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Autore: sorridopernullawow    20/07/2015    1 recensioni
Sequel di |Belthil|.
Dopo la battaglia, niente è più come prima. Belthil comincia a perdere perfino se stessa pur di ritrovare Calen, l'Elfo che ama. Ma qualcosa di inaspettato le farà aprire gli occhi dal buio di solitudine in cui si era rifugiata.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Custode'
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La pioggia cadeva incessantemente da alcune ore, riempiendo i prati di fango e rinfrescando le chiome degli alberi. L’aria era umida ed un leggero vento gelido mi pizzicava la pelle del viso. Sentivo le gocce di pioggia cadere sulle foglie degli alberi, per poi scivolare sopra di esse e cadere al suolo. Alcuni scoiattoli correvano sui rami in cerca di un riparo, mentre gli uccelli cinguettavano nei loro nidi.
Mi ero riparata sotto un robusta quercia, avvolta nel mio mantello sporco di fango secco, terriccio e polvere. Tenevo la schiena appoggiata al tronco e le ginocchia vicino al petto per tenermi al caldo.

Percepii che qualcosa si stava avvicinando a gran velocità nella mia direzione.
Scattai in piedi e raccolsi in fretta da terra arco e frecce, me li misi in spalla e mi arrampicai sulla quercia fino a quando raggiunsi un ramo abbastanza resistente da sostenermi. Mi accovacciai su di esso ed incoccai una freccia. Qualsiasi cosa fosse in arrivo, dovevo essere pronta.
Appena la vidi abbassai l’arma che tenevo in mano.

Era un frisone nero come l’ebano, con i crini lunghi ed ondulati e gli arti ricoperti per metà da ciuffi di pelo.
Akira.
L’ultima volta che l’avevo vista era quando l’avevo lasciata andare prima di entrare a Mordor, prima della grande battaglia, e avevo perso le sue tracce fino a quel momento.

Balzai giù dalla quercia, atterrando su alcune foglie secche e rese scivolose dalla pioggia. Abbassai il cappuccio del mantello e le andai incontro lentamente.  Appena mi vide rallentò la sua corsa e mi venne incontro anche lei esitante: per lei dovevo essere cambiata molto. Mi fermai e allungai la mano per accarezzarle il muso.

-Akira, sono io, Belthil … non devi avere paura di me …

La mia voce riuscì in qualche modo a convincerla, facendola continuare ad avanzare fino a quando la mia mano toccò il suo muso.
Mi ero dimenticata di quanto fosse morbido il suo pelo, ma soprattutto quanti ricordi erano racchiusi nel suo sguardo: Gil-Galad me l’aveva  donata il giorno in cui avevamo lasciato Mithlond e da subito avevamo stretto un forte legame.

L’abbracciai istintivamente e lei ricambiò appoggiando il muso sulla mia spalla. Non mi importava della pioggia che ormai mi aveva inzuppato da capo a piedi: avevo ritrovato una parte di me.

Continuai ad accarezzarla fino a quando la mia mano sfiorò qualcosa che era legato ad una ciocca della sua criniera: una piccola borsa di cuoio elfica.
La presi in mano e la aprii, trovando al suo interno una pergamena con il mio nome sopra, chiusa da un sigillo dorato con una cascata al centro.
Era il sigillo di Gran Burrone.
Condussi Akira sotto la quercia, ruppi il sigillo e cominciai a leggere la pergamena, facendo attenzione a non bagnarla.

A Belthil, figlia di Aran e Custode della Fiamma Imperitura.
Sono passati trecento anni da quando non ho più tue notizie e sia io che molti altri sovrani siamo molto preoccupati. Abbiamo mandato parecchi Elfi a cercarti ma nessuno di loro è mai riuscito a trovarti, aumentando ogni volta i nostri timori. Alla fine abbiamo deciso di mandare Akira come nostra ultima possibilità, e se stai leggendo queste parole significa che finalmente abbiamo avuto successo. Penso che ormai avrai intuito che Akira non è semplice cavallo, bensì un raro discendente della Razza Immortale e fedele ad un solo padrone.

Trecento anni? Per me ne erano passati al massimo tre: avevo davvero perso la cognizione del tempo. Sollevai lo sguardo dalla pergamena e osservai Akira: aveva ragione, non era invecchiata di un giorno, era ancora forte e giovane. Gil-Galad mi aveva fatto un immenso dono.

Ma non ti sto scrivendo per parlare di Akira. Sappiamo che non vuoi essere trovata e ne comprendiamo il motivo: Calen, il figlio di Gil-Galad che è scomparso nella battaglia di Mordor. Sei intenzionata a ritrovarlo, ma devi iniziare a prendere in seria considerazione la possibilità che sia davvero morto. So quanto eri legata a lui ma è arrivato il momento di andare avanti e ricominciare a vivere la tua vita.

Aveva ragione, non avrei mai smesso di cercarlo. Calen era ancora vivo, ne ero sicura, e non avrei mai preso in considerazione quella possibilità.
Mai.

Sta accadendo qualcosa nella Terra di Mezzo, qualcosa di strano e Gandalf, lo stregone grigio, sostiene che potrebbe essere qualcosa di pericoloso per tutti noi. Tu sei l’unica che può aiutarci a far luce su questa faccenda, per questo ti chiedo di accettare il mio invito a ritornare a Gran Burrone. Appena sarà tutto finito ti lascerò riprendere la tua missione, ma adesso ti imploro di tornare.
Namaarie tenna’ento lye omenta, (addio fino a che ci rivedremo di nuovo)
Elrond.

Doveva essere successo qualcosa di grave per far preoccupare Gandalf.

Lo avevo conosciuto alcuni anni dopo la battaglia di Mordor, quando Elrond mi aveva ospitata a Gran Burrone per più di un secolo. Cappello a punta, folta barba grigia, quasi sempre con la pipa in bocca e con uno spiccato senso dell’umorismo. Appena avevo incrociato i suoi occhi azzurri avevo percepito che c’era qualcosa di speciale in lui, qualcosa di potente che non aspettava altro che essere sprigionato: lui non era un semplice stregone grigio, era destinato ad essere qualcosa di più.

Il giorno in cui decisi di lasciare Gran Burrone, Elrond cercò di farmi cambiare idea, ma Gandalf fu l’unico ad appoggiare la mia decisione.
-Lasciala andare, amico mio. Lei se la sa cavare da sola e se davvero è convinta che Calen sia ancora vivo, ha tutti i diritti di andare a cercarlo. Troverà la sua strada.
Lui aveva capito.

Non potevo rifiutare la richiesta di Elrond. Era un mio amico e anche se non appoggiava la mia decisione, non gli avrei voltato le spalle.
Aspettai che finisse di piovere, poi mi misi in spalla la sacca in cui tenevo i miei viveri, la faretra e l’arco, per poi montare su Akira e iniziare il mio viaggio di ritorno a Gran Burrone.

Era strano cavalcare senza sella, a diretto contatto con il suo morbido manto nero, ma era una sensazione incredibile sentire i suoi muscoli contrarsi sotto di me e il veloce battito del suo cuore, come se fossimo una cosa sola.
Andavamo così veloci che in certi momenti pensavo di volare. A quella velocità non ci avremmo impiegato molto a raggiungere Imladris, la Valle Nascosta.

Ma ero davvero pronta a tornare?
   
 
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