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Autore: Jessie95    23/07/2015    0 recensioni
Questa è una piccola raccolta di storie diverse tra loro, ognuna con propri personaggi e contesti diversi, ma soprattutto con trame differenti. Hanno però tutte una cosa in comune: hanno per tema l'amore, da inguaribile romantica quale sono.
Dunque, le storie sono sei:
1. C'era una volta... o forse no.;
2. Uno sguardo ed ero già cotta di lui;
3. Non sono brava a dire le bugie;
4. La primavera del mio cuore;
5. Questione di punti di vista;
6. Parole trasportate nel vento.
Le prime tre sono abbastanza infantili, lo so, me ne rendo conto anche io che le ho scritte, ma ripongo molte speranze nelle ultime. Che altro posso dire? Spero di non annoiarvi e non mi resta che augurarvi buona lettura. ^^
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Spazio personale:
Salve a tutti, parla (o meglio scrive) quella strana autrice che ha deciso di postare questa cosa.
Ho deciso di mettere solo qui il mio spazietto perchè... beh, è l'ultima storia e tengo particolarmente a questa in quanto credo che sia la migliore tra le sei.
Spero che piaccia a voi anche solo la metà di quanto piace a me!
Ora mi eclisso...
Buona lettura! ^^



Parole trasportate nel vento


 
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Lui era Jake.
Non era il classico belloccio a cui tutte andavano dietro. Lui era… normale.
Non aveva capelli biondi da principe azzurro e non aveva occhi chiari e magnetici.
Jake aveva semplici capelli castani con alcune sfumature ramate e occhi color del miele che di magnetico non avevano niente, ma quando ti fissava con quegli occhi ti sentivi percorrere la spina dorsale da un brivido dolce. Indossava occhiali da vista quando non portava le lenti a contatto, che usava solo quando si allenava o allenava gli altri a tennis. Gli conferivano quell’aspetto da ragazzo per bene che non guastava mai. Ed era goffo, ma in maniera tenera. Di quelli che quando li vedi sbagliare e poi arrossire ti viene voglia di abbracciarli e tranquillizzarli che è tutto ok e non è successo nulla.
No, non era decisamente il classico belloccio che si da tante arie ed è, spesso, tutto fumo e niente arrosto.
Ed era proprio per questo che piaceva a lei, perché si sa: non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace.
Lei era Helen.
Nemmeno lei era la classica barbie per cui tutti impazziscono. Anche lei era normale.
I capelli leggermente mossi erano di uno splendido color cioccolato al latte e gli occhi avevano lo stesso colore intenso. Indossava anche lei degli occhiali, con suo grande rammarico, ma non portava mai le lenti, perché non riusciva mai a metterle per tempo e finiva sempre con l’arrivare tardi al lavoro, per cui ci aveva rinunciato ormai. Faceva la bibliotecaria in una libreria non molto distante dal campo dove Jake insegnava.
Dopo il lavoro passava sempre da quelle parti e si fermava a guardare il gioco che aveva imparato ad apprezzare tanto e ogni volta Helen trovava in Jake qualche particolare che la attirava sempre di più. Una volta erano i movimenti delle sue mani che impugnavano la racchetta e delle gambe che scattavano per raggiungere la pallina, un’altra era il sorriso luminoso che faceva quando i suoi allievi riuscivano nell’esercizio, un’altra ancora era l’espressione concentrata, ma divertita, che assumeva quando decidevano di sfidarsi in una partita.
E lei pian piano se n’era innamorata senza averci rivolto parola nemmeno mezza volta, non era riuscita a parlargli neanche per sbaglio… eppure ci aveva provato. Eccome se ci aveva provato!
Seduta sulla panchina ricordava con un sorriso amaro sulle labbra tutte le volte in cui aveva cercato di mettere in atto i suoi piani, ma erano miseramente falliti tutte le volte.
Il primo piano consisteva nell’iscriversi nella palestra dove Jake lavorava per imparare a giocare a tennis, ma la fortuna non era stata dalla sua parte. Si era iscritta normalmente ed era andata alla prima lezione per poi scoprire, con un moto di stizza, di avere un altro allenatore in quanto nella classe di Jake erano in troppi.
Non si era comunque fatta scoraggiare e, mettendo in atto il piano numero due, aveva continuato ad andare alle lezioni con la speranza un giorno di scontrarsi con lui e di conseguenza conoscerlo, ma gli orari non erano compatibili: Helen iniziava la lezione e dopo una mezz’oretta Jake la finiva e se ne andava a casa. Aveva continuato a seguire le lezioni senza perdere la speranza e partecipando attivamente, ma un  giorno di primavera, cadendo, si era procurata una brutta slogatura alla caviglia che le aveva impedito di continuare ad allenarsi.
I giorni passavano e, per Helen, riuscire a conoscerlo sembrava solo una bella favoletta, di quelle che si raccontano ai bambini prima che si addormentino, ma più passava il tempo più lei voleva conoscerlo ed arrivò a mettere in atto il terzo ed ultimo piano.
Questo consisteva nell’aspettarlo fuori dall’edificio finito il turno e, una volta preso coraggio, andare a presentarsi. Certo non era un gran che come piano, anzi diciamolo, era alquanto insulso e banale, ma c’è chi pensa che le cose più semplici siano quelle fatte meglio e allora perché non provare?
E così Helen si era ritrovata in una giornata piovosa, sotto il suo ombrellino colorato ad aspettare di vederlo uscire per andare da lui, ma quando lo vide e fu in procinto di andare da Jake venne fermata da un vecchio amico di infanzia che non vedeva né sentiva da tempo immemore. Per non fare brutta figura restò a chiacchierare con il suo amico, sperando che anche Jake venisse fermato da qualcuno facendo così prendere tempo a lui e guadagnarlo a lei. Ma, come già detto in precedenza, la fortuna non era dalla parte di Helen..
‘Santo cielo! Capitano tutte a me!’ si ritrovò a pensare vedendoselo passare a fianco senza poter fare nulla per fermarlo, siccome tutta la carica che aveva prima era svanita.
Troppi piani andati in fumo, troppe occasioni sprecate, troppi tentativi falliti.
Sulla panchina era facile pensare ad un nuovo piano, ma metterlo in atto facile non lo era per niente.
Era ormai quasi un anno che ci provava inutilmente, forse non era destino.
Decise che avrebbe smesso di farsi del male da sola, dopotutto Helen non era mica così tanto masochista! Aveva voglia di conoscere qualcuno di nuovo – forse con lui sarebbe andata meglio, aveva voglia di lasciarsi quell’anno alle spalle – bastava smettere di pensarci non era così difficile, aveva voglia di innamorarsi ancora – questa volta conoscendo l’uomo davvero e non solo tramite una propria immaginazione, aveva voglia di essere felice – dopotutto anche lei se lo meritava, no?
Un ultimo ricordo di quella storia mai iniziata però lo desiderava, era sempre un anno della sua vita.
Estrasse dalla borsetta l’agenda e una penna, strappò una pagina bianca e ci scrisse in bella calligrafia alcune parole. Voleva poter raccontare, un giorno, ai propri figli quel periodo della sua vita tenendo in mano quel misero pezzettino di carta strappata e accartocciata, magari con una lacrima che le scendeva sulle guancie e un sorriso triste sulle labbra. Era tutto quello che desiderava da brava sognatrice romantica qual’era. E mentre stava lì, con il suo pezzetto di carta fra le mani, una folata di vento la investì, facendole volare i capelli di qua e di la, scompigliandole i vestiti e strappandole di mano il bigliettino.
Helen si sentì morire dentro, possibile che non potesse avere nemmeno un ricordo?
Poi sprofondò dalla vergogna appena si accorse che il vento aveva portato quel bigliettino fino a Jake. Si maledisse per aver avuto la brillante idea di scriverlo proprio in quel momento, ‘Diavolo, Helen, ma non potevi andartene a casa senza fare nulla come tutte le altre volte?’
Contemplò anche l’idea di alzarsi e andarsene prima che lui lo prendesse e lo leggesse, ma le gambe le si erano bloccate.
Un colpo di vento colpì in pieno Jake che smise di battere la pallina, perché non sarebbe mai andata dove voleva lui altrimenti, e subito vide posarsi a terra un pezzo di carta. Pensò di lasciarlo a terra perché gli sembrava cartaccia dato che era tutta spiegazzata, ma, visto che era un bravo ragazzo, decise di raccoglierlo e buttarlo via, poi però lesse il suo nome e la curiosità prese il soppravvento. Aprì il bigliettino e ci lesse sopra le parole:
TI AMO, JAKE.
~ QUELLA CHE TI GUARDA SEDUTA DALLA PANCHINA

Jake alzò lo sguardo e si mise a cercare quella panchina.
Helen era nel panico più totale: lo aveva visto raccogliere la sua confessione e in quel momento desiderava solo alzarsi e darsela a gambe, ma giusto queste non si decidevano a riprendersi, poi era accaduto quello che più temeva: lo aveva visto leggere. Si sentiva una maniaca pervertita.
Come le era saltato in mente di scrivere ‘quella che ti guarda seduta alla panchina’? Era pazza? Le era dato di volta il cervello? Si era completamente rincitrullita? Probabilmente sì, era la risposta che si era data a tutte le domande che si era posta. Voleva scappare nella sua camera, nascondersi sotto le coperte come faceva da bambina e non uscire più fino all’indomani mattina, ma ancora non riusciva a muovere un maledetto dito.
Così si era ritrovata, ad un certo punto, occhi negli occhi con Jake.
Miele contro cioccolato.
Cioccolato contro miele.
Entrambi molto dolci se mangiati da soli, ma… insieme? Sarebbero stati stucchevoli?
Helen non lo sapeva, ma quando vide il sorriso di Jake aprirsi solo per lei decise che voleva assolutamente scoprirlo.


FINE.
  
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