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Autore: Maty66    22/07/2015    3 recensioni
Può un'amicizia sopravvivere a tutto il dolore che a volte la vita ci riserva? Al senso di colpa che ti attanaglia per aver lasciato il tuo migliore amico solo nel momento del bisogno? O al dolore di vedere la propria vita travolta da menomazioni fisiche che forse mineranno la tua indipendenza per sempre?
E cosa si nasconde nel luogo in cui Ben si è rifugiato per sfuggire a tutto? Possono le persone che incontrerà sul suo cammino aiutarlo a riprendere in mano la tua vita?
Sequel di "Il paradiso può attendere". E' consigliabile anche se non necessario, leggere la storia precedente.
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 LA CLINICA DEGLI ORRORI di MATY66 e CHIARABJ
 
 Capitolo 5
 Ferite aperte e piani falliti
 
Semir aveva quasi contato le ore che lo separavano dalla possibilità di vedere finalmente Ben e scoprire cosa stava succedendo in realtà al suo amico.
Aveva mandato centinaia di messaggi e chiamato almeno dieci volte al giorno, ma Ben aveva sempre risposto con il solito messaggio di rassicurazioni che suonava ancor più preoccupante.
Il piccolo turco era stato completamente distratto sul lavoro in quei giorni, in altri tempi la questione dei farmaci  illegali scoperti sul tir andato distrutto avrebbe occupato la sua mente a tempo pieno,  ed invece non riusciva altro che a pensare a Ben.
Ma ora Semir era decisissimo; aveva già  fatto preparare da Andrea la stanza al piano terra e l’avrebbe trascinato di nuovo a casa con lui, di sua volontà o anche tramortito.
Questa storia doveva finire.
Poi si poteva decidere il da farsi, il necessario era farlo uscire di lì.
Quel posto gli dava i brividi al solo pensarci.
Mentre parcheggiava la BMW si sforzò di pensare bene alle cose da dire e al tono da usare; se lo aggrediva rischiava di ottenere l’effetto contrario, ma il suo animo era decisamente… incazzato.
Non se ne sapeva spiegare bene la ragione, ma era veramente incazzato con quel ragazzo.
“Buongiorno, vorrei vedere Ben Jager per favore” disse con aria spazientita all'infermiera della reception.
“I pazienti sono quasi tutti nel giardino. Può trovarlo lì, se ha voglia di ricevere visite” rispose la donna con aria gelida e professionale, indicandogli la porta di fronte che dava sull’ampio giardino della clinica.
Era un parco enorme  e Semir non vide subito l’amico in giro.
Iniziò a gironzolare cercandolo con la sguardo sino a che non lo vide.
Era accanto ad una panchina e stava discutendo con un uomo elegantemente vestito che vi sedeva.
Anche da lontano Semir poteva percepire la tensione fra i due.
“Maledizione, Konrad” pensò riconoscendo subito l’uomo che parlava con Ben.
Si rimproverò mentalmente per non essere arrivato prima del padre dell'amico.
I rapporti fra padre e figlio, dopo quello che era successo l’anno prima, erano migliorati sino ad un certo punto, ma il rancore, la paura e lo sconcerto  del vecchio imprenditore per il lavoro del figlio erano venuti tristemente a galla di nuovo quando era diventato chiaro che Ben non si sarebbe alzato tanto facilmente dalla sedia a rotelle.
Konrad continuava a credere che la ragione, la causa di tutto quello che era successo era il lavoro che Ben si era scelto, e non mancava di farglielo notare ogni volta che incontrava il figlio.
Semir poteva capire il dolore che il vecchio provava nel vedere il figlio ridotto su di una sedia a rotelle, ma come faceva a non comprendere che così  peggiorava solo la situazione?
A volte l’avrebbe volentieri preso a pugni per il dolore che cagionava al suo migliore amico.
“Almeno pensaci. Il posto d'amministratore delegato è sempre disponibile e per quel lavoro non c’è bisogno che tu…”  disse Konrad.
Semir  si bloccò ad alcuni metri di distanza, indeciso se intervenire nella conversazione fra padre e figlio.
“Che io stia sulle mie gambe giusto?” 
Ben concluse la frase in tono amaro.
“Non ho detto questo. Ma devi iniziare a pensare al tuo futuro…”
Semir sentì la rabbia che gli saliva.
Come poteva un padre dire praticamente al figlio di rassegnarsi a passare la sua vita su di una sedia a rotelle? Come faceva a non capire che Ben si DOVEVA alzare da quella sedia e tornare a fare quello per cui era nato, ovvero il poliziotto?
“Dopo tutto, se vogliamo essere sinceri, la colpa di quello che è successo è…”
Semir stavolta ebbe serissime difficoltà a restare calmo e distante, ma si sforzò a farlo.
Non voleva di nuovo compromettere i rapporti con il padre di Ben e soprattutto non voleva impegnarsi in un litigio davanti al suo amico.
“Certo la colpa è mia e del lavoro che mi sono scelto. Penso che ora tu debba andare papà. Julia ti sta aspettando a quella conferenza, giusto? Salutamela e dille che sto bene”
Ben guardò il padre gelido.
Konrad si alzò sospirando.
“Ok, allora ci vediamo figliolo” disse senza neppure tentare di abbracciare il figlio per salutarlo.
Semir voleva credere che  lo faceva perché il vecchio sapeva che Ben si sarebbe ritratto, ma non ne era poi così sicuro.
Sospirò di sollievo mentre Konrad prendeva un’altra direzione per uscire dal giardino, almeno non lo doveva incrociare.
Non era sicuro di riuscire a trattenersi dal prenderlo a pugni.
Aspettò un paio di minuti prima di avvicinarsi a Ben, non prima di aver indossato una perfetta maschera d'allegria. L’incazzatura era sparita.
Ora era solo preoccupato nel guardare la figura del giovane poliziotto, triste ed ingobbito sulla sedia.
“Ciao socio… comunicare con te è diventato difficile” disse sorridendo.
“Ciao” si limitò a rispondere Ben guardando altrove.
“Allora… come stai? Hai iniziato a dare fastidio a tutte le infermiere?”
Semir cercò d’imprimere alla conversazione un tono sciolto.
“Bene. Sto bene. Perché non hai portato le bambine allo zoo?” chiese in risposta l’amico senza guardarlo in faccia.
Brutto segno, stava mentendo.
Ormai Semir aveva imparato a captare le bugie che gli diceva Ben dal linguaggio del corpo.  
“Sì  certo andiamo nel pomeriggio allo zoo. Anzi in realtà ho dovuto faticare parecchio per convincere loro ed Andrea a non venire, hanno piantato una tale storia. Vogliono vedere lo zio”
“Questo non mi pare proprio posto per le bambine” 
Ben aveva una voce atona e dura.
Semir rimase per un po’ in silenzio, indeciso su cosa dire.
“Ben… posso sapere cosa c’è che non va?” chiese preoccupato.
Stava prendendo il discorso alla larga, ma se attaccava subito era sicuro di ricevere un rifiuto ed il suo obiettivo era tornare a casa con Ben quella mattina.
  “Nulla, va tutto bene”  fu l’unica risposta.
Semir iniziò a perdere la calma che si era imposto.
“Senti, non mi dire cazzate. Ti conosco troppo bene. Il problema è questo posto. Non è adatto, sembra una prigione. Sono tutti scortesi e freddi. Ad iniziare dalla pazza che quando siamo arrivati stava per metterti sotto con la bicicletta…”
“Fanno solo il loro lavoro” replicò l’amico.
“Ecco appunto fanno il ‘solo’ loro lavoro, non sanno cosa significhi essere vicini ai pazienti. Non mi piace questo posto. Ho una brutta sensazione, quindi per favore, facciamo le valigie e vieni via con me. Troveremo un’altra clinica se proprio vuoi”
“Va bene qui. Non ti preoccupare”
“Non va bene affatto! Non cercare di mentirmi, perché in fondo io ho capito qual è il vero problema. Tu non vuoi veramente stare qui, tu vuoi stare solo lontano da noi… da tutti giusto? E’ per questo che non rispondi alle chiamate e mandi finti messaggi di rassicurazione”
Ben non rispose, ma mosse la sedia verso l’entrata voltandogli le spalle.
“Ben per favore… aspetta dai, non volevo” fece Semir sentendosi da schifo.
Come al solito aveva lasciato che il suo caratteraccio prendesse il sopravvento.
Era arrivato con le migliori intenzioni per convincerlo a venire via e meno di cinque minuti dopo lo stava aggredendo.
“Ben…”
Ma il giovane era già lontano alcuni metri.
Semir vide un ragazzino  su di una sedia a rotelle venire incontro a loro.
“Ben… dai vieni, ti faccio conoscere i miei genitori” disse il bambino, bloccando Ben con aria adorante sul viso.
Svelto ne approfittò per raggiungere Ben.
“Ciao, io sono Leon” fece il piccolo non appena Semir li raggiunse.
“Semir” si presentò il piccolo turco, mentre gli si stringeva il cuore alla vista del piccino. 
La stessa età di Aida e così sfortunato.
“Sei anche tu un poliziotto?” chiese Leon.
“Semir era il mio socio di lavoro” intervenne  Ben.
Il verbo della frase, declinato al passato, fece a Semir più male di una coltellata.
“Io SONO il socio di lavoro di Ben. Sì siamo in polizia insieme”
Gli occhi di Leon s'illuminarono letteralmente.
“Forte. Anche tu  catturi gli assassini?” chiese adorante.
“Beh ci provo”  rispose Semir con un gran sorriso.
“Semir stava andando via.  Dì ai tuoi genitori che sto arrivando”
 
Lo sguardo di Ben era più che eloquente.
“Ok… ciao Semir”
Leon salutò e spinse la sua sedia  lungo il vialetto.
“E’ ora che tu vada Semir” disse il giovane duro e senza emozione.
“Aspetta un  minuto. Non credere di liberarti di me così facilmente mio caro. Te lo ripeto questo posto non è adatto. E poi  sai chi è il tuo compagno di stanza? Un…”
Ben lo bloccò con sguardo di fuoco.
“Non mi interessa chi era Alex fuori di qui Semir… e sai perché? Perché qui dentro siamo tutti uguali. Gente storpia che non può camminare e non è indipendente. Cosa siamo stati fuori di qui non ha più nessuna importanza. Per favore ora vai via. Ciao Semir” urlò girandogli le spalle.
Semir rimase come congelato.
Era molto peggio di quanto aveva previsto.
Non riuscì  a fare niente altro che guardare Ben che raggiungeva Leon e i genitori ed iniziava a parlare con loro.
 
“Ehi tu… credi di far bene, di aiutare così?”
La voce di Alex fece sobbalzare Semir che si stava avviando all’uscita.
L’uomo se ne stava appoggiato ad un albero, con le stampelle a fianco, e fumava una sigaretta.
Il piccolo turco provò un'ondata di rabbia travolgente.
“Come ha detto scusi?”
“Ho chiesto se credi di far bene parlando al ragazzo in quel modo” ripeté calmo l’uomo.
Semir cercò di controllarsi.
“Conosco quel ‘ragazzo’ da molto più tempo di lei. E’ il mio migliore amico e certo non accetto lezioni su come comportarmi o su cosa sia meglio per lui” sibilò furioso.
“Se pensi che venire qui e prima ancora di chiedergli come sta, imporgli di venire via con te, allora sei più stupido ancora di suo padre” rispose il vecchio, sempre calmo.
“Ma cosa ne sa lei di Ben? Cosa ne sa di quello che ha passato negli ultimi due anni? Non accetto lezioni da un…” Semir si bloccò appena in tempo per non pronunciare la parola fatidica.
“Pregiudicato? Dillo pure. Cosa sono non è un mistero qui. La voce sarà giunta certamente anche a Ben, senza bisogno che glielo dici tu”
“Non ho intenzione di discutere con lei di Ben. Lei non ha alcun diritto d'intromettersi”
“Neppure tu. Ben non è un bambino…” borbottò l’uomo.
Semir buttò fuori l’aria per tenersi calmo e si girò senza neppure dire un parola.
“Quello di cui ha bisogno non glielo puoi dare. Deve farcela da solo. Renditene conto” gli urlò Alex di riamando.
 
Pensieri furibondi si agitavano nella testa di Semir mentre percorreva il grande salone della clinica verso l’uscita.
Si rendeva conto che ormai era andato in ‘modalità iperprotettiva’, e che probabilmente Alex  aveva ragione  sul fatto che non poteva arrivare lì e aggredire Ben cercando di convincerlo a venir via.
Ma Semir aveva paura.
Paura  non tanto che il suo migliore amico non tornasse a camminare sulle sue gambe, ma che non tornasse più ad essere il ragazzone intelligente allegro e scanzonato che era sempre stato.
E che tutto questo fosse colpa sua.
Perché era colpa sua quello che era successo l’anno prima.
Semir cercò di cancellare le immagini spaventose di Ben che praticamente gli moriva fra le braccia nella neve.
Con la coda dell’occhio vide in un angolo la fisioterapista parlare con altre due ragazze del personale e non riuscì a trattenersi.
“Proprio lei cercavo” sibilò parandosi davanti alla giovane che conservò una calma olimpica.
“Come posso esserle utile signor Gerkan?” rispose Chiara.
“Posso dirle due parole in privato?” chiese Semir conducendola in un angolo appartato.
“Non mi pare che Ben stia bene…  mi è sembrato abbastanza depresso”
“Non credo di poter discutere con lei delle condizioni mediche del signor Jager. Lei non è un familiare…” protestò la ragazza.
“Lasci perdere, con me non funziona. Cosa fate qui? Vi divertite a torturare i pazienti? Il vostro primo dovere dovrebbe essere quello di far star bene i vostri pazienti. Invece Ben sta cento volte peggio di quando l’ho lasciato”
“Il signor Jager sta seguendo i protocolli di cura… certo non è molto collaborativo, ma questo nei primi giorni può essere normale”
“Normale? Non ha risposto a nessuna delle chiamate mie o di mia moglie o delle bambine. Lui stravede per le mie figlie, non è mai stato più di due giorni senza parlare con loro almeno al telefono. Ed ora invece se ne sta qui isolato da tutto e tutti. Praticamente mi ha cacciato prima. Secondo lei è ‘normale’ questo?”
Ormai Semir stava quasi urlando e tutti i presenti si erano girati verso la loro direzione.
“Abbassi la voce e si calmi. Mi creda qui stiamo facendo di tutto per sostenere il paziente, ma il trauma psicologico…”
“Stava benissimo, o comunque meglio prima di venire qui…”
“Senta signor Gerkan capisco le sue preoccupazioni, sono comuni a  molti dei familiari. Ma l’importante è capire che il processo di guarigione è una cosa molto personale. E avere qualcuno che ti assilla e ti sta continuamente vicino, nonostante le migliori intenzioni, spesso non aiuta il paziente a trovare dentro di sé la forza”
“Ah… ora sarebbe colpa mia!” Semir ora era rosso dalla rabbia.
“Non ho detto questo. Solo che se il signor Jager non trova dentro di sé la forza per reagire non si alzerà mai da quella sedia. E quella forza non gliela può dare lei, evidentemente, altrimenti Ben non sarebbe qui”
Semir rimase scioccato. 
In fondo quella giovane lo stava mettendo davanti alla realtà: lui non era con evidenza capace di aiutare il suo amico.
Ma il piccolo turco era troppo testardo per ammettere le sconfitte.
“Mi aspetto che non gli succeda nulla… altrimenti…”
Chiara non rispose, si limitò a girare i tacchi e tornare verso la reception.
 
“Merda, merda, merda” imprecò Semir uscito nel parcheggio, mentre prendeva a calci la ruota della BMW.
Era andato tutto storto.
Voleva portare Ben a casa ed invece ci aveva litigato.
Voleva dare una lezione a quella fisioterapista ed invece era stato messo di fronte al suo fallimento.
E ora se ne stava tornando a casa lasciando Ben in quel posto che continuava a dargli i brividi, anche se non sapeva bene spiegare il perché.
 
“Questo posto brulica di poliziotti ormai” fece il giovane medico, guardando fuori dalla finestra Semir che si allontanava sulla sua BMW.
“Questo non è il nostro problema principale allo stato” rispose Stein senza alzare gli occhi dal pc.
“Piuttosto, hai detto ai nostri fornitori che non tollererò più alcun errore? E’ il secondo carico che perdiamo e per di più stavolta una delle casse è finita in mano alla Polizia”
“Non ti preoccupare, nulla può collegare quel tir a noi. Fortunatamente è andato tutto a fuoco, compreso l’autista” rispose il medico giovane.
“Sì, ma io ho bisogno comunque della mia fornitura, senza mi dovrò fermare… e io voglio risultati entro l’anno”
“Non ti preoccupare. Il nuovo carico è già in viaggio. Arriverà via fiume stavolta”
“Speriamo. Ti ripeto non tollero altri errori. Piuttosto… questo è il programma per la settimana” disse Stein porgendo al  giovane una cartellina.
Il medico diede una rapida occhiata.
“Sei sicuro di voler aumentare così le dosi sul  paziente 6? Può essere pericoloso”
“Lo so, ma se non corriamo qualche rischio non otterremo mai risultati. Bisogna osare” Rispose Stein del tutto indifferente.
“E’ giovane, allo stato è l’unico che risponde ai requisiti” continuò.
“Sì, ma se  va male come le altre volte?”
“Allora faremo sparire tutte le tracce, come le altre volte” sorrise Stein.
 

Angolino musicale: la coppia d’oro della CID è scoppiata un’altra volta e i due soci nuovamente divisi da insanabili accadimenti???Ma, forse, chissà, una cosa è certa raramente l’intuito di Semir sbaglia…ma ciò basterà a farli tornate uniti???
Nick Lachey ‘What's Left Of Me’(ciò che resta di me)
 
 
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=899a8WlVpNk
Guarda la mia vita,passa come nel specchietto retrovisore Immagini congelate nel tempo Stanno diventando più chiare Non voglio sprecare un altro giorno Bloccato all'ombra dei miei errori Perché voglio che…E ti sento Strisciare sotto la mia pelle Come una fame Come un bruciore Per trovare un posto che non sono mai stato
Ora sono a pezzi E sto svanendo Io sono la metà dell’uomo che pensavo di essere,
Ma si può avere ciò che resta di me,sto morendo dentro Poco a poco Non so dove andare…
  
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