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Autore: _yulen_    23/07/2015    2 recensioni
Yekaterina Danilenko è una ragazza di origine russe, ma che prima dell'Apocalisse abitava a Fargo, un piccolo paesino in Georgia. Orfana di madre, morta dandola alla luce, è cresciuta con il padre che nonostante la mancanza della moglie, è riuscito ad educarla.
All'età di cinque anni fa la conoscenza dei fratelli Dixon e da lì nasce una profonda amicizia che l'accompagnerà per tutta l'adolescenza, ed è proprio in quel periodo che si innamora di Daryl, il minore dei due fratelli.
Quando i morti iniziano a risorgere, Kate sa che potrebbe morire da un momento all'altro, ma non vuole andarsene senza prima essere riuscita a dichiarare il suo amore.
Tra fughe da orde di vaganti e lotte per sopravvivere, Kate dovrà riuscire a trovare il coraggio di confessare al suo amico di vecchia data i suoi sentimenti e un'altro piccolo segreto che potrebbe distruggere la loro amicizia.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daryl Dixon, Merle Dixon, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo28
 
 
 
 
 
 
 
Dopo il discorso con Kim non riuscii a prendere sonno. Mi sentivo strana e una parte di me voleva uscire da quella casa per affrontare Daryl a quattr’occhi.
In me si annidava il bisogno di sapere cosa lo avesse spinto a rimanere al mio fianco per tre giorni dopo che mi ero comportata in maniera così ignobile con lui. Passai tutta la notte a ricordare come la sua mano calda e ruvida era piacevole contro la mia morbida e fredda, e desiderai che fosse con me anche in quel momento per riscaldare le mie dita congelate.
Il mattino successivo ero così stanca da non riuscire a tenere gli occhi aperti per più di tre secondi, quando Hershel entrò per visitarmi dovetti fare ricorso a tutta la mia buona volontà per riuscire a rimanere sveglia e dopo che uscii, potei finalmente a distendermi.
Mi rigirai più volte nel letto, cercando di trovare la posizione giusta e dopo essermi messa a pancia in giù e aver tolto il cuscino da sotto la faccia, sentii tutti i miei muscoli rilassarsi, quello era l’unico modo in cui avrei potuto dormire senza che il peso premesse sulla scapola. Non ci volle molto affinché cadessi in un profondo stato di dormiveglia, ma quando sentii la porta della camera sbattere sbuffai sonoramente.
Lasciatemi dormire.
Voltai il capo a destra e quando vidi Kim con lo stesso vassoio della sera precedente e una busta appesa nella piegatura del braccio, tornai a nascondere il viso contro il materasso. Mi faceva piacere che si preoccupasse per me, ma avrebbe potuto usare un po’ più di grazia nell’entrare invece di travolgere tutto come faceva al suo solito.
«Ti ho portato la colazione».
Biascicai qualcosa che doveva essere un “va bene”, ma dalla mia bocca uscii un suono che sembrava più il verso di una mucca, il mio gemito fece scoppiare la mia amica in una sonora risata e pregai che qualcosa le andasse di traverso per farla stare zitta.
«Dormito poco?» domandò.
Annuii e rotolai su un fianco per sedermi in modo permetterle di appoggiare il vassoio sulle mie gambe lasciando la borsa a terra.
«Dopo devo andare con Glenn a cercare provviste. Ti serve qualcosa?».
Ci pensai un po’ su quando non mi venne in mente niente che potesse servirmi, a parte le solite cose non c’era nulla di cui avevo urgente bisogno, ma quando mi ricordai del perché fossi lì, mi tornò in mente anche la promessa che mi ero fatta.
È ora di cambiare look.
«Forbici, olio, balsamo, shampoo e un pettine. Quando uno di quei mostri mi ha presa per i capelli ho giurato che me ne sarei disfatta se fossi sopravvissuta» spiegai notando il suo sguardo scettico.
Kim annuì e si sedette dall’altra parte del letto in attesa che finissi la colazione.
«Il mio borsone con i medicinali» dissi. «Quanta roba c’è dentro?».
«È stato usato parecchio negli ultimi giorni, dopo l’incidente con Carl, quello con Daryl e…».
«Aspetta» la fermai strozzandomi quasi con il succo d’arancia che stavo bevendo.
«Incidente a Daryl?» domandai seriamente preoccupata.
«È successo cinque giorni fa mentre stava cercando voi. È tornato indietro tutto trasandato, Andrea lo ha scambiato per uno zombie e gli ha sparato, il proiettile gli ha sfiorato la testa» rispose con leggerezza.
La guardai di sottecchi domandandomi come facesse a trattare con non curanza un fatto così grave che avrebbe potuto costare la vita di una delle persone per me più importanti, era anche vero che lei non si impressionava facilmente e che non si fasciava la testa prima di farsi del male, ma avrebbe potuto mostrare un po’ più di interesse.
«Portami il borsone dopo, così ti scrivo su un foglio cosa dovete cercare».
Una volta finita la colazione posai il vassoio sul comò e Kim si alzò per prendere la busta al cui interno c’erano un cambio di vestiti e un flacone di bagnoschiuma e shampoo.
«Ho pensato che volessi darti una pulita. Ti do una mano?».
Annuii e insieme a Kim camminai fino al bagno dove mi sedetti su una sedia lì presente. La mia amica mi aiutò a togliermi la maglia quando vide che non riuscivo a muovere bene la spalla e poi lasciò che finissi di spogliarmi. Non potevo ancora lavarmi completamente, per questo dovetti pulirmi a strati e anche se non era come farsi una doccia completa, riuscii almeno a togliere il grosso dello sporco che si era depositato sulla mia pelle nei giorni precedenti. Per lavarmi i capelli mi inginocchiai a lato della vasca e portai la testa al suo interno, quando vidi l’acqua tingersi di colori come il nero e il marrone feci una faccia schifata; sembrava che mi fossi rotolata in una pozza di fango e ci avessi sguazzato dentro per un po’.
Dopo che ebbi finito di sistemarmi alla meno peggio tornai in camera, ma non avevo nessuna voglia di restare sul letto, così chiesi a Kim se potesse spostare la poltrona vicino alla finestra in modo che potesse cambiare panorama.
Dalla mia postazione potei vedere un accampamento composto da auto e tende posto nel cortile davanti la casa, in cerchio erano disposte delle sedie al cui interno c’era il fuoco spento che avevano usato per la colazione, guardando più attentamente vidi che mancava la moto di Merle e quando spostai gli occhi verso la parte più esterna del campo per cercarla, con la coda dell’occhio vidi Rick e Shane parlare. Anche se non sapevo di cosa stessero discutendo, la postura rigida di entrambi mi suggerì che non fosse un argomento molto leggero, aggrottando la fronte mi chiesi se l’ex sceriffo sapesse delle scappatelle della moglie e come avesse reagito, non lo conoscevo ancora bene, ma mi era parso un uomo calmo e ragionevole al punto che avrebbe fatto di tutto per il bene della sua famiglia.
«Se te lo stai chiedendo Rick sa di Shane e Lori» disse Kim che aveva visto il mio interesse verso i due uomini.
«Non credo che abbia digerito l’intera storia, ma sta cercando di passarci oltre per il bene di Carl e del nascituro nonostante sappia che potrebbe non essere suo».
«Sei una pettegola» commentai con un sorriso.
«Dovrò pur trovare qualcosa che non sia spaccare teste e arrostire scoiattoli» rispose.
«Comunque ora devo andare. Ci sono panni da stendere e da lavare e non sia mai che Sua Maestà venga a rimproverarmi perché non lavo le mutande».
«Non essere così cattiva» la rimproverai dandole uno schiaffetto al braccio.
«Quella donna è un tiranno, credimi».
Salutai Kim che uscì ed io rimasi di nuovo sola. Guardai dalla finestra i miei compagni intenti a svolgere ognuno le proprie mansioni e desiderai di essere lì con loro per potermi sgranchire un po’. Non ce la facevo più a stare ferma, le natiche mi facevano male con tutti i giorni che avevo passato distesa e sentivo di tanto in tanto uno strano formicolio per le gambe che mi spingevano ad alzarmi e farmi un giro. Persino Sophia era in piedi e stava giocando ad acchiapparella con Carl.
Sbuffai e appoggiai la fronte contro la parete rimanendo ad osservare il mondo come se la cavava senza di me, per noia probabilmente alla fine mi addormentai, risvegliandomi al suono di un leggero bussare. Mi stropicciai gli occhi sentendomi ancora più stanca di prima, quelle ore di riposo avevano fatto più danno che bene.
La porta si aprì e come sempre mi aspettai che fosse Kim, ma quando vidi dei lunghi capelli biondi e mossi incorniciare due occhi azzurri il mio sorriso si fece più grande.
«Andrea» dissi.
La ragazza si avvicinò a me ed io mi alzai per poterla abbracciare. Era bello rivederla e non riuscivo ad aspettare oltre per poter ricongiungermi al resto della combriccola di disperati, come Kim li aveva chiamati la prima volta.
Mi staccai e la guardai non riconoscendola quasi. Quando l’avevo lasciata aveva un’espressione sofferente sul viso ed era ancora in pena per la morte della sorella, ora mi sembrava differente. Più forte e sicura, i suoi occhi brillavano in modo diverso, mi sembrava più capace di prima e pronta a fare qualsiasi cosa per vivere.
«Stai bene?» domandai. Sapevo che non poteva essere altrimenti, ma volevo che fosse lei a dirmelo.
«Sì, e so che le cose non torneranno come prima. Amy è morta, ma non devo arrendermi solo per questo» rispose. «Per lei ero quella sorella forte, non quella che si abbandonava alla tristezza e al dolore e voglio essere di nuovo quella persona».
«E tu?» chiese. «So che è stata dura per te».
Sospirai e abbassai lo sguardo pensando che se le cose fossero andate diversamente saremmo entrambe morte.
«Non immagini quanto. Quando eravamo nel bosco Sophia ha smesso di respirare per qualche minuto e ho pensato al peggio, io ero ferita davvero gravemente e non avevo più pallottole per fare ciò che dovevo fare. Ho pensato che mi sarei trasformata una volta morta, poi Rick e Shane ci hanno trovati».
«Ciò che importa davvero è che voi siate qui sane e salve» rispose per darmi conforto.
Sorrisi e guardai di nuovo fuori.
«La moto di Merle?» domandai.
«Daryl e il fratello sono al delimitare della foresta, non credo sia cambiato molto dalla cava. Anche allora preferivano restare soli».
Sempre i soliti.
«Kim è passata insieme a Glenn per portarti il pranzo e chiederti quali medicinali servissero prima che lei partisse, ma tu dormivi. Vuoi che ti porti la cena?».
«Sì, o Kim è capace di salire e imbocconarmi lei stessa. Ammetto che mi fa paura».
Ridemmo alla mia battuta, ma dovetti fermarmi quando a forza di sussultare iniziai a sentire dolore alla scapola, solo per ricominciare più forte quando la diretta interessata fece capolino dalla porta.
«Che mi sono persa?» domandò.
Io e Andrea ci guardammo in faccia per alcuni secondi, camuffando le nostre risate con dei colpi di tosse.
«Sapete cosa? Preferisco non saperne nulla» disse scuotendo la testa. «Hershel ha detto che se vuoi puoi venire a mangiare giù con noi».
A quella frase mi ricomposi e i miei occhi brillarono più vivacemente, con uno scatto degno di un felino mi alzai dalla poltrona e seguita dalle due donne mi precipitai, per quanto il piede me lo permettesse, giù per le scale fino alla porta d’ingresso.
Uscii dalla casa e subito il mio naso avvertii il profumo della cena disperdersi nell’aria fresca e pulita, quegli odori così forti e veri mi fecero sentire completamente rinata, come se per una settimana avessi vissuto dentro una cupola.
Quando mi avvicinai abbastanza al fuoco dove il gruppo sedeva, qualsiasi discorso fosse in corso s’interruppe non appena Glenn, notando la mia presenza, alzò gli occhi verso di me e disse il mio nome sorridendo. Salutai i miei amici che furono bel felici di vedermi e poi mi sedetti in uno spazio vicino ad Andrea.
Mangiai lì con loro ridendo e scambiando qualche battuta, di tanto in tanto vedevo che Glenn guardava verso la casa dove, sulla veranda, c’era una ragazza che a causa dell’oscurità non riuscii a vedere bene.
Spostando l’attenzione prima verso lei e poi verso il mio amico, notai gli sguardi che lui gli stava lanciando e alla fine scossi la testa ridendo.
«È la tua nuova fiamma?» domandai a bassa voce in modo che potesse sentirmi solo lui.
Voltò il capo in modo fulmineo verso il fuoco, il viso diventò leggermente rosso ma la colpa non era delle fiamme.
«Chi? Lei? N-n-no siamo solo amici, ci conosciamo da poco».
«Calmati» lo rassicurai, il modo veloce con cui rispose mi fece quasi scoppiare a ridere. «Era solo uno scherzo».
«Si chiama Maggie e non so cosa sia per me. Lei è carina, è vero, ma non so se questo sia il momento adatto».
«Lo scoprirai, non c’è motivo per affrettare le cose» risposi sorridendo.
Gli diedi una pacca sulla spalla e mi alzai in piedi, prima di tornare a letto dovevo fare un’ultima cosa. Daryl non era più venuto a trovarmi dopo essermi risvegliata e volevo capire cosa si celasse nella sua mente, se davvero si era preoccupato così tanto non capii perché non fosse più venuto a farmi visita.
«Dove vai?» domandò Kim.
«Devo parlare con Merle e Daryl».
«Non puoi andare da sola» protestò alzandosi in piedi anche lei.
«Non ho nemmeno bisogno di una scorta, devo parlare con loro» dissi. «Possibilmente senza che orecchie indiscrete sentano».
«Giuro che un giorno di questi ti lego da qualche parte».
Le sorrisi e l’abbracciai, poi diedi la buonanotte a tutti gli altri.
Stringendomi nelle braccia camminai verso il punto in cui vidi la fioca luce di un fuoco che si stava spegnendo illuminare con il suo bagliore l’area intorno ad esso. C’era qualcuno lì seduto ma al buio mi fu difficile capire chi fosse, quindi avanzai di qualche passo fino quando la figura di Daryl prese forma. Era seduto su un ceppo assorto nei suoi pensieri mentre si fabbricava dei dardi con dei stecchi di legna accatastati ai suoi piedi.
La parte destra del suo corpo era in ombra mentre quella sinistra era rischiarata di un flebile bagliore che la illuminava, creando un bellissimo contrasto di luce e ombra su di lui che era sempre stato a cavallo tra i due mondi.
«Hey» lo salutai.
Daryl smise di trafficare con il coltello per qualche secondo, giusto il tempo di guardarmi.
«Hershel sa che sei qui?» domandò tornando alla sua occupazione.
«Pensi davvero che andrei a zonzo senza ordine del dottore?» chiesi a mia volta cercando di tenere un tono fintamente offeso.
Sbottò in una mezza risate e si spostò leggermente in modo che anche io potessi sedermi davanti quelle fiamme che stavano iniziando a spegnersi ma che regalavano ancora dei piacevoli istanti di calore.
«Perché non sei più tornato dopo che mi sono svegliata?».
«Sono andato a caccia, quegli stronzi è già tanto se sanno distinguere le proprie orme da quelle degli altri».
Ecco che ricomincia!
«Pensavo fossi arrabbiato con me» dissi. «Dopo quello che hai sentito e il modo in cui sei venuto a saperlo. Prima ero io quella incazzata con te e non ne avevo motivo, quella che si è comportata da stronza sono stata io, ciò che ho fatto è stato meschino e vorrei poterti dare un motivo per farti capire, ma la verità è che qualsiasi cosa io dica non credo che per te avrebbe un senso».
Guardai la tenda dentro la quale proveniva un forte russare, Merle stava dormendo e dai rumori che faceva sembrava volesse richiamare qualsiasi zombie presente nel bosco. Dovevo parlare anche con lui, ma visto che dormiva decisi di aspettare il giorno seguente.
«Rick me lo ha detto del vostro scontro». L’espressione sul mio volto si fece cupa. «Non me l’ha proprio detto, l’ho intuito da sola. Non devi prendertela con lui, sai com’è fatto e poi sono stata io a mettervi in questa situazione, quindi se cerchi qualcuno a cui dare la colpa, beh, sono qui. Dimmi tutto quello che hai da dire e perdona Merle, è l’unica cosa che ti è ri-».
Si girò di scatto lasciando a terra le frecce e posò una mano sulla bocca.
«Vuoi stare zitta per tre minuti?» chiese. «Ero arrabbiato, è vero. Poi ti sei persa e…».
Tolsi la mano dalle mie labbra e sbuffai.
«Ehi! Non mi sono persa, sapevo perfettamente dove stavo andando, ma stavo male e mi serviva un posto in cui rimettermi» lo corressi interrompendolo a mia volta.
«Ma tu non c’eri!» disse adirato, alzando la voce.
«Non c’ero» confermai con tono basso.
Staccai velocemente la mia mano dalla sua quando mi resi conto che erano ancora strette e mi allontanai di alcuni centimetri. Mi sentii in imbarazzo per il mio gesto e cercai subito una via d’uscita da quella situazione
«È tardi, io vado a dormire» dissi senza riuscire a guardarlo. «Buonanotte».
Mi alzai ma subito una mano stretta leggera attorno il mio polso mi spinse verso il basso e prima che me ne rendessi conto, mi ritrovai sulla gambe di Daryl con le sue braccia attorno il mio corpo legate in un abbraccio da quale non mi sarei mai voluta slegare. Mi sentii così al sicuro e protetta in quella posizione che niente mi faceva più paura e per un momento pensai di mandare al diavolo i consigli di Hershel e restare lì, ma dovevo andarmene prima di farci l’abitudine.
«Dovresti lasciarmi andare ora, non voglio fare nulla di cui poi potrei pentirmi».
Si staccò subito guardandomi spaventato, come se le mie parole lo avessero svegliato da uno stato di trance e io iniziai a sentire un po’ la mancanza di quel contatto fino a stringerlo di nuovo, ma senza secondi fini.
«Ci vediamo domani» dissi alzandomi.
 
 
 
 
 
Mi svegliai quando qualcuno bussò alla porta, stropicciai gli occhi con la mano infilando per sbaglio un dito dentro il bulbo oculare sinistro.
«Miseriaccia!» sbottai sbattendo le palpebre.
Cercai di mettere a fuoco gli oggetti, ma dalla parte offesa vedevo tanti piccoli puntini colorati su uno sfondo nero.
Fantastico, sono appena diventata cieca.
«Tutto bene?».
Voltai la testa in direzione della porta che non avevo sentito aprirsi ed insieme a Hershel vidi Kim con un sorriso spiaccicato sulla sua faccia. In mano reggeva una busta.
Se la ride, la stronza.
«Credo di avere appena perso quattro diottrie» borbottai.
Mi tirai su a sedere per la visita di routine che quel giorno si concluse con la mia dimissione. La spalla anche se mi faceva male riuscivo a muoverla e riuscivo anche a poggiare tutto il mio peso sul piede, per una totale guarigione mi sarebbe servito più tempo, ma quello non mancava. Più tempo avrei speso lì per risanare tutte le ferite, più tempo Hershel avrebbe avuto per cambiare idea sul farci restare.
Quando l’anziano se ne andò, Kim rimase nella stanza per aiutarmi a mettere una crema sulla spalla che avrebbe aiutato ad alleviare il gonfiore.
Scostai da una parte i miei dread e abbassai la testa per facilitarle il compito, ma il contatto improvviso con l’unguento unto e freddo mi fece rabbrividire momentaneamente, con un salto mi scostai da quel tocco e guardai la crema come se fosse cattiva e volesse mangiarmi. Kim sospirò ormai abituata ai miei modo un po’ infantili di rispondere alle cure e aspettò che le dessi di nuovo le spalle prima di spalmare la pomata con movimenti circolari e lenti, applicando una leggera pressione sulla parte arrossata.
«Ti ho portato ciò che mi hai chiesto l’altro ieri, sei sicura?» disse dopo aver finito.
Ero reclutante dall’idea di cambiare pettinatura, ormai avevo i dread da anni e mi era costato due giornate per fare tutta la testa, per questo un po’ mi dispiaceva, ma tenere un taglio corto avrebbe impedito futuri incidenti e avrebbe richiesto molte meno attenzioni.
«Sì, i capelli ricresceranno» risposi.
Kim annuì in segno di comprensione ed estrasse dalla borsa ciò che le avevo chiesto di prendere il giorno prima, poi andammo in bagno dove mi aiutò a disfarmi dei miei dread. Quando finii e mi guardai allo specchio quasi sbiancai, della mia bellissima chioma era rimasto solo un taglio corto scalato e sfilato, alcune ciocche erano più corte delle altre e arrivavano a malapena agli zigomi che sembravano più tondeggianti ora che la lunga capigliatura aveva smesso di coprire quelle piccole imperfezioni.
Passai una mano tra i capelli corti provando una strana sensazione, anche il riflesso dello specchio sembrava quello di un’estranea e non mi sentivo affatto a mio agio in quel nuovo mio aspetto.
Non mi piacevano i capelli corti, li avevo portati in una cresta solo quando stavo cercando il mio genere e dopo due settimane mi stavo disperando perché ci avrei impiegato anni a farli ricrescere.
Ho fatto una cazzata.
«Non sei tanto male, poteva andarti peggio. Tipo raderti a zero».
«Grazie, tu sì che sai come farmi stare meglio».
«Quando vuoi» rispose facendo spallucce.
La guardai accigliata per qualche secondo, divisa dalla voglia di buttarla dentro la vasca e aprire l’acqua o lasciar correre perché tanto non sarebbe servito a nulla.
Rilavai i capelli una seconda volta per eliminare i alcuni ciuffi che erano rimasti sulla pelle e poi ripulii il bagno da ogni mia traccia mentre Kim rassettò la camera da letto cambiando le lenzuola con altre pulite che erano state portate da Maggie, prima figlia di Hershel.
Quindi sei tu l’interesse di Glenn.
«Pronta a tornare nel mondo dei vivi?» domandò la mia amica dandomi una gomitata nel costato.
Risposi con un sospiro di felicità ed uscimmo da quella casa per essere accolte dal sole tiepido e dal vento che solo ogni tanto si ricordava di soffiare.
Intorno all’abitazione non c’era nessuno dei miei compagni, Kim mi informò che la maggior parte di loro erano impegnati a imparare a sparare in uno spiazzo vicino alla fattoria poiché Hershel non permetteva l’uso di armi sulla sua proprietà, solo Dale era seduto sul tettuccio del camper mentre faceva la guardia e appena mi vide, mi salutò con un sorriso che ricambiai.
Lasciando Kim insieme a Dale, andai alla ricerca di Merle che trovai vicino alla sua tenda.
«Daryl non c’è tesoro, ripassa più tardi» disse.
«Non è con lui che devo parlare» risposi scuotendo la testa. «Perché hai deciso di calarti in un incontro di box con Daryl?».
Ghignò divertito e mi guardò dalla punta dei capelli a quelle delle dita, soffermandosi sulla spalla fasciata lasciata in mostra da una canotta verde.
«Ciò che hai fatto è stato un atto di vero coraggio» commentò con finta impressione.
«Non cambiare discorso e rispondi, perché lo hai fatto?».
«Sai che è stato lui a cominciare?».
«Non ha importanza chi ha cominciato, sei il più grande. Comportarti come tale».
Abbassai lo sguardo e i miei occhi si fermarono sulla sua protesi in metallo. Trasalii sentendomi improvvisamente a disagio. Non mi ero dimenticata di Atlanta, della ricerca di provviste andata male, della missione del suo recupero e della mano mozzata, ma vedere con i miei occhi era tutta un’altra cosa.
«Come sei sopravvissuto?». Non riuscivo ancora a credere che fosse vivo.
Rise scuotendo la testa e poi allargò le braccia per mostrarsi in tutta la sua grandezza.
«Sono Merle Dixon, nessuno mi uccide».
«Io credo che tu sia troppo pieno di te» risposi. «Sono qui per un motivo e voglio che mi ascolti. Il mondo è cambiato, ma ci sono ancora delle leggi da rispettare il ché include anche evitare certi spettacoli. Questa proprietà è di Hershel e se non ti appresti a rispettare qualche regola, lui ci sbatterà sulla strada. Ora non so tu, ma qui mi pare abbastanza sicuro, molto di più di quanto lo sia all’aperto».
«Mhm, fai così per la moglie del Poliziotto Gentile? È sempre stato nel tuo carattere preoccuparti anche per gli altri».
Sospirai e passai una mano sul viso, premendo le tempie con le dita e poi strizzando il ponte del naso. Era incredibile in fatto che non riuscisse ad arrivarci da solo, non lo stavo facendo solo per il futuro bambino, ma anche per lui, lì eravamo protetti e non dovevamo dormire con un coltello sotto il cuscino.
«Preferiresti essere là fuori e dormire due ore per notte o restare qui e riposarti davvero?».
«Posso sopravvivere ovunque, dolcezza».
«Continua a ripeterlo, magari alla fine ci crederai» risposi prima di andarmene.
La conversazione era conclusa e continuare a premere sullo stesso argomento non ci avrebbe portati da nessuna parte, perciò per il momento lasciai correre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*angolo autrice*
finalmente riesco a presentarvi il capitolo numero ventotto.
È stata una vera odissea correggere e riscrivere con questo caldo, il mio cervello è come il ghiacciolo che ho preso dal congelatore qualche minuto fa… completamente sciolto!
Spero che l’attesa sia valsa e che il capitolo non sia una ciofeca completa e io vista l’ora vi do la buona notte e vado a gettarmi in qualche buco in Siberia.
Alla prossima,
 
yulen c:
   
 
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