23/07/2015
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Le fiamme divoravano tutto quello che le circondava, ed il fumo si era levato così in alto nel cielo che se questo non fosse stato coperto dalle nuvole nere si sarebbe potuto scorgere a chilometri di distanza.
Le urla che provenivano dalle case in fiamme erano assordanti ed esprimevano disperazione, dolore, tristezza. Era uno spettacolo agghiacciante e tremendo, e mi si stringeva il cuore mentre lo guardavo.
Lui però rideva.
Lo vedevo chiaramente, in sella al cavallo bianco, con l'armatura scintillante e un ghigno derisorio sul viso.
Anche così aveva un portamento regale: chiunque avrebbe potuto riconoscerlo. Se ne stava lì a guardare il villaggio bruciare, consapevole di essere stato lui stesso a dare l'ordine di incendiare le case.
La rabbia dentro di me cresceva costantemente. Più lo guardavo, più morivo dalla voglia di piantargli una freccia nel petto. Peccato che fosse circondato da soldati armati e letali, e sapevo che se mi fossi esposta non sarei riuscita a fare più di un metro prima di essere colpita.
Non mi avrebbero mica ucciso, quello lo sapevo. Ero molto più preziosa da viva.
Ma non potevo permettere che mi ferissero, ne tantomeno che mi catturassero. Sarebbe stata la fine.
Riluttante mi allontanai di corsa, sparendo tra gli alberi. Non mi aveva notato nessuno, per fortuna.
Guardai il mio ciondolo di giada che brillava nella notte buia, aggrappandomi all'ultimo filo di speranza che mi trasmetteva con il suo ormai fioco bagliore.
"Guidami" sussurrai, e vidi la pietra agitarsi e poi sollevarsi indicandomi la direzione da seguire.
Dovevo ritornare al rifugio il più in fretta possibile, perché sapevo che il massacro a cui avevo appena assistito non era stato casuale.
I prossimi eravamo noi.