Mitsui
è sempre stato bravo a comprendere Shibahime.
I
suoi silenzi, le sue storture di naso, i suoi sbuffi, tutto
è sempre stato
interpretabile. Perfino alle sue mezze parole riusciva a dare un senso.
Ma
quando quella se ne è uscita fuori con un isterico «E
la mia canzone preferita è Heroes! Non Life on
Mars, Heroes!» Hisashi
ha seriamente
cominciato a dubitare delle proprie doti di interprete e delle sue
facoltà
mentali.
All’inizio ha pensato che le piacesse
quella canzone e volesse renderlo partecipe, tanto per rendersi un
po’ più incomprensibile
ai suoi occhi ma dopo averci rimuginato su una manciata di secondi,
è giunto
alla conclusione che Shibahime Sendoh è una psicotica.
Basta. Punto. Si è fottuta il
cervello.
Addio ai bei tempi andati, ai baci,
alle carezze…
«Mitsui,
stai andando a casa?»
Mo Chùisle
Capitolo
9
Come
as you are, as you were, as I want you to be
“Nate: Lisa! Lisa! Dove sei?
Lisa: Sono proprio qui! E tu?
Nate: Non lo so. Niente
sta andando come avrei voluto, Lisa. Lo sai?
Io volevo davvero amarti, ti ho amata! E
ho
sentito che stavamo per cominciare—Io lo so,
lo sento nel mio cuore ed è come
se avessi appena mandato all’aria l’unica chance
che capita una volta nella
vita.
Lisa:
Nate,
io non sono una chance. Sono una persona.”
-Twilight
[3.12],
Six feet under-
Shiba
gli corre incontro, si ferma a qualche passo da lui per riprendere
fiato.
Hisashi alza gli occhi al cielo, convinto che il sole stia per
rintanarsi
dietro una coltre di nubi nere che cominceranno a buttare
giù lampi e tuoni. O
magari gli Angeli dell’Apocalisse hanno deciso di visitare
Kanagawa come meta
turistica, altrimenti non si spiega la corsa affannata di quella
miniatura che
ora se ne sta lì, come se dovesse sputare i polmoni davanti
alle sue Asics.
«Cosa
guardi?» glielo domanda confusamente, fissando il cielo terso
d’azzurro.
Mitsui
solleva le spalle, continuando a guardare le nuvole che si spostano con
lentezza «I segnali dell’Apocalisse.»
«Eh?»
«No
niente… Hai bisogno di qualcosa?» la guarda
curioso, studiando il suo essere
così… Distante,
nonostante pochi
metri li separino. E’ come se un’invisibile
barriera si ergesse ogni qualvolta
i loro corpi gravitano così vicini da potersi sfiorare
Tentenna
«Ahm… per caso stai andando a casa?»
Superato
il momento di sbigottimento, Mitsui opta per la difensiva…
«Sì,
perché? Hai bisogno della scorta?»
…
O per essere un cazzone di prima categoria.
La
guarda storto, anche se in realtà è
più incazzato con sé stesso e con il
proprio modo di trattarla così, come se fosse una specie di
Itou # 2.
Shiba
sembra intimidita dal suo comportamento ma sospira e sfoggia una
tranquillità
davvero invidiabile «Volevo ringraziarti per ieri. Sai, per
il fun club»
sventola una mano «Se non fosse stato per te, a
quest’ora sarei ancora bloccata
da quei pazzi.»
O
senza
mutande…
«Non
l’ho fatto per te, quelli stavano bloccando
l’ingresso.» le dà le spalle,
riprende a camminare anche se con passo più cadenzato,
aspettando di udire i
suoi passettini veloci raggiungerlo e quando se la ritrova affianco gli
tornano
alla mente i pomeriggi trascorsi a passeggiare per vicoli isolati per
spingere
un po’ più in là il rientro a casa.
I
baci sotto i lampioni, il tenersi per mano… Sono tutte cose
di cui non ha più
sentito la mancanza, che nei suoi anni bui ha reputato stupide e pure
un po’
troppo melense per un duro e puro
come lui e ora invece continua a dirsi che, in fondo, erano le poche
cose belle
che lo facevano alzare il mattino senza un sonoro «Che
due coglioni.»
«Sì,
beh, mh… Grazie, comunque…
E’ stato
gentile da parte tua.»
«Figurati…»
borbotta scazzato, mentre la mano infilata nella tasca dei pantaloni
gli
pizzica la coscia, rammentandogli che un momento di così
rara quiete non può
assolutamente essere rovinato dal suo essere un becero coglione.
Anche
perché se la Itou venisse a scoprirlo, lo appenderebbe per
le palle al centro
del cortile scolastico, punendolo pubblicamente. E Tetsuo le darebbe
una mano,
può scommetterci quei pochi yen che i suoi gli sganciano
spacciandoli per lauta paghetta.
La
guarda di sottecchi e può avvertire quello stesso
attorcigliamento di budella
che gli ha mozzato il fiato in gola quel lontano sabato sera trascorso
al Mc,
quando per un attimo ha visto appianarsi la strada per ritornare alla
normalità; poi l’attacco isterico in corridoio ha
fatto sfumare ogni
possibilità.
Mentre
ne studia il profilo non sa esattamente come comportarsi, del resto
Shibahime
non è come tutte quelle ex che si è lasciato
dietro nei suoi anni bravi, quelle
che non si lagnano se non vengono richiamate e che se ne infischiano
altamente
delle chiacchiere, soprattutto se servono per riempire scomodi silenzi
che lo
fanno soffocare.
Mah,
che tanto quella se ne ondeggia lì come se stessero facendo
una scampagnata nei
boschi…
«Certo
che sei diventata una star, ormai. Addirittura un tuo fun
club…» la prende
bonariamente in giro, sente i nervi distendersi quando ode la sua
risatina leggera
che cozza con lo sguardo vago che gli ha appena rivolto.
«Ah,
che imbarazzo» si schiaffa una mano sul volto «Non
sono abituata a certe cose.»
confessa rassegnata.
«Ah
no?»
«Ma
va, ma ti pare?! È Nanaka quella coi fan che la tampinano
per i corridoi o in
palestra.»
«La
Itou?»
«O
negli spogliatoi. Incredibile come voi maschi sappiate sempre trovare i
nascondigli più assurdi per--»
«Mi
vuoi far credere che la Itou ha un fun club? Quella specie di
schiavista?!»
«Beh,
perché ti stupisci? È brava!»
«Sì,
ma… E’ la Itou, andiamo!»
«Ed
è bella.»
«Ed
è bella—E basta con questa storia!»
sbrodola arcigno, avvertendo la bile
salirgli in gola al pensiero che, di questo passo, potrebbero finire
col
parlare del davanzale della Itou. Di
nuovo.
«E
comunque sai che non mi piacciono. Gli autografi, le foto…
Non fanno per me.»
glielo dice candidamente, con quell’aria un po’
annoiata e un po’ altera che lo
ha sempre affascinato.
Già,
ricorda perfettamente le fughe dagli stadi non appena finiva una gara e
irrimediabilmente un’orda di assatanati si gettavano su di
lei, il suo body e i capelli rossi umidi; così come ricorda
i momenti di fuoco che ne
seguivano, quella ricerca disperata di un piacere che ha sempre creduto
di
poter trovare solo nel basket, per raggiungere una
complicità guadagnata con
così tanta fatica e persa in una soffiata di vento estivo,
con la sabbia che
brucia sotto i piedi e i capelli che gli finiscono davanti agli occhi.
Ripensarci
lo fa parecchio incazzare, soprattutto perché non
è più il ragazzino delle
medie smanioso di scoprire cosa si celasse nel suo cuore ingarbugliato
–o sotto
l’orribile gonna a pieghe-, non ne ha il tempo né
il coraggio, quel briciolo di
forze che ha le vuole spendere tutte nel basket e magari ritornare agli
albori
di un tempo, quando il suo nome riecheggiava di bocca in bocca ad ogni
partita.
Poi gli viene in mente che in squadra c’è quel
mostro di Rukawa, quella
scheggia di Myagi e quella montagna umana di Akagi, quindi
dovrà faticare il
quadruplo e—Ah, beh, sì, c’è
anche Sakuragi.
«Come
stanno andando le partite?»
La
guarda con tanto d’occhi «Eh?»
«Le
partite… Come vanno?»
«Ah,
beh, vanno…» si gratta la nuca, non si aspetta
un’intromissione così repentina
negli affari suoi «Vanno bene. Questo sabato
c’è l’incontro con il Kainan.»
un
pizzicorio allo stomaco lo prende in contropiede; non sa se sia dovuto
all’ansia pre-partita o al fatto che non si stanno lanciando
contro bidoni
della spazzatura e gatti casuali. Si sente come ai primi tempi in cui
l’ha
conosciuta, impacciato e capace solo di fare il gradasso pur di
impressionarla,
finendo poi per venir bonariamente deriso.
«Oh,
il Kainan… Non è quella che ha vinto per
diciassette volte consecutive i campionati?»
glielo annuncia con placidità, facendo aumentare il bruciore.
«Seh,
grazie…» sbrodola uggioso.
«Ahm,
eh… Immagino siano davvero bravi
se—Però anche voi lo siete!»
«Ma
se non ci hai mai visto?»
«Mio
fratello mi ha parlato così bene di voi! Dice che siete
grandi e che non vede
l’ora di scontrarsi con voi e--»
Ah,
già, Akira Sendoh.
Il
fratello d’oro, quello che la capisce meglio di chiunque
altro, quello che si
getterebbe nel fuoco pur di salvarla.
Quello
che farebbe meglio a trovarsi una fidanzata vera, insomma.
Incredibile
come gli anni siano passati, loro siano cambiati eppure certe cose
restino
immutate, come la gelosia che cova ogni volta che il nome di quel beota
pascola
nei loro discorsi e si ritrova a fare i conti con il suo lodarlo, il
suo
parlarne con uno strano brillio negli occhi, nemmeno fosse un
supereroe; e c’è
sempre quella bruciante sensazione di “secondo
posto” che non ha mai sopportato
e forse mai lo farà.
«E
poi avete sconfitto lo Shoyo e lo Shoyo ha una buona squadra di
ginnastica,
quindi vuol dire che non siete così male. E anche il
Kainan--»
«Ha
una buona squadra di ginnastica, lo so.»
«Lo
sai?»
Sventola
una mano, deciso a sorvolare l’argomento. Possibile che la
Itou non sia l’unica
a seguire la filosofia “Se hanno una
buona squadra di ginnastica ritmica, sicuramente quella di basket non
sarà da
meno”?
Chi
capisce quelle frastornate, merita un premio.
«Stai
tranquillo, vedrai che li sconfiggerete.»
«Ma
io sono tranquillo.» puntualizza accigliato.
«Mh,
bene, essere agitati non porta altro che guai. Non sei agitato,
eh?»
«Ma
no, macché» le rivolge un ghigno «Non
è poi così diverso da quando giocavo alle
medie.»
Shiba
gli rivolge la stessa espressione sorniona «Sakuragi va in
giro a dire che hai
passato il pre-partita in bagno.»
«Ma
io l’ammazzo quel demente!» brutto stronzo di un
rosso! Ma gli stacca la testa
non appena la vede! Gliela stacca e ci gioca a calcio, a pallacanestro,
la usa
come lanterna alla festa di Tanabata,
la usa per--
«Ma
tanto ci ha pensato Kogure a elogiarti.»
Ah,
sia lodato
quel santone di Kiminobu!
«Quello
esagera sempre.»
«E’
solo contento di riaverti tra i piedi.» si interrompe
lì, con quel suo
sorrisetto penzolante e l’aria di chi non ha nessuna
intenzione di esporsi
troppo; Mitsui non ci resta così male nel constatare che, in
fondo, Shibahime
continua a mantenere una certa distanza tra loro.
Non
parte neppure a chiedersi se riuscirà a colmarla, tanto non
ci è mai riuscito.
«Certo,
un po’ come Akagi.»
«Non
finirà mai la rivalità tra voi, vero?»
per poco non si strozza nel trattenere
una risata «Ricordo ancora le litigate in palestra.»
«Era
grande e grosso e pure incapace» la risata svagata che ha
accompagnato le sue
parole si sperde nel giro di un fiacco «Incredibile che sia
diventato
capitano.» che lo fa tornare indietro di qualche anno, quando
lui aveva ancora
quei tremendi capelli a scodella e Akagi era soltanto un armadio che
cercava di
fare canestro.
Shiba
gli sorride appena ma non si pronuncia, quasi avesse il timore di
riportare
aneddoti scomodi. Come le visite in ospedale in cui lui parlava tutto
il tempo
del basket, di come Akagi fosse un fallito che aveva sì la
tecnica ma si
muoveva come un caterpillar impazzito, di come gli sarebbe piaciuto
portare la
squadra alla vittoria e quindi no che non ci stava seduto in uno
stupido letto
d’ospedale. Con lei, seduta lì di fianco, che
sospirava e gli sorrideva gentile
e leniva un po’ della sua sofferenza dicendogli che doveva
stare tranquillo,
che doveva pazientare e tutto si sarebbe sistemato.
Parlando
di lui, lui e il basket, mentre si metteva in un angolino
forse sperando
che le chiedesse come le andavano le cose. Ora che ci pensa, le ha mai
chiesto
come andassero gli allenamenti? Di ginnastica, ovviamente,
perché la prima cosa
che le chiedeva non appena entrata in stanza era: «Akagi
ha ucciso qualcuno, oggi?». Le ha mai chiesto come
andassero
le cose coi suoi, se suo padre la costringeva ancora a mangiare le uova
che
tanto odia o se sua madre si intrometteva ancora nella sua vita,
progettandogliela?
No,
decisamente no.
Un
po’ capisce perché Shiba si sia allontanata,
perché le sue visite si erano
fatte più sporadiche. Doveva essere stato frustrante parlare
sempre e solo dei
suoi assurdi problemi, ponendolo al centro del suo minuscolo universo.
Ed
è forse per questo, per quel suo essere stato un madornale
coglione che butta
lì un «Come vanno le gare?» che deve
averla presa alla sprovvista, perché se ne
esce fuori con un «Eh?» sorpreso e confuso allo
stesso tempo.
«Le
gare, come stanno andando?»
«Mh?
Oh, direi bene» sorride «Siamo passate tra le prime
dieci di ogni disciplina, dopodomani
abbiamo le gare a squadre.»
«Sei
agitata?»
«Un
po’, ma credo che Nana sia quella più agitata di
tutte. Ci tiene un sacco a
vincere i campionati.»
«Agitata,
quella? A me sembra sempre il solito Gundam
pronto ad ucciderci tutti.»
«Oh,
andiamo, ma sei proprio stronzo quando ti ci metti!» lo
spintona un poco mentre
la sua risata lo fa rilassare.
Si
prende del tempo per studiarla da vicino, cercando di ritrovare tutti
quei
minuscoli particolari che gliel’hanno resa così
cara o che gli hanno fatto
desiderare di starsene spalmati sotto le lenzuola ogni volta che
potevano.
E
non trova nulla.
Shibahime
è una nebulosa di imperfezioni che non riesce a mettere
insieme e quella
davanti a lei le nasconde talmente bene da apparirgli finta. I suoi
sorrisi, i
suoi zigomi sollevati, le increspature intorno agli occhi quando
ride… Non
riconosce nulla e quel che è peggio, non sa da che parte
cominciare per poter
ritrovare tutto ciò che gli è caro.
Ma
poi eccoli lì, i suoi occhi farsi più sottili
come se stesse cercando di riacciuffare
i pensieri; è la stessa espressione che gli ha rivolto
quando l’ha invitata a
uscire per la prima volta.
Può
ancora sentire il chiacchiericcio concitato nei corridoi del terzo
piano, le
gomitate dei suoi compagni che gli sussurravano di invitarla fuori non
appena
la sua testolina rossa ha fatto capolino in mezzo a quella marea di
caschi
scuri e il cuore in gola, che lo ha fatto balbettare come un perfetto
imbecille
per tutta la conversazione.
Lo
ha tenuto sulle spine così a lungo da fargli venire i sudori
freddi.
«Mitsui,
riguardo a ieri--»
«Mi
hai già ringraziato a sufficienza.» sventola una
mano, stordito ancora dalla
matassa di ricordi.
«Ahm,
no, non è quello…» comincia a
giocherellare con la punta della lunga coda, lo
sguardo rivolto a terra «Per la scenata in corridoio, ecco,
scusami.» e le
parole che scivolano così inaspettate da fargli credere di
essere piombato su
di un altro pianeta. Uno di quelli dove il tempo scorre lento o
all’incontrario
e i ricordi possono essere modificati a proprio piacimento,
perché c’è sempre
qualcosa che si desidera cambiare, qualche frase ad effetto che non
è stata
pronunciata per tempo. Come quel giorno sulla spiaggia in cui avrebbe
potuto
fermarla se solo le parole non gli si fossero incastrate in gola o
sullo stomaco.
Abbassa
il capo e prima che possa dirle che va bene così, o che in
realtà non va ma se
lo fa andar bene lo stesso, eccola che si perde in uno dei suoi soliti
irrefrenabili fiumi di parole.
«Non
avrei dovuto, è che ho litigato con mia madre e
allora…» seguita con imbarazzo,
sventolando le mani sottili «Mi sono sfogata su di
te.»
«Continuate
a non andare d’accordo?»
Si
gratta la nuca «Va a giorni.»
«E
le hai parlato?»
«Mh?»
«Della
ginnastica… Glielo hai detto che vorresti
smettere?»
«Ahm,
ecco—Ci ho provato ma non è
che—Sì, insomma, sai com’è
fatta. Lei non ascolta
nessuno e—E poi non posso smettere, Nanaka mi ucciderebbe.
Insomma, devo
continuare, glielo devo.»
«Glielo
devi?»
«Beh,
sì, sono rientrata nel club solo per lei.»
Mitsui
si massaggia il mento «E’ vero che avevi smesso.
Non l’ho mai capito il
perché.»
«Già,
chissà perché…» ingoia
ciò che stava per dirgli, probabilmente le torna in
mente che in fondo non sono più così amici da
potersi dire qualsiasi cosa che
vada oltre la banalità e il suo cambiare argomento con
repentinità ne è un
esempio lampante «Beh, io vado per di qua.» si
ferma davanti alle scale della
metro, la cartella che sfrega contro la gonna a pieghe e la faccia
costretta in
una maschera di tranquillità. Glielo legge negli occhi scuri
che si sente a
disagio, lo vede nel suo costante ondeggiare sulle punte dei piedi, nel
modo in
cui sposta nervosamente i capelli scuri.
Non
gli piacciono così.
Con
quel corvino, la sua testa è identica alle mille altre teste
che girovagano per
la scuola, per le vie di Kanagawa. La appesantiscono, la invecchiano di
almeno
un paio d’anni e le conferiscono un’aria di
tristezza che non le riconosce.
La
cascata di fiammanti boccoli rossi le ha sempre conferito
un’aria più
sbarazzina, irradiavano ogni angolo buio e grigio della sua vita.
Si
chiede dove sia finita la Shibahime della sua adolescenza, quella che
lo
aspettava alla fine di ogni allenamento, che andava a vedere le sue
partite e
faceva il tifo per lui, quella che si esaltava per ogni canestro da tre
punti e
che si lasciava sfiorare come se non stesse aspettando altro.
Questa
che ha di fronte non sa chi sia e non gli piace.
Eppure
la vuole trattene ancora un po’ a sé,
perché sa che dietro tutto quello c’è
sicuramente la Shibahime che è ancora capace di togliergli
il fiato.
«Tu
non verrai domani?»
Shiba
sgrana appena gli occhi, inclina il capo e i fili neri le scivolano
lungo il
braccio «Allenamenti.» è tutto
ciò che gli dice, prima di salutarlo con gli
angoli della bocca ben sollevati.
Mh,
beh, ci ha provato…
Si
gratta la nuca e accantona ogni futile discorso con un sospiro. Si
rende conto
di quanto le loro chiacchierate siano vuote, di quanto poco lascino e
di quanto
Shibahime si interessi scarsamente a lui.
Non
gli ha chiesto del ginocchio, se si è ambientato in squadra,
se i suoi gli
frantumano ancora le palle per quei due anni di
stupidità… Paradossalmente è
più interessata la Itou, quella viscida vipera che di tanto
in tanto gli appare
in mente con il suo «Sbatterla al
muro
non è una buona idea, ricordalo!»
Che
dannata,
infida stronza--
«Mitsui!»
si blocca, gettando un’occhiata lungo la rampa di scale che
porta alla metro;
Shibahime ha il capo sollevato, le sue guance rosse sembrano il
preludio di
un’ennesima catastrofe.
«Che?»
«Ahm…
Ecco, tu--»
«Allora?»
Gli
sorride «Con i capelli così, tu… Stai
bene, dico sul serio.»
E
gli toglie il fiato, riesce ancora a toglierlo.
Non
ce n’è.
♠
Non le è mai passato per la testa che
i post-it potrebbero puntualmente finire nel cestino, forse
perché certa che
non lo farebbero.
Ed in effetti, Shiba li conserva
ancora.
Ricorda che da piccola, quando si
svegliava e lei non c’era, se ne ritrovava uno sul cuscino,
sempre di un colore
diverso, con su scritto frasi come “Passa
una bella giornata, tesoro!” e sciocchezze di
questo genere.
Sciocchezze che l’hanno sempre fatta
sentire un po’ meno scomoda e un po’ più
simile a loro.
Ma quel pomeriggio, rincasata da
lezioni di recupero in cui ha lasciato gran parte del cervello e pure
un po’ di
educazione e allenamenti in cui ha ricevuto più insulti che
incoraggiamenti, il
post-it che trova sulla scrivania ha il potere di farla avvilire.
È rosso, piccolo, con su scritto un
veloce “Pensaci”,
appiccicato su di
un bigliettino di sottile carta di riso dai bordi decorati in
verdognolo.
Punta il polpastrello sul bordo rigido
del bigliettino, segue i tratti eleganti con cui è
scritto…
Psicologa e psicoterapeuta.
Tel. XXX”
Come la bambina che dice
«Sì.» solo perché
ha paura di essere
rimandata indietro.
«Che due palle.» sbotta, gettandolo
per terra, cercando di mettere per un po’ da parte il
fastidio che non l’ha abbandonata
da quando è salita sul treno.
Al suo posto prende la foto che la
ritrae con Mitsui, chiedendosi come sia potuta cadere per un idiota con
dei
capelli orribili. Poi si ricorda che il suo sorriso l’ha
sempre saputa
sciogliere e allora smette addirittura di chiedersi perché
stia compiendo quel
viaggio nel tempo che a tratti fa male, altre volte lascia addosso un
calore
che fatica a lavar via.
Si è ripromessa che l’avrebbe tenuta
ben nascosta, perché le cose belle tendono a durare poco e
restare legata ad un
ricordo simile avrebbe soltanto nuociuto ma ultimamente continua a
riguardarsela, quasi si aspettasse di veder comparire particolari che
fino ad
allora non aveva preso in considerazione.
E in tutto quello, come se non
bastasse, continua a vorticarle nella mente la loro ultima
chiacchierata, quel
suo essere così fastidiosamente burbero e il proprio essere
troppo agitata per
riuscire a tener testa a quel mucchio di emozioni che le si sono
aggrappate al
cuore.
«Con
i capelli così, tu… Stai bene.»
Il
capo le cade pesante sulle pagine
del libro aperto, i piedi in aria smettono di dondolare e si
afflosciano sul
letto.
Porca miseria, ma quanto può essere
cretina?! I capelli! Si è complimentata per i suoi capelli!
Avrebbe potuto
dargli l’in bocca al lupo per la partita ma no, lei doveva
concentrarsi sulla
cosa più stupida dell’intero pianeta! Diamine, non
è più la dodicenne che
camminava per i corridoi con la testa fra le nuvole e che lo riempiva
di
stupidi complimenti pur di rendersi un po’ più
simpatica ai suoi occhi.
Patetica, ridicola, assolutamente--
«Shiba, sei qui?» quel bussare
cantilenante lo riconoscerebbe tra mille…
«Papà, è aperto.»
Ed infatti eccolo lì, col suo sorriso
alla Akira e gli occhi blu nascosti dalle enormi lenti degli occhiali
squadrati.
«Disturbo?»
Shiba solleva il capo e gli sorride
«Nah, tanto stavo facendo finta di studiare.»
Suo padre si lascia andare ad
un’allegra risata prima di chiudersi la porta alle spalle
«Cosa studiavi?»
«Matematica.»
«Ngh.»
«Già…»stiracchia un sorriso
mentre
giocherella con la penna «L’ultimo test non
è andato bene e mamma ha paura che
se non recupero, mi sbattono fuori dal club. Mamma esagera
sempre.» le sfugge
non senza un pizzico di fastidio, storcendo il naso mentre suo padre si
accomoda
alla scrivania.
«Sai che quando si preoccupa, diventa
paranoica.» la giustifica, come sempre del resto.
«Troppo…» borbotta stanca, gonfiando
le guance «Avevi bisogno di qualcosa?» chiede
tornando a scribacchiare sul
quaderno, ben consapevole del perché suo padre si sia
addentrato nel suo
santuario come se stesse per varcare un mondo inesplorato: Madoka
l’ha mandato
lì. Sicuramente lo avrà asfissiato talmente tanto
da costringerlo a prendere in
mano la situazione, perché a quanto pare in quella casa solo
gli uomini Sendoh
sanno come assestare i loro isterismi.
«Avevo voglia di svagarmi. È da ore
che sono chiuso a lavorare.»
Shiba potrebbe trovarsi sulla Luna e
sentirebbe comunque la puzza di bugia, perché suo padre non
si svagherebbe mai
in camera sua. Probabilmente andrebbe al campetto con Akira e urlando
da bravo
scaricatore di porto dimentico delle buone maniere –e che
Madoka gira a piede
libero per casa- la inviterebbe ad unirsi a loro, giusto per sfottere
lei, le
sue mani di pasta frolla e i piedi scemi che si incastrano tra loro.
È insolito trovarselo lì, a girare
sulla sedia mentre osserva le medaglie e i trofei che troneggiano sulla
parete
adiacente il letto, circondati da quelle poche foto che è
riuscita a scattare
senza far finire il dito davanti all’obiettivo.
Le piacerebbe pensare che sia lì solo
ed esclusivamente perché ha voglia di stare in sua compagnia
ma il leggero
tamburellare delle dita sui pantaloni della tuta, fanno sfumare quella
sciocchezza.
«Al direttore sono piaciute le foto?»
butta lì quella domanda per ritardare
l’inevitabile.
«Aha. Sta valutando l’ipotesi di farmi
fare qualche altro mese fuori, parlava
dell’Africa…» allunga il collo per
sbirciare una foto incorniciata sul comodino «Cielo, ma
quanti anni avevi?»
«Nove. Mi avevate portata allo zoo.»
«Quella volta che è venuta anche la
nonna?»
«No, quella volta che tuo
figlio ha cercato di buttarmi nella
gabbia dei leoni.» gli ricorda con un sorriso tirato,
sbuffando al cospetto
della sua risata cristallina. No, non riesce ad avercela con lui,
è come avere
a che fare con un Akira con gli occhiali e la barba.
Torna a guardare il quaderno, gli
scarabocchi che spaccerà per esercizi mal riusciti e il
bordino della foto
nascosta non appena suo padre ha fatto capolino.
Suo padre smette di ridere e la guarda
con serietà «Shiba… Va tutto
bene?»
Lo guarda con tanto d’occhi «Certo,
perché?»
«Negli ultimi tempi sei piuttosto--»
«Ingrata?» così, giusto per ricordarsi
che Madoka ha il vizio di farglielo notare quando le liti degenerano.
«Preoccupata… Lo sai che se qualcosa
non va, con noi puoi parlarne.»
Shiba storce il naso «Sono un po’ in
ansia per la gara di domani, tutto qui.» e mica è
così scema da spifferargli
che Hisashi Mitsui è tornato in città pensando
bene di scombussolarla un po’ di
più. Non vuole nemmeno immaginare il putiferio che ne
verrebbe fuori se sua
madre dovesse scoprirlo, le viene la nausea al solo pensarci.
«Vedrai che andrà bene.»
Suo padre ha quel sorriso rassicurante
che la fa star bene, lo stesso sorriso che non ha smesso di regalarle
da quando
ha posto piede sul tappetino all’ingresso, quel lontano
dicembre di molti anni
addietro.
Può ancora rivedere la sua barba
incolta, i capelli un po’ più scuri e il sorriso
ben coperto dall’enorme
sciarpa a scacchi che ora è diventata proprietà
di Akira. E il suo «Vieni qui, la
tele non morde!» mentre
guardavano le partite e lei se ne stava lì, acciambellata in
un angolo. E i
baci della buona notte, le coperte rimboccate, le favole inventate nel
cuore
della notte quando non riusciva a dormire, le carezze sui
capelli…
Le trasmette un calore talmente
cocente da farla sentire fortunata per essere stata salvata, in un
certo senso.
«Deve andar bene! Altrimenti Nanaka mi
fa ingoiare il nastro!» sentenzia tetra.
«Andiamo, la Itou è una così brava
ragazza.»
«Sì, fuori dalla palestra!»
«Continuerà con la ginnastica,
terminata la scuola?»
Alza le spalle «Penso di sì, non ne
abbiamo parlato» fa ciondolare il capo «Qualche
università si è interessata a
lei, comunque.»
«E a te no?»
«Pff… Chi vuoi che vada da un secondo
posto?» anche se, beh, non è che gliene freghi
granché. È quasi tentata di
dirglielo, forse perché il suo sorriso la incoraggia a non
tenere quel
lacerante segreto solo per sé, ma la sensazione che Madoka
potrebbe non
prenderla bene la fa tacere.
«Vedrai che chiederanno anche di te»
le fa un occhiolino e Shiba lo accoglie con un sorriso tirato, pregando
dentro
sé che nessuno si interessi alle sue scarse performance. Ha
il sentore che se
dovesse farsi avanti qualche istituto, la possibilità di
allontanarsi da quel
mondo che a volte la fa soffocare diventerebbe pari a zero
«In caso contrario,
puoi sempre venirtene in giro con me.»
«A far che? A portarti il treppiede?»
«In realtà ti vedo meglio come esca
mentre siamo in mezzo alle tigri.»
«Aha, non vedo l’ora!» ridacchia
quando lo sente ridere di gusto, a quanto pare i Sendoh maschi si
divertono un
mondo a vederla circondata da felini pronti a sbranarla
«Però sarebbe bello,
visitare posti nuovi… Potrei conoscere l’amore
della mia vita, sai, come nei Ponti di
Madison County!» sospira sognante,
la guancia posata sulla mano e la mente che vaga per lidi inesplorati.
Ci pensa però Kyosuke a riportarla coi
piedi sul letto «Scordatelo. Ti sposerai a
trent’anni e tuo marito lo
conoscerai il giorno del matrimonio.»
«Papà, come sei retrogrado.»
«Ma tanto nessuno vorrebbe mai sposare
una con il tuo caratteraccio.»
«Ma—ehi!» gli tira contro il cuscino
ma lo manca, perché non sia mai che la sua mira decida di
darsi da fare una
buona volta.
«Quando fai così sei uguale a Madoka.»
Ed effettivamente Shiba non ne resta
poi così tanto colpita.
Si è resa conto che della dolcezza
della sua vera madre è rimasto ben poco, lasciando spazio ad
un carattere
decisamente più difficile da gestire. Probabilmente
è per questo che si scontrano:
per tutto quel tempo ha cercato di modellarla affinché
somigliasse a quella che
potrebbe essere la figlia perfetta, ritrovandosi con
un’estranea che di lei ha
ben poco.
«A proposito di Madoka, mi ha detto
che avete discusso…» suo padre si allunga verso il
pavimento e raccoglie il
bigliettino, rigirandoselo fra le mani «E’ per
questo?» la fa irrigidire il
modo in cui lo squadra.
«Eccoci…»
«Shiba--»
«Papà, non ho voglia di parlarne.»
Suo padre sospira e quando un Sendoh
maschio sospira, non è mai una buona cosa
«Shibahime…» Oh,
no, il nome per intero… «So che a volte
Madoka può essere
ansiosa--»
«Pesante, pesante è la parola giusta.»
Le lancia un’occhiataccia «Il punto è
che ti vuole bene, te ne vogliamo tutti, e crediamo davvero che sia un
bene se
tornassi dalla dottoressa Nakajima.» è una
sentenza asciutta, se non fosse per
la postura rilassata faticherebbe a credere che quello sia suo padre.
Rotea gli occhi «Vedo che sei
d’accordo anche tu con le belle idee di mamma--»
«E’ stata una mia idea.» la interrompe
mite, sventolandolo.
Shibahime si solleva, guardandolo con
tanto d’occhi «Cosa?!» è
decisamente sorpresa, questo genere di bizzarrie
solitamente escono fuori dalla mente geniale di Madoka; e si sente
decisamente
in colpa al pensiero di averla praticamente fatta piangere sul volante.
Grugnisce mentre affonda sui libri,
con suo padre che si avvicina e le carezza la nuca «Io non ci
voglio andare»
piagnucola con voce ovattata «Non mi serve a
niente.»
Kyosuke sospira «Akira ci ha
raccontato che sei svenuta spesso quando non c’eravamo e che
gli incubi sono
ricominciati. Non credi sia il caso di lasciarti aiutare?»
«Perché proprio da lei?»
«Perché ci sono cose che neppure noi
siamo in grado di fare» si massaggia il collo, ha
l’aria di un supereroe che si
è appena rifiutato di salvare la città
dall’ultima imminente catastrofe «Ti
basta come spiegazione?» il suo sorriso si amplia, scioglie
quel senso di
pesantezza che è calato nella stanza, ora immersa nel
silenzio.
Shiba abbassa lo sguardo.
Se solo riuscisse a parlare
tranquillamente di ciò che le frulla in testa, si
risparmierebbe tutti quei
casini ma ha il timore che, una volta confessato ogni più
recondito segreto, le
cose finirebbero col precipitare in un oblio talmente profondo da
impedirle di
riprendersele.
Si rende conto che non è poi così
cambiata dalla bambina di appena dieci anni che si rintanava nel buio
della
stanzetta pur di non dover avere a che fare con quegli estranei.
Suo padre abbandona il bigliettino
vicino a lei «Mi prometti che ci penserai?»
«Seh.»
«E chiedi scusa alla mamma.»
«Nh.»
«Shiba--»
«Sì, sì…»
Le scocca un bacio sulla fronte e lei
ridacchia, la sua barba ispida le fa sempre il solletico
«Comunque, ero serio
quando parlavo di portarti in giro con me.»
«Anche per le tigri?»
«Soprattutto per le tigri!» Shiba
scuote la nuca «Ma questa estate, se non hai programmi e se
sei libera,
dovresti venire con noi. Ti insegnerei a non fotografarti
l’indice.» se ne va
con un sorriso e quella labile promessa che forse si
dimenticherà una volta che
la porta si sarà chiusa ma chissenefrega, un sorriso glielo
ha strappato.
I maschi di casa Sendoh sanno sempre
come farla sentire meglio.
♠
Al
termine del brano, conclusosi con uno scrosciare di applausi che quasi
fanno
crollare il palazzetto, getta la testa indietro ributtandosi sulla
sedia.
Koshino
sbuffa, afflosciandosi «Ne avremo ancora per molto?»
«Non
eri costretto a venire.»
«E
perdermi qualche caduta di tua sorella? No, grazie.»
Akira
si lascia andare ad una fiacca risata mentre si immagina Shiba che si
fa
attorcigliare dal nastro per poi precipitare rovinosamente a terra.
Non
è mai stata molto elegante, è
un’impacciata cronica e la maggior parte delle
cose che tocca finiscono col disintegrarsi, eppure quando si esibisce
diventa
un’altra persona, è come se una strana energia
l’avvolgesse e la facesse
sembrare una libellula o qualcosa del genere.
È
uno spettacolo.
«25,245…
Vuol dire che sono andate bene?» con la nuca indica il
tabellone con i
punteggi.
«Penalità[2]:
5,045… Se fosse successo a Nanaka, avrebbe ucciso
qualcuno.»
«Non
ci capisco niente di ginnastica.»
«Nemmeno
io.» Akira scrolla le spalle.
«Ci
fosse almeno qualche bella ragazza.» ribatte
l’altro, spiluccandosi la maglia
del Ryonan.
«Le
compagne di squadra di Shiba sono carine. Se vuoi te le
presento.»
«Risparmiami,
col culo che ho saranno tutte come tua sorella. Tanto vale darsi alla
castità
permanente.»
«Magari
ce n’è qualcuna come Nanaka. Nanaka non si tocca,
eh.»
«Figurati
se la più figa non andavi a pescartela tu» porta
le braccia dietro la testa,
scuotendola quando l’altro si lascia andare ad una
spensierata risata «Ma
quindi fate sul serio?»
Sendoh ci pensa su un momento «Vedi
anelli o cose simili?»
«E che vuol dire? Non è che serva per
forza un anello.»
«Già, anche perché penso che Nanaka me
lo tirerebbe dietro.»
«O te lo farebbe ingoiare» e lui vorrebbe ridere
della battuta, vorrebbe
davvero perché in fondo prendere tutto alla leggera
è l’unico modo che ha per
non lasciarsi divorare dai dubbi, il problema è che non ci
riesce. Un vago sorriso
è tutto ciò che gli concede, mentre alla mente
gli tornano le sue parole
sussurrate nel buio della stanza -quando si è reso conto che
la sua divisa era
già finita sul pavimento- quel suo «Fai
sul serio?», che lo ha tenuto appigliato alla
realtà per qualche istante
prima di perdersi completamente.
Sono
passati tre anni da quando hanno dato il via a quel loro piccolo
segreto, certo
che fa sul serio! Che domanda del cazzo…
«Come
fanno a piacerti le ginnaste? Sono tutte così…
Magre.» fa strisciare le dita
nell’aria, dipingendo quella che dovrebbe essere una lavagna
o una tavola da
surf.
«Guarda
che non mi piacciono le ginnaste, mi piace solo Nanaka.»
«E
tua sorella. Ma come faceva a piacerti? È
un’isterica.» Koshino non sa mai
tenere la bocca chiusa, da aria a ogni pensiero che naviga
nell’androne del suo
cervello e lo fa con quel suo modo sempre garbato che lo spinge a
chiedersi
perché se lo sia trascinato dietro.
Poi
si ricorda che è il suo amico più caro,
nonostante tutto, e che a modo suo è
sempre disposto a dispensargli qualche buon consiglio -con poco garbo
eh, non
sia mai che si addolcisca un po’ quel nevrotico-.
Sospira
«Guarda che è stato tanto tempo fa.»
Il
suo ghigno si apre a dismisura «Già. Cosa
facevamo? Le medie, no?»
«Può
essere.»
«Ti
eri preso una sbandata allucinante.» si schiaffa una mano sul
viso per
trattenere una risata. Akira, d’altro canto, vorrebbe
sprofondare dalla
vergogna.
Fatica
ancora a credere di essersi preso una cotta stratosferica per
Shibahime, se
solo ci pensa nemmeno sa dirsi da quando sia cominciata.
C’è
che un giorno si è svegliato -avrà avuto
sì e no undici anni- e si è accorto di
quanto luminosa fosse -e di quanto scemo si sentisse al suo cospetto-.
Coi
suoi capelli lunghi e ricci e rossi, i suoi occhi particolari che
brillavano,
il suo sorriso sdentato ma sempre aperto… Era come un faro
in lontananza, la
lucina della notte che da poco aveva smesso di tenere accesa.
E
poi è arrivata Nanaka.
Dal
nulla, improvvisa, con la sua compostezza e la seriosità di
chi non si lascia
di certo andare con uno sconosciuto.
E’
un pomeriggio di aprile, può ancora sentire il
chiacchiericcio di sua madre in
giardino che gli racconta dell’ultima gaffe di suo padre ad
una cena di
beneficenza a cui hanno partecipato qualche sera prima, mentre lui fa
qualche
tiro a canestro pur di non studiare.
Ode
la risata di Shiba dal vialetto d’ingresso e senza nemmeno
curarsi del pallone
che si schianta contro il ferro, le corre incontro pronto a chiederle
come sia
andata la giornata, preso com’era da quel sentimento acerbo
che covava nei suoi
confronti.
Ed
eccola là.
Di
fianco a lei, composta e altera, così diversa dalla luminosa
miniatura che le
saltella intorno vantandosi delle peonie che ha piantato –e
che miracolosamente
non sono ancora morte-.
Ha
i capelli un po’ più corti e legati in una treccia
laterale, la divisa della
scuola mette in risalto le sue forme poco evidenti e gli occhi che
saettano da
una parte all’altra mentre studia l’ampio giardino
sono di un blu così intenso
da farlo quasi sentire immerso nel mare che tanto ama.
Sente
le viscere contorcersi come tanti anni prima, come quando Shibahime era
una
nana da giardino che se ne stava seduta in un angolo di un orfanotrofio
e lui
ha sentito il bisogno impellente di parlarle.
Può
ancora avvertire l’elettricità che l’ha
pervaso quando i loro sguardi si sono
incrociati, sotto le allegre presentazioni di Shiba che, stranamente,
è passata
in secondo piano.
«Sai?
C’è una cosa che non ti ho mai detto» la
serietà di Koshino per poco non lo
spaventa ma non fa in tempo a chiedergli cosa ci sia dietro che quello
torna a
guardare la palestra «Oi, eccole lì.»
gli dà una botta sul braccio, indicando
con il mento le ragazze che entrano sulle punte, rigide e con il naso
all’insù.
Nanaka
fa il proprio trionfale ingresso brandendo il cerchio, affiancata da
una
compagna che si guarda attorno intimidita –la riconosce,
è la matricola coi
codini che per poco non ci è rimasta secca quando le ha
sorriso-. Shibahime è
nel retro, chiude la fila reggendo ben tre nastri, restando distante
dalle
altre quando si posizionano al centro della palestra.
Indossano
un body rosso e nero di paiette, Nanaka glielo ha mostrato
orgogliosamente
qualche mese prima in uno dei loro incontri segreti; gli ricorda la
Regina di
cuori, complice la compostezza con cui regge il cerchio
all’indietro mentre
inarca la schiena.
L’allarme
dà il via all’esibizione e Shiba, date le spalle
alle compagne, lancia in aria
i tre nastri per poi recuperare il cerchio che Nana ha lanciato qualche
secondo
prima.
È
un susseguirsi di passaggi veloci che coglie con fatica e preso da un
moto di
orgoglio nei confronti di sua sorella -che ha appena tirato il cerchio
e
recuperato il nastro zampettando più in là-, si
ritrova a scuotere quel
brontolone di Koshino che ha l’aria di uno che vorrebbe
morire «Guarda quanta
eleganza.»
«A
me sembrano solo un mucchio di invasate che agitano il
nastro» sbotta lugubre,
probabilmente è entrato nella fase “Porca
miseria ma chi me l’ha fatto fare di essere venuto
qui?”. Poi si risveglia,
preso da chissà quale raptus «Una ha lanciato il
cerchio col piede!»
«Aha,
ho visto.»
«Una
ha lanciato il cerchio col piede e l’altra l’ha
preso!» Koshino sembra aver
guadagnato interesse «Quante volte dici che si saranno
colpite prima di farlo
uscire bene?»
No,
ok, è il solito demente.
Le
cinque ragazze compiono un Fouettés
en
tournant[3] in
perfetta sincronia e ad Akira tornano
in mente tutte le bestemmie che Shiba ha sprecato in quei mesi
perché «Porca miseria se
la Mitamura mi dice ancora
che giro come un aereo che precipita le cavo gli occhi con la
bacchetta! E che
cavolo, non lo so fare il Fouettés!»,
mentre gironzolava per la cucina,
prendendosela poi con lui perché aveva cucinato ancora ramen.
Ha
versato sudore, lacrime e fatica per quei miseri due minuti, eppure
stanno
scivolando via con una fluidità inaudita, nemmeno li
sentisse. Si muove
leggera, cammina sulle punte slanciandosi con il nastro rosso che le si
attorciglia intorno senza mai sfiorarla e lo fa girare reggendosi su di
una
gamba sola con la schiena piegata all’indietro.
Anche
Nanaka è di una naturalezza strabiliante mentre si fa
passare il cerchio sulle
spalle per poi lanciarlo all’altra compagna, recuperando il
nastro prima che
tocchi terra.
Resterebbe
a contemplarla in religioso silenzio se solo Koshino non gracchiasse
così tanto
«Le ha lanciato il cerchio con il nastro!» si
sporge «Se non vincono vado dai
giudici e gliene dico quattro.»
«Solo
quattro?»
Hiroaki
lo guarda di sbieco per poi tornare a concentrarsi sul balletto che
è quasi giunto
al termine «Ricordami di non prendere per il culo tua sorella
per almeno un
mese.»
«Un
mese? Come sei caritatevole!»
«Facciamo
una settimana, va.»
«Non
resisteresti nemmeno per cinque minuti.»
«E’
che si presta, capisci? Quando le chiedi un panino col pollo e te ne fa
uno col
maiale, sembra quasi ti stia supplicando di sfotterla.»
Akira
si schiaffa una mano sulla faccia mentre le ragazze danno il via agli
ultimi
passi, passandosi i nastri e i cerchi prima di disporsi a stella, le
mani
sollevate e rigide fino a che la musica non sfuma in una cascata di
applausi.
Fanno
un breve inchino e salutano il pubblico, poi zampettano via per
attendere il
risultato. Può vedere nitidamente Shiba che viene sollevata
da una matricola
coi capelli corti e biondi quando sul tabellone compare un enorme
27,450 che, per
il momento, le piazza al secondo posto.
«Maledetto
Kainan, pure nella ginnastica ci sa fare.» è il
commento acido di Koshino,
mentre osserva l’altra squadra sospirare per il primato
ancora mantenuto.
Akira
annuisce. Gli viene in mente che questo sabato lo Shohoku se la
dovrò vedere
proprio con il Kainan King.
Quasi
prova pena per loro…
Hiroaki si alza «Beh, finito, alleluja
e amen.»
«Ma se mancano ancora tre squadre?»
«Non resto qui un minuto di più! Se
sento altra musica classica mi sparo. Andiamo ad aspettarle
fuori» si volta, il
suo ghigno è qualcosa di spaventoso «Se vuoi
distraggo tua sorella così puoi
farti la Itou.»
«Con distrarla intendi: attentare alla
sua vita?»
«Se lo meriterebbe. Non sa preparare
nemmeno dei sandwich decenti.» borbotta caustico,
incamminandosi verso l’uscita
del palazzetto.
Akira gli è dietro, indeciso se ridere
o votarsi alla santa pazienza. Fuori dal palazzetto respira a pieni
polmoni e
gli torna alla mente il discorso lasciato in sospeso «Oi,
cosa dovevi dirmi?»
«Eh?»
«Prima… Stavi per dirmi qualcosa.»
Hiroaki sembra cadere dalle nuvole poi
i suoi occhi si sgranano «Oh, quello… Nh, ma no
niente, non è mica importante.»
«Se non ti conoscessi, penserei che
stai per chiedermi la mano di Shiba.»
Koshino fa una smorfia «Che schifo,
vuoi farmi rimettere il pranzo di Natale?» Akira sorride beato
«E’ che… No, niente.»
«Non fare la donnetta e spara.»
«Va che non
è
una cosa molto carina.»
«Koshino
che si preoccupa di dire una
cattiveria, sono quasi commosso.» commenta allegro,
ridendosela alla grande
quando l’amico per poco non gli morsica un braccio.
Si massaggia il collo e poi sospira
«Ma niente, è che quando eravamo bambini, ecco, a
volte pensavo che sarebbe
stato meglio se aveste adottato un maschio.»
Akira lo fissa con tanto d’occhi.
Effettivamente non è una cosa carina.
Il problema è che, spesso, ci ha
pensato anche lui.
♠
Lo psichiatra che lo ha avuto in cura
per qualche tempo, prima che cominciasse a marinare le sedute da bravo
teppista
cazzone che è stato, gli ha parlato di depressione e di un
mucchio di altre
stronzate di cui non ricorda il nome e che, a dire il vero, gli sono
scivolate
addosso come gli scivolavano le prediche infinite che sua madre gli
donava in
macchina.
La verità è che non c’era molto per
cui valesse la pena svegliarsi ma la sua non era depressione, era
più… Noia,
ecco.
Era annoiato.
Quando le cose non andavano si
rifugiava nel campetto da basket vicino alla spiaggia e ci passava le
ore,
sentendo di aver dato un senso al vuoto che si trascinava dietro ma
quando il
ginocchio glielo ha impedito, beh, che altro gli era rimasto?
Neppure il sesso con Shibahime serviva
a lenire quel senso di tedio che si era impadronito delle sue viscere,
forse
perché aveva perso quel non sapeva che, che
gliel’aveva sempre resa
affascinante.
Ecco, quella è una delle mattine di
due anni fa. Quando la sveglia ha suonato e il suo occhio si
è aperto, ha quasi
sperato di vedersi comparire fuochi e fiamme mentre Lucifero lo invita
a
banchettare alla sua tavola, ma l’unica cosa che ha visto
è stato il caos di
camera sua e quell’enorme X rossa sul calendario,
scarabocchiata fino a farla
scomparire.
Hanno perso contro il Kainan e sente
che la colpa è in parte sua.
Sarebbe bastato spostare di appena
qualche millimetro la traiettoria, saltare un po’
più in alto, tentennare meno
e forse la palla sarebbe finita nel canestro.
Forse a quest’ora sarebbe con un mal
di testa post-sbronza da festeggiamento folle.
Forse--
«Mi-tsu-iiii!»
Si blocca di colpo, la schiena
incurvata.
No, la Itou alle 8:05 è qualcosa di
inaccettabile!
Quel cinguettio cantilenante di prima
mattina è peggio delle litigate che i suoi si sparano a
colazione, pranzo e
cena.
Accelera il passo, magari se finge di
non sentirla quell’aguzzina si leverà dalle
scatole.
«Mitsui, stai scappando?» lo rincorre,
sul viso fresco penzola un sorrisetto talmente fastidioso da fargli
girare i
coglioni -e quelli gli stanno vorticando senza sosta da quando i piedi
hanno toccato
il pavimento, per dire-.
Non sa ancora se sia dovuto alla
squillante voce di sua madre che gli ha ricordato quanto nulla sia poi
così
cambiato da quando ha appeso le risse al chiodo o la costante
sensazione di
angoscia che lo attanaglia quando pensa che avrebbe potuto portare lo
Shohoku
alla vittoria, se solo Kyota non avesse deviato la palla.
«Ma chi scappa.»
«E allora perché corri?»
«Perché sono in ritardo!»
«Macché, macché, di tempo ce
n’è in
abbondanza!» sventola una mano, la maledetta, costringendolo
a rallentare il
passo.
Ed è così che se la ritrova affianco,
con quella sua aria beata di chi sembra aver dimenticato cosa
significhi “avere
un sonno boia”.
Si arrende all’idea di dover arrivare
a scuola in sua compagnia «Com’è che sei
così allegra di prima mattina?»
sbrodola uggioso, guardandolo di sbieco.
Nana alza le spalle «Vederti mi ha
risollevato il morale» ribatte civettuola, dandogli una pacca
sulla spalla
quando comincia a strozzarsi con la saliva «Su, su, stavo
scherzando!»
«Cazzo Itou, vuoi farmi vomitare i
cereali?!»
«Come la fai tragica» rotea gli occhi
blu «Scommetto che se fosse stata Shibahime a dirtelo, a
quest’ora staresti
andando a scuola a bordo di una nuvola rosa.» è il
suo commento che gli fa
venire in mente immagini orribili.
Ci rinuncia, questa psicopatica gli si
è appiccicata come una carta moschicida e non riesce mica a
levarsela di dosso.
«Se vuoi ti ci mando a calci in culo a
scuola-»
Gli dà un pizzico sul braccio
«L’educazione l’hai lasciata sotto le
lenzuola?»
«No, ma tu potevi restarci.» borbotta
tetro, incurvando ancora di più la schiena mentre sente la
sua risatina svagata
perforargli il cervello. Non credeva che questa squinternata potesse
essere
così… Normale.
Gli mette i brividi vederla sotto
effetto di chissà quale sostanza stupefacente.
«Avanti, cos’è quel muso
lungo?»
«Nh, niente» si massaggia la cicatrice
«Abbiamo perso contro il Kainan.» sbrodola uggioso,
maledicendosi subito per
essersi lasciato andare proprio con lei. Non ama parlare delle sue
sconfitte,
odia gli sguardi di pietà che la gente gli riserva, nemmeno
fosse scampato ad
una guerra atomica riscoprendosi uno dei pochi superstiti.
E quando pensa che quella rompipalle
lo riempirà di scontati «Oh,
mi dispiace,
vedrai che andrà meglio la prossima volta.», ecco
che se ne salta su con un
serafico «Lo so, siete sull’orlo del
precipizio.» che gli fa cascare i
coglioni.
Che
merda a consolare le persone…
«Nhg,
è la stessa cosa che ci ha detto
Ayako.»
«Ah, saggia donna. Mi piace
quell’Ayako, sai? È l’unica che sta a
contatto con voi debosciati e ne esce
fuori sana e salva» gli sorride beata; Mitsui mormora
qualcosa di
incomprensibile «Tu… Non ti senti in colpa per
aver sbagliato canestro, vero?»
«Non ho sbagliato! È stato Kyota
che—Oh, ma che ne parlo a fare con te? Tanto non ci capisci
niente di basket.»
«Ne capisco abbastanza per sapere che
non è stata colpa tua, quindi levati quest’aria da
martire.» sbotta spiccia,
lasciandolo impalato per qualche istante.
«Aria da martire?!»
«Certo che il Kainan è davvero forte,
come la loro squadra di ginnastica del resto.» ed ecco che la
schizoide
comincia a parlottare tra sé, facendolo dubitare della sua
sanità mentale.
La Itou a volte lo spaventa…
«Com’è che sei venuta a vedere la
partita?»
«Mh? Oh, le matricole mi hanno chiesto
di accompagnarle.»
«Credevo aveste gli allenamenti.»
«Già, ma abbiamo finito prima» lo
guarda di sottecchi, il suo sorrisino mellifluo lo fa rabbrividire
«Ho provato
a convincere Shiba…» e non
c’è bisogno che concluda la frase,
perché tanto sa
che quella non c’è venuta.
«Sai che mi importa.»
«Oh, sì che ti importa» asserisce
punzecchiandogli una guancia «Però questa
è una situazione perfetta!» il suo
sorriso si spande, ha un non sa che di diabolico «Cosa
c’è di meglio di una
sconfitta per far riavvicinare due ottusi come voi?»
«Come dici?»
«No, no, nulla.» sventola una mano.
Mitsui grugnisce. La Itou canticchia.
Canticchia.
Canticchia, per la miseria!
C’è qualcosa di sbagliato e
inquietante in tutto questo.
«La vuoi smettere di essere così
allegra?! È lunedì, è mattina, e che
cazzo!»
La Itou gli galleggia intorno «Non
posso farne a meno. Ci siamo qualificate per i qaurti, sai? Nelle gare
a
squadre siamo arrivate seconde nel nostro girone!»
«Ma che brave, urrà.» agita un pugno
senza troppa convinzione.
«E Shiba è uno schianto con quel
body.»
La guarda di sottecchi, sente di star
andando in fiamme. Maledetta stronza che gli fa venire in mente strane
immagini
proprio quando ha le difese abbassate!
«Brutta--»
«Dovresti venire a vederci un giorno.»
«No, grazie. Mi dà noia la musica
classica.»
Nana arcua un sopracciglio, poi torna
a guardare davanti a sé «A Shibahime farebbe
piacere.»
«Non gliene frega niente.»
«Ma sì che le importa.»
«No che non le importa, ok? Perché se
le importasse, verrebbe ai miei allenamenti o alle mie partite e invece
no, non
ci viene mica» le parole gli raschiano la gola e solo dopo
averle vomitate con
troppa enfasi, si rende conto di essersi comportato da donna mestruata
che è stata
appena mollata dal fidanzato di turno. Gli basta osservare il candore
sul volto
di Nanaka per capire di essersi infilato in un vicolo cieco
«Non che me ne
freghi qualcosa.»
«Aha, certo.»
«Può fare quel che vuole.»
«Già.»
«Non è mica la mia fidanzata.»
«Ma ti piacerebbe che lo fosse.»
«Eh—No, certo che no!»
Nanaka
sospira, la sua allegria è migrata via «Sai? Se lo
ammettessi sarebbe tutto
molto più semplice.»
«Ammettere
cosa?»
«Che ti
piace ancora» scuote le spalle ma quando le rivolge uno
sguardo vago, il suo
capo cade in avanti con pesantezza «Beh, quando ci arriverai
vieni da me, ok?»
Mitsui resta
imbambolato per qualche istante, frastornato dalla piattezza cui gli ha
scaraventato addosso quelle parole.
Ovvio che Shibahime gli piace, non l’ha
scordata quando sono stati distanti, figurarsi ora che ce
l’ha praticamente a
tre banchi di distanza, certo è che non ha il tempo per
riprendere tutto da
dove l’hanno lasciato e sperare che possano ripartire da
zero, magari accantonando
ciò che di brutto c’è stato fra loro.
Realizza però un’assoluta verità: non
può farcela da solo.
Devono essere in due a volere le cose
e Mitsui non è così autodistruttivo da
crogiolarsi nella sua rabbia.
«Itou…?» la chiama piano, serio
«A
Shiba non piaccio più.» e l’espressione
di pura confusione che gli regala, è
qualcosa di memorabile.
Così come è memorabile la finezza con
cui gli si rivolge «Ma sei scemo?»
«Cosa?»
«Mi chiedo se facciate a gara di
idiozia, voi due» scuote la nuca, la lunga treccia ondeggia
sulla sua spalla «E’
ovvio che gli piaci, devi solo darle tempo.»
«Aha, certo, e ti aspetti che me ne
stia qui ad attenderla fino a che non mi si atrofizza
il—»
«Certo che no» gli dà un pizzico sul
braccio «Ma nessuna qui vorrebbe mettersi con te, oh ex
teppista.» cinguetta
maligna.
«Questo perché siete tutte delle
damigelle di ‘sto grande ca—Ahi! La vuoi smettere
di pizzicarmi?!»
«Ohohoh, guarda un po’ chi c’è
qui…» la
capoclasse En squadra la mano di Nanaka posata sul suo braccio come se
avesse
una fotocamera integrata agli occhiali «Itou,
Mitsui…» il sibilo di Tomoko
serpeggia fra loro, sorride come se li avesse colti con le mani nelle
mutande
l’uno dell’altra e quel ghigno che penzola sul suo
volta prima di superarli, è
quasi peggio di quello che Nanaka gli rivolge ogni volta che parlano di
Shiba.
«Serpe…» la sente sibilare.
«Che?»
Scuote la nuca «Mitsui, fa attenzione
alla En. Quella è peggio di una vipera.»
Hisashi la guarda con tanto d’occhi,
non comprendendo appieno le sue parole «E questo che vorrebbe
dire?»
Nana si volta, solleva le spalle «Non
mi stupirebbe se la tua storia con Shiba saltasse fuori e, date le
circostanze,
non ho idea di come potrebbe prenderla.»
Non ha idea del perché ma quelle
parole stimolano quel senso di rabbia sopito che se ne sta
lì, in un angolino
remoto del suo stomaco e che lo costringere a ribattere con decisamente
più
incazzatura di quanta avrebbe dovuto metterne «Se le
dà così fastidio che gli
altri sappiano che è stata con me, non è un
problema mio.»
Nana sbuffa, lo guarda come se fosse
un ritardato «Non sei tu il problema, è tutto il
resto.»
«Il resto.»
«Il resto, certo, cosa credi?» inclina
il capo, davvero lo sta guardando come se il cervello gli stesse
colando dalle
orecchie! Adesso la uccide «Il tuo passato, il suo
passato… Sono dell’idea che
potrebbe nascerci una bellissima soap-opera se ci mettessimo
lì a discuterne--»
«Ma che cazzo--»
«Ma se la En decide di spiattellare
tutto, non so cosa ne uscirebbe fuori. Quella è capace di
inventarsi storie
improbabili pur di vendere quella robaccia che spaccia per giornalino
scolastico. Tipo… Che so, che sei tornato a giocare solo per
riconquistare il
suo amore o che lei ti ha lasciato perché avevi deciso
usarla come palo mentre
rapinavi banche e casinò.»
Nh, beh, effettivamente è stato
lasciato. Certo, la storia del casinò sarebbe decisamente
più divertente ma si
deve accontentare di una normale rottura tra adolescenti.
Rintronato dal suo fiume di parole, scuote
la nuca e la guarda scettico «E sentiamo, che dovrei
fare?»
«Nulla.»
«Nulla, certo. Nulla?!»
«No, fino a che la serpe non fa niente
è inutile fasciarsi la testa.»
«E allora cos’era tutto quel
discorso?!»
«Ti ho messo in guardia» sventola una
mano e gli dà le spalle, la stronza, lasciandolo pieno di
dubbi e con
l’incazzatura che si è trascinato dal letto
«E poi guarda il lato positivo: se
dovesse succedere, potresti tornare ad essere il suo supereroe pronto a
proteggerla.» e gli fa un occhiolino. Se ne va facendogli un
maledetto,
disgustosissimo occhiolino che lo lascia impalato
all’ingresso.
Supereroe, certo, come no.
Come potrebbe mai salvarla se a
malapena le rivolge la parola?!
«No, dici davvero?» è la voce di
Shiba, la riconoscerebbe perfino in un rave party con la musica a palla.
«Ma sì, ti dico di sì!»
La sente ridacchiare con una loro
compagna di classe mentre sfilano al suo fianco, senza nemmeno
accorgersi della
sua grigia presenza.
Come può salvarla se nemmeno si
accorge di lui?
♠
«Ti
avanzano dei cerotti?»
«Pensaci…»
insiste di fronte al suo ignorarla «Tornare a veder giocare
il tuo incubo potrebbe ricordarti
che, in
fondo, il basket non ti dispiace come vuoi continuare a far
credere» pontifica
sicura, asciugandosi i capelli umidi con un asciugamano
«Superare il trauma,
andando incontro alla tua più grande paura. Vedila come una
caduta da cavallo,
su.»
«Ma
Mitsui non è un cavallo.»
Le
dà una leggera clavettata in testa «E’
una metafora.»
Shibahime
sospira «Hai intenzione di studiare psicologia?»
rimbrotta scorbutica,
socchiudendo gli occhi mentre li punta sul suo ghigno fastidioso.
«Mi
piacerebbe ma no, sai che mamma non vuole» alza le spalle
«E’ che credo che il
problema sia tutto lì.»
Shiba
sta per risponderle ma il frastuono proveniente dalla palestra in fondo
al
corridoio le fa impalare.
«Siamo
stati invasi dagli Unni?» è il serafico commento
di Shiba mentre getta la
testolina fuori dallo spogliatoio, cercando di capire chi sia il
fautore di un
macello tanto apocalittico.
«O
magari sono solo quei dementi del club di basket.» replica
asciutta Nanaka, già
armata di clavette e nastri.
Shiba
sbatacchia gli occhi «A quest’ora?!»
Alza
le spalle «Hanno perso contro il Kainan, staranno facendo
allenamenti extra…
Speravo si dessero all’Arakiri ma--»
«Hanno
perso?»
«Aha»
la sua risatina le perfora le orecchie «Ci stai pensando,
vero?»
«A
cosa?»
«A
come questo sia il momento giusto.»
«Il
momento giusto per cosa?» lo domanda stanca, ben conscia di
dove andrà a parare
quel discorso sibillino.
«Per
consolare il tuo musone,
ovvio!»
Shiba
apre la bocca, poi il capo cade con indolenza «Nanaka,
no--»
«Pensaci,
quale momento migliore per andare lì e rivolgergli la
parola?» le dà una
leggera gomitata prima di superarla, diretta verso la fossa
dei gladiatori «La gente tende ad essere
più accondiscendente
quando è vulnerabile. Credo gli farebbe piacere se tu
andassi lì a parlargli.»
«Certo,
come no…» si gratta la nuca, sentendosi di una
stupidità abissale; un po’
perché la sta seguendo verso quella che sarà
sicuramente la scena madre di
chissà quale rissa tra teppisti falliti, e un po’
perché si sta inerpicando con
lei in una discussione tanto sconclusionata.
Consolare
Hisashi Mitsui, certo.
Quello
che in ospedale, nervoso per la terapia, le scaraventava contro le
riviste di
basket se solo si azzardava a consolarlo. Quello che le ha tirato un
ceffone in
pieno viso solo perché «Ti
stai
intromettendo in affari che non ti riguardano, ragazzina.»
Ricorda
ancora i suoi occhi, i brividi che le hanno trasmesso ed è
una sensazione che
non vuole più assaporare.
«Sai?
Lui le odia queste cose» confessa con un leggero sorriso
«Non gli è mai
piaciuta la pietà degli altri, né le frasi di
circostanza.»
«Ora
è diverso. Mitsui, intendo… Non è
più il ragazzino spocchioso che si credeva il
miglior giocatore del mondo» le puntella l’indice
sulla fronte «E tu non sei
più la ragazzina che gli sbavava dietro.»
I
suoi lineamenti si addolciscono mentre i ricordi la assalgono ma non fa
nemmeno
in tempo ad aggrapparsi ad uno di loro che il frastuono in palestra la
fa
sobbalzare.
Le
getta un’occhiata impaurita «Apri tu, Nana-chaaan.»
L’altra
sbuffa «Oh, andiamo, cosa potrà mai esserci di
così—Oh.Mio--»
Nana
si impala sulla porta, lo sguardo vacuo perso sullo spettacolo che si
spalanca
di fronte ai loro occhi: Sakuragi gonfio come un melone che pesta un
Rukawa
pieno di lividi e che ripete eleganti «Piantala
coglione!» e finezze simili,
seguite da altrettanto amorevoli «Sei una volpe morta! Ti
scuoio e ci faccio una
sciarpa con la tua pellaccia!»
E
giù di botte come nemmeno nei film di Stallone.
Shibahime
si copre le labbra con una mano, ripresasi dallo stupore
«Fantastici!» e giù a
ridere come quel demente di suo fratello.
Nana
si riprende «Seriamente, che stanno combinando?»
«Si
staranno allenando per il prossimo raduno in memoria di Street
Fighter.»
Nana
la trucida con lo sguardo ma d’altro canto, Shibahime fatica
a restare seria di
fronte a cotanta idiozia umana.
«Vuoi
finire a fare da sacco?» domanda acida, facendole roteare gli
occhi.
«Oh,
suvvia, è divertente!»
«Da
quando ti piace il pugilato?» Nana sbuffa
«Interrompiamo il massacro, prima che
Rukawa apra la testa del cretino.»
«Sakuragi,
si chiama Sakuragi.»
«Chiamarlo
cretino mi fa venire meno voglia di lasciarlo al suo destino.»
«Ah.»
Nana
porta due dita alle labbra e fischia
«Cos’è? State cercando di entrare nel
club
di wrestling?» l’ironia è sferzante e
divide i due litiganti, grondanti di
sudore e con qualche taglio e livido qua e là che li rende
malconci.
Le
matricole si lanciano un’occhiata intenditrice
–sarà la prima ed ultima, Shiba
vorrebbe fotografare tale miracoloso evento-, e dopo un attimo di
smarrimento è
Hanamichi Sakuragi a farsi avanti, sempre con la propria
regalità.
«E
voi chi Diavolo sareste? Siete delle spie mandate qua per osservare il
mio
incommensurabile talento, vero?» la sua risata sguaiata
rimbomba nella palestra
e Shiba, nonostante tutto, si ritrova a soffocare un risolino di fronte
alla
sua posa da supereroe.
Nana,
d’altro canto, è ammantata da furia omicida
«Questo demente avrebbe bisogno di
una lavata di capo.»
«Secondo
me sono tutte le botte in testa che gli dà Akagi ad averlo
ridotto così.»
Le
due si guardano sconsolate e quando un
«Deficiente.» serpeggia fra loro, ecco
che il siparietto riprende.
Kaede
ha lanciato una palla contro Sakuragi e questo gli si è
scaraventato contro.
«Li
lasciamo qui e facciamo finta di niente?»
«Se
muoiono e scoprono che siamo state qui, finiremmo nei guai.»
«Magari
Akagi ci pagherà la cauzione come ringraziamento.»
Nana
scuote la nuca, si avvia in palestra «Tu prendi Sakuragi, io
mi occupo di
Rukawa.»
«Cos—Ma,
ehi! Perché devo occuparmene io?!» la segue con
passo pesante, guardandola in
cagnesco.
«Perché
avete i capelli rossi.»
«Cosa
c’entra?!»
«E
perché se mi capita fra le mani, lo sbudello.»
«Non
voglio che il nemico mi sfiori!» si divincola e comincia a
sfregarsi la faccia
con le mani «Ah, i germi del nemico! Andate ad infettare la
maledetta Kitsune,
io devo portare la squadra alla vittoria!»
«Demente.»
«Hai
detto qualcosa?!»
«Sì,
che sei un--»
«Piantala
di dargli corda, ti prego.» Nana tira uno scappellotto a
Rukawa e questo per
poco non le mozza una mano.
«Sakuragi,
guarda che non siamo spie.» si intromette Shiba,
sorridendogli affabile.
I
suoi occhi si riducono a due puntini sbatacchianti.
«Ah…
Non siete qui per spiare il tensai?»
«Nessuno
verrebbe mai a spiare una mezzasega come te.»
«Io
lo ammazzo!»
«Stai
a cuccia!» Nana gli lancia contro un batuffolo di cotone e il
ragazzo si quieta
«Siamo del club di ginnastica ritmica. Gli unici atleti che
spiamo, sono le
ginnaste delle altre squadre.»
«Non
vantartene, è imbarazzante!»
Cala
un silenzio teso, Hanamichi stringe le dita intorno al bordo della
panca
metallica su cui è seduto mentre Rukawa si lascia medicare
senza fare troppe
storie.
Shiba
lo guarda oltre la spalla, stranita dalla mansuetudine con cui si fa
sfiorare.
E’... Strano. Non le pare quella borsa frigo che tutti
decantano, così come non
le pare l’algido atleta che corre dritto al canestro
infischiandosene degli
urletti striduli e delle adulazioni.
E’
un normale adolescente, solo un po’ più taciturno.
Risponde
alla Itou con monosillabi, scazzati «Nh»
e
superbi «Tsk »a
cui l’altra replica
noncurante, quasi fosse abituata a leggere dietro le righe.
«Sicure
di non essere del club di infermieristica?» la voce di
Hanamichi la riporta
alla realtà.
«Per
la decima volta: no.» ribatte Shibahime, indecisa se
chiudergli la bocca con i
cerotti o limitarsi ad ignorarlo.
«Eppure
sei così brava.» seguita scettico.
«Come
se ci volesse un brevetto per sapere usare una garza e un paio di
cerotti.»
«La
Sendoh è avvezza agli idioti come voi.» cantilena
la Itou, non consapevole di
aver appena innescato l’ennesima miccia.
«Sendoh…
Sendoh come--»
«Akira
Sendoh? Oh, già già, è suo
fratello!» cinguetta pimpante, guardandola con occhi
sbrilluccicanti. Shibahime le scaraventa contro la cassetta dei
medicamenti ma
finisce per colpire l’armadietto.
«…
Sei una Sendoh uscita male.» è il fine commento di
Rukawa.
«Che?!
E cosa ridi tu, maledetta!»
«Effettivamente…
Non è che vi assomigliate granché.»
constata Hanamichi.
«E
per fortuna!»
«E
dimmi! Ti ha mai parlato di me?» tutto gongolante, Sakuragi
le sposta le mani e
la guarda con aria da invincibile-uomo-che-non-deve-chiedere-mai.
«No.»
«Come
sarebbe a dire: no?!»
«Però
mi parla spesso di Rukawa!»
«Della
Kitsune?! Ma è scemo o cosa--» gli tappa la bocca
con la garza.
Shiba
guarda oltre la spalla e nota che Kaede ha l’aria confusa,
sempre che quella
specie di maschera al vetriolo possa chiamarsi confusione
«Dice che gli piaci.»
aggiunge con un leggero sorriso.
Kaede
alza le spalle «Boh. Non ho certe tendenze.»
«Non
hai certe--» Nana scoppia a ridere, per poco non rotola sul
pavimento; Sakuragi
tenta di districarsi dalla ragnatela di bende mentre tenta di dare un
calcio
alla ragazza.
Shiba
lo fissa allucinata «Ma non in quel senso! Intendevo come
giocatore!» spiega
esasperata «Dice che sei uno dei pochi avversarsi degni e che
non vede l’ora di
scontrarsi con te nella prossima partita» gli occhi di Kaede
sembrano
accendersi «Vedi di allenarti, eh. Acchan si sta dando da
fare.»
«Tsk,
ovvio.»
«Ma
tu guarda quel porcospino, non riconosce nemmeno il talento quando ce
l’ha di
fronte.»
«Porcospino?»
Nana lancia un’occhiata a Shiba ma questa scrolla le spalle.
«Ma
glieli affloscio quegli spilli che si ritrova per capelli,
glieli--»
Shiba
sospira, li guarda a intermittenza «Parlando di cose
più serie… Si può sapere
perché vi stavate azzuffando?»
Hanamichi
si cala nella parte del protagonista fragile e ferito che si ritrova a
fare i
conti con i proprio errori «Perché è
colpa mia se abbiamo perso la partita
contro il Ka—Maledetto Rukawa! Non tirarmi i
cerotti!»
«Ringrazia
che non ho un bisturi.»
«Da
bravi, bisticcerete fuori» Nana sorride maligna sventolando
un paio di forbici
e i due tornano ad ammutolirsi «Sakuragi, guarda che non
è colpa tua.»
«Ma
cosa vuoi saperne, tu?»
«Ho
visto la partita e, credimi, è stata solo sfortuna. Se Kyota
non avesse deviato
la palla, Mitsui avrebbe segnato un bel canestro da tre punti e a
quest’ora
sareste tutti ad ubriacarvi in qualche bar.» ah,
già, gli incredibili canestri
da tre punti di Mitsui; per un attimo si chiede se sia ancora
così bravo come
ricorda, se è ancora capace di far stare il pubblico in
sospeso mentre la palla
compie una parabola perfetta per poi infilarsi nel canestro.
Per
lui è sempre stato come respirare.
«Sì,
però--»
«E
tu--» Nana lo guarda oltre la spalla «Nella foga
non ti sei accorto di chi ti
stava davanti. Può capitare.»
Shiba
si ridesta, la guarda scettica «Com’è
che a noi non ci consoli così quando
perdiamo?»
«Perché
voi non siete autorizzate a perdere» Nana mette le mani sui
fianchi mentre
studia il proprio lavoro, ovvero cercare di non far sembrare Kaede
Rukawa una
mummia «Ah, che matricole indisciplinate. Ai miei tempi ci si
tagliava i
capelli quando si commettevano certi errori.»
«Non
era quando si veniva lasciate dal fidanzato?»
«Credi
che io sia mai stata lasciata?»
«Non
intendevo quello.»
«E
comunque in quei casi ci si tinge.»
«Ma
certo che sei stronza forte, eh!»
«Sakuragi
dovrebbe avere la testa color arcobaleno, allora.»
«Brutta
volpe, ma io ti mangio a colazione!»
«Non
lo farei fossi in te, le volpi sono indigeste.»
«Nanaka—Ah, ci rinuncio» gli
dà una
sberla sulla nuca «Oh, fatto! Sei libero.» gli
sorride affabile, venendo
sovrastata da quella montagna umana di Sakuragi che mugugna frasi come
«Tagliarsi i capelli, mh?» e amenità
simili.
«Potete
evitare di uccidervi fino a che siamo qui?» è la
pacata richiesta di Nanaka,
intenta a sistemare.
«Certo!»
è l’affermazione di Hanamichi, anche se il modo in
cui guarda Kaede fa morire
ogni speranza.
«Seh,
certo, come no…» replica Shiba, fissando i due che
si allontanano fin troppo
mansueti. Li accompagnano fuori, giusto per essere pronte a sedare
quelle teste
calde che potrebbero andare a fuoco da un momento all’altro.
Hanamichi
si volta dopo qualche passo, punta l’indice verso di loro che
se ne stanno lì
impalate
«Sasaime! Di’ a
tuo fratello che lo
straccerò! Dopo tutto, sono il genio numero uno di
Kanagawa!»
«Seh,
l’idiota numero uno, vorrai dire.»
«Che
hai detto, Kitsune?!»
E
giù di nuovo ad azzuffarsi come due gatti.
«Io…
Sono costernata.»
«Ma
chi è Sasaime?»
«Sei
tu.»
«Ah.»
«Cos-ter-na-ta.»
«Eh.
Però è simpatico.»
«Mah.»
«Più
di Rukawa di sicuro.»
«Anche
il mio freezer è più simpatico di Rukawa, non
vale come metodo di paragone.»
sventola una mano.
«Ah,
com’è che il nostro bel tenebroso ti rivolge la
parola?»
Nana
alza le spalle «Qualche estate fa eravamo allo stesso campo
estivo.»
«Sì,
ma con questo?»
«Non
gli sbavo dietro e non gli rompo le palle.»
«Tutto
chiaro.»
Li
osservano appoggiate alla porta della palestra. Sakuragi dà
un calcio alla
bicicletta di Kaede e prima che questo possa montarci in sella, si
ritrova ad
imbastire una lotta con il rossino. L’ennesima.
«Coraggio,
sistemiamo e andiamocene a casa. Quei due mi hanno esaurita.»
Shiba
annuisce e guarda le matricole, convinta che in palestra avrebbe
trovato il
muso lungo di Mitsui e la linea elegante del suo profilo mentre tira a
canestro.
Realizza
solo ora di averci quasi sperato.
Shiba,
seduta sulla metro, copre uno sbadiglio dietro la sciarpa leggera
«Ti ho detto
di no.»
Nana
riporta lo sguardo sul libro di storia «Che noiosa.»
«Ficcanaso.»
«Sasaime.»
«Ma
piantala!»
♠
[1]Fumino:
prima scuola scelta a caso nel
mucchio che compare quando lo Shohoku batte il Miuradai.
Perdonatemi per il ritardo, scrivere
il capitolo con il caldo e in ferie non si è rivelata una
battaglia semplice ma
alla fine qualcosa è uscito fuori e ammetto che il risultato
non mi dispiace, e
almeno ci stiamo avvicinando a quella che può essere
considerata una
riappacificazione tra i due mentecatti –e poi è
piuttosto lungo, giusto per
farmi perdonare-.
Ho cercato di mantenere i toni più
leggeri, piazzando un po’ qua e un po’
là siparietti nonsense tra i vari
personaggi; un po’ perché è lo spirito
che ho sempre voluto avesse questa
storia e un po’ perché mi diverte scriverli,
sembra che si prestino a fare i
dementi.
Poooi, per descrivere l’esibizione di ginnastica
dello Shohoku mi sono basata sulle varie performance delle Olimpiadi di
Londra
del 2012, in particolare quella delle italiane … No, non mi
ci sono avvicinata nemmeno di un millimetro a quella bellezza.
È da togliere il fiato e io mi
sono dovuta limitare a far capire cosa succedesse, ngh.
Come sempre ringrazio chi continua a
seguire la storia, in particolare ReginaMills89
e Ice_DP per aver commentato lo
scorso capitolo: siete state carinissime e gentilissime e io mi sento
sempre un
uno schifo a non sapervi ringraziare in maniera un po’
più decente :/
HeavenIsInYourEyes