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Autore: _Nerdfighter_    20/07/2015    4 recensioni
(Dal primo capitolo)
"Non gli importava delle conseguenze. Non più almeno, visto che la sua amata non correva più alcun pericolo.
Voleva solo liberarsi di un enorme peso che da anni custodiva gelosamente.
Non avrebbe più mentito alla sua Ran. Mai più."
Prima mia storia su EFP, spero vi piaccia :)
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiroshi Agasa, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Sonoko Suzuki | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Will we ever
say the words we're feeling? Reach down underneath and
Tear down all the walls
Will we ever
Have a happy ending
Or will we forever
Only be pretending?"

A Ran, ormai, scoppiava la testa. Guardò l'orologio: erano le 9.00. Era stanca di ascoltare solo ed unicamente Shinichi che parlava della sua bravura, dei suoi casi risolti, di Sherlock Holmes e simili. Le faceva piacere rivederlo, riabbracciarlo dopo i suoi lunghi viaggi in tutto il mondo, ma pian piano la cosa la stancava sempre di più: le sembrava quasi che i rari ritorni del ragazzo, il tempo passato insieme dopo tanta attesa ed innumerevoli conversazioni telefoniche, non facessero altro che allontanarli ancora di più. Erano fisicamente vicini, faccia a faccia, eppure sentiva di essere distante da lui, dal ragazzo che amava con tutta se stessa.
Aveva provato a farlo restare più volte confessando i suoi sentimenti, eppure non serviva a niente: giorni, se non ore dopo, la cosa finiva con un:"Parto domani, ho un caso irrisolto in *nome di una località a caso*"
"Oh, Shinichi" pensò lei, concentrando la sua attenzione più sugli occhi azzurri del detective, che su quello che lui stava dicendo. "Avremo mai un lieto fine? O scapperai per sempre via da me, per qualche luogo sperduto in Europa?"
Fin da quando era bambina, era convinta che l'amore avrebbe vinto sempre e comunque, su qualsiasi cosa. Lo pensava persino ogni volta che i suoi genitori litigavano, o anche quando Shinichi sembrava preferire leggere le lettere di quelle oche delle sue ammiratrici, piuttosto che uscire con la sua amica d'infanzia. Sembrava che, con tutto quello che era successo a Londra e su quell'aereo in caduta libera, quando aveva dovuto improvvisarsi pilota, la sua teoria fosse giusta: lei sapeva che lui l'amava e viceversa, quindi non c'era più niente che li ostacolasse!
...O almeno, così credeva. Per la prima volta credette che, dopotutto, l'amore non poteva vincere proprio su ogni cosa. E sentiva che ciò la faceva, a poco a poco, morire dentro, e la faceva sentire terribilmente, incredibilmente, triste e abbandonata.
Sbuffò, continuando a guardare il ragazzo a cui nonostante tutto era molto devota.
"...E ho scoperto che aveva utilizzato l'allarme come diversivo, in modo da avere tutto il tempo per uccidere la vittima... Stava per fare la stessa cosa con la suocera, ma per fortuna l'ho scoperto!" Disse il detective sorridendo, interrompendo talvolta il racconto per sorseggiare un meritato caffè.
Sospirò, appoggiando la tazzina ancora bollente sul tavolino del bar. "Ran, so che non hai ascoltato una singola parola di quello che ho detto nell'ultima mezz'ora. Si può sapere che ti succede?" Ci volle qualche secondo, prima che la karateka capisse di essere stata interpellata dall'amico. "Ma che dici? Guarda che ti ho ascoltato, è solo che... Ehm... Nell'ultima parte mi sono distratta, ecco." "Ah sì? Solo nell'ultima parte? Allora dimmi: qual è il nome della figlia di Sojitora?" Ran sussultò. Shinichi, (come sempre, del resto) aveva ragione: lei non aveva ascoltato neanche una parola della sua storia, ma non voleva apparire disattenta agli occhi del ragazzo e tantomeno deluderlo, in un certo senso; quindi pensò a possibili nomi da ragazza, e fece un tentativo. Anzi, più di uno.
"Allora, se non ricordo male era qualcosa come Nami... Ah no, aspetta, era qualcosa come Ryumi, ne sono certa!" Shinichi non riuscì a non trattenere un sorrisetto, quindi disse:"Lo sapevo che non avrei dovuto parlarti solo e soltanto di me, annoiandoti. Nel caso di cui di stavo parlando non c'era nessun Sojitora. Però, noia a parte, c'è qualcosa che ti opprime o sbaglio?" Ran sospirò, per poi fare una risatina, in modo alquanto innaturale, nervoso. "Perchè, scusa, hai mai sbagliato qualcosa? Non credo, visto che tutto il mondo ti acclama e chiede il tuo aiuto per risolvere casi impossibili" disse acida, per poi ordinare ad un cameriere che passava lì accanto un bicchier d'acqua. "Ah, quindi è di questo, che si tratta. Ran, ne abbiamo già parlato decine, centinaia, se non migliaia di volte. Sono un detective, questo è il mio lavoro, le persone chiedono il mio aiuto, devo assentarmi spesso per alcuni mesi, e io cosa dovrei fare? Dire di no, solo perché voglio trascorrere un po' di tempo in più con la mia..." Si bloccò, per qualche secondo. Cos'era per lui Ran? Di certo, un'ottima amica. Sicuramente. Però, se ti viene voglia di abbracciare o baciare la cosiddetta "amica", è molto probabile che ci sia di più, sotto. D'altro canto, non erano fidanzati; dunque, il ragazzo non poteva definire la karateka neanche con una certa parola che inizia per "R" e finisce con "agazza". "...la mia migliore amica", continuò, mostrandosi disinvolto e sperando di non arrossire. "Vista da questo lato, hai ragione. Ma non pensi a me? Non pensi a quanto soffro, ogni volta che tu dici di dover partire, per poi ripresentarti dopo mesi e mesi? Non pensi a quanto soffro, vedendo il tuo banco vuoto quasi tutti i giorni, a scuola? Prima o poi dovrai decidere definitivamente tra la carriera e... Gli affetti. E so già che non sceglierai la seconda opzione." "Ran, ti sbagli, io non-" "Eh no. Adesso sì che sbagli. Smettila di fingere, Shinichi, ti prego. Non possiamo andare avanti così per sempre. A Londra mi hai detto che mi amavi... Eppure, i fatti sembrano voler dire tutt'altro." Detto questo, si alzò dal tavolino, prese la sua borsa e si alzò, incamminandosi verso casa. "Ran aspetta, posso spiegare!" Ma la ragazza era stanca, delle sue spiegazioni. Al momento, non voleva più saperne niente. Voleva solo tornare a casa, sfogarsi con la sua migliore amica e magari persino accompagnarla a fare shopping. Quindi, cercando di trattenere le lacrime e lasciando un confuso e pensieroso detective al bar da solo, tornò a casa.

"E così se n'è andata e ti ha lasciato da solo, senza possibilità di spiegare?" Shinichi annuì. "Beh, sai come si sente Ran, ogni volta che la abbandoni. Non pensi sia ora di... Sì, insomma... Parlare dei vostri sentimenti e chiarirvi, una volta per tutte? E poi, perchè non le hai ancora parlato della vera identità di Conan? Dopotutto, sono mesi ormai che l'organizzazione è stata catturata." Il ragazzo sospirò, riflettendo. "Beh, tecnicamente, l'abbiamo fatto. Le ho detto che la amo, e lei ha fatto lo stesso con me. Per quanto riguarda Conan... Non so, ho paura che ci siano ancora membri dell'organizzazione o loro simpatizzanti ancora liberi e pronti a far fuori me e tutti quelli che amo." Scosse la testa, evitando lo sguardo preoccupato e allo stesso tempo impietosito del Dr. Agasa. Lui stesso era stanco di mentire a Ran, cercando di inventarsi ogni volta una scusa più o meno credibile, coprendo un segreto che ormai non avrebbe danneggiato più nessuno, fisicamente. L'organizzazione degli Uomini in Nero ormai era morta e sepolta.
Persino Shiho non ne parlava più, se non in rare occasioni. Lei stessa, per dimenticare tutto quanto e non essere tormentata dai demoni del suo passato, aveva deciso di restare bambina, e non intendeva tornare indietro. Avrebbe continuato ad aiutare Shinichi nella ricerca di un antidoto, ma l'avrebbe fatto solo per lui; dopotutto, non le dispiaceva affatto essere una bambina: ottimi voti a scuola, un bambino innamorato di lei, persone attorno a lei che le volevano bene, e molto di più. 
Shiho Miyano ormai era considerata da tutti una persona morta. Ora esisteva solo Ai Haibara, una ragazzina sveglia, bella ed introversa. E per nulla al mondo avrebbe voluto cambiare quella vita a cui si era abituata, una vita quasi perfetta, con quella problematica e pericolosa di Shiho. Prima o poi lei avrebbe trovato un antidoto funzionante e duraturo per l'APTX4869, ma cos'avrebbero dovuto fare Agasa e Shinichi, fino ad allora? Continuare a fingere, mentire, far soffrire di continuo la povera Ran per la lontananza dell'amico quando lui stesso le era stato sempre accanto, anche se con statura, voce ed età diverse? No, no, e ancora no. O Shinichi le avrebbe detto la verità, o lei stessa l'avrebbe scoperta, in qualche modo.
Agasa avrebbe voluto parlarne con Shinichi, convincerlo a confessare tutta la verità all'amica d'infanzia, invece di continuare a farla soffrire.
In cuor suo, però, sapeva che il ragazzo non gli avrebbe dato assolutamente retta.

Una vocina continuava a tormentarlo. Inizialmente pensava di essersi immaginato tutto. Ma poi Sonoko Suzuki gli diede uno schiaffo così forte che per un attimo credette di essersi beccato in faccia una palla di cannone. "Ma si può sapere che vuoi?!" disse il detective, cercando di coprire l'impronta della mano di Sonoko sulla sua guancia, ormai diventata rosso fuoco.
"Voglio salvare la felicità della tua mogliettina, imbecille! Sarai pure un detective da quattro soldi famoso in tutto il mondo, ma possibile che tu non possa prenderti una vacanza?! Mica tu sei l'unico detective esistente in questo mondo!" "Sicuramente no, ma sono tra i migliori", disse il ragazzo, vantandosi delle sue ottime capacità deduttive. A Sonoko, però, non interessavano affatto le sue abilità. "Vuoi ricevere un altro di questi?" Minacciò, mettendo bene in mostra il palmo disteso della sua mano, pronta a colpire un'altra volta. Shinichi, ovviamente, preferì evitare. "Suzuki, arriva al punto. Che vuoi che faccia? Che annulli tutti i miei casi irrisolti e li affidi a qualcun altro?" "Finalmente hai detto qualcosa di sensato ed intelligente, Kudo! Ricordati: non ci sarò sempre io ad incastrare te e Ran in serate romantiche, specie se tu continui a farla penare con le tue assenze! Pensa bene alle tue azioni future, detective dei miei stivali! Altrimenti ti verrò a trovare, dovunque tu sia, e ti spedirò tramite schiaffo sulla Luna! Chissà, magari anche i poveri alieni hanno bisogno di risolvere dei casi di omicidio impossibili", disse la ragazza ridacchiando e andando via, lasciando uno Shinichi dalla guancia dolorante riflettere su molte cose.
Altro che quei casi "impossibili". Al confronto, la situazione che lui stava vivendo era cento volte più difficile da risolvere.
Dopo mezz'ora di riflessioni, prese il telefono e compose un numero che aveva chiamato per anni, un numero che ormai sapeva a memoria. Aspettò, finchè una voce, quella voce, non rispose: "Shinichi, cosa c'è?"
"Dobbiamo parlare. Vediamoci tra un quarto d'ora a casa mia, okay? È importante." Senza aspettare la sua risposta, riattaccò. In cuor suo, sentiva che lei sarebbe venuta.
Doveva farlo, perchè ciò di cui Shinichi avrebbe voluto discutere era qualcosa che non voleva, nè poteva più rimandare. Non voleva più fingere.
Tra pochi minuti avrebbe raccontato tutta la verità a Ran, senza tralasciare nessun dettaglio della storia.
Non gli importava delle conseguenze: non più, almeno, visto che la sua amata non correva più alcun pericolo. Voleva solo liberarsi di un enorme peso che da anni custodiva gelosamente.
Non avrebbe più mentito alla sua Ran.
Mai più.
   
 
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