loro, ma mai esse potranno sopravvivere senza l’altra. È un circolo vizioso, con un inizio e una fine volti a ripetersi, dove raramente le due facciate coincidono in un unico pezzo. È in quei momenti di impasse che ci si sente in bilico, sovrastati dalla sovrapposta potenza di due entità onnipotenti che lottano per decidere a chi spetta la decisione finale. Vita e morte, morte e vita.
Tu da che parte della medaglia sei caduto? A destra o a sinistra? Avanti o indietro? Non lo sai.
Hai ancora gli occhi chiusi, ma… qualcosa non va, ne sei certo. Non senti dolore, non senti freddo, non senti niente. Eppure, sei certo che l’aldilà infernale non dovrebbe essere così… sereno. Come se qualcuno ti avesse affondato in un placido specchio d’acqua, dove suoni e sofferenza appaiono ovattati e quasi nulli.
Rischiando il tutto per tutto, socchiudi le palpebre. E non credi ai tuoi occhi quando il gelido cielo nero della Caina si ripresenta al tuo sguardo, coperto da quattro enormi, lucenti ali demoniache, che colano catrame e… sangue?
Ti accorgi improvvisamente di essere a terra, col collo bloccato da… lame? Affilate, enormi, come quattro identiche sciabole sorrette da un braccio troppo muscoloso. Sono affondate nel ghiaccio, ai lati del tuo collo e ti inchiodano al suolo senza neanche toccarti.
Un corpo massiccio, nudo e troppo caldo, preme contro il tuo, ma non ti soffoca, né ti schiaccia. Qualcuno respira pesantemente nel tuo orecchio, ansima affaticato e capisci improvvisamente che quella creatura sta soffrendo da morire.
Sposti lo sguardo sul collo di Stiles, sul tremito convulso del suo corpo, sul volto bestiale che adesso… appare diverso. E quando incroci il suo sguardo lucido capisci perché.
Occhi umani. Niente cornea nera, niente iridi serpentine, niente sguardo folle e inferocito. Ti guarda con dolore e… amore. Uno sguardo dolce, gentile, che stona con la crudezza dell’Inferno. Quelli sono occhi d’angelo, occhi capaci di esprimere un unico, splendido sentimento in un solo attimo.
Occhi che parlano.
Occhi che vivono.
Occhi che amano.
Occhi di Stiles.
Improvvisamente, ricominci a respirare perché quel profumo sa di lui e ti avvolgi di quel calore che gli appartiene. Serri le mani sulla sua pelle e sorridi appena, commosso dallo sguardo di lui, dall’umanità che emana. È come tornare a casa dopo lungo tempo, lì dove ci si sente al sicuro, protetti, sereni. L’Inferno sparisce al cospetto di quegli occhi, il Diavolo stesso si piega davanti allo sguardo innamorato di Stiles.
Il tuo Stiles.
-Mi… mi dispiace… perdonami.- sussurri, stringendolo. Stiles sorride tremulo, distendendo le cicatrici e scoprendo appena la micidiale dentatura da leone. Continua a fissarti, non parla. Semplicemente inspira tremante il tuo profumo e dolcemente, come se fosse nato solo e unicamente per lui, ti sfiora la fronte con le labbra bollenti, dolci, incredibilmente morbide e delicate più di goccia di rugiada.
-Dispiace… anche… a me.- sussurra con voce flebile, stanca, che improvvisamente ti ricopre la pelle di brividi. L’idillio si spezza in un unico, brutale momento. Capisci allora che qualcosa non va.
Stiles sorride nuovamente mentre un’unica lacrima cristallina gli scivola tra le scaglie, incastrandosi in una grossa cicatrice obliqua che gli attraversa il viso da parte a parte. Un volto così bestiale non dovrebbe dimostrare tanta umanità, tanta dolcezza. Eppure è così, e ne sei affascinato perché non hai mai visto un demone più bello.
-Dopotutto… Dio è davvero dalla tua parte.- esala Stiles, sofferente. Trema, tossisce, e allora abbassi lo sguardo, dove qualcosa di luminoso, simile a stella tirata giù dal cielo preme adesso sul petto di Stiles, che aderisce al tuo. Un piccolo punto luce spacca le scaglie del demone, le fa sanguinare di quello stesso sangue che ti cola addosso, appesantendoti dell’ennesimo incubo.
Il crocifisso. Il crocifisso che ti ha regalato Stiles, quello che hai voluto indossare per proteggerti dall’Inferno. Un oggettino così piccolo, così fragile. Lo stesso che adesso lacera ogni difesa demoniaca del ragazzo che ami, lo stesso che… lo sta uccidendo.
“Il crocifisso, Deaton: dallo a Derek”.
Improvvisamente, ti chiedi quanto di tutto questo sia casuale. Non si tratta di un disegno divino, perché mai in vita tua hai chiesto questo. Perdere il tuo unico motivo di sopravvivenza, vederlo morire davanti ai tuoi occhi.
Ti prego. Tutto, ma non lui.
Stiles crolla di lato, tra le tue braccia. Ha gli occhi serrati, le labbra schiuse in un ansito disperato che ancora lo aggrappa alla vita e la pelle che poco a poco perde di lucentezza, come fiaccola che si spegne. Sulla candela della sua esistenza, sta soffiando il vento; senti quella stessa fiamma scivolarti tra le mani, allontanarsi, sparire. E improvvisamente, senti freddo e sei al buio.
Non c’è più il sorriso di Stiles a rischiararti la via.
Non c’è più il suo tocco a riscaldarti.
Non c’è più la sua voce a guidarti nei momenti più bui e difficili.
Non c’è più niente. Ti ha lasciato solo e al buio, cieco e sordo, muto e stanco. Ti senti cadavere molto più di prima, perché nessuna morte violenta potrebbe sovrastare un dolore tanto grande, tanto soverchiante.
-St… Stiles?- esali, appoggiandogli una mano sulla guancia squamosa. Le punte acuminate ti feriscono il palmo, incidono la carne come piccole stille di peccato che fanno male, bruciano più di qualsiasi altra ferita tu abbia mai sopportato.
Stiles ti guarda, respira a fondo. Nonostante il dolore e la stanchezza, si aggrappa  disperatamente alla vita, come un bambino appena venuto al mondo che ha ancora tanto da scoprire e ancora non vuole allontanarsi. Ha tanti ricordi, lì da dove viene. Una casa, una vita, una famiglia un po’ sgangherata di creature sovrannaturali che gli vogliono bene. Amici che lo aspettano, un padre che ancora oggi controlla la porta della sua stanza nella vana speranza di trovarla aperta e di veder tornare suo figlio. Poi, ci sei tu.
Stupidamente egoista, brontolone, sempre pronto ad arrabbiarti e difficile al sorriso. Non hai niente di particolare, niente di bello. Eppure, hai attirato l’attenzione dell’angelo più glorioso di tutti, quello che con ali spezzate giace adesso tra le tue braccia e non trema più. Ti fissa negli occhi, stanco e confuso, ma ugualmente bellissimo e caritatevole come è sempre stato. Il tuo Stiles, il tuo angelo.
-Ti prego, no.- sussurri, appoggiando la fronte alla sua. –Ti prego, ti prego, ti prego…-
Ma Stiles sorride appena e ti bacia la punta del naso con dolcezza di bambino, un gesto tanto familiare e innamorato che vale più di mille rapporti amorosi, più di mille gesti peccaminosi dediti al piacere corporale.
-Sapevo… che mi avresti trovato.- sussurra sulla tua pelle, e allora le lacrime affiorano e ti bagnano il viso, ripulendolo dal sangue e facendo bruciare i tagli che il vento ti ha provocato.
Tanta strada per riabbracciarlo, tanta strada per chiedergli perdono… e nei suoi occhi, non leggi neanche un barlume di accusa. Ti ha già perdonato da tempo, forse dal momento stesso in cui ti ha baciato. Ti perdona sempre, senza stancarsi mai.
Dio ha veramente scartato il suo angelo più bello, molto più di quanto sia stato Lucifero in gloria, quando aveva grandi ali piumate ed era reputato il servo di Dio più meraviglioso del Creato. Quell’angelo, quello che tu stringi tra le braccia, ha un aspetto animale che tuttavia si addolcisce e muta con la sincera pietà che leggi nei suoi occhi. Quel perdono che Dio ha sempre professato, quell’amore che gli angeli declamavano dall’Alba dei Tempi. Ora li vedi, ora credi. E tutto grazie a Stiles.
Ti strappi il crocifisso dal petto con rabbia e cerchi di lanciarlo via, ma la mano adesso umana di Stiles stringe la tua, più grande ma stranamente più debole e insicura.
-Non… gettarlo via, Sourwolf. Potrei o… offendermi. Te l’ho regalato… io.-
Sorridi tra le lacrime perché ancora una volta quello stupido ragazzino si rivela incredibile, con la sua voglia di scherzare e la battuta sempre pronta. Anche nella morte, riesce ad alleggerirti l’animo.
-Io… credo di aver appena assistito a un miracolo.- mormori, tornando ad abbracciarlo col pugno chiuso sul crocifisso per impedire che gli tocchi la pelle. –Grazie a te, ragazzino. Grazie a te credo nuovamente in qualcosa. Non in Dio, né in Lucifero; loro mi hanno deluso anni fa. Ma in te… in te ci credo davvero. Solo, ti domando un ultimo miracolo, ragazzino, un’ultima grazia. Lasciami essere egoista, lascia che chieda qualcosa per me stesso anche stavolta… non morire. C’è un mondo che ti aspetta, lì fuori. Ci sono io. Non sbattermi in faccia le porte di quel Paradiso che mi hai fatto scoprire. Il branco ha bisogno di te… io ho bisogno di te.-
Respiri piano contro la sua pelle e non trattieni più le lacrime che adesso bagnano il tuo viso e la sua spalla, scivolando tra le sue squame come acqua benedetta, salata e dolce allo stesso tempo. Piangi dopo tanti anni, e lo fai per tutti voi. Ogni lacrima cade in nome di Stiles, del branco, di Dumah e Alastor che non vedranno mai più la luce del giorno.
Quella guerra vi sta logorando nel profondo e nel profondo lascia tracce violente che vi consumano e vi cambiano. Alcuni non ce la fanno, altri si trascinano sull’insicurezza di una vita che potrebbe finire da un momento all’altro come sole che tramonta dietro una collina. Valefar ha perso una sorella, Stiles un’amica. Ognuno ha sacrificato qualcosa, ma sembra non esserci mai un prezzo abbastanza alto.
Sei stanco di perdere tutto. La tua famiglia, il tuo branco, il tuo amore. Paige è una macchia sulla tua anima, ma Stiles… Stiles si è portato via l’anima per intero. Se lui muore, di te non resterà più niente perché niente merita di restare.
-Figlio mio.-
Rabbrividisci, perché quella voce roca la riconosci.
Senza voltarti, ti aggrappi al corpo di Stiles che poco a poco si rilassa. Senti i suoi battiti rallentare, la sua pelle congelarsi perché privata di ogni singola scintilla di calore.
-Dobbiamo andare, figlio mio.-
Ma tu ti intrometti, ancora saldamente aggrappato al corpo di Stiles, che adesso… non parla più. Alzi lo sguardo e lo vedi, col volto rilassato e gli occhi socchiusi. Boccheggia appena, ma i suoi occhi perdono luce e consapevolezza, stanchi di un’anzianità che lo sta portando via, lontano da te, dalla tua vita.
-Stiles. Stiles, resta sveglio. Ti prego, un ultimo miracolo. Uno solo, per me. Non lasciarmi adesso, stupido ragazzino iperattivo… Resta sveglio!!!-
Urli a pieni polmoni, sfoghi la tua impotenza. Non accetti che quegli occhi siano chiusi, non accetti che la sua anima vada perduta per sempre. Hai bisogno di quella luce, di quella risata, di quelle battute stupide e nerd. Hai bisogno di Stiles.
Piangendo sommessamente, gli baci i capelli, le tempie squamate, le guance, il naso, il mento. Gli accarezzi la testa, mormorando a bassa voce che andrà tutto bene e per un attimo ci credi anche tu. Alle tue spalle, senti i singhiozzi di Scott e i lamenti di Valefar. Solo Peter resta in silenzio, pacato nella sua singolare maniera di trattenere il dolore.
Dio, se esisti…
Gli accarezzi la schiena, laddove le ali abbandonate non possono più volare.
… abbi misericordia.
Continui a baciarlo, giù fino al collo, con tocchi leggeri che scaldano il ghiaccio che ormai ricopre le squame. Baci gentili, innamorati, morbidi come carezze di piume d’albatro.
Salvalo.
Alle tue spalle, l’incappucciata resta ferma, col mantello che oscilla al vento. Ti fissa da sotto il cappuccio, studia i tuoi gesti innamorati e aspetta. Cosa? Chi? Non lo sai, non ti interessa. Tutto ciò che vuoi adesso è che Stiles ti guardi, che sorrida, che ti baci con quel calore gentile che ora manca al suo corpo.
Ti prego! INTERVIENI!!!
Dolcemente, ti chini verso il suo orecchio, pur continuando ad accarezzargli il capo. Parli adesso in nome di tutto ciò che hai perso, tutto ciò che non tornerà più indietro.
I tuoi genitori.
Tua sorella Laura.
Paige.
Dumah e Alastor.
Parli perché finalmente vuoi andare avanti, perché hai bisogno di voltare pagina. Per farlo però, hai bisogno di qualcuno che ti aiuti, qualcuno che ti afferri la mano e insieme a te chiuda il libro delle tragedie che ha sempre descritto la tua vita.
Adesso basta.
Non ti accorgi che alle tue spalle sono comparse delle figure evanescenti, dai bordi confusi e movimentati, come visti attraverso uno specchio polveroso. Persone vestite di bianco, con abiti e pantaloni luminosi che si sfilacciano in filamenti fantasiosi, come mossi dal vento in una miriade di polvere di stelle e lingue di luce sempre vive, spettri danzanti che ti sfiorano la pelle e i capelli.
Ascolta le mie preghiere. Stavolta, non ignorare la mia voce, la voce del branco, di un padre che ha perduto il figlio.
Da qualche parte nel mondo, lo Sceriffo di Beacon Hills guarda il cielo e pensa al suo Stiles, a quella stanza vuota che mai più vedrà abitata.
Ti prego.
Da qualche parte nel mondo, Lydia Martin guarda il cielo e prega di rivedere il suo migliore amico, quel ragazzo dal sorriso contagioso e la speranza sempre in piedi.
Ti prego.
Da qualche parte nel mondo, Isaac Lahey e Allison Argent guardano il cielo e silenziosamente sperano di rivedere un amico, una speranza, una vita finalmente portata in salvo.
TI PREGO!!!
Lentamente schiudi le labbra, stringi forte le dita sul tuo Stiles, sul tuo unico appiglio alla realtà. Fa male sentirlo freddo, ma non vuoi pensarci. Ti convinci invece che lui stia ascoltando, che sia vivo, che la sua anima non sia andata in frantumi per colpa tua.
E alla fine, parli.
-Ti amo.-
Due semplici parole che nella loro insignificante piccolezza scuotono l’Inferno e il mondo intero con la potenza del significato che racchiudono. A pronunciarle, è stato un licantropo morente, una creatura bisognosa di raggiungere il compagno da poco deceduto che mai sentirà la sua dichiarazione.
Una semplice dichiarazione però, non basta. Non esprime tutto l’amore che provi, tutta la devozione che ti lega con doppio filo rosso all’anima ormai perduta dell’unica ragione di vita che alla vita stessa ti aggrappava. Ti dispiace del poco che hai da offrire, del poco che hai offerto, ma va bene così.
Morirai lì, nel ghiaccio del girone più freddo e terribile dell’Inferno, quello dei traditori, ma sarai felice perché eternamente abbracciato a un corpo ormai gelido che veglierai per sempre, così come avevi promesso all’inizio. Il sole sorgerà e tramonterà mille volte e così faranno la luna, i giorni e le ere, ma tu sarai sempre lì, dolcemente stretto al candore della tua anima che mai più aprirà gli occhi per guardarti.
-Derek…- mormora Scott, ma dalla sua voce senti che ha già capito. –Dobbiamo… dobbiamo andare…-
Scuoti il capo, esausto. Hai perso troppo sangue e ormai il respiro rallenta, il battito cardiaco quasi si ferma. Non riuscirai ad alzarti e vuoi morire così, congelato nella posizione che ti sembra più giusta, più pura.
L’unico modo per rimediare ai tuoi errori.
Sorridendo appena, chiudi gli occhi e chini il capo, appoggiando la fronte su quella gelida di Stiles. Cerchi di scaldarlo con l’ultimo ansito del tuo respiro, col calore del tuo corpo. Gli sussurri parole rassicuranti, come se Stiles fosse ancora vivo e potesse sentirti.
Parli. Parli finché non ti manca la voce, finché ogni cellula del tuo corpo non si congela. E allora sei certo che andrà tutto bene, perché le tue ultime scintille di vita sono con lui, con la metà viva del tuo essere alla quale hai promesso devozione.
Il tuo lupo si addormenta, tu espiri lentamente.
-Figlio mio.- chiama ancora l’incappucciata. –Per intercessione delle preghiere del demone che adesso stringi tra le braccia, ti sono schiuse le porte del Paradiso. Vieni via con me e avrai la beatitudine laddove anche la tua famiglia ti attende.-
La beatitudine. Sarebbe beatitudine senza Stiles? Lassù c’è la tua famiglia, Paige, tutti coloro che hai perso e rimpianto per anni. Ti aspettano e già ti immagini mentre ti unisci a loro. Ma mancherà sempre qualcosa. Un brandello di felicità, una voce che parla troppo velocemente, una risata calda e allegra di ragazzo. Saresti un angelo, ma senza ali per volare. Quelle ali, dovresti lasciarle lì, all’Inferno.
-No.-
-No? Figlio mio, stai rifiutando la beatitudine. Non è il tuo posto qui.-
-Il mio posto è dovunque sia lui.-
Alzi faticosamente lo sguardo prima sull’incappucciata, poi su Scott, Valefar e Peter. Parli con gli occhi, chiedi di essere lasciato andare.
E dolorosamente, Scott accetta la tua richiesta e chiude gli occhi, voltando il capo dall’altra parte. Alle sue spalle, Valefar annuisce distrutto e Peter continua a fissarti, chiedendoti con lo sguardo se sei sicuro, se per te va bene così.
-Grazie di tutto. Il mio posto è qui adesso.-
L’incappucciata si immobilizza, il vento smette di soffiare. E improvvisamente, qualcosa cambia.
-Così sia, allora.- sussurra una voce cristallina, morbida come acqua di ruscello e limpida come i cieli più alti del Creato. Quella voce risveglia il tuo antico lupo, l’essere sopito che credevi già morto minuti addietro insieme alla tua metà.
Un piede nudo, pallido di un tenue bagliore argentato, poggia sul ghiaccio. Da sotto la pianta si irradiano allora minuscoli viticci e radici sottili che si espandono in ogni direzione, abbracciando il ghiaccio di filamenti colorati, vivi. Li vedi scendere nel suolo, abbracciare i corpi congelati dei dannati con dolcezza in una stretta consolatoria che nuovamente li fa piangere e sospirare. Stavolta però, il ghiaccio si scioglie appena e non congela quelle lacrime pentite e tanto importanti da essere più potenti del gelo stesso di Lucifero.
La giovane donna avanza, avvolta in una splendida veste bianca che col suo bagliore accecante soffoca le fattezze del viso nascosto sotto il cappuccio. Ha mani sottili,  unghie curate e un fisico di giunco magro e bellissimo, con seni alti e fianchi stretti. Pensi che sotto il cappuccio, debba nascondersi in realtà una donna magnifica, ma non sai se vuoi scoprirlo davvero.
-Figli miei.- mormora la nuova arrivata. –Avete percorso tanta strada e il vostro viaggio vi ha portati più in là di quanto abbiate sperato o semplicemente immaginato. I vostri occhi hanno visto troppo e troppo ha dovuto sopportare il vostro cuore. Posso sentirlo.-
L’incappucciata nera si raddrizza e ti affianca, come per proteggerti.
-Non pensavo che saresti giunta fin quaggiù, sorella.-
-Io giungo dove c’è più bisogno di me.-
-Non ti è mai interessato in tutti questi anni. Perché dunque adesso scegli di rivelarti a coloro che di te avrebbero avuto bisogno prima?-
Da sotto il cappuccio bianco, la donna sembra sorridere.
-Perché mai in tante ere i miei occhi hanno avuto modo di vedere un amore così grande. Avevo perso fiducia negli uomini, nel Creato stesso, ma adesso… adesso guardo loro due.-
Indica te e Stiles.
-E so che forse qualcosa di veramente benigno c’è davvero. Io, un amore del genere, pensavo di capirlo; ma la realtà è che soltanto ora mi accorgo di non conoscerlo affatto. È questa l’umanità che declamavi tanto, sorella? Questa meraviglia, che tuttavia conduce alla miseria?-
-La miseria è tale ai tuoi occhi, perché Derek Hale sceglie di restare all’Inferno. Ma ti è davvero così oscuro il concetto di completezza che insieme queste due creature emanano? Pensi davvero che un uccellino possa volare con un’unica ala o che un lupo possa sopravvivere con due delle quattro zampe spezzate? Noi, certe cose non le capiamo, ma l’umanità è qui per insegnarcele. La scelta di ascoltare è soltanto tua. Così come è nostra la scelta di ciò che accadrà adesso.-
La donna vestita di bianco inclina il capo, fissando Stiles. Poi, a sorpresa, solleva una mano e stiracchia le dita. Sul palmo si accende un piccolo nucleo bianco, lucente come la prima stella del mattino.
-Ascoltare gli umani… credevo di averlo sempre fatto, ma forse non è così. Sono vecchia, eppure ho ancora tanto da imparare.-
-Non si è mai vecchi abbastanza.- interviene Valefar con voce tremante. Cade in ginocchio, stremato, e fissando lo sguardo sul ghiaccio sottostante continua: -Abbiamo perso tante brave persone, per arrivare fin qui. Io ho perduto una sorella, i presenti un’amica, forse Peter Hale… addirittura una possibile compagna. Non vi chiedo pietà per noi o per Dumah e Alastor perché non ho diritto di veto sulla bilancia che contraddistingue le vostre stesse essenze. Solo… vi chiedo di lasciare andare Stiles. Prendete me, se necessitate di un sostituto, ma liberate lui.-
Valefar tende entrambe le mani, i polsi uniti come se si aspettasse di vedersi ammanettare.
-E me.- si intromette Scott, inginocchiandosi a sua volta e tendendo le mani. –Quello è mio fratello.-
Peter esita. –Non sono famoso per i miei gesti di eroismo. Faccio il possibile per sopravvivere, per non legarmi a nessuno. Però… questo ragazzino ha sempre avuto una gran bella faccia tosta e mi piaceva. A volte avrei voluto staccargli la testa, ma alla fine mi rendo conto che non è male. Sarei ancora una volta bugiardo se dicessi che non gli devo niente, perché Dumah era sua amica e io… non pensavo di avere ancora un cuore che battesse, nel petto. E poi, come ho già detto, un bel culetto come quello è patrimonio dell’umanità e non merita di restare quaggiù, dove nessuno può apprezzarlo.-
Senza inginocchiarsi, Peter protende le mani e snuda i polsi, sorridendo sornione.
-Avete anche me.-
L’incappucciata bianca indietreggia, la luce ancora sul palmo della mano.
-Perché tutto questo? Cosa ci guadagnate?-
L’incappucciata nera si inginocchia e dolcemente, con la mano scheletrica, accarezza il capo di Stiles. Non ti dà fastidio, anche perché stranamente, noti che il calore anomalo di quella mano morta scioglie la brina sui capelli e sulle corna di Stiles.
-Tu dovresti conoscere la risposta più di tutti, sorella mia, ma la verità è che sei stata così impegnata a esercitare il tuo dovere da non accorgerti della sua reale importanza. Cosa ci guadagnano? Una vita. E, insieme ad essa, un compagno, un fratello e un amico. Sulla Terra, c’è un padre che ancora prega per il figlio. Cosa ci guadagnano a consegnarsi così? Tutto, perché la vita è composta anche dal sacrificio e da ciò che si è disposti a fare per una persona cara. L’umanità è questa. Adesso, fai la tua scelta.-
L’incappucciata bianca esita, mentre i tralicci intorno a lei sbocciano in tanti piccoli fiori bianchi, rossi, viola, azzurri. Quell’esplosione di colori ti fa male agli occhi, ma stranamente ti appare come un segno, il segnale che qualcosa stia cambiando.
-Voglio darti una possibilità, figlio mio.- dice infine, stringendo la piccola stella fluttuante. –Alcuni di voi dicono che, metaforicamente, l’anima e i ricordi di un essere senziente siano un vero e proprio labirinto, un dedalo di pensieri e idee nel quale è difficile orientarsi. In verità, ritengo che mai idea sia stata più giusta.-
Tende verso di te la stella fluttuante, la ferma sotto il tuo naso come per fartela annusare. Tu la guardi, scruti nelle profondità cristalline di quel bianco gentile, abbacinante, che per brevi istanti ti incanta e ti fa desiderare di toccare quel germoglio lucente. Per qualche strano motivo, ti senti attratto da quella stella terrena e i tuoi occhi si riempiono della sua immagine come se non avessi mai visto niente di più bello.
-Riconoscila, figlio mio. Pensa bene.- sussurra l’incappucciata nera alle tue spalle.
Cominci a pensare alle parole della donna in bianco.
Anima. Dedalo di ricordi. Pura luminosità di stella. Anima.
-Stiles.- esali, esausto. –Quella… la sua anima…-
Stai guardando l’anima di Stiles, e non ne rimani deluso. È bella e calda, pura come quella di un neonato. Non hai mai visto niente di più bello perché hai davanti la sua essenza, la meraviglia totale del suo carattere, del suo aspetto, delle sue scelte. Una volta, disse che a forgiarci sono le nostre azioni molto più del nostro aspetto, e adesso capisci cosa significa. Stiles era un demone, una creatura infernale, eppure la sua anima è più pura di quella di qualsiasi beato.
Ha compiuto le azioni giuste, ha amato nel modo giusto, ha protetto la giustizia stessa. E alla fine, come diamante che sboccia dal nero carbone, così dal putridume di un demone feroce è saltato fuori un piccolo punto luce, la meraviglia di qualsiasi cristallo adamantino, il gioiello più prezioso dell’universo.
-Il suo io sta sparendo, figlio mio.- sussurra l’incappucciata nera. –Però a te è data la possibilità di vincere questa battaglia, così come lui ti affiancò nelle tue. Hai pochissimo tempo, ma dalla tua parte hai quella stessa speranza che il tuo compagno ti ha insegnato. Insegui il sole, raggiungilo. E, prima che sia tardi, abbraccialo e riportalo a casa.-
Prima ancora che tu riesca a rispondere che no, non hai la forza per fare nulla, neanche per alzarti in piedi, la donna in bianco ti preme l’anima di Stiles sulla fronte, sprofondandoti in uno spettro di colori che poco a poco sbiancano, conducendoti lontano, dove né uomo, né Dio sono mai arrivati.
 
“A l'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l'amor che move il sole e l'altre stelle.”

 
“Papà? Dov’è mamma?”
“Io…”
“Papà?”
 
“Scott, sei un lupo mannaro! Devi fidarti di me e restare qui,
o ucciderai qualcuno!”
 
“Tu sei il prezzo. È stata tua madre a venderti.”
“No…”
“No? Leggi nei miei occhi la realtà dei fatti, ragazzo: sai che è vero.”
 
Si dice che affondare nei meandri dei ricordi sia un po’ come galleggiare, perdendo contatto con la realtà. Il corpo si alleggerisce, gli occhi guardano senza più vedere e lentamente, un pezzo alla volta, si sprofonda in memorie perdute e riprese, barlumi di pensiero che sono sempre stati lì.
Voci altisonanti affondano nel tuo cervello con stilettate rumorose, accompagnate da fruscii, pianti, risate, rumore di vetri infranti e di cristalli spaccati. Qualcuno lotta da qualche parte, qualcuno ride, altri ancora rovesciano sedie e fanno a pezzi fogli di carta o libri.
Continui a cadere, abbandonato come marionetta inanimata e troppo leggera. Non senti più addosso il fruscio di vestiti, ma anzi, ti accorgi di avere il corpo coperto di pelo nero e folto. La tua forma di lupo è ormai parte integrante della tua anima, figlia di emozioni trattenute e istinti animaleschi.
Quando atterri dolcemente su una superficie fredda e dura, spalanchi gli occhi. I rumori si quietano e ti sorprende l’improvvisa e totale assenza di suoni e odori. Il mondo sembra essersi annullato, inghiottito da quel silenzio sepolcrale che preannuncia qualcosa. Qualcosa di brutto, probabilmente.
Quando realizzi dove ti trovi, resti senza parole: pavimento grigio, muri di un bianco abbacinante che danno all’ambiente quel po’ di illuminazione negata dal cielo totalmente nero, scuro come cappa di velluto.
Ti alzi lentamente, le quattro zampe che poggiano insicure ma intatte sul pavimento liscio e anonimo. Senti i cuscinetti aderire ruvidi, graffiare per non scivolare. E ti accorgi improvvisamente di essere privo di ogni ferita, intatto, come se non fosse mai successo niente. La mente di Stiles ti ha voluto così o è stata una cosa accidentale? Non lo sai e per ora non ti importa.
L’incappucciata ha detto che Stiles sta sparendo, che gli resta poco tempo. Ma cosa devi cercare in quel posto?
Cominci ad avanzare, prima cautamente poi sempre più svelto. Se volasse anche solo una mosca da quelle parti, la avvertiresti grazie al pesante silenzio che grava tra le pareti.
Ti trovi a un bivio e automaticamente svolti a destra. Poi, un altro bivio, un incrocio con quattro entrate, uno con sei. Non ti orienti più, ma ogni istante che passa genera nel tuo cervello un pensiero terrificante che non vorresti vedere avverato. Troppi corridoi, troppe strade e nessuna mappa o segnale che ti indichi la via giusta. Odori assenti, rumori inesistenti e soltanto corridoi asettici che continuano, continuano all’infinito. Cominci a pensare che non ci sia fine a quella corsa. Il silenzio ti fa impazzire, così come il pensiero che Stiles stia morendo e che tu sia ancora lì, a correre alla cieca tra corridoi sempre uguali.
Silenzio, semioscurità, quiete.
Svolta a destra, a sinistra, dritto, ancora sinistra.
Quando svolti di nuovo e tiri dritto, ti trovi nuovamente al bivio iniziale, laddove sai di essere atterrato. C’è il tuo odore lì e sì, adesso hai la certezza di essere fregato.
Un labirinto. La testa di Stiles è un dannatissimo labirinto inodore, insonorizzato e sempre uguale.
Ti fermi disperato, la lingua di fuori e le zanne snudate in un ansito affannato e stanco.
Non c’è modo di uscire di lì, né di trovare una via logica. Hai osservato i muri in cerca di un indizio, una crepa, una macchia che mutasse appena quella situazione di impasse, ma non c’è niente. Niente di niente.
Ti guardi intorno, indietreggi fino a urtare il muro alle tue spalle. Hai le orecchie abbassate, gli occhi stanchi e sbarrati. Il silenzio è come una presenza che aleggia tre le mura, una creatura viva e affamata che poco a poco divora la tua sanità mentale, la tua forza di volontà, il tuo bisogno di andare avanti. Lì ti sono sottratti tutti i sensi, sostituiti da un senso di impotenza profondo e senza nome.
Ti accasci a terra, esausto. Ti tremano le zampe e non riesci a restare in piedi.
È tutto perduto. Stai correndo da ore, forse da giorni, col solo risultato di tornare al punto di partenza. Perché? C’è davvero una strada da seguire in quel dedalo di corridoi, o semplicemente stai perdendo tempo? Stiles potrebbe essere già morto, anche se non sei certo di come fare a capirlo.
Cosa devo fare?
Guaisci, confuso e frustrato. Ti fanno male le ossa, hai paura, sei stanco. Soprattutto, ti senti inutile. Ti chiedi cosa sarebbe successo se magari al posto tuo fosse subentrato Scott o addirittura Valefar. Avrebbero agito meglio? Avrebbero trovato una strada da seguire, una via logica che si riconducesse alla vera essenza di Stiles, quella che senti di non conoscere davvero?
Sei inadeguato, debole, troppo cieco per trovare la strada. Non salverai Stiles semplicemente perché al suo cospetto, sei troppo misero e troppo gelido, come un brutto anatroccolo paragonato a uno splendido cigno bianco. Tu non vai bene.
Chini il capo, sconfitto. Cominci a sentire freddo, ma forse non è nemmeno colpa del labirinto di corridoi perché lì non soffia un alito di vento. È come se l’intera mente di Stiles si fosse chiusa nel lutto e nel silenzio giudizioso di chi avverte l’alito della morte sul collo.
Dove devo andare?
Respiri a fondo per calmarti, stringi i denti. Non lo lascerai andare, non così. Ricordi le ultime parole di Stiles, la fiducia che ha sempre riposto in te, l’amore con cui ti ha guardato e sorriso senza mai accusarti di niente, perdonando ogni tuo sbaglio. E capisci che, se non riesci a trovare una via d’uscita, meriti di morire lì con lui.
Improvvisamente, come in reazione alla tua rinnovata presa di posizione, una folata di vento ti sfiora il pelo, accarezzandolo con dolcezza materna. E dal nulla, in accompagnamento al sussurro d’aria, ascolti qualcos’altro, due voci che conversano… il brandello di un ricordo.
“Che… che cosa pensi di fare, sfondare il muro a pugni?”
Drizzi le orecchie. Riconosci quella voce, ricordi quel ricordo. Ne hai la conferma quando un secondo timbro, che ti è sempre appartenuto, risponde con sarcasmo esagerato.
“Sì, Stiles; sfonderò il muro a pugni.”
“D’accordo fustaccio, vediamo questo pugno, questo terribile pugno: fa vedere.”
Ricordi quel momento. Stavate progettando di introdurvi nel cavò della banca per salvare Erica e Boyd, tenuti in ostaggio dal branco di Deucalion. Ma perché proprio questo ricordo è affiorato? Perché la mente di Stiles ha fatto una scelta così bizzarra?
Continui ad ascoltare, ma le voci non ci sono più e il vento ha smesso di soffiare.
Studi quel ricordo, le tue stesse parole in risposta a quelle di Stiles. Non ricordi tutto di quel momento, anche perché non amavi particolarmente quel bizzarro ragazzino petulante e iperattivo. O sì? C’era già qualcosa allora?
Sì, Stiles. Sfonderò il muro a pugni.”
Sfondare il muro a pugni… sfondare…
Improvvisamente, alzi lo sguardo sul muro che hai davanti. Bianco, intatto, senza crepe né imperfezioni. Di cosa sono fatte quelle pareti?
Come in risposta alla tua stessa insicurezza, un ricordo che ti appartiene affiora, ricordandoti un vecchio detto di tua madre Talia: “Se non hai strade da seguire, trova il modo di aprirtene una”.
Aprirsi una strada a mani nude. L’hai fatto altre volte e non ti ha mai spaventato così tanto. Ma adesso si tratta della mente di Stiles, dei suoi ricordi, delle sue emozioni. Fargli a pezzi il cervello non è una buona idea, anche se forse è l’unica via possibile. Arriveresti a tanto? Sarebbe giusto farlo?
Non lo lascerò qui a morire.
Spalanchi gli occhi, abbandonandoti a un ringhio animale. Lentamente ti alzi in piedi, saldo sulle zampe e sicuro delle tue scelte. Lo sei sempre stato e anche per questo Stiles si fidava di te. Eri un Alpha, sei un lupo. Devi affidarti al tuo stesso senso di libertà, ai tuoi istinti, al sentimento che lega la tua stessa parte animale alla creatura che ami. Ti fidi del lupo, ti fidi di Stiles.
Puoi farcela.
Irrigidendo i muscoli allo spasimo, spicchi una corsa verso il muro, verso la tua strada personale. All’ultimo momento, volti il capo e slitti lateralmente, schiantando la spalla massiccia di bestia contro la parete pallida. L’urto è talmente forte da incrinare il muro e farti scricchiolare le ossa, ma tu ripeti il gesto un’altra volta e una volta ancora, senza stancarti mai.
Ogni urto è un ricordo, una richiesta di perdono.
SBAM. Tu che ringhi contro Stiles, insultandolo e dandogli del fragile, inutile ragazzino.
SBAM. Tu che volti le spalle a Stiles, abbandonandolo al suo destino per pura rabbia egocentrica.
SBAM. Tu che lo graffi, diffidando del suo aiuto e delle sue parole.
Ogni colpo è una richiesta di perdono, un grido disperato che poco a poco abbatte la barriera del muro che colpisci ripetutamente, sfogando il tuo dolore, la tua impotenza, la tua frustrazione.
Perdonami, perdonami, perdonami.
Il muro cede di schianto, scaraventandoti oltre il corridoio con la forza di una palla di cannone. Quasi scivoli sul pavimento liscio di uno spogliatoio maschile, dall’odore penetrante e le pareti grigie. Deve appartenere a qualche struttura scolastica, perché oltre la porta chiusa riesci a sentire il chiacchiericcio di troppi ragazzini che passeggiano tra i corridoi, forse pronti a cambiare aula o a lasciare la scuola.
Perché sei lì?
Ti guardi intorno, avanzi guardingo tra gli armadietti, verso le docce. E lì, ancora vestito ma comunque seduto sotto il getto d’acqua aperto, c’è un ragazzino di circa undici anni dai corti capelli scuri e gli occhi dorati. Ha un livido sotto l’occhio sinistro e il labbro spaccato. Piange sommessamente, le piccole mani strette sulle ginocchia piegate e il corpo scosso dai singulti. Appare così piccolo, così fragile, ma ti ispira tenerezza come un cucciolo indifeso al cospetto di un gigantesco leone dorato.
Cerchi di nasconderti per passare inosservato, quando la porta alle tue spalle si apre.
Irrigidisci i muscoli davanti al ragazzino dagli occhi scuri e la pelle olivastra che avanza senza esitare, i grandi occhi fissi verso la doccia aperta. Ti oltrepassa in silenzio, corre dal più piccolo che ancora piange e lo ignora e con un gesto delicato chiude la doccia.
L’acqua smette di scorrere, lasciando come unico spacco del silenzio i singhiozzi del ragazzino, che in un tenero gesto di autodifesa si rannicchia con più forza e scuote il capo.
-Stiles.- chiama l’altro bambino, che dagli occhi e dalla mascella storta identifichi come Scott. Si inginocchia accanto all’amico, ignorando i jeans che si bagnano e la maglietta che comincia a inumidirsi quando abbraccia Stiles. –Perché non mi hai chiamato?-
-Non… non volevo che… pensassero che sono… un… un debole…- singhiozza Stiles sulla sua spalla, e allora provi l’ennesimo moto di tenerezza, l’ennesimo senso di innata dolcezza che quel bambino ti ispira. Era così allora, è così adesso.
-Ma tu non sei debole.- dice allora Scott, accarezzandogli la maglietta. –Tu sei la persona più forte e intelligente che conosco. Siamo forti tutti e due, proprio come Hulk e Thor. Ricordi la puntata che abbiamo visto stamattina? Quei due hanno combattuto insieme contro gli uomini cattivi e hanno vinto. Vinceremo anche noi, te lo prometto. Ma quando i bulli ti fanno male, devi dirmelo. Non è un male chiedere aiuto.-
-Lo diceva anche la mamma.-
E Stiles continua a piangere, singhiozza sommessamente sulla spalla del piccolo Scott. Ascolti la sua voce di vetro, guardi le sue mani ancora piccole e poco sviluppate, il piccolo corpo scosso dai singulti. È più magro, più gracile, ma ti sembra comunque bellissimo, come un fiore pronto a sbocciare.
Continui a guardare, resti immobile mentre le due figure sfumano e spariscono come spiriti evanescenti, lasciandosi alle spalle lo sgocciolio dell’acqua e il silenzio degli spogliatoi ora deserti.
Resti solo e al buio, chiedendoti cosa devi fare adesso. Grazie al silenzio devastante, ti accorgi che il chiacchiericcio dei ragazzi oltre la porta è ammutolito, il che ti lascia pensare che il ricordo sia finito, come un film tagliato sul più bello o messo in pausa. Devi trovare una strada per continuare o farà tutto da solo? Non sai quanto sia saggio provare a sfondare gli armadietti e il muro alle loro spalle.
Ti volti verso la porta… e ti accorgi improvvisamente che ce ne sono tre. Non una. Tre. Da dove accidenti sbucano?
Non è l’improvvisa apparizione delle nuove via d’uscita a preoccuparti. Ciò che ti inquieta è invece il ragazzo seduto per terra: appare stranamente familiare, con quella felpa rossa e il cappuccio calato sulla testa. Il fisico è magro e slanciato, la schiena curva. Da sotto il cappuccio, sbuca un inquietante muso di ferro e cuoio attraversato trasversalmente da una cinghia di pelle. Hai la sensazione che il ragazzo indossi una maschera animale, forse di lupo, ma non sei tanto ansioso di studiarlo da vicino, specialmente perché il ragazzo è impegnato ad affilare un coltello argentato dall’impugnatura sagomata e delle strane incisioni sulla lama.
-Brutta storia, amico.- dice con voce musicale, che riconosci con un brivido. Nonostante il corpo del ragazzo sia inodore, non puoi non ricordare quel timbro armonioso che già tante volte ti ha chiamato, cercato, invocato.
Stiles?
-Così tanto da fare… così poco tempo.- Il ragazzo si immobilizza, il capo ancora chino sul coltello e la maschera sinistramente in ombra. Non lo senti respirare, non avverti il suo battito cardiaco. E questo fa paura, perché non sai cos’hai davanti. –Fai con calma. Scegli bene.-
Il ragazzo ricomincia ad affilare il coltello, sfregandolo contro una lima d’acciaio. Non dice altro, non dà segno di averti notato davvero. Eppure, nonostante detesti l’idea, per andare avanti hai bisogno di aiuto e forse lui può dartelo.
Ti avvicini cautamente, odiando la tua forma di lupo che ti impedisce di parlare la sua lingua. Latri una volta, graffiando il pavimento umido con gli artigli poderosi per attirare la sua attenzione.
-Fai con calma. Scegli bene.-
Scegliere. Ti sta dicendo di scegliere.
Sollevi gli occhi sulle tre porte chiuse alle spalle del ragazzo. Lo noti solo ora, ma tutte e tre hanno il battente piuttosto basso, col batacchio a forma di testa di lupo. In realtà, non sei nemmeno sicuro che quel dettaglio sia sempre stato lì oppure no: niente ha senso in quel luogo, dove le porte si moltiplicano e i labirinti racchiudono ricordi nascosti.
Esiti, squadrando le porte con attenzione. Tutte e tre uguali, tutte e tre chiuse e silenziose. In base a cosa dovresti scegliere quale aprire?
-Scegli bene.- ripete Stiles, e allora capisci che il tempo sta diminuendo, che poco a poco la situazione non potrà che peggiorare. Scegliere una strada forse non è la cosa giusta da fare, anche perché lì non ci sono vie sicure da seguire.
Con giudizio, scegli la porta a destra. Sembra più distante dal ragazzo e dal suo coltello e la cosa non può che rassicurarti. Sei certo che quello non sia davvero Stiles, ma non avresti la forza di attaccare qualcuno che ci somiglia tanto, né sei molto ansioso di perdere tempo in uno scontro dagli esiti incerti.
Lentamente, aggiri il ragazzo. Non lo perdi mai di vista, ma quando raggiungi la porta sei costretto a distrarti per un istante, costretto a impennarti sulle zampe posteriori per appoggiare il muso alla maniglia e abbassarla. In quel breve lasso di tempo, ti affidi totalmente ai tuoi sensi, stando attento a percepire il minimo movimento, il più piccolo cambiamento del ragazzo che tuttavia continua imperterrito ad affilare la lama.
-Così tanto da fare. Così poco tempo: fai con calma.-
La voce del ragazzo appare spettrale, inquietante. Improvvisamente, la senti più roca e insicura, quasi stanca. Prima di attraversare la soglia, ti volti per guardarlo, ma ti stupisci… di non trovarlo più lì. Al suo posto, ci sono un coltello, una maschera di cuoio e ferro e dei vestiti.
Avanti. vai avanti.
Attraversi la soglia, improvvisamente inquieto. Non riesci a toglierti dalla testa la voce del ragazzo, le sue parole. “Scegli bene” significa… cosa? Che una sola delle tre porte è quella giusta? E le altre due cosa racchiudono?
Ti guardi intorno, cercando di orientarti. Scopri all’improvviso di trovarti davanti ai vecchi ruderi di casa Hale, al centro della radura che racchiude la proprietà. È giorno, e il sole picchia con insistenza sul capo dei due soggetti immobili e intenti a fissarsi che sembrano non averti notato. Riconosci con un tuffo al cuore uno dei due ragazzi, ma l’altro… l’altro? Alto, biondo e bellissimo di una magnificenza ultraterrena, pericolosa, gelida come il ghiaccio. Non lo conosci, ma hai paura di come fissa Stiles, che nel frattempo comincia a tremare e stringe i pugni lungo i fianchi, nervoso e spaventato.
Vederlo così fa male, brucia come fuoco nelle vene. Vedi una goccia di sudore scivolargli sulla fronte, le labbra strette e l’incarnato troppo pallido, quasi mortifero. Odi vederlo così spaventato, specialmente quando non puoi proteggerlo. Sai che quello è un ricordo, che non puoi intervenire. Però ti detesti perché Stiles sta soffrendo e tu… tu stai a guardare. Non può vederti, non puoi toccarlo, non potete neanche scambiarvi un’occhiata quando invece tutto ciò che ti occorre per ritrovare il coraggio è proprio un suo sguardo.
-Il giovane uomo, Derek.- dice improvvisamente il ragazzo biondo con voce talmente musicale che per un momento barcolli, come se ti stessero sussurrando una ninnananna. –Non portarlo via con te.-
Gelo. Improvvisamente, all’udire il tuo nome pronunciato da quelle labbra perfette ma pericolose, ti fa sentire freddo. È come una minaccia sussurrata, un avvertimento che lo stesso Stiles percepisce con un brivido. Lo vedi piegarsi su se stesso, incurvare la schiena mentre gli occhi perdono lucentezza, come se qualcuno avesse spento la fiamma di una splendida stella nascosta in quelle iridi meravigliose.
Stiles si spezza lentamente, davanti ai tuoi occhi, in un ricordo che non puoi cambiare. E, ancora una volta, tu non c’eri.
-La tua anima è nera, Stiles, e tu resterai dannato a vita, fino alla fine dei Tempi. Restando al fianco di quell’uomo, stai lasciando che la tua anima contamini la sua.-
Non sai perché ringhi, non sai perché il tuo cuore si spacca in milioni di frammenti sottili, irrecuperabili, dinanzi all’ennesima tortura che Stiles ha dovuto subire. Vorresti ululare di rabbia mentre lo vedi frantumarsi, crollare in ginocchio, accasciarsi tremante come uno splendido cervo dalle zampe spezzate. È l’ennesima ferita che gli spezza quelle invisibili ali d’angelo, l’ennesima percossa alla quale per pura innocenza incassa senza reagire. Per te. Sempre per te.
Ti domandi all’improvviso quanto abbia fatto Stiles in nome tuo e a tua stessa insaputa. Ha sollevato i monti, spostato i mari, rivoluzionato l’universo semplicemente per raggiungerti, per vederti, per starti accanto. Come unica ricompensa, ha accettato un sorriso e una carezza, un insulto e l’ennesima ferita.
Si può amare così una persona? Può un’anima dannata insegnare amore a chi di dannato non ha ancora nulla? Pare strano, eppure per voi due è così. Stiles ti ha insegnato tantissimo, ti ha mostrato le magnificenze dell’amore vero, di quelli che soltanto i poemi più antichi riescono a raccontare. E ora capisci. Sai con certezza perché sei lì, sai perché è valsa la pena attraversare l’Inferno fino a consumarti le zampe e soffrire tanto al solo scopo di raggiungere un’anima dannata ma tanto pura da amare senza riserve.
Lo faresti di nuovo, mille e mille volte, e questo perché anche tu non chiederesti niente in cambio se non uno sguardo, una parola, o addirittura una ferita. Accetteresti qualsiasi cosa, solo perché il mittente sarebbe Stiles.
Hai capito.
Improvvisamente, Stiles e il ragazzo biondo si arrestano, come se qualcuno avesse cliccato su un fermo immagine. Restano immobili, bloccati in pose statuarie che non riesci a smettere di fissare.
Poi, il cielo comincia a oscurarsi. Una colata nera, simile a macchia d’olio che si allarga, soffoca l’azzurro sulle vostre teste e comincia lentamente a espandersi. Come un quadro che si scioglie, guardi casa Hale annerirsi e sparire, seguita subito dopo dagli alberi, dall’erba, dal mondo intero. Tutto diventa nero, lasciandosi tuttavia alle spalle solo le figure di Stiles e del ragazzo, ancora pietrificati. Non sai nemmeno più dove poggi le zampe e hai paura di muoverti perché la porta che prima era alle tue spalle non c’è più.
-Così tanto da fare. Così poco tempo.- sbotta una voce poco lontano. –Fai con calma.-
Quando ti volti, vedi lo stesso ragazzo di prima, dalla voce e dal fisico identici a quelli di Stiles… ma qualcosa è cambiato. La felpa è nera e, da sotto il cappuccio calato sulla testa, sbuca l’ennesima maschera d’acciaio, dipinta di nero  e con una cinghia di cuoio stretta trasversalmente sul becco appuntito da uccello. Uccello, non più lupo.
Stavolta non indietreggi, ma non riesci a staccare gli occhi dal familiare coltello cesellato che il ragazzo continua ad affilare meccanicamente, senza stancarsi mai. Quello è rimasto immutabile, al contrario dell’intero abbigliamento del giovane. Perché?
-I cerchi si ripetono. Sempre, sempre, sempre. È tutto una grande partita a scacchi, un gioco pericoloso di pedine troppo fragili per restare in piedi o troppo pesanti per essere mosse. Si diventa inutili, si muore. Ma siamo solo scacchi. Chi azzarda la prossima mossa? Chi muove i pezzi? I cerchi si ripetono. I cerchi si ripetono.-
Il ragazzo parla con voce cantilenante, come se stesse raccontando una favoletta. Solo che quella favoletta fa paura, sa di minaccia, e canticchiata con tanta semplicità ti inquieta ancora di più.
-Scegli bene.-
Dall’oscurità alle spalle del ragazzo, emergono due porte, come immagini scolpite in rilievo. I battenti hanno la forma di una testa di corvo, molto simile alla maschera indossata dal ragazzo ma allo stesso tempo molto più realistiche. Hanno qualcosa di familiare, ma non riesci a capire dove hai già visto teste simili.
-Scegli bene.-
Stavolta, oltrepassi il ragazzo senza esitare. Ti tieni comunque a debita distanza dal coltello, ma non temi un suo attacco. Non temi niente: dall’altra parte potrebbe esserci Stiles, il tuo Stiles. Quello vero, senza maschere e lame affilate tra le mani. Il ragazzo che sorride, scherza, gioca agilmente con due metri di coda e puntualmente rischia di decapitarlo in un attacco di terrore momentaneo. Il suo Stiles, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti.
Pensi questo mentre attraversi la soglia della porta di sinistra… e, una volta atterrato, vorresti essere rimasto dall’altra parte, al buio, tormentato dai sussurri del ragazzo con la maschera.
Vorresti, perché adesso sei all’Inferno.
Non riconosci l’ambiente, ma i gemiti che ti circondano e le urla che svettano in lontananza contro il cielo plumbeo e privo di luce o astri ti suonano familiari.
Quel girone dell’Inferno (se di girone si tratta) è composto da rocce affilatissime e spuntoni taglienti che sbucano dappertutto, ferendo e trafiggendo come crocifissi i piedi dei dannati posti in file disordinate al cospetto di Minosse, più grosso e terribile che mai. La sua coda pelosa, coperta di piccoli uncini, oscilla nevrotica intorno al suo corpo, come una presenza sinistra e inferocita, una serpe che mai va a dormire.
Con angoscia, ascolti i pianti dei dannati, le loro lamentele e li guardi cadere in ginocchio o distendersi al suolo, laddove gli spuntoni lacerano loro le carni, squartandole e facendole a pezzi, maciullate da piccoli strumenti di tortura. Ti accorgi che gli spuntoni e le rocce sono coperte di sangue e corrose dal sale delle lacrime, ma stranamente non ti feriscono le zampe, come se una barriera invisibile ti facesse camminare a diversi centimetri da terra.
Un dannato si fa avanti zoppicando, il volto coperto dalle mani e il corpo nudo chiazzato di sangue. Ha un’aria così patetica, così piccola e fragile al cospetto del monumentale Minosse che quasi hai paura di guardare.
-O tu, che venisti in codesto loco di dolore, dimmi: quali, dunque, son le tue colpe?- domanda, ringhiando.
-Sono innocente!- mugola il dannato, accovacciandosi sulle rocce taglienti nel vano tentativo di difendersi dal suo giudice. –Non ho colpe, né peccato contro Dio Onnipotente!-
Bugia. Anche se non avverti alcun odore, riesci quasi a fiutarla. Lo leggi nell’atteggiamento del dannato, nel terrore che gli scuote le membra. Sa egli stesso di mentire, e di certo l’ha capito anche Minosse, il giudice dell’Inferno.
Ti aspetti ormai che Minosse lo sbrani lì, davanti a tutti, per punirlo della menzogna, ma ciò che accade semplicemente ti lascia stranito.
Minosse si sporge verso il dannato, i piccoli occhi assottigliati e le narici dilatate.
-Sai che posto è questo?-
-Io…-
-Sai chi ci finisce qui?-
-N… no.-
-Menzogna!-
La coda scudiscia, si abbatte come una frusta sul dannato. Gli aculei penetrano nella carne, affondano implacabili come tante piccole maledizioni violente, macabra punizione per l’ennesimo peccato compiuto. Il dannato grida e si contorce, ma ormai il resto della coda sta già facendo il suo lavoro: si avvolge stretta intorno al corpo dell’uomo, soffocandolo e piantando gli aculei più a fondo, ripetutamente e con violenza. Al solo vederlo, ti fa male.
-SUICIDIO.- ruggisce Minosse con tale potenza da scuoterti la terra sotto le zampe. Strattona la coda così forte che per un attimo pensi di vedere il dannato sfracellarsi in un milione di anelli scomposti, tagliato di netto dagli aculei, ma ciò non accade: in una nuvola di oscurità, il dannato scompare, lasciandosi alle spalle solo tanto sangue e l’eco di un ultimo gemito che inutilmente ha invocato la pietà Divina.
-Il prossimo!- ringhia Minosse, ritirando la coda.
Non hai bisogno di voltarti per sapere chi sarà la prossima vittima. Quelli sono ricordi, appartengono a un unico soggetto, ma… ma vorresti non vedere questo. Per quanto codardo appaia, vorresti girarti dall’altra parte, chiudere gli occhi e tapparti le orecchie perché non ce la fai a vederlo in uno stato simile. Pagheresti qualsiasi prezzo per impedire a quella coda di accostarsi a Stiles, lo sostituiresti in ogni tortura; tutto, pur di evitare l’inevitabile.
Quando odi i passi leggeri del tuo allora umano avvicinarsi, ti volti tremando. E alla fine, come un raggio di sole nell’oscurità di un buio perpetuo, lo vedi. Ancora troppo magro e fragile, ancora ragazzino. Nudo e pallido, col corpo coperto di nei, ti sorprendi a osservarlo da vicino con un brivido: nonostante non abbia ancora sviluppato i muscoli, le sue braccia sono già sottili e longilinee, i fianchi stretti, seppur acerbi, e le gambe lunghe e affusolate. Il fondoschiena è ancora poco sviluppato, ma ti fanno quasi ridere i tre piccoli nei disposti ai due lati della curva morbida dei glutei.
Stiles Stilinski appare emaciato, dal colorito grigiastro e col corpo coperto di tagli ed ematomi. Ha i piedi lacerati, le unghie spezzate e le mani totalmente devastate. Eppure, nonostante tutto, i suoi occhi appaiono calmi come placida bisaccia, fissi sul volto bestiale di Minosse, che per la prima volta resta interdetto: chi è quel piccolo, fragile umano disposto a guardarlo in viso con occhi tanto gentili? La gentilezza, quella vera, all’Inferno non esiste. Eppure…
-O tu, che venisti in codesto loco di dolore, dimmi: quali son dunque le tue colpe?-
Sorprendentemente, Stiles non risponde. Continua a fissare Minosse, piccolo e coperto di sangue e sporcizia, con occhi scavati e l’aria placida di chi non teme nulla.
-Non mi parli? Sai tu che è mio potere spedirti nel girone peggiore di codesto loco?-
Stiles sta zitto.
-Rispondi al tuo giudice!-
È allora che Stiles affila lo sguardo, sorprendentemente aggressivo e gelido dinanzi a una creatura mostruosa, micidiale più di qualsiasi arma e pronta a spedirlo nel girone più profondo dell’Inferno.
-Non sei il mio giudice.-
-No?- ride Minosse, snudando le zanne poderose. –Sai chi ci finisce qui, giovane fanciullo?-
-I colpevoli.- risponde Stiles con semplicità. –Ma questo è un processo a senso unico. Dimmelo tu che peccato ho commesso.-
Minosse sbatte le palpebre, stordito. Ancora una volta, appare interdetto al cospetto di quel ragazzino troppo coraggioso o troppo stupido che, contro ogni aspettativa, non appare minimamente spaventato dalla situazione. Mai prima d’ora, gli era capitato un soggetto simile.
Lentamente, Minosse lo scruta e si protende verso di lui, inspirando più volte col naso schiacciato da facocero. Corruga le sopracciglia, inclina il capo, annusa ancora.
Stiles resta immobile e non gli stacca gli occhi di dosso. L’unico segno visibile del suo nervosismo, sono le mani strette a pugno, ma non sapresti dire se quello è un gesto di rabbia o di paura.
Minosse si ritrae con calma, scrutandolo. –Innocente.- sussurra, e improvvisamente non pare più così spaventoso. Si ingobbisce, abbassa lo sguardo. –Chi, dunque, quivi ti ha mandato? Bada bene, anima, che se tu sei qui di tuo volere, non ti sarà semplice uscire così come lo è stato accedere.-
-Sono un condannato innocente. Sconterò la pena di mia madre.-
-Non fiuto rancore in te.-
-Perché non ne provo affatto.-
Minosse si immobilizza, stupito per l’ennesima volta . –Io non giudico gli innocenti, ma i colpevoli.-
-Conosci la verità, ma non ti chiedo di adottarla. Tuttavia, sei un giudice: non siete forse i precursori della verità stessa?-
Minosse esita. –Cos’è la verità?-
E improvvisamente, le figure si bloccano di nuovo, il paesaggio si annerisce e tutto ciò che resta sono Stiles e Minosse, cristallizzati in quella posizione statuaria. Prima ancora che il nuovo arrivato alle tue spalle parli, tu già ti volti.
-Così tanto da fare. Così poco tempo. Fai con calma.-
Anche stavolta, il ragazzo giace seduto, con le gambe incrociate e impegnato ad affilare il suo fedele coltello. La felpa è grigia, la maschera di cuoio e acciaio nuovamente mutata. Il muso è più corto, tanto che la cinghia trasversale che lo lega è quasi troppo larga per passare. Eppure, non puoi non riconoscere quel volto bestiale che quasi annega nell’oscurità sotto il cappuccio: un furetto.
Ti immobilizzi improvvisamente, cercando di collegare i pezzi. Senti che c’è qualcosa, che quelle maschere non cambiano a casaccio. Nonostante il ragazzo sia lo stesso, il “volto” cambia. Perché?
Chiudi gli occhi, concentrandoti. Elenchi nella mente le maschere che hai visto, in rapida successione. Tre in tutto.
Un lupo. Un corvo. Un furetto.
Tre animali, tre creature diverse. Le uniche cose che non cambiano, sono il ragazzo e il coltello.
Stranamente, ripensi al momento in cui hai visto per la prima volta le cicatrici di Stiles. Le hai viste come pezzi di storia, una mappatura fitta e dettagliata di una vita intera. Una vita.
E se quella stessa vita fosse rappresentata da tre diversi animali, rappresentanti tre fasi di un momento importante del circolo vitale?
Il lupo. Tutto è iniziato da lì, vero? Il morso di Scott, gli Hale, il branco.
Fase uno: vita.
La vita di Stiles si è poi evoluta, è cambiata radicalmente. Un patto a doppio taglio l’ha condannato all’eterna dannazione… sottraendolo alle cure dei lupi per affidarlo a quelle di un’altra creatura, un amico che mai più lo ha abbandonato.
Il corvo. Diablo. La storia continua così.
Fase due: morte.
Poi, l’Inferno lo ha sputato fuori per mandarlo alla ricerca di qualcosa che per Stiles ha significato nuova speranza, un piccolo punto luce che inconsapevolmente lo ha fatto respirare, gli ha concesso nuova vita.
Il furetto. Diaval, il famiglio di Dumah.
Fase tre: rinascita.
Ora capisci tutto. Sai perché hai l’aspetto del lupo, sai perché quel ragazzo ti segue. Ma resta un ultimo punto interrogativo, un’ultima domanda senza risposta.
Ti avvicini cautamente, gli occhi posati sul coltello. E alla fine, capisci anche questo. Non sai come riesci a decifrare le incisioni, non sai come facciano i tuoi occhi a schiarire l’arcano significato di quei simboli che inizialmente apparivano bizzarri e basta. Ma adesso puoi vederli davvero. E capisci.
Su un lato del coltello, le incisioni sono rosse, sull’altro azzurrine. Stranamente, sai già cosa rappresentano, cosa significano. L’attaccamento morboso che dimostra il ragazzo nei confronti di quell’arma, il suo continuo affilarla, come se si aspettasse qualcosa da essa. Qualcosa come… una decisione importante.
Inferno o Paradiso?
Il coltello è un’arma violenta, addetta all’attacco e alla difesa, se lo si sa usare. E quel ragazzo, ora come ora, non sa chi attaccare e da chi difendersi.
Ma c’è un’altra scelta, lo sai bene. Tu la conosci, anche se a quanto pare, non la conosce lui.
Lentamente, allunghi una zampa e la appoggi sulla mano del ragazzo, quella che impugna il coltello. Ignori la porta alle sue spalle perché stavolta, non vuoi scappare da lui, ma scegli di aiutarlo. Di guidarlo.
Il ragazzo si immobilizza, alza il capo. Dai due buchi sagomati che forano la maschera, gli occhi brillanti d’oro fuso ti scrutano in attesa, calmi e indecisi.
“C’è un'altra strada”, vorresti dirgli. “C’è tutto ciò che mi hai insegnato, c’è una via che tu stesso hai scelto inconsciamente di costruirti. C’è il branco, c’è tuo padre… ci sono io. C’è la tua famiglia, quella vera”.
Il ragazzo continua a fissarti mentre lentamente e con cautela, azzanni senza stringere la punta della maschera e tiri: la cinghia si slaccia di colpo, il cappuccio scivola sulle spalle. E, quando la maschera da furetto cade a terra, dimenticata su quel pavimento nero e inesistente, puoi finalmente vederlo.
È come guardare il sole e la luna insieme, dopo troppo tempo trascorso nell’oscurità: fissi il suo volto, ti abbeveri del suo respiro. E ricordi improvvisamente, che gli angeli esistono, e non tutti hanno ali piumate. Alcuni somigliano semplicemente a piccoli ragazzi buffi con le lentiggini e il naso all’insù. Il tuo angelo custode, finalmente l’hai trovato.
“Stiles”.
Quando Stiles abbassa gli occhi sulla tua zampa, ancora posata sulla lama del coltello, non esiti ad attirare nuovamente il suo sguardo con un guaito.
Lasci che a parlare siano gli occhi, quelle iridi blu elettrico che Stiles ha detto di amare. Lo fissi, perché nello specchio del tuo sguardo avverti il riflesso di mille cose non dette, mille promesse da mantenere.
“Puoi scegliere”.
Stiles trema, perché forse ha capito. Lentamente, le sue dita si allentano e gli occhi si riempiono di lacrime. Sta crollando davanti ai tuoi occhi come il ragazzino che è sempre stato, finalmente umanizzato da quei sentimenti che ha sempre represso per apparire forte in presenza di chi non lo ha mai conosciuto davvero.
“Puoi scegliere. L’hai sempre fatto. Fallo di nuovo, un’ultima volta”.
E il coltello finalmente, cade a terra tintinnando. Stiles stiracchia le dita, rivolge il palmo all’insù per farlo combaciare alla tua zampa. Ogni cosa scivola al suo posto quando gli occhi di Stiles si schiariscono, brillano di luce ritrovata. Ti fissa per qualche istante, per un attimo temi che non ti riconosca.
Poi però, il miracolo accade e piangendo, Stiles ti stringe a sé, affondando le mani nel pelo, aderendo il corpo al tuo. Profuma di buono e di pulito e le lacrime che ti bagnano il manto le avverti come carezze benedette sulla pelle.
Impennandoti sulle zampe posteriori, appoggi i cuscinetti sulla sua schiena in una stretta che di animale, ha ben poco. È finita, puoi sentirlo. Stiles è lì, e forse, per la prima volta in vita tua, ce l’hai fatta davvero.
Chiudi gli occhi, emozionato. Finalmente puoi sentire di nuovo gli odori, e ti sembra di sbocciare nuovamente lì, tra le braccia dell’unica persona che abbia mai conquistato ogni parte di te, ogni aspetto del tuo io, ogni sfaccettatura della tua personalità. Il tuo lupo interiore si inchina alla dolcezza di quel ragazzo che già di suo, ha piegato l’Inferno steso.
Senza sapere perché, inizi a ridere… una risata umana, viva, felice. Non ridi così da anni. E improvvisamente, ti accorgi che le zampe si son fatte mani e il muso non esiste più. I tuoi occhi sono ancora blu, li senti pizzicare, ma quando ti allontani per guardare Stiles in viso, non ti curi più di nulla se non del piccolo tesoro che stringi tra le braccia e che mai più lascerai andare.
Dolcemente, Stiles ti accarezza il viso con mano leggera più di un’ala di gabbiano. Respira la tua aria, ti fissa con una devozione infinita più del cielo, più del mare e dell’universo. Quelli, sono occhi profondamente innamorati e quasi non puoi credere che quell’amore eterno e vivo sia rivolto proprio a te, così imperfetto e inadatto al tocco di un bellissimo angelo.
-Derek.- ti chiama Stiles, sorridendo. –Grazie.-
Non sai cosa accade dopo semplicemente perché tutto ciò che riesci a fare è protenderti verso di lui per baciarlo senza esitazioni. Toccarlo è tutto ciò che desideri, il compimento di una vita intera.
Ma le vostre labbra non giungeranno mai a toccarsi semplicemente perché qualcosa accade e il buio vi inghiottisce, trascinando con sé ogni cosa, ogni ricordo. Stavolta però, è cambiato qualcosa: al cospetto di quell’ultima sfida, al cospetto di Dio e Satana stessi, vi stringete le mani e lasciate che ogni cosa segua il suo corso. Adesso però, siete insieme.
 
Angolo dell’autrice:
Eeeh… sì. Ho aggiornato di nuovo. Questa storia mi costringe a lavorare di notte ormai, ma sto cercando di aggiornare in tempo per evitare di raggiungere Agosto. Abbiate pietà! Prima di decompormi la posterò finita, promesso! Ma passiamo ai ringraziamenti! Sì, i ringraziamenti. A voi, miei splendidi demonietti che mi spingete a lavorare tanto duramente, di giorno e di notte, senza mai stancarmi. A voi, che mi premettete di scrivere ancora e quasi riuscite a convincermi che io sappia scrivere un po’ più di due stupide parole in fila. A voi dedico questa storia, per quanto misera, poiché è attraverso i vostri commenti che Valefar, Dumah, Stiles, Derek e il branco vivono ancora, capitolo dopo capitolo. All’inizio nutrivo ben poca fiducia in questa storia, al punto da non volerla pubblicare. Ringrazio pertanto colui che mi ha convinta a farlo, poiché senza i suoi incoraggiamenti, Legion sarebbe rimasta nel dimenticatoio. Grazie di cuore. I vostri commenti significano molto per me e sul serio, ogni volta non mancate mai di stupirmi, perché certi complimenti non me li aspetterei mai, mai e poi mai. Col cuore in mano, mi inginocchio al vostro cospetto. Grazie.
Elenuar Black
Sophi33
Giada_ASR
Barbara78
Fangirl_mutante_SHIELD
Justin_Onedirection_Smile
_Sara92_

 
Anticipazioni:
“-Ha ragione.- interviene Valefar, gli occhi improvvisamente vitrei ma fissi sulla cappa di oscurità. Non sembra spaventato, ma c’è qualcosa di sbagliato nel suo atteggiamento, nella sua postura rigida. –È l’unica via d’uscita.-
Si volta lentamente, gli occhi fissi in quelli di Stiles, che poco a poco comincia a capire, a decifrare quello sguardo vuoto.
-Valefar…-
-Mi dispiace, dolcezza.-
E allora Valefar lascia andare Scott e Peter, che precipitano nel vuoto con due identici gridi terrorizzati. Li vedi piombare come marionette tra i filamenti oscuri, sfiorarli e continuare a cadere.”

 
Tomi Dark Angel
 
 
  
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