Freddo, quel freddo che ti attraversa le membra e ti fa
sentire come se un milione di piccoli aghi si infilassero perfidi nella tua
carne. E poi l’odore dell’aria, così fetido e malsano da darti l’imprerssione di
morire solo per averlo percepito per pochi secondi. Infine la pioggia, una
pioggia leggera ma molto fitta, che
cadeva da quel cielo nero come la pece, tipico delle notti di Chicago, dove mai
è possibile vedere le stelle.
Lui
sorrise ironico, quello poteva sembrare il tipico scenario per uno di quei film
drammatici che tanto andavano di moda: quelli in cui il protagonista, un povero
diperato che per qualche strano tiro della sorte perde tutto ciò che possiede e
per questo, in preda alla disperazione, decide di uccidersi, spesso in uno
squallido vicolo pieno di immondizia, sotto una pioggia fitta come quella,
cosicchè quando il corpo cade a terra il suo sangue si mescola all’acqua che
scende dal cielo.
Il suicidio… che cosa stupida! Il tipico gesto di chi
vuole fuggire.
Perché si era ritrovato proprio quella sera a camminare
sotto la pioggia, ad annusare quella puzza che aleggiava nell’aria, talmente
intensa che nemmeno la pioggia riusciva a spazzarla via del tutto? Proprio lui,
che sin da bambino era sempre stato dotato di un olfatto molto più sensibile
della media… Non lo sapeva nemmeno lui.
Gli
era da poco arrivata la lettera di coscrizione, sarebbe dovuto andare a
combattere contro l’Asse. Tutta colpa di quei bastardi dei giapponesi e del loro
dannato attacco a Pearl Harbor di qualche settimana prima. Quella mattina era
uscito di casa molto presto, così non aveva avuto la possibilità di controllare
la posta, ma quando era tornato dal lavoro…
Era
tornato a casa stanco, molto stanco, con la sola voglia di stendersi a letto a
dormire, senza neanche mangiare, ma come aveva aperto la cassetta della posta e
ne aveva visto il contenuto il cervello gli si era letteralmente svuotato e gli
era preso lo strano desiderio di andare a farsi un giro, un giro molto
lungo.
Ed
ora si trovava lì, a girare per le pericolose vie di Chicago, con solo il suo
serramanico nella tasca destra del soprabito a dargli una pallida parvenza di
difesa contro eventuali aggressori, ma lui non aveva certo paura, lui aveva
sempre avuto un pugno potente, sei poi loro avevano una pistola… avrebbe voluto
dire che non era la sua serata fortunata.
Sbuffò, cominciando a guardarsi intorno: aveva già preso
troppa pioggia, doveva andare a rifugiarsi da qualche
parte.
Fu
in quel momento che lo notò, uno di quei locali notturni che tanto andavano di
moda tra gli uomini di Chicago. L’insegna al neon rossa, con qualche lettera
malamente intermittente diceva “Kitkat club”.
Quella non era certo la sera più adatta per andare in un
locale a farsi una bevuta, ma la voglia di svagarsi un po’ si fece sentire, così
senza troppe cerimonie decise di entrare.
Non
appena ebbe varcato la soglia si trovò investito da una cappa d’aria calda e
densissima, permeata da un intenso odore di fumo, tanto intensa da farlo tossire
un paio di volte.
Si guardò
un attimo in giro, si trovava in una piccola stanza dalle pareti scure,
illuminata da una luce giallastra proveniente da alcune lampade poste agli
angoli.
Alla sua destra un bancone con dietro varie file di
appendiabiti, evidentemente il guardaroba. Al bancone stava un’avvenente e, lo
notò quasi subito, formosa
guardarobiera, vestita come si conveniva alle donne che lavoravano in quel
campo: un papillon rosso con colletto bianco al collo ed un bustino nero, il
tutto coperto da un’elegante giacca nera. Aveva i lunghi capelli biondi
acconciati in una coda alta, due grandi occhi azzurri e quell’espressione mista
di innocenza e lussuria capace di mandare in brodo di giuggiole qualsiasi uomo
avesse avuto la sfortuna di incapparvi.
Gli si rivolse con un sorriso di cortesia: -Buona sera!
Se vuole lasciare qui il soprabito…-
Glielo porse, notando con compiacimento le occhiate
furtive che la ragazza gli lanciava. Era un piacere sapere di aver suscitato un
certo interesse anche in una ragazza così bella, anche se ad essere sinceri lui
non era nuovo a questo genere di cose.
Lui
non era bello, o meglio, non era un tipo particolarmente bello. Si riteneva un
tipo comune, neanche tanto propenso alla preoccupazione per l’aspetto esteriore
di cui, a dirla tutta, gliene importava quanto gliene importasse della
situazione politica di uno stato del centro Africa. Aveva però una forza
magnetica particolare, un qualcosa in grado di attirare l’attenzione femminile.
Probabilmente quell’aspetto selvaggio che tante volte gli era stato rimproverato
dalla madre e dalla sorella maggiore, ma che tante volte era riuscito a sedurre
anche donne di una certa levatura sociale o anche incredibilmente affascinanti,
come la guardarobiera in questione.
-Lei è arrivato appena in tempo, comincerà fra poco!-
sorridendo, la ragazza era tornata dal guardaroba porgendogli un biglietto col
numero del suo soprabito, ammiccando in maniera eloquente.
Lui
rimase un attimo spiazzato: cos’era che doveva cominciare? E poi perché lei
ammiccava in quella maniera?
Ma
chi se importa! Probabilmente parlava dello spettacolo. Magari quella sera era
in programma qualche spettacolo di burlesque di quelli particolarmente spinti.
Perfetto! Lui adorava quel tipo di cose…
Sorridendo prese il biglietto e le sorrise, mostrando i
denti bianchissimi, soprattutto i canini, leggermente più lunghi della media,
una specie di malformazione che aveva sin da bambino: -Grazie mille! Buona
serata!-
Lei gli sorrise sensuale: -Buona serata a
lei!-
Lanciando un’ultima occhiata alla bella guardarobiera,
aprì la porta che portava al locale vero e proprio. La cappa di caldo aumentò
vertiginosamente, avvolgendolo come una seconda pelle, non solo l’odore di fumo
era molto più intenso, ma addirittura il fumo stesso era andato a formare una
sorta di nebbiolina che aleggiava nella stanza a livello dei
lampadari.
Il
locale era straordinariamente pieno per un periodo come quello, soprattutto
considerando che molti uomini americani erano già stati aruolati nell’esercito.
Sembrava che gran parte della Chicago maschile rimasta in città si fosse
raccolta in quel locale “Perché poi andare a rintanarsi in un posto come questo?
Con tutto il casino che c’è qui poi… Forse anche questi si trovano nella mia
situazione…”
Era
una spiegazione plausibile, in fondo non era l’unico che aveva ricevuto la
lettera di coscrizione quella mattina, ma una questione rimaneva ancora
irrisolta… Perché proprio tutti in quel locale? Lui ne aveva frequentati di
posti del genere, ma mai aveva trovato un tale marasma.
Fu
solo per un puro colpo di fortuna che riuscì a trovare un posto vuoto al bancone
che stava nel lato destro del locale. Di fronte a lui un barista dall’aria
annoiata, con uno stranissimo codino sulla testa, seviva di malavoglia il gran
numero di clienti che affollava il locale.
Fu con una faccia particolarmente scazzata che si
rivolse a lui: -Cosa prendi?-
Non
potè fare a meno di lasciarsi scappare un ghigno alla vista di quella faccia
imbronciata: - Cointreau con ghiaccio.-
Il
barista sbuffò scocciato, borbottando in maniera sommessa: -Ecco! Tutta questa
gente che ordina roba pesante e poi non la sa sopportare… E poi o mi distruggono
il locale o se ne stanno qui a dormire fino a domattina! Ah ma non sarò certo io
ad accompagnarli a casa eh! Nossignore! Bah tutte scocciature!-
Vedendo quella scenata da parte del barista, lui si mise
a ridere: -Serataccia eh? Avrai da fare…-
L’altro scrollò le spalle: -Come ogni sabato sera
ormai…-
Guardandosi distrattamente in giro, lui fece al barista
quella domanda che tanto lo tormentava: -Ma come mai c’è tanta gente qui? Ho
fatto fatica a raggiungere il bancone dall’ingresso…-
Per tutta risposta il barista si voltò di scatto a
fissarlo in viso con aria sorpresa: -Ma come… Non lo
sai?!-
Si
rimise a ridere: -Se te lo sto chiedendo… Io non sono mai venuto qui! C’è forse
qualche spogliarello stasera?-
Stavolta fu il barista ad esplodere in una grassa
risata: -Ah quindi tu non sai cosa c’è qui stasera? Allora è meglio che il
Contreau te lo faccia doppio! Tranquillo che te lo offro
io…-
Non
ci poteva credere, non solo era riuscito a far ridere quel barista scazzato, ma
addirittura gli aveva offerto il drink. Ora doveva veramente capire che cosa
stava succedendo: -Ma… Perché?-
Proprio in quel momento il gruppo di ballerine discinte
che fino ad allora aveva affollato il palco del locale se ne andò tra le grida
di apprezzamento del pubblico. Fu allora che le luci del palco si oscurarono, il
barista gli sorrise porggendogli il bicchiere: -Lo scoprirai
presto!-
Si
voltò verso il palco con il suo drink in mano. Nella penombra un’orchestra di
uomini in giacca bianca e papillon nero stava prendendo posto sulla parte
posteriore del palco. Alcune leggere ovazioni iniziarono a diffondersi tra la
gente del locale.
Una
volta sistemati gli strumenti, i musicisti aspettarono qualche minuto, finchè
una figura, che lui riconobbe proprio come quella di una donna, si avvicinò al
microfono al centro del palco.
In
quel momento le ovazioni del pubblico divennro davvero rumorose, l’orchestra
continuò ad aspettare finchè tutte le grida non si spensero in un unico momento,
come d’incanto.
Incanto, fu proprio quello che lui pensò quando l’occhio
di bue illuminò il palco. La figura di donna che aveva visto nella penombra
altri non era che una delle più belle creature che lui avesse mai visto: bionda,
i capelli non molto lunghi le accarezzavano appena le spalle e le scapole, due
sottili occhi verde acqua, che sembravano capaci di trafiggerti l’anima solo
guardandoti, labbra piene e sensuali, piacevolmente tinte di un rosso rubino, ed
un corpo che pareva forgiato da Dio in persona tanto era perfetto, snello e
pieno allo stesso tempo, con una pelle liscia e leggermente abbronzata, avvolto
in un lungo vestito di seta color vino, le braccia sottili ma non esili fasciate
da lunghi guanti neri.
Emanava bellezza e forza, era circondata da un’aurea di
sensualità tale da sembrare quasi tangibile: la reincarnazione di Venere in
terra!
Fu come in un sogno che sentì la voce del barista:
-Allora hai capito? Che ne dici?-
Lui
deglutì a vuoto restituendogli il bicchiere: -Il Contreau fammelo
triplo!-
Il
barista si rimise a ridere: -E devi ancora sentirla
cantare…-
Quasi richiamata da quell’affermazione, la donna si
avvicinò al microfono: -A tutti voi del Kitkat club buona sera. Grazie di essere
qui presenti.-
La
voce di quella dea risultò matura e leggermente roca alle sue orecchie, anche
quella aveva un che di magico ai suo occhi. Si, doveva assolutamente sentirla
cantare.
L’orchestra suonò subito le prime note del brano, lei
strinse il microfono a due mani, chiudendo gli occhi, trasportata dal suono
della sua stessa melodia.
Sunday is gloomy,
My hours
are slumberless
Dearest the shadows
I live with are numberless
Little
white flowers
Will never awaken you
Not where the black coaches
Sorrow
has taken you
Angels have no thoughts
Of ever returning you
Wouldn’t
they be angry
If I thought of joining you?
Gloomy Sunday
La
voce di quella donna era qualcosa di davvero ultraterreno, nonostante la miriade
di fans all’interno del locale non un suono riusciva a propagarsi durane
quell’esibizione, lui stesso non era in grado di emettere alcun rumore. Si scolò
l’intero bicchiere di Cointreau tutto d’un fiato sotto lo sguardo divertito del
barista.
Gloomy is sunday,
With
shadows I spend it all
My heart and I
Have decided to end it all
Soon
there’ll be candles
And prayers that are said I know
But let them not
weep
Let them know that I’m glad to go
Death is no dream
For in death
I’m caressin’ you
With the last breath of my soul
I’ll be blessin’
you
Gloomy Sunday
Era
incantato, assolutamente incantato dall’artificio che quel diavolo dal corpo
d’angelo era riuscito a creare. Anche quelle parole… così intrise di
rassegnazione e sconfitta rispetto alla vita, sembravano cozzare incredibilmente
con la figura di quella donna dall’aspetto così sfavillante, eppure sentiva che
sembrava nata per cantare quella canzone, con quel tono sensuale e struggente,
che, come il canto delle sirene, pareva volerti cullare, per poi condurti verso
un destino di morte. Era proprio quella la sensazione che lui provava: torpore,
passività… era un burattino nelle mani di lei e di quella canzone dal messaggio
così nefasto.
Dreaming, I was only
dreaming
I wake and I find you asleep
In the deep of my heart
here
Darling I hope
That my dream never haunted you
My heart is tellin’
you
How much I wanted you
Gloomy Sunday
La
musica cessò, non un rumore, non un applauso, non un’ovazione da parte di quel
pubblico che, ora anche lui l’aveva capito, era giunto lì solo per lei. Lei sul
palco attendeva senza scomporsi, evidentemente ci era abituata. Sapeva che il
pubblico doveva lentamente
svegliarsi da quell’ipnosi, quel torpore dei sensi che lei era in grado di
produrre. Lui stesso faticava a riprendersi per poter applaudire quella cantante
divina.
-Cos’è? Ti sei addormentato?-
Si voltò verso il solito barista che lo scrutava con
l’aria di chi la sa lunga: -Allora?-
La
sua risposta fu breve, ma molto eloquente: -Porca
miseria!-
Un
ghigno si dipinse sul volto del barista: -Questo è l’effetto che lei fa su
tutti… Sembrano quasi innamorati!-
Stava per rispondere che forse ciò che provava non
doveva essere molto lontano dall’amore, quando finalmente un sonoro applauso si
alzò dal pubblico, corredato di fischi ed espressioni di vera e propria
adorazione.
Rimase a fissare tutte quelle persone che applaudivano e
lanciavano baci, producendo una confusione che non sembrava in grado di rimanere
chiusa in quel piccolo locale, mentre la bella cantante se ne andava salutando e
reggendo le decine di rose che le erano arrivate sul
palco.
Tornò a guardare il barista che, impassibile, stava
asciugando alcuni bicchieri appena lavati: -E tu?-
Il barista alzò gli occhi dal bicchiere che aveva in
mano: -Cosa?-
Lui
si grattò la testa imbarazzato: -Tu non… Insomma… Quest’esibizione non ti ha
fatto effetto?-
L’altro scosse le spalle: -Che ci vuoi fare? Ormai sono
anni che la sento e poi… sono fidanzato. Forse l’hai vista… È la
guardarobiera.-
Annuì, ripensando alla bella bionda che l’aveva
squadrato neanche mezz’ora prima. Orgoglioso, riflettè mentalmente sul fatto che
riusciva a destare interesse anche in ragazze già
fidanzate.
-Vuoi che te la faccia conoscere?-
Lo
guardò un attimo spiazzato: -Chi? La tua fidanzata?-
L’altro ridacchiò divertito: -Ma no! La
cantante!-
Lui
rimase un attimo muto, aveva davvero la possibilità di conoscere quella
cantante? Avrebbe davvero potuto parlarle e magari anche toccarla?: -Sicuro che
posso?-
Il
barista continuava a ridacchiare, non si era mai divertito tanto come con quel
novellino: -Ovvio! Se te lo sto dicendo… Guardami un secondo il banco che
arrivo.- e si allontanò.
Si
appoggiò con entrambi i gomiti al bancone del locale, osservando di sbieco la
gente che, finita l’esibizione che li interessava, stava lentamente lasciando il
locale. “Meno male” pensò “Almeno ci sarà la possibilità di parlare con un po’
di calma, senza tutti i suoi fans a starci fra i piedi!”
Passarono alcuni minuti che il barista col codino si
fece rivedere dietro il bancone, stavolta con una sigaretta in bocca: -Tra un
attimo arriva.-
Lui
annuì senza proferire parola. Si era accorto di essere leggermene teso; quella
cantante gli aveva fatto uno strano effetto, forse non era stata esattamente una
buona idea quella di incontrarla.
-Allora Shika chi è che mi vuole
conoscere?-
Quella voce, impossibile non riconoscerla. L’aveva udita
una sola volta ma era come se la conoscesse da tutta una vita. Si voltò, dietro
di lui c’era proprio la bionda cantane che poco prima l’aveva
incantato.
Con
un cenno della testa, il barista lo indicò: -Questo qui! Mentre cantavi ti
guardava con una tale faccia da pesce lesso…-
Lui subito arrossì come un ragazzino: -M-ma che cavolo
dici idiota?!-
La
cantante si mise a ridere seguita dal barista: -Un tipo dall’aria simpatica… Dai
Shika preparami il solito!- e prese posto su uno sgabello vicino al
suo.
Il
barista voltò loro le spalle per cercare lo shaker, riprendendo la sua solita
aria scazzata. Ora che era arrivata lei, lui non avrebbe più potuto divertirsi
con quel tipo strano: -Subito… Un Martini dry per la nostra etoille.- e sbuffò
una nuvola di fumo.
Dopo aver osservato per un attimo il barista al lavoro,
la bionda si voltò verso di lui: -Se mi vuoi conoscere direi che è meglio
partire con le presentazioni! Io sono Temari, piacere di conoscerti!- e gli
porse la mano non più guantata di seta, con delle belle unghie rosso
cupo.
Capì che lei, pur essendo molto affascinante, era una
donna affabile e gentile ma anche molto forte. Notò nei suoi occhi, sotto quel
velo di classe e cortesia che gli stava mostrando, una nota di amarezza, tipica
di chi non aveva avuto momenti facili nella vita. Chissà com’era finita una
donna del genere a fare la cantante?
Sorrise di rimando alla bella artsta: -Davvero un bel
nome. Io sono Kiba, molto piacere!- e strinse la mano che lei gli
tendeva.
Lei
prese il bicchiere che il barista le porgeva, iniziando a giocherellare con
l’oliva del drink: -Grazie… Anche il tuo è un nome grazioso… Che ne dici di
parlarmi un po’ di te Kiba?-
Lui, appoggiando la schiena al bancone, diede un’alzata
di spalle: -Beh su di me non c’è molto da dire… Sono un pover’uomo che è
costretto a vivere con una sorella petulante ed una madre che si comporta peggio
del Fuhrer stesso… Come lavoro faccio l’impiegato nell’azienda di famiglia e
stamattina ho ricevuto la lettera di coscrizione!-
Temari si voltò di scatto a fissarlo negli occhi: -Che
cosa?! Devi andare nell’esercito?-
Kiba sospirò curvandosi sul suo sgabello: -Già…
Convocazione straordinaria! Parto dopodomani…-
Lei
lo guardò pietosa: -Mi dispiace…-
Ridendo, lui si riappoggiò al bancone: -Ehi non fare
quella faccia! Non è mica detto che vada là per morire…- lui diceva così, ma era
anche vero che sarebbe partito nel pieno della guerra e che l’Asse non era certo
un nemico facile da sconfiggere. E anche se fosse sopravissuto ne avrebbe viste
tante da togliergli completamente la voglia di vivere.
D’improvviso gli tornarono in mente le parole della
canzone, che sembravano riflettere perfettamente quello che provava al pensiero
di ciò che gli sarebbe successo. A quel punto gli venne spontaneo sorridere:
-Comunque bella la tua canzone!-
Anche lei appoggiò la schiena al bancone, accendendosi
una sigaretta: -Sicuramente è adatta ad una serata come
questa…-
Kiba annuì, pensando a tutta la pioggia che aveva preso
prima di andare in quel locale: -Già! Anche se oggi non è
domenica.-
La
cantante guardò all’orologio appeso alle spalle del barista: -Invece adesso è
mezzanotte e mezza! Tecnicamente è già domenica.-
Il
bruno avventore si mise a ridere: -Già… Comunque, se non sbaglio, il tuo è un
brano di Billie Holiday vero?-
Prendendo una boccata dalla sigaretta, la donna annnuì:
-Si, ma non è la versione originale.- poi soffiò una nuvola di
fumo.
Kiba non potè fare a meno di rimanere incantato da
quella visione. Una come Temari avrebbe potuto immaginarla solo seduta
compostamente ad un tavolo mentre fumava con grazia da un lungo bocchino; invece
eccola lì, seduta su uno sgabello troppo alto, a prendere grandi boccate da una
rozza sigaretta solitaria, eppure lo faceva con una tale classe da rendere
elegante ogni singolo movimento, ogni singolo respiro, ogni singola boccata.
Sorrise, pensando che avrebbe davvero voluto essere lui quella
sigaretta.
Ebbene sì, lei gli piaceva. Ma che poteva fare in
proposito? Lei era una bella e famosa cantante di piano bar, e lui? Un
sempliciotto giunto lì per caso, che era riuscito addirittura a farsi prendere
in giro dal più addormentato dei baristi e che fra neanche due giorni sarebbe
partito per la guerra. Come avrebbe potuto rendersi appetibile agli occhi di lei
in quelle condizioni? Magari poteva contare un’altra volta sul suo fascino
selvaggio.
-Che vuol dire che non è la versione
originale?-
Lei
gli sorrise dolcemente: -La mia canzone è il rifacimento di un brano scritto da
un musicista ungherese nel 1933.-
Kiba la guardò stupito: conosceva la versione di Billie
Holiday, ma non immaginava certo che in realtà si trattasse di una canzone
ungherese: -Ma dai! E come si chiama?-
Una
smorfia si dipinse sul volto di Temari: -Mi dispiace ma il titolo originale non
me lo ricordo, oltretutto è impronunciabile, comunque in pratica è “domenica
cupa” in lingua ungherese.-
Kiba sospirò mesto: -Mi piacerebbe sentirla… Anche se lo
so che non ci capirò un accidente!-
La
donna rise per le maniere alquanto goliardiche del giovane, la risata si
trasformò poi in un sorriso sornione: -Se vuoi ho il disco a casa
mia…-
Lui
la vide, una luce strana brillava negli occhi di lei. Che intenzioni
aveva?
-Mi
dispiace ma lunedì devo partire… Domani non posso venire ad
ascoltarlo…-
Temari si protese verso di lui: -E chi parlava di
domani…- prese l’oliva del suo Martini e lentamente gliela portò alle labbra:
-Vieni adesso…-
Lui
rimase per un attimo senza parole, dopodichè, sorridendo, prese l’oliva del
Martini di Temari tra i denti, lasciando che lei ne sfilasse lo stuzzicadenti.
Dopo averla mangiata lentamente, senza mai staccare gli occhi da quelli di lei,
disse: -Va bene! Andiamo!-
La
cantante sorrise, voltandosi poi verso il bancone per salutare il barista: -Ciao
Shikamaru! Io vado a casa…-
L’uomo le fece appena un cenno della testa sorridendo
sornione, conosceva bene Temari e poteva dire che quel sempliciotto, capitato
per caso in quel locale, era davvero molto fortunato. Mai nessuno prima di lui
era riuscito a farsi portare a casa da lei in quel modo.
I
due si diressero velocemente verso il guardaroba, dove Kiba ritirò il suo
soprabito e Temari si rivolse alla guardarobiera: -Ino potresti passarmi la mia
roba?-
-Certo Tem!- la bionda guardarobiera tornò a cercare,
ritornando poi con un elegane soprabito nero ed una pochette dello stesso
colore: -Ecco qui tesoro! Mi raccomando fai la brava stasera!- e le fece un
occhiolino.
Temari rise. –Va bene mammina!- e ricambiò
l’occhiolino.
I
due uscirono dal locale e si misero a camminare sotto la pioggia. Kiba si
soffermò di nuovo a guardarla: anche in quel momento, con la testa piegata sotto
quella pioggia così fastidiosa, quasi correndo per la fretta di giungere a casa
il più presto possibile, era sempre circondata da quell’aura di sensualità e
rafinatezza che ormai erano peculiari di quella meravigliosa
creatura.
-Abiti molto lontano?-
Lei
scosse la testa: -No, guarda. Siamo arrivati.-
Indicava un’alta palazzina dalle mura grigio fumo. Non
sembrava uno di quei posti quallidi che spesso contraddistinguevano le vie di
Chicago, sembrava invece molto ordinato e piuttosto ben mantenuto. Certo, non
era un posto lussuoso o d’elìte, ma di sicuro era un luogo per gente per
bene.
Bastò uno sguardo. Non erano neanche giunti nel
pianerottolo dell’appartamento di lei che già si erano persi nei meandri della
passione, quella passione che aveva già iniziato ad avvolgerli sin da quando i
loro occhi si erano incrociati per la prima volta.
Le
mani di Kiba correvano sul corpo di Temari sotto il pesante soprabito,
tastandone le forme toniche ed abbondanti, mentre le labbra dei due amanti si
erano unite in un bacio che da solo lasciava presagire ciò che di lì a poco
sarebbe successo. Le loro lingue si muovevano agili ed esperte, accarezzavano il
palato, i denti, si cercavano, si succhiavano.
Spinta contro la porta del suo stesso appartamento,
Temari tentò, nella foga delle loro effusioni, di prendere dalla borsa la chiave
e di infilarla nella serratura, impresa a dir poco impossibile. Decise quindi di
concedersi un secondo di tregua, scostandolo leggermente: -A-aspetta… Sennò non
possiamo entrare…-
Kiba la lasciò fare, scendendo però a baciare la soffice
pelle del suo collo mentre lei, con qualche difficoltà, riuscì finalmente ad
aprire la porta.
Entrando si trovarono in un appartamento di modeste
dimensioni ma arredato con gusto, evidentemente Temari doveva avere una passione
per l’arredamento etnico a giudicare dalla scelta dei mobili. Fatto che Kiba
giudicò trascurabile al momento, dato che il suo pensiero primario era un altro:
-Dov’è la camera…- sussurrò sul collo di lei, per poi riprendere a baciare. Con
un gemito, lei indicò la stanza alla fine del corridoio. Allora Kiba, quasi
prendendola di peso, la portò nella stanza da letto.
Stettero però alcuni minuti a baciarsi in piedi vicino
al letto, beandosi delle sole carezze e del contatto delle loro
labbra.
I
loro soprabiti caddero sul pavimento con un tonfo sordo, formando una piccola
pozzanghera.
Le
mani di Temari iniziarono ad infilarsi sotto la camicia bianca di Kiba,
slacciandone velocemente i primi bottoni, per poi posarsi sul petto bruno e
muscoloso dell’amante.
Lui
invece si stava concentrando sulla spalla di lei, assaporando quella pelle
profumata, lasciando scie umide al passaggio dei suoi baci infuocati mentre i
suoi denti mordicchiavano, lasciando segni rossi che non sarebbero scomparsi
presto.
A
quel punto lei prese l’iniziativa: lo spinse sul letto e quando lui alzò gli
occhi stupito, lei gli rispose sorridendo con malizia: -Lascia fare a
me…-
Portò le mani alle spalline del vestito di seta, come le
ebbe abbassate il vestito cadde da solo, leggero come una piuma, rivelando
Temari in tutto il suo splendore, solo un paio di slip di pizzo nero a coprire
il suo splendido corpo.
-Bellissima…- sussurrò Kiba mentre lei, sempre con
quell’espressione ironica che tanto lo affascinava, si mise a cavalcioni su di
lui, sbottonando del tutto la camicia e chinandosi a baciargli il
petto.
Kiba si lasciò andare alla sensazione piacevole che i
baci di Temari sulla sua pelle gli provocavano. Lei gli sfilò completamente la
camicia, iniziando poi a tracciare con la lingua le linee dei pettorali e degli
addominali.
A
quel punto lui, preso da un raptus a dir poco animalesco, strinse le braccia
intorno alla vita di lei, con un colpo di reni invertì le posizioni, un ghigno
dipinto sul volto: -A me piace giocare da attivo tesoro!-
Lei
fece un risolino, dopodichè alzò una mano. Una leggera carezza sulla guancia di
lui, che stava fermo a guardare, passò poi sulla sua fronte alta, coperta da
ribelli ciuffi bruni. Temari iniziò a giocarci, passando poi alla sua chioma
scompigliata, che la donna trovò piacevolmente morbida al tatto. La mano poi
scese lenta sulla nuca di lui, facendolo gemere di soddisfazione. A quel punto
Temari spinse a sé la testa di Kiba, unendosi a lui in un nuovo, famelico bacio.
Ecco, era finita: ora Kiba era definitivamente,
inderogabilmente, pericolosamente prigioniero dell’incantesimo di
Temari.
Si
amarono per quasi tutta la notte finchè Kiba, stremato, si accasciò sul corpo
ancora palpitante di Temari. La bionda lo accolse a braccia aperte, iniziando
poi ad accarezzargli la testa come ad un bambino: -Complimenti… Non mi sarei mai
aspettata una tale performance da parte tua!-
Lui
sorrise sulla spalla di lei: -Ehi! Grazie per la
considerazione!-
Temari continuava a passare la mano tra i suoi capelli;
le piacevano, le piacevano davvero tanto: -Dai! Non dirmi che te la sei
presa!-
Il
bruno grugnì un “no” molto poco convincente, alzandosi poi sui gomiti per
guadarla negli occhi: -Comunque… Non dovevo venire qui per sentire un disco?-
sorrideva, Temari fu felice di constatare che lui non era un tipo che serba
rancore.
Lei
annuì, cominciando a passare un dito tra le linee di quei pettorali che tanto
l’attiravano: -Già… Però c’è una cosa che ti dovrei dire… prima che tu
l’ascolti!-
Kiba la guardò incuriosito: -Di che
parli?-
Temari portò la sua mano al viso di lui, che subito ne
baciò il palmo: -Beh… C’è una leggenda a proposito di quella
canzone…-
Il
bruno si staccò lentamente dalla mano di lei: -Leggenda? E che cosa
dice?-
Stettero un attimo in silenzio, Kiba si sdraiò al fianco
di Temari, mettendole un braccio intorno alle spalle quando lei appoggiò la
testa al suo petto.
Il
bruno iniziò ad accarezzarle la schiena, procurandole i brividi: -Allora? Cos’è
che dice questa leggenda?-
Lei
si accoccolò meglio sul petto di lui, riuscendo ad ascoltare il lento battito
del suo cuore: -La canzone… Porta al suicidio!-
Kiba la fissò stranito: -Eh?!-
La
bionda si mise a ridere per la buffa reazione del compagno: -Scusa… Sono stata
un po’ troppo diretta! Diciamo che, in seguito alla scrittura dello spartito e
alla sua incisione, ci sono stati molti suicidi legati a quel brano. Gente che
lo ascoltava mentre si riempiva di barbiturici, altri che si sono impiccati con
lo spartito al loro fianco e storie del genere… Le quali hanno creato la diceria
che all’interno della canzone ci fosse un messaggio subliminale che porta la
gente al suicidio.- concluse la storia con un sospiro, ricominciando a passare
un dito sugli addominali di lui.
Lui
le accarezzava i capelli pensieroso: -Una canzone che uccide eh?- si alzò di
scatto a sedere, con un sorriso sornione dipinto sul volto: -Dai
mettila.-
Temari seguì il compagno, trattendo il lenzuolo per
coprire il seno: -M-ma sei sicuro? Dopo quello che ho detto?-
Il
bruno scrollò le spalle: -Io non sono mai stato uno che crede nel suicidio: la
trovo un’inutile manovra per gente codarda. Voglio prenderla come una
sfida…-
Lei
sorrise abbracciandosi a lui e allungandosi a baciargli il collo: -Ma anche io
dovrò ascoltarla…- bacio – E se anche io…- bacio –dovessi
uccidermi?-
Lui
si voltò verso di lei, circondandola con le sue braccia e cercando le sue labbra
con le proprie, distendendola lentamente sul letto. Dopo alcuni minuti di baci e
carezze, lui si alzò sui gomiti, accarezzandole i capelli: -Se tu dovessi
morire… Io morirei con te, senza esitazione.-
Temari si mise a ridere divertita, tra le braccia di
lui: -La tipica frase di chi è solito fare il cascamorto con le donne! Sei
proprio un Don Giovanni!-
Kiba rise: -Ehi che cattiveria!- le diede un altro
bacio: -Allora? Metti questo disco?-
Lei, baciandolo ancora, annuì e nuda com’era si alzò dal
letto e andò verso il grammofono che teneva in camera. Si chinò per aprire lo
sportello del mobiletto su cui era collocato, consultando la fila di dischi che
vi erano disposti.
Intanto Kiba, disteso sul letto, si godeva la visione
del corpo di lei: -Sai che hai davvero un sedere da
favola?-
La
bionda lo guardò di sbieco, leggermente irritata: -E tu lo sai che sei un
imbecille? Ma chi me l’ha fatto fare di venire a letto con
te...-
Lui
la guardò ironico: -Perché sono bello, affascinante, simpatico, affabile e
straordinariamente perfetto?-
Temari neanche si voltò, continuando a guardare i
dischi: -Si… come no! Ah eccolo!- e prese un disco dalla copertina di un marrone
molto chiaro, quasi rosato, su cui c’era la foto di un uomo dal naso aquilino e
le labbra carnose. In alto a grandi lettere il titolo della canzone: Szomorú
vasárnap.
La
donna sfilò il disco dalla custodia, appoggiandola sul mobiletto, dopodichè alzò
la puntina del grammofono, verificando che fosse sana, e mise il disco sul
piatto. Girò poi la manovella del grammofono finchè il disco si mise a girare, a
quel punto appoggiò la puntina sul disco.
Mentre Temari si riavvicinava a Kiba sul letto, nella
stanza si diffuse il lento fruscio del grammofono, che venne poi subito
accompagnato da alcune note al pianoforte.
Il
bruno, tenendo la compagna stretta a sé, prestò attenzione alla
melodia.
Osz van és peregnek a sárgult levelek
Meghalt a földön az emberi szeretet
Bánatos könnyekkel zokog az öszi
szél
Szívem már új tavaszt nem vár és nem remél
Hiába sírok és hiába
szenvedek
Szívtelen rosszak és kapzsik az emberek...
Meghalt a
szeretet!
Kiba arricciò il naso irritato: -Non ci
capisco un accidente!-
Lei rise, accoccolandosi un po’ più
vicina al suo petto: -Beh è in ungherese…-
Il bruno sospirò, stringendola di più a
sé: -Ah già… me l’avevi detto… Comunque che noia!-
Temari rise, baciandolo dolcemente: -Dai
coraggio! Non dura ancora tanto!-
Vége a világnak, vége a reménynek
Városok pusztulnak, srapnelek zenélnek
Emberek vérétol piros a tarka rét
Halottak fekszenek az úton szerteszét
Még egyszer elmondom csendben az
imámat:
Uram, az emberek gyarlók és hibáznak...
Vége a
világnak!
Mentre le ultime note del pianoforte si
spegnevano nella calda atmosfera della stanza, Temari osservò Kiba che ancora
guardava il soffitto con aria delusa; l’espressione crucciata che aveva sul viso
le ricordava quasi quella di un bambino. Sorridendo, si alzò leggermente,
appoggiandosi al corpo di lui per poterlo guardare in viso: -Allora? Ti è
piaciuta?-
Per tutta risposta, lui sbuffò deluso:
-Francamente preferisco di gran lunga te e la tua versione! Che
schifo…-
Lei si alzò dal letto con un’espressione
divertita, incredibile come lui riuscisse a farla ridere tante volte in poco
tempo. Andò a togliere il braccio con la puntina dal disco che ormai già
iniziava a rallentare; non rimase ad aspettare, l’avrebbe rimesso nella custodia
in un secondo momento.
Ritornò subito a letto, accucciandosi al
fianco di Kiba, che già aveva iniziato a sbadigliare: -Ma che ore sono
adesso?-
Temari diede una veloce occhiata
all’orologio appeso al fianco del letto: -Sono le quattro e
mezza…-
L’uomo sospirò sconsolato: -Accidenti è
già così tardi… E lunedì devo anche partire…-
A quelle parole la cantante ebbe un
fremito, scattò a guardarlo negli occhi: -N-non vorrai andare a
casa…-
Il bruno, non notando la nota
preoccupata nella voce di lei, sbuffò scocciato: -No… a quest’ora sarebbe un
suicidio… Me ne andrei a casa domani… Sempre se non ti
disturba!-
Lei sorrise, un sorriso con una punta di
amarezza; era sollevata, ma quella era davvero una magra consolazione. La
mattina dopo lui sarebbe andato via e lei non l’avrebbe più rivisto, lo sapeva:
-No… nessun disturbo.-
Kiba sorrise, dopodichè la bacio ancora
una volta. Un bacio particolare, famelico, irrequieto; si mise sopra di lei,
accarezzando con decisione la linea di fianchi e le lunghe coscie, risalendo poi
al seno, al collo ed infine al viso di lei… e lì si fermò: -Ora è meglio farsi
una dormita… che ne dici?- le sorrise dolcemente, sfiorandole la guancia col dorso della
mano.
In quel momento Temari sentì un groppo
in gola: anche lui lo sentiva, anche lui sapeva che non si sarebbero più
rivisti, gli sorrise: -Hai ragione…
Buona notte!-
Kiba si mise al fianco di lei,
stringendola a sé: -Buona notte!-
Stretti com’erano, caddero lentamente
tra le braccia tra le braccia di morfeo.
Temari dischiuse lentamente gli occhi,
notando che la stanza era già immersa in una tenue luce grigiastra proveniente
da dietro le pesanti tende. Era ancora in dormi-veglia, non riusciva ancora a
recepire ciò che le stava intorno, sentiva solo una piacevole sensazione di
calore ed un rumore lieve e ritmato:-Tu-tum, tu-tum, tu-tum, tu-tum- Cos’era? Un
tamburo? No, troppo debole. Somigliava di più al rumore di un cuore, si, un
cuore… il suo cuore… il cuore di lui… il cuore di Kiba…
Kiba…
Si alzò di scatto, con l’improvisa paura
che lui non fosse più lì… e invece lo trovò ancora al suo fianco, piacevolmente
addormentato, con un braccio intorno alla sua vita, l’altro abbandonato lungo il
fianco. Il petto muscoloso si muoveva al ritmo del suo respiro e la sua
espressione era serena e rilassata.
Era un piacere guardarlo, sembrava
davvero un bambino; Temari passò di nuovo una mano tra quei capelli che le
piacevano tanto. A quel tocco, seppur leggero, Kiba aprì gli occhi, sbattendo
piano le palpebre.
Nel vederlo mentre si stropicciava gli
occhi, Temari non potè fare a meno di sentirsi un po’ in colpa: -Scusa… ti ho
svegliato…-
Lui la guardò sorridente: -Oh
tranquilla! Magari mi svegliassi più spesso così…- e la strinse a sé, baciandole
piano il collo.
Gemendo piano, la bionda si lasciò andare di
nuovo alle carezze di lui, finchè un nuovo pensiero non le attraversò la mente:
-Ma… che ore sono?-
A malincuore Kiba si staccò da lei,
permettendole di consultare l’orologio a muro. Quando lei, alzandosi a sedere,
lo vide, sentì lo stomaco contrarsi: -Già le undici…-
Lui la strinse, ristendendola sul letto,
sotto di lui: -No… Sono “ancora” le undici! Abbiamo tutto il tempo di stare in
insieme un altro po’.-
Parole rassicuranti, ma dette con una
nota di amarezza, l’amarezza di chi vorrebbe tanto credere in ciò che sta
dicendo ma purtroppo non ci riesce fino in fondo.
E Temari se ne accorse, sentiva la
tristezza di lui. Sorrise tristemente, anche lei si sentiva così: quella notte,
che avrebbe dovuto essere più simile ad un gioco, ad un passatempo, ad un saluto
particolare per un poveraccio che sarebbe dovuto partire per il fronte, si era
trasformata nella cosa più meravigliosa e, allo stesso tempo, più straziante
della sua vita.
Si amarono un’altra volta, ma questa era
differente dalle precedenti: per tutto il tempo i due amanti non staccarono gli
occhi l’uno dall’altra. Continuavano a guardarsi con gli occhi umidi,
sussurrando, a volte urlando, il nome dell’altro, finchè insieme non raggiunsero
l’apice, lanciando il grido più forte.
Kiba stremato si appoggiò sui gomiti,
non cessando un istante di guardarla, il viso sudato e sul volto sempre quel
sorriso amaro che ormai caratterizzava quella mattina.
Fece un lungo sospiro: -Ora devo proprio
andare… È già mezzogiorno passato.-
L’aveva detto, ma intanto se ne stava
fermo su di lei. Nessuno dei due parlava, bloccati da una sensazione simile a
quella che si prova quando si deve strappare un cerotto rimasto incollato ad una
ferita.
Neanche loro sapevano quanto tempo
avevano passato fermi a fissarsi, finchè lui, con uno sforzo sovrumano ed uno
scatto troppo veloce ed impacciato per dissimulare ciò che sentiva, si alzò di
scatto dal letto, cominciando velocemente a vestirsi.
Lei, seduta sul letto, lo guardava
infilarsi velocemente i boxer ed i pantaloni, per poi passare alla camicia che
lei, solo la sera precedente, gli aveva sfilato con desiderio: -Ma non vorresti
fare una doccia prima?-
Kiba scosse la testa, mentre tirava su
il soprabito, allontanandolo da quello di lei che ancora stava sul pavimento.
Quando se ne accorse prese anche quello e lo mise su una sedia, infilandosi poi
il proprio.
Come l’ebbe addosso, fu pervaso da un
brivido e da una sensazione fastidiosa: -Uffi è bagnato…- fece poi una
smorfia.
Al vederlo con una faccia così
scocciata, Temari si concesse una risatina: -Lo credo bene… è rimasto
appallottolato sul pavimento per tutta la notte!-
Lui sospirò, dopodichè si protese verso
di lei. Le diede un bacio, l’ultimo. Contrariamente alle sue intenzioni, fu un
bacio lento e sentito, le sue mani andarono spontaneamente alle guance di
lei.
Quando si staccarono, lei gli accarezzò
i capelli: -Vuoi che ti accompagni all’entrata?-
Lui scosse la testa, lasciandole le
guance che subito le diedero una fastidiosa sensazione di freddo: -No… Non c’è
bisgono. Stai qui che sennò prendi freddo. Ti ricordo che sei ancora
nuda…-
La bionda sorrise leggermente:
-Già…-
Kiba si fermò un attimo a guardarla,
dopodichè si alzò: -Beh… è meglio che vada! Ciao…-
Lei agitò lievemente la mano:
-Ciao…-
E Kiba lasciò la stanza, Temari ascoltò
ad uno ad uno i passi sul parquet del corridoio, dopodichè l’inconfondibile
scatto della maniglia della porta e, subito dopo, l’ancor più inconfondibile
tonfo della porta che si chiudeva.
Sentì come una stretta allo stomaco, lui
le sarebbe mancato molto, lo sapeva. Non solo perché era bravo a letto, neanche
perché era un tipo affascinate. Lui era riuscito in una sola notte a farle ciò
che nessun altro uomo aveva mai fatto.
Sarebbe riuscita a rivederlo? Queso
proprio non lo sapeva; sapeva solo che non erano molti i fortunati che tornavano
dall’Europa e questo pensiero le stava dando una strana
ansia.
Era rimasta vittima del suo stesso
gioco: lei, che sempre aveva giocato a sedurre gli uomini con la sua bella voce
ed il suo aspetto sensuale, che adorava vederli mentre rimanevano senza parole
quando lei si esibiva, che non concedeva mai niente a nessuno, alla fine non
solo aveva portato a casa sua un completo sconosciuto, ma addirittura provava
una sensazione di vuoto al pensiero che non l’avrebbe più
rivisto.
Il suo sguardò andò alla finestra, dove
vedeva la pioggia della sera precedente cadere ancora insistente e punteggiare i
vetri di piccole gocce che dopo un attimo scorrevano verso il cornicione.
Sorridendo si ricordò che era domenica e, quasi per un beffardo scherzo del
destino, le venne in mente quella
canzone che era stata il simbolo del loro incontro e che ora sembrava descrivere
perfettamente il momento della loro separazione.
Quasi senza accorgersene, iniziò a
canticchiare.
Sunday is gloomy,
My hours
are slumberless
Dearest the shadows
I live with are numberless
Little
white flowers
Will never awaken you
Not where the black coaches
Sorrow
has taken you
Angels have no thoughts
Of ever returning you
Wouldn’t
they be angry
If I thought of joining you?
Gloomy Sunday
Piaciuta? Lo so... E' molto diversa da ciò che ho sempre scritto (anche se, in effetti, non c'è molta coerenza tra le cose che scrivo...-_-'''), soprattutto per il finale, aperto ma chiaramente triste...
Ci tengo a sottolineare che la fic non è scritta a caso... semplicemente si tratta della storia di due persone rimaste prigioniere di un gioco più potente di loro, come poi ho già detto nell'introduzione. Lui aveva voglia di un'ultima distrazione prima della coscrizione forzata e lei, che non doveva esser nuova a certe cose, voleva dargliela. Ma alla fine, affascinati dai modi l'uno dell'altra e, fattore non strascurabile, dalla reciproca sensualità, hanno finito per far crescere troppo un sentimento nato per scherzo.
Miiiii che storia triste!!! Fatemi sapere se vi è piaciuta!!! ^____________________________________^