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Autore: rei22688    23/01/2009    0 recensioni
Chicago, una città triste, ancora più malinconica, bagnata da quella leggera pioggia che sembra non finire mai. Due anime, lei sola, lui disperato, lei può dargli ciò di cui ha bisogno per quella notte, giocano insieme... ma rimarranno prigionieri di un gioco più potente di loro... Quello dei sentimenti.
Genere: Romantico, Triste, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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boh

 

Ciao a tutti!! Ecco qui una piccola one shot tanto per cambiare... Era stata scritta per un contest che poi, per cause indipendenti da chi l'aveva indetto, è stato annullato. Per questo motivo dedico la fic a Evil Lady Nanto, augurandole tanta fortuna e serenità per il futuro. 

 

 

 

Freddo, quel freddo che ti attraversa le membra e ti fa sentire come se un milione di piccoli aghi si infilassero perfidi nella tua carne. E poi l’odore dell’aria, così fetido e malsano da darti l’imprerssione di morire solo per averlo percepito per pochi secondi. Infine la pioggia, una pioggia leggera ma molto fitta,  che cadeva da quel cielo nero come la pece, tipico delle notti di Chicago, dove mai è possibile vedere le stelle.

Lui sorrise ironico, quello poteva sembrare il tipico scenario per uno di quei film drammatici che tanto andavano di moda: quelli in cui il protagonista, un povero diperato che per qualche strano tiro della sorte perde tutto ciò che possiede e per questo, in preda alla disperazione, decide di uccidersi, spesso in uno squallido vicolo pieno di immondizia, sotto una pioggia fitta come quella, cosicchè quando il corpo cade a terra il suo sangue si mescola all’acqua che scende dal cielo.

 

Il suicidio… che cosa stupida! Il tipico gesto di chi vuole fuggire.

 

Perché si era ritrovato proprio quella sera a camminare sotto la pioggia, ad annusare quella puzza che aleggiava nell’aria, talmente intensa che nemmeno la pioggia riusciva a spazzarla via del tutto? Proprio lui, che sin da bambino era sempre stato dotato di un olfatto molto più sensibile della media… Non lo sapeva nemmeno lui.

Gli era da poco arrivata la lettera di coscrizione, sarebbe dovuto andare a combattere contro l’Asse. Tutta colpa di quei bastardi dei giapponesi e del loro dannato attacco a Pearl Harbor di qualche settimana prima. Quella mattina era uscito di casa molto presto, così non aveva avuto la possibilità di controllare la posta, ma quando era tornato dal lavoro…

Era tornato a casa stanco, molto stanco, con la sola voglia di stendersi a letto a dormire, senza neanche mangiare, ma come aveva aperto la cassetta della posta e ne aveva visto il contenuto il cervello gli si era letteralmente svuotato e gli era preso lo strano desiderio di andare a farsi un giro, un giro molto lungo.

Ed ora si trovava lì, a girare per le pericolose vie di Chicago, con solo il suo serramanico nella tasca destra del soprabito a dargli una pallida parvenza di difesa contro eventuali aggressori, ma lui non aveva certo paura, lui aveva sempre avuto un pugno potente, sei poi loro avevano una pistola… avrebbe voluto dire che non era la sua serata fortunata.

Sbuffò, cominciando a guardarsi intorno: aveva già preso troppa pioggia, doveva andare a rifugiarsi da qualche parte.

Fu in quel momento che lo notò, uno di quei locali notturni che tanto andavano di moda tra gli uomini di Chicago. L’insegna al neon rossa, con qualche lettera malamente intermittente diceva “Kitkat club”.

Quella non era certo la sera più adatta per andare in un locale a farsi una bevuta, ma la voglia di svagarsi un po’ si fece sentire, così senza troppe cerimonie decise di entrare.

Non appena ebbe varcato la soglia si trovò investito da una cappa d’aria calda e densissima, permeata da un intenso odore di fumo, tanto intensa da farlo tossire un paio di volte.

Si  guardò un attimo in giro, si trovava in una piccola stanza dalle pareti scure, illuminata da una luce giallastra proveniente da alcune lampade poste agli angoli.

Alla sua destra un bancone con dietro varie file di appendiabiti, evidentemente il guardaroba. Al bancone stava un’avvenente e, lo notò quasi subito,  formosa guardarobiera, vestita come si conveniva alle donne che lavoravano in quel campo: un papillon rosso con colletto bianco al collo ed un bustino nero, il tutto coperto da un’elegante giacca nera. Aveva i lunghi capelli biondi acconciati in una coda alta, due grandi occhi azzurri e quell’espressione mista di innocenza e lussuria capace di mandare in brodo di giuggiole qualsiasi uomo avesse avuto la sfortuna di incapparvi.

Gli si rivolse con un sorriso di cortesia: -Buona sera! Se vuole lasciare qui il soprabito…-

Glielo porse, notando con compiacimento le occhiate furtive che la ragazza gli lanciava. Era un piacere sapere di aver suscitato un certo interesse anche in una ragazza così bella, anche se ad essere sinceri lui non era nuovo a questo genere di cose.

Lui non era bello, o meglio, non era un tipo particolarmente bello. Si riteneva un tipo comune, neanche tanto propenso alla preoccupazione per l’aspetto esteriore di cui, a dirla tutta, gliene importava quanto gliene importasse della situazione politica di uno stato del centro Africa. Aveva però una forza magnetica particolare, un qualcosa in grado di attirare l’attenzione femminile. Probabilmente quell’aspetto selvaggio che tante volte gli era stato rimproverato dalla madre e dalla sorella maggiore, ma che tante volte era riuscito a sedurre anche donne di una certa levatura sociale o anche incredibilmente affascinanti, come la guardarobiera in questione.

-Lei è arrivato appena in tempo, comincerà fra poco!- sorridendo, la ragazza era tornata dal guardaroba porgendogli un biglietto col numero del suo soprabito, ammiccando in maniera eloquente.

Lui rimase un attimo spiazzato: cos’era che doveva cominciare? E poi perché lei ammiccava in quella maniera?

Ma chi se importa! Probabilmente parlava dello spettacolo. Magari quella sera era in programma qualche spettacolo di burlesque di quelli particolarmente spinti. Perfetto! Lui adorava quel tipo di cose…

Sorridendo prese il biglietto e le sorrise, mostrando i denti bianchissimi, soprattutto i canini, leggermente più lunghi della media, una specie di malformazione che aveva sin da bambino: -Grazie mille! Buona serata!-

Lei gli sorrise sensuale: -Buona serata a lei!-

Lanciando un’ultima occhiata alla bella guardarobiera, aprì la porta che portava al locale vero e proprio. La cappa di caldo aumentò vertiginosamente, avvolgendolo come una seconda pelle, non solo l’odore di fumo era molto più intenso, ma addirittura il fumo stesso era andato a formare una sorta di nebbiolina che aleggiava nella stanza a livello dei lampadari.

Il locale era straordinariamente pieno per un periodo come quello, soprattutto considerando che molti uomini americani erano già stati aruolati nell’esercito. Sembrava che gran parte della Chicago maschile rimasta in città si fosse raccolta in quel locale “Perché poi andare a rintanarsi in un posto come questo? Con tutto il casino che c’è qui poi… Forse anche questi si trovano nella mia situazione…”

Era una spiegazione plausibile, in fondo non era l’unico che aveva ricevuto la lettera di coscrizione quella mattina, ma una questione rimaneva ancora irrisolta… Perché proprio tutti in quel locale? Lui ne aveva frequentati di posti del genere, ma mai aveva trovato un tale marasma.

Fu solo per un puro colpo di fortuna che riuscì a trovare un posto vuoto al bancone che stava nel lato destro del locale. Di fronte a lui un barista dall’aria annoiata, con uno stranissimo codino sulla testa, seviva di malavoglia il gran numero di clienti che affollava il locale.

Fu con una faccia particolarmente scazzata che si rivolse a lui: -Cosa prendi?-

Non potè fare a meno di lasciarsi scappare un ghigno alla vista di quella faccia imbronciata: - Cointreau con ghiaccio.-

Il barista sbuffò scocciato, borbottando in maniera sommessa: -Ecco! Tutta questa gente che ordina roba pesante e poi non la sa sopportare… E poi o mi distruggono il locale o se ne stanno qui a dormire fino a domattina! Ah ma non sarò certo io ad accompagnarli a casa eh! Nossignore! Bah tutte  scocciature!-

Vedendo quella scenata da parte del barista, lui si mise a ridere: -Serataccia eh? Avrai da fare…-

L’altro scrollò le spalle: -Come ogni sabato sera ormai…-

Guardandosi distrattamente in giro, lui fece al barista quella domanda che tanto lo tormentava: -Ma come mai c’è tanta gente qui? Ho fatto fatica a raggiungere il bancone dall’ingresso…-

Per tutta risposta il barista si voltò di scatto a fissarlo in viso con aria sorpresa: -Ma come… Non lo sai?!-

Si rimise a ridere: -Se te lo sto chiedendo… Io non sono mai venuto qui! C’è forse qualche spogliarello stasera?-

Stavolta fu il barista ad esplodere in una grassa risata: -Ah quindi tu non sai cosa c’è qui stasera? Allora è meglio che il Contreau te lo faccia doppio! Tranquillo che te lo offro io…-

Non ci poteva credere, non solo era riuscito a far ridere quel barista scazzato, ma addirittura gli aveva offerto il drink. Ora doveva veramente capire che cosa stava succedendo: -Ma… Perché?-

Proprio in quel momento il gruppo di ballerine discinte che fino ad allora aveva affollato il palco del locale se ne andò tra le grida di apprezzamento del pubblico. Fu allora che le luci del palco si oscurarono, il barista gli sorrise porggendogli il bicchiere: -Lo scoprirai presto!-

Si voltò verso il palco con il suo drink in mano. Nella penombra un’orchestra di uomini in giacca bianca e papillon nero stava prendendo posto sulla parte posteriore del palco. Alcune leggere ovazioni iniziarono a diffondersi tra la gente del locale.

Una volta sistemati gli strumenti, i musicisti aspettarono qualche minuto, finchè una figura, che lui riconobbe proprio come quella di una donna, si avvicinò al microfono al centro del palco.

In quel momento le ovazioni del pubblico divennro davvero rumorose, l’orchestra continuò ad aspettare finchè tutte le grida non si spensero in un unico momento, come d’incanto.

Incanto, fu proprio quello che lui pensò quando l’occhio di bue illuminò il palco. La figura di donna che aveva visto nella penombra altri non era che una delle più belle creature che lui avesse mai visto: bionda, i capelli non molto lunghi le accarezzavano appena le spalle e le scapole, due sottili occhi verde acqua, che sembravano capaci di trafiggerti l’anima solo guardandoti, labbra piene e sensuali, piacevolmente tinte di un rosso rubino, ed un corpo che pareva forgiato da Dio in persona tanto era perfetto, snello e pieno allo stesso tempo, con una pelle liscia e leggermente abbronzata, avvolto in un lungo vestito di seta color vino, le braccia sottili ma non esili fasciate da lunghi guanti neri.

Emanava bellezza e forza, era circondata da un’aurea di sensualità tale da sembrare quasi tangibile: la reincarnazione di Venere in terra!

Fu come in un sogno che sentì la voce del barista: -Allora hai capito? Che ne dici?-

Lui deglutì a vuoto restituendogli il bicchiere: -Il Contreau fammelo triplo!-

Il barista si rimise a ridere: -E devi ancora sentirla cantare…-

Quasi richiamata da quell’affermazione, la donna si avvicinò al microfono: -A tutti voi del Kitkat club buona sera. Grazie di essere qui presenti.-

La voce di quella dea risultò matura e leggermente roca alle sue orecchie, anche quella aveva un che di magico ai suo occhi. Si, doveva assolutamente sentirla cantare.

L’orchestra suonò subito le prime note del brano, lei strinse il microfono a due mani, chiudendo gli occhi, trasportata dal suono della sua stessa melodia.

 

Sunday is gloomy,
My hours are slumberless
Dearest the shadows
I live with are numberless
Little white flowers
Will never awaken you
Not where the black coaches
Sorrow has taken you
Angels have no thoughts
Of ever returning you
Wouldn’t they be angry
If I thought of joining you?

Gloomy Sunday

 

La voce di quella donna era qualcosa di davvero ultraterreno, nonostante la miriade di fans all’interno del locale non un suono riusciva a propagarsi durane quell’esibizione, lui stesso non era in grado di emettere alcun rumore. Si scolò l’intero bicchiere di Cointreau tutto d’un fiato sotto lo sguardo divertito del barista.

 

Gloomy is sunday,
With shadows I spend it all
My heart and I
Have decided to end it all
Soon there’ll be candles
And prayers that are said I know
But let them not weep
Let them know that I’m glad to go
Death is no dream
For in death I’m caressin’ you
With the last breath of my soul
I’ll be blessin’ you

Gloomy Sunday

 

Era incantato, assolutamente incantato dall’artificio che quel diavolo dal corpo d’angelo era riuscito a creare. Anche quelle parole… così intrise di rassegnazione e sconfitta rispetto alla vita, sembravano cozzare incredibilmente con la figura di quella donna dall’aspetto così sfavillante, eppure sentiva che sembrava nata per cantare quella canzone, con quel tono sensuale e struggente, che, come il canto delle sirene, pareva volerti cullare, per poi condurti verso un destino di morte. Era proprio quella la sensazione che lui provava: torpore, passività… era un burattino nelle mani di lei e di quella canzone dal messaggio così nefasto.

 

Dreaming, I was only dreaming
I wake and I find you asleep
In the deep of my heart here
Darling I hope
That my dream never haunted you
My heart is tellin’ you
How much I wanted you
Gloomy Sunday

 

La musica cessò, non un rumore, non un applauso, non un’ovazione da parte di quel pubblico che, ora anche lui l’aveva capito, era giunto lì solo per lei. Lei sul palco attendeva senza scomporsi, evidentemente ci era abituata. Sapeva che il pubblico  doveva lentamente svegliarsi da quell’ipnosi, quel torpore dei sensi che lei era in grado di produrre. Lui stesso faticava a riprendersi per poter applaudire quella cantante divina.

-Cos’è? Ti sei addormentato?-

Si voltò verso il solito barista che lo scrutava con l’aria di chi la sa lunga: -Allora?-

La sua risposta fu breve, ma molto eloquente: -Porca miseria!-

Un ghigno si dipinse sul volto del barista: -Questo è l’effetto che lei fa su tutti… Sembrano quasi innamorati!-

Stava per rispondere che forse ciò che provava non doveva essere molto lontano dall’amore, quando finalmente un sonoro applauso si alzò dal pubblico, corredato di fischi ed espressioni di vera e propria adorazione.

Rimase a fissare tutte quelle persone che applaudivano e lanciavano baci, producendo una confusione che non sembrava in grado di rimanere chiusa in quel piccolo locale, mentre la bella cantante se ne andava salutando e reggendo le decine di rose che le erano arrivate sul palco.

Tornò a guardare il barista che, impassibile, stava asciugando alcuni bicchieri appena lavati: -E tu?-

Il barista alzò gli occhi dal bicchiere che aveva in mano: -Cosa?-

Lui si grattò la testa imbarazzato: -Tu non… Insomma… Quest’esibizione non ti ha fatto effetto?-

L’altro scosse le spalle: -Che ci vuoi fare? Ormai sono anni che la sento e poi… sono fidanzato. Forse l’hai vista… È la guardarobiera.-

Annuì, ripensando alla bella bionda che l’aveva squadrato neanche mezz’ora prima. Orgoglioso, riflettè mentalmente sul fatto che riusciva a destare interesse anche in ragazze già fidanzate.

-Vuoi che te la faccia conoscere?-

Lo guardò un attimo spiazzato: -Chi? La tua fidanzata?-

L’altro ridacchiò divertito: -Ma no! La cantante!-

Lui rimase un attimo muto, aveva davvero la possibilità di conoscere quella cantante? Avrebbe davvero potuto parlarle e magari anche toccarla?: -Sicuro che posso?-

Il barista continuava a ridacchiare, non si era mai divertito tanto come con quel novellino: -Ovvio! Se te lo sto dicendo… Guardami un secondo il banco che arrivo.- e si allontanò.

Si appoggiò con entrambi i gomiti al bancone del locale, osservando di sbieco la gente che, finita l’esibizione che li interessava, stava lentamente lasciando il locale. “Meno male” pensò “Almeno ci sarà la possibilità di parlare con un po’ di calma, senza tutti i suoi fans a starci fra i piedi!”

Passarono alcuni minuti che il barista col codino si fece rivedere dietro il bancone, stavolta con una sigaretta in bocca: -Tra un attimo arriva.-

Lui annuì senza proferire parola. Si era accorto di essere leggermene teso; quella cantante gli aveva fatto uno strano effetto, forse non era stata esattamente una buona idea quella di incontrarla.

-Allora Shika chi è che mi vuole conoscere?-

Quella voce, impossibile non riconoscerla. L’aveva udita una sola volta ma era come se la conoscesse da tutta una vita. Si voltò, dietro di lui c’era proprio la bionda cantane che poco prima l’aveva incantato.

Con un cenno della testa, il barista lo indicò: -Questo qui! Mentre cantavi ti guardava con una tale faccia da pesce lesso…-

Lui subito arrossì come un ragazzino: -M-ma che cavolo dici idiota?!-

La cantante si mise a ridere seguita dal barista: -Un tipo dall’aria simpatica… Dai Shika preparami il solito!- e prese posto su uno sgabello vicino al suo.

Il barista voltò loro le spalle per cercare lo shaker, riprendendo la sua solita aria scazzata. Ora che era arrivata lei, lui non avrebbe più potuto divertirsi con quel tipo strano: -Subito… Un Martini dry per la nostra etoille.- e sbuffò una nuvola di fumo.

Dopo aver osservato per un attimo il barista al lavoro, la bionda si voltò verso di lui: -Se mi vuoi conoscere direi che è meglio partire con le presentazioni! Io sono Temari, piacere di conoscerti!- e gli porse la mano non più guantata di seta, con delle belle unghie rosso cupo.

Capì che lei, pur essendo molto affascinante, era una donna affabile e gentile ma anche molto forte. Notò nei suoi occhi, sotto quel velo di classe e cortesia che gli stava mostrando, una nota di amarezza, tipica di chi non aveva avuto momenti facili nella vita. Chissà com’era finita una donna del genere a fare la cantante?

Sorrise di rimando alla bella artsta: -Davvero un bel nome. Io sono Kiba, molto piacere!- e strinse la mano che lei gli tendeva.

Lei prese il bicchiere che il barista le porgeva, iniziando a giocherellare con l’oliva del drink: -Grazie… Anche il tuo è un nome grazioso… Che ne dici di parlarmi un po’ di te Kiba?-

Lui, appoggiando la schiena al bancone, diede un’alzata di spalle: -Beh su di me non c’è molto da dire… Sono un pover’uomo che è costretto a vivere con una sorella petulante ed una madre che si comporta peggio del Fuhrer stesso… Come lavoro faccio l’impiegato nell’azienda di famiglia e stamattina ho ricevuto la lettera di coscrizione!-

Temari si voltò di scatto a fissarlo negli occhi: -Che cosa?! Devi andare nell’esercito?-

Kiba sospirò curvandosi sul suo sgabello: -Già… Convocazione straordinaria! Parto dopodomani…-

Lei lo guardò pietosa: -Mi dispiace…-

Ridendo, lui si riappoggiò al bancone: -Ehi non fare quella faccia! Non è mica detto che vada là per morire…- lui diceva così, ma era anche vero che sarebbe partito nel pieno della guerra e che l’Asse non era certo un nemico facile da sconfiggere. E anche se fosse sopravissuto ne avrebbe viste tante da togliergli completamente la voglia di vivere.

D’improvviso gli tornarono in mente le parole della canzone, che sembravano riflettere perfettamente quello che provava al pensiero di ciò che gli sarebbe successo. A quel punto gli venne spontaneo sorridere: -Comunque bella la tua canzone!-

Anche lei appoggiò la schiena al bancone, accendendosi una sigaretta: -Sicuramente è adatta ad una serata come questa…-

Kiba annuì, pensando a tutta la pioggia che aveva preso prima di andare in quel locale: -Già! Anche se oggi non è domenica.-

La cantante guardò all’orologio appeso alle spalle del barista: -Invece adesso è mezzanotte e mezza! Tecnicamente è già domenica.-

Il bruno avventore si mise a ridere: -Già… Comunque, se non sbaglio, il tuo è un brano di Billie Holiday vero?-

Prendendo una boccata dalla sigaretta, la donna annnuì: -Si, ma non è la versione originale.- poi soffiò una nuvola di fumo.

Kiba non potè fare a meno di rimanere incantato da quella visione. Una come Temari avrebbe potuto immaginarla solo seduta compostamente ad un tavolo mentre fumava con grazia da un lungo bocchino; invece eccola lì, seduta su uno sgabello troppo alto, a prendere grandi boccate da una rozza sigaretta solitaria, eppure lo faceva con una tale classe da rendere elegante ogni singolo movimento, ogni singolo respiro, ogni singola boccata. Sorrise, pensando che avrebbe davvero voluto essere lui quella sigaretta.

Ebbene sì, lei gli piaceva. Ma che poteva fare in proposito? Lei era una bella e famosa cantante di piano bar, e lui? Un sempliciotto giunto lì per caso, che era riuscito addirittura a farsi prendere in giro dal più addormentato dei baristi e che fra neanche due giorni sarebbe partito per la guerra. Come avrebbe potuto rendersi appetibile agli occhi di lei in quelle condizioni? Magari poteva contare un’altra volta sul suo fascino selvaggio.

-Che vuol dire che non è la versione originale?-

Lei gli sorrise dolcemente: -La mia canzone è il rifacimento di un brano scritto da un musicista ungherese nel 1933.-

Kiba la guardò stupito: conosceva la versione di Billie Holiday, ma non immaginava certo che in realtà si trattasse di una canzone ungherese: -Ma dai! E come si chiama?-

Una smorfia si dipinse sul volto di Temari: -Mi dispiace ma il titolo originale non me lo ricordo, oltretutto è impronunciabile, comunque in pratica è “domenica cupa” in lingua ungherese.-

Kiba sospirò mesto: -Mi piacerebbe sentirla… Anche se lo so che non ci capirò un accidente!-

La donna rise per le maniere alquanto goliardiche del giovane, la risata si trasformò poi in un sorriso sornione: -Se vuoi ho il disco a casa mia…-

Lui la vide, una luce strana brillava negli occhi di lei. Che intenzioni aveva?

-Mi dispiace ma lunedì devo partire… Domani non posso venire ad ascoltarlo…-

Temari si protese verso di lui: -E chi parlava di domani…- prese l’oliva del suo Martini e lentamente gliela portò alle labbra: -Vieni adesso…-

Lui rimase per un attimo senza parole, dopodichè, sorridendo, prese l’oliva del Martini di Temari tra i denti, lasciando che lei ne sfilasse lo stuzzicadenti. Dopo averla mangiata lentamente, senza mai staccare gli occhi da quelli di lei, disse: -Va bene! Andiamo!-

La cantante sorrise, voltandosi poi verso il bancone per salutare il barista: -Ciao Shikamaru! Io vado a casa…-

L’uomo le fece appena un cenno della testa sorridendo sornione, conosceva bene Temari e poteva dire che quel sempliciotto, capitato per caso in quel locale, era davvero molto fortunato. Mai nessuno prima di lui era riuscito a farsi portare a casa da lei in quel modo.

I due si diressero velocemente verso il guardaroba, dove Kiba ritirò il suo soprabito e Temari si rivolse alla guardarobiera: -Ino potresti passarmi la mia roba?-

-Certo Tem!- la bionda guardarobiera tornò a cercare, ritornando poi con un elegane soprabito nero ed una pochette dello stesso colore: -Ecco qui tesoro! Mi raccomando fai la brava stasera!- e le fece un occhiolino.

Temari rise. –Va bene mammina!- e ricambiò l’occhiolino.

I due uscirono dal locale e si misero a camminare sotto la pioggia. Kiba si soffermò di nuovo a guardarla: anche in quel momento, con la testa piegata sotto quella pioggia così fastidiosa, quasi correndo per la fretta di giungere a casa il più presto possibile, era sempre circondata da quell’aura di sensualità e rafinatezza che ormai erano peculiari di quella meravigliosa creatura.

-Abiti molto lontano?-

Lei scosse la testa: -No, guarda. Siamo arrivati.-

Indicava un’alta palazzina dalle mura grigio fumo. Non sembrava uno di quei posti quallidi che spesso contraddistinguevano le vie di Chicago, sembrava invece molto ordinato e piuttosto ben mantenuto. Certo, non era un posto lussuoso o d’elìte, ma di sicuro era un luogo per gente per bene.

Bastò uno sguardo. Non erano neanche giunti nel pianerottolo dell’appartamento di lei che già si erano persi nei meandri della passione, quella passione che aveva già iniziato ad avvolgerli sin da quando i loro occhi si erano incrociati per la prima volta.

Le mani di Kiba correvano sul corpo di Temari sotto il pesante soprabito, tastandone le forme toniche ed abbondanti, mentre le labbra dei due amanti si erano unite in un bacio che da solo lasciava presagire ciò che di lì a poco sarebbe successo. Le loro lingue si muovevano agili ed esperte, accarezzavano il palato, i denti, si cercavano, si succhiavano.

Spinta contro la porta del suo stesso appartamento, Temari tentò, nella foga delle loro effusioni, di prendere dalla borsa la chiave e di infilarla nella serratura, impresa a dir poco impossibile. Decise quindi di concedersi un secondo di tregua, scostandolo leggermente: -A-aspetta… Sennò non possiamo entrare…-

Kiba la lasciò fare, scendendo però a baciare la soffice pelle del suo collo mentre lei, con qualche difficoltà, riuscì finalmente ad aprire la porta.

Entrando si trovarono in un appartamento di modeste dimensioni ma arredato con gusto, evidentemente Temari doveva avere una passione per l’arredamento etnico a giudicare dalla scelta dei mobili. Fatto che Kiba giudicò trascurabile al momento, dato che il suo pensiero primario era un altro: -Dov’è la camera…- sussurrò sul collo di lei, per poi riprendere a baciare. Con un gemito, lei indicò la stanza alla fine del corridoio. Allora Kiba, quasi prendendola di peso, la portò nella stanza da letto.

Stettero però alcuni minuti a baciarsi in piedi vicino al letto, beandosi delle sole carezze e del contatto delle loro labbra.

I loro soprabiti caddero sul pavimento con un tonfo sordo, formando una piccola pozzanghera.

Le mani di Temari iniziarono ad infilarsi sotto la camicia bianca di Kiba, slacciandone velocemente i primi bottoni, per poi posarsi sul petto bruno e muscoloso dell’amante.

Lui invece si stava concentrando sulla spalla di lei, assaporando quella pelle profumata, lasciando scie umide al passaggio dei suoi baci infuocati mentre i suoi denti mordicchiavano, lasciando segni rossi che non sarebbero scomparsi presto.

A quel punto lei prese l’iniziativa: lo spinse sul letto e quando lui alzò gli occhi stupito, lei gli rispose sorridendo con malizia: -Lascia fare a me…-

Portò le mani alle spalline del vestito di seta, come le ebbe abbassate il vestito cadde da solo, leggero come una piuma, rivelando Temari in tutto il suo splendore, solo un paio di slip di pizzo nero a coprire il suo splendido corpo.

-Bellissima…- sussurrò Kiba mentre lei, sempre con quell’espressione ironica che tanto lo affascinava, si mise a cavalcioni su di lui, sbottonando del tutto la camicia e chinandosi a baciargli il petto.

Kiba si lasciò andare alla sensazione piacevole che i baci di Temari sulla sua pelle gli provocavano. Lei gli sfilò completamente la camicia, iniziando poi a tracciare con la lingua le linee dei pettorali e degli addominali.

A quel punto lui, preso da un raptus a dir poco animalesco, strinse le braccia intorno alla vita di lei, con un colpo di reni invertì le posizioni, un ghigno dipinto sul volto: -A me piace giocare da attivo tesoro!-

Lei fece un risolino, dopodichè alzò una mano. Una leggera carezza sulla guancia di lui, che stava fermo a guardare, passò poi sulla sua fronte alta, coperta da ribelli ciuffi bruni. Temari iniziò a giocarci, passando poi alla sua chioma scompigliata, che la donna trovò piacevolmente morbida al tatto. La mano poi scese lenta sulla nuca di lui, facendolo gemere di soddisfazione. A quel punto Temari spinse a sé la testa di Kiba, unendosi a lui in un nuovo, famelico bacio.

Ecco, era finita: ora Kiba era definitivamente, inderogabilmente, pericolosamente prigioniero dell’incantesimo di Temari.

 

Si amarono per quasi tutta la notte finchè Kiba, stremato, si accasciò sul corpo ancora palpitante di Temari. La bionda lo accolse a braccia aperte, iniziando poi ad accarezzargli la testa come ad un bambino: -Complimenti… Non mi sarei mai aspettata una tale performance da parte tua!-

Lui sorrise sulla spalla di lei: -Ehi! Grazie per la considerazione!-

Temari continuava a passare la mano tra i suoi capelli; le piacevano, le piacevano davvero tanto: -Dai! Non dirmi che te la sei presa!-

Il bruno grugnì un “no” molto poco convincente, alzandosi poi sui gomiti per guadarla negli occhi: -Comunque… Non dovevo venire qui per sentire un disco?- sorrideva, Temari fu felice di constatare che lui non era un tipo che serba rancore.

Lei annuì, cominciando a passare un dito tra le linee di quei pettorali che tanto l’attiravano: -Già… Però c’è una cosa che ti dovrei dire… prima che tu l’ascolti!-

Kiba la guardò incuriosito: -Di che parli?-

Temari portò la sua mano al viso di lui, che subito ne baciò il palmo: -Beh… C’è una leggenda a proposito di quella canzone…-

Il bruno si staccò lentamente dalla mano di lei: -Leggenda? E che cosa dice?-

Stettero un attimo in silenzio, Kiba si sdraiò al fianco di Temari, mettendole un braccio intorno alle spalle quando lei appoggiò la testa al suo petto.

Il bruno iniziò ad accarezzarle la schiena, procurandole i brividi: -Allora? Cos’è che dice questa leggenda?-

Lei si accoccolò meglio sul petto di lui, riuscendo ad ascoltare il lento battito del suo cuore: -La canzone… Porta al suicidio!-

Kiba la fissò stranito: -Eh?!-

La bionda si mise a ridere per la buffa reazione del compagno: -Scusa… Sono stata un po’ troppo diretta! Diciamo che, in seguito alla scrittura dello spartito e alla sua incisione, ci sono stati molti suicidi legati a quel brano. Gente che lo ascoltava mentre si riempiva di barbiturici, altri che si sono impiccati con lo spartito al loro fianco e storie del genere… Le quali hanno creato la diceria che all’interno della canzone ci fosse un messaggio subliminale che porta la gente al suicidio.- concluse la storia con un sospiro, ricominciando a passare un dito sugli addominali di lui.

Lui le accarezzava i capelli pensieroso: -Una canzone che uccide eh?- si alzò di scatto a sedere, con un sorriso sornione dipinto sul volto: -Dai mettila.-

Temari seguì il compagno, trattendo il lenzuolo per coprire il seno: -M-ma sei sicuro? Dopo quello che ho detto?-

Il bruno scrollò le spalle: -Io non sono mai stato uno che crede nel suicidio: la trovo un’inutile manovra per gente codarda. Voglio prenderla come una sfida…-

Lei sorrise abbracciandosi a lui e allungandosi a baciargli il collo: -Ma anche io dovrò ascoltarla…- bacio – E se anche io…- bacio –dovessi uccidermi?-

Lui si voltò verso di lei, circondandola con le sue braccia e cercando le sue labbra con le proprie, distendendola lentamente sul letto. Dopo alcuni minuti di baci e carezze, lui si alzò sui gomiti, accarezzandole i capelli: -Se tu dovessi morire… Io morirei con te, senza esitazione.-

Temari si mise a ridere divertita, tra le braccia di lui: -La tipica frase di chi è solito fare il cascamorto con le donne! Sei proprio un Don Giovanni!-

Kiba rise: -Ehi che cattiveria!- le diede un altro bacio: -Allora? Metti questo disco?-

Lei, baciandolo ancora, annuì e nuda com’era si alzò dal letto e andò verso il grammofono che teneva in camera. Si chinò per aprire lo sportello del mobiletto su cui era collocato, consultando la fila di dischi che vi erano disposti.

Intanto Kiba, disteso sul letto, si godeva la visione del corpo di lei: -Sai che hai davvero un sedere da favola?-

La bionda lo guardò di sbieco, leggermente irritata: -E tu lo sai che sei un imbecille? Ma chi me l’ha fatto fare di venire a letto con te...-

Lui la guardò ironico: -Perché sono bello, affascinante, simpatico, affabile e straordinariamente perfetto?-

Temari neanche si voltò, continuando a guardare i dischi: -Si… come no! Ah eccolo!- e prese un disco dalla copertina di un marrone molto chiaro, quasi rosato, su cui c’era la foto di un uomo dal naso aquilino e le labbra carnose. In alto a grandi lettere il titolo della canzone: Szomorú vasárnap.

La donna sfilò il disco dalla custodia, appoggiandola sul mobiletto, dopodichè alzò la puntina del grammofono, verificando che fosse sana, e mise il disco sul piatto. Girò poi la manovella del grammofono finchè il disco si mise a girare, a quel punto appoggiò la puntina sul disco.

Mentre Temari si riavvicinava a Kiba sul letto, nella stanza si diffuse il lento fruscio del grammofono, che venne poi subito accompagnato da alcune note al pianoforte.

Il bruno, tenendo la compagna stretta a sé, prestò attenzione alla melodia.

 

Osz van és peregnek a sárgult levelek
Meghalt a földön az emberi szeretet
Bánatos könnyekkel zokog az öszi szél
Szívem már új tavaszt nem vár és nem remél
Hiába sírok és hiába szenvedek
Szívtelen rosszak és kapzsik az emberek...

Meghalt a szeretet!

 

Kiba arricciò il naso irritato: -Non ci capisco un accidente!-

Lei rise, accoccolandosi un po’ più vicina al suo petto: -Beh è in ungherese…-

Il bruno sospirò, stringendola di più a sé: -Ah già… me l’avevi detto… Comunque che noia!-

Temari rise, baciandolo dolcemente: -Dai coraggio! Non dura ancora tanto!-

Vége a világnak, vége a reménynek
Városok pusztulnak, srapnelek zenélnek
Emberek vérétol piros a tarka rét
Halottak fekszenek az úton szerteszét
Még egyszer elmondom csendben az imámat:
Uram, az emberek gyarlók és hibáznak...

Vége a világnak!

 

Mentre le ultime note del pianoforte si spegnevano nella calda atmosfera della stanza, Temari osservò Kiba che ancora guardava il soffitto con aria delusa; l’espressione crucciata che aveva sul viso le ricordava quasi quella di un bambino. Sorridendo, si alzò leggermente, appoggiandosi al corpo di lui per poterlo guardare in viso: -Allora? Ti è piaciuta?-

Per tutta risposta, lui sbuffò deluso: -Francamente preferisco di gran lunga te e la tua versione! Che schifo…-

Lei si alzò dal letto con un’espressione divertita, incredibile come lui riuscisse a farla ridere tante volte in poco tempo. Andò a togliere il braccio con la puntina dal disco che ormai già iniziava a rallentare; non rimase ad aspettare, l’avrebbe rimesso nella custodia in un secondo momento.

Ritornò subito a letto, accucciandosi al fianco di Kiba, che già aveva iniziato a sbadigliare: -Ma che ore sono adesso?-

Temari diede una veloce occhiata all’orologio appeso al fianco del letto: -Sono le quattro e mezza…-

L’uomo sospirò sconsolato: -Accidenti è già così tardi… E lunedì devo anche partire…-

A quelle parole la cantante ebbe un fremito, scattò a guardarlo negli occhi: -N-non vorrai andare a casa…-

Il bruno, non notando la nota preoccupata nella voce di lei, sbuffò scocciato: -No… a quest’ora sarebbe un suicidio… Me ne andrei a casa domani… Sempre se non ti disturba!-

Lei sorrise, un sorriso con una punta di amarezza; era sollevata, ma quella era davvero una magra consolazione. La mattina dopo lui sarebbe andato via e lei non l’avrebbe più rivisto, lo sapeva: -No… nessun disturbo.-

Kiba sorrise, dopodichè la bacio ancora una volta. Un bacio particolare, famelico, irrequieto; si mise sopra di lei, accarezzando con decisione la linea di fianchi e le lunghe coscie, risalendo poi al seno, al collo ed infine al viso di lei… e lì si fermò: -Ora è meglio farsi una dormita… che ne dici?- le sorrise dolcemente, sfiorandole la  guancia col dorso della mano.

In quel momento Temari sentì un groppo in gola: anche lui lo sentiva, anche lui sapeva che non si sarebbero più rivisti,  gli sorrise: -Hai ragione… Buona notte!-

Kiba si mise al fianco di lei, stringendola a sé: -Buona notte!-

Stretti com’erano, caddero lentamente tra le braccia tra le braccia di morfeo.

 

Temari dischiuse lentamente gli occhi, notando che la stanza era già immersa in una tenue luce grigiastra proveniente da dietro le pesanti tende. Era ancora in dormi-veglia, non riusciva ancora a recepire ciò che le stava intorno, sentiva solo una piacevole sensazione di calore ed un rumore lieve e ritmato:-Tu-tum, tu-tum, tu-tum, tu-tum- Cos’era? Un tamburo? No, troppo debole. Somigliava di più al rumore di un cuore, si, un cuore… il suo cuore… il cuore di lui… il cuore di Kiba… Kiba…

Si alzò di scatto, con l’improvisa paura che lui non fosse più lì… e invece lo trovò ancora al suo fianco, piacevolmente addormentato, con un braccio intorno alla sua vita, l’altro abbandonato lungo il fianco. Il petto muscoloso si muoveva al ritmo del suo respiro e la sua espressione era serena e rilassata.

Era un piacere guardarlo, sembrava davvero un bambino; Temari passò di nuovo una mano tra quei capelli che le piacevano tanto. A quel tocco, seppur leggero, Kiba aprì gli occhi, sbattendo piano le palpebre.

Nel vederlo mentre si stropicciava gli occhi, Temari non potè fare a meno di sentirsi un po’ in colpa: -Scusa… ti ho svegliato…-

Lui la guardò sorridente: -Oh tranquilla! Magari mi svegliassi più spesso così…- e la strinse a sé, baciandole piano il collo.

Gemendo  piano, la bionda si lasciò andare di nuovo alle carezze di lui, finchè un nuovo pensiero non le attraversò la mente: -Ma… che ore sono?-

A malincuore Kiba si staccò da lei, permettendole di consultare l’orologio a muro. Quando lei, alzandosi a sedere, lo vide, sentì lo stomaco contrarsi: -Già le undici…-

Lui la strinse, ristendendola sul letto, sotto di lui: -No… Sono “ancora” le undici! Abbiamo tutto il tempo di stare in insieme un altro po’.-

Parole rassicuranti, ma dette con una nota di amarezza, l’amarezza di chi vorrebbe tanto credere in ciò che sta dicendo ma purtroppo non ci riesce fino in fondo.

E Temari se ne accorse, sentiva la tristezza di lui. Sorrise tristemente, anche lei si sentiva così: quella notte, che avrebbe dovuto essere più simile ad un gioco, ad un passatempo, ad un saluto particolare per un poveraccio che sarebbe dovuto partire per il fronte, si era trasformata nella cosa più meravigliosa e, allo stesso tempo, più straziante della sua vita.

Si amarono un’altra volta, ma questa era differente dalle precedenti: per tutto il tempo i due amanti non staccarono gli occhi l’uno dall’altra. Continuavano a guardarsi con gli occhi umidi, sussurrando, a volte urlando, il nome dell’altro, finchè insieme non raggiunsero l’apice, lanciando il grido più forte.

Kiba stremato si appoggiò sui gomiti, non cessando un istante di guardarla, il viso sudato e sul volto sempre quel sorriso amaro che ormai caratterizzava quella mattina.

Fece un lungo sospiro: -Ora devo proprio andare… È già mezzogiorno passato.-

L’aveva detto, ma intanto se ne stava fermo su di lei. Nessuno dei due parlava, bloccati da una sensazione simile a quella che si prova quando si deve strappare un cerotto rimasto incollato ad una ferita.

Neanche loro sapevano quanto tempo avevano passato fermi a fissarsi, finchè lui, con uno sforzo sovrumano ed uno scatto troppo veloce ed impacciato per dissimulare ciò che sentiva, si alzò di scatto dal letto, cominciando velocemente a vestirsi.

Lei, seduta sul letto, lo guardava infilarsi velocemente i boxer ed i pantaloni, per poi passare alla camicia che lei, solo la sera precedente, gli aveva sfilato con desiderio: -Ma non vorresti fare una doccia prima?-

Kiba scosse la testa, mentre tirava su il soprabito, allontanandolo da quello di lei che ancora stava sul pavimento. Quando se ne accorse prese anche quello e lo mise su una sedia, infilandosi poi il proprio.

Come l’ebbe addosso, fu pervaso da un brivido e da una sensazione fastidiosa: -Uffi è bagnato…- fece poi una smorfia.

Al vederlo con una faccia così scocciata, Temari si concesse una risatina: -Lo credo bene… è rimasto appallottolato sul pavimento per tutta la notte!-

Lui sospirò, dopodichè si protese verso di lei. Le diede un bacio, l’ultimo. Contrariamente alle sue intenzioni, fu un bacio lento e sentito, le sue mani andarono spontaneamente alle guance di lei.

Quando si staccarono, lei gli accarezzò i capelli: -Vuoi che ti accompagni all’entrata?-

Lui scosse la testa, lasciandole le guance che subito le diedero una fastidiosa sensazione di freddo: -No… Non c’è bisgono. Stai qui che sennò prendi freddo. Ti ricordo che sei ancora nuda…-

La bionda sorrise leggermente: -Già…-

Kiba si fermò un attimo a guardarla, dopodichè si alzò: -Beh… è meglio che vada! Ciao…-

Lei agitò lievemente la mano: -Ciao…-

E Kiba lasciò la stanza, Temari ascoltò ad uno ad uno i passi sul parquet del corridoio, dopodichè l’inconfondibile scatto della maniglia della porta e, subito dopo, l’ancor più inconfondibile tonfo della porta che si chiudeva.

Sentì come una stretta allo stomaco, lui le sarebbe mancato molto, lo sapeva. Non solo perché era bravo a letto, neanche perché era un tipo affascinate. Lui era riuscito in una sola notte a farle ciò che nessun altro uomo aveva mai fatto.

Sarebbe riuscita a rivederlo? Queso proprio non lo sapeva; sapeva solo che non erano molti i fortunati che tornavano dall’Europa e questo pensiero le stava dando una strana ansia.

Era rimasta vittima del suo stesso gioco: lei, che sempre aveva giocato a sedurre gli uomini con la sua bella voce ed il suo aspetto sensuale, che adorava vederli mentre rimanevano senza parole quando lei si esibiva, che non concedeva mai niente a nessuno, alla fine non solo aveva portato a casa sua un completo sconosciuto, ma addirittura provava una sensazione di vuoto al pensiero che non l’avrebbe più rivisto.

Il suo sguardò andò alla finestra, dove vedeva la pioggia della sera precedente cadere ancora insistente e punteggiare i vetri di piccole gocce che dopo un attimo scorrevano verso il cornicione. Sorridendo si ricordò che era domenica e, quasi per un beffardo scherzo del destino,  le venne in mente quella canzone che era stata il simbolo del loro incontro e che ora sembrava descrivere perfettamente il momento della loro separazione.

Quasi senza accorgersene, iniziò a canticchiare.

 

Sunday is gloomy,
My hours are slumberless
Dearest the shadows
I live with are numberless
Little white flowers
Will never awaken you
Not where the black coaches
Sorrow has taken you
Angels have no thoughts
Of ever returning you
Wouldn’t they be angry
If I thought of joining you?

Gloomy Sunday

 

 

 

Piaciuta? Lo so... E' molto diversa da ciò che ho sempre scritto (anche se, in effetti, non c'è molta coerenza tra le cose che scrivo...-_-'''), soprattutto per il finale, aperto ma chiaramente triste...

Ci tengo a sottolineare che la fic non è scritta a caso... semplicemente si tratta della storia di due persone rimaste prigioniere di un gioco più potente di loro, come poi ho già detto nell'introduzione. Lui aveva voglia di un'ultima distrazione prima della coscrizione forzata e lei, che non doveva esser nuova a certe cose, voleva dargliela. Ma alla fine, affascinati dai modi l'uno dell'altra e, fattore non strascurabile, dalla reciproca sensualità, hanno finito per far crescere troppo un sentimento nato per scherzo.

Miiiii che storia triste!!! Fatemi sapere se vi è piaciuta!!! ^____________________________________^

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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