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Autore: HeavenIsInYourEyes    23/07/2015    3 recensioni
Ci sono scene in cui si ributterebbe per riviverle in ogni minimo dettaglio, senza spostare neppure una virgola; altre vorrebbe cancellarle, modificarle, rispondere "Ma" anziché "Beh", dire "Sì" invece di "No".
Mitsui continua a chiedersi cosa sarebbe successo se non avesse abbandonato il basket, se, se… Ne è talmente schiacciato da sentire l’aria mancare e più ci pensa, meno riesce a trovare una via d’uscita.
Ed è così che si sente anche quando apre la porta della palestra; poco, è solo uno spiraglio ma gli basta per sentire la testa girare, il cuore pulsare e tutto il resto farsi effimero.
Il suo "se" più grande se ne sta lì, trasportata dalla musica e leggera come l’aria.
Shibahime è… Da dove può cominciare per descriverla?
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akira Sendoh, Hisashi Mitsui, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9

Mitsui è sempre stato bravo a comprendere Shibahime.
I suoi silenzi, le sue storture di naso, i suoi sbuffi, tutto è sempre stato interpretabile. Perfino alle sue mezze parole riusciva a dare un senso. Ma quando quella se ne è uscita fuori con un isterico
«E la mia canzone preferita è Heroes! Non Life on Mars, Heroes!» Hisashi ha seriamente cominciato a dubitare delle proprie doti di interprete e delle sue facoltà mentali.
All’inizio ha pensato che le piacesse quella canzone e volesse renderlo partecipe, tanto per rendersi un po’ più incomprensibile ai suoi occhi ma dopo averci rimuginato su una manciata di secondi, è giunto alla conclusione che Shibahime Sendoh è una psicotica.
Basta. Punto. Si è fottuta il cervello.
Addio ai bei tempi andati, ai baci, alle carezze…

«Mitsui, stai andando a casa?»

 

Mo Chùisle

Capitolo 9

Come as you are, as you were, as I want you to be

 
“Nate: Lisa! Lisa! Dove sei?
Lisa: Sono proprio qui! E tu?
Nate: Non lo so. Niente sta andando come avrei voluto, Lisa. Lo sai? 
Io volevo davvero amarti, ti ho amata!
E ho sentito che stavamo per cominciare—Io lo so, 
lo sento nel mio cuore ed è come se avessi appena mandato all’aria l’unica chance che capita una volta nella vita.

Lisa: Nate, io non sono una chance. Sono una persona.”
                                                                                      -Twilight  [3.12], Six feet under-

  

 
Shiba gli corre incontro, si ferma a qualche passo da lui per riprendere fiato.
Hisashi alza gli occhi al cielo, convinto che il sole stia per rintanarsi dietro una coltre di nubi nere che cominceranno a buttare giù lampi e tuoni. O magari gli Angeli dell’Apocalisse hanno deciso di visitare Kanagawa come meta turistica, altrimenti non si spiega la corsa affannata di quella miniatura che ora se ne sta lì, come se dovesse sputare i polmoni davanti alle sue Asics.
«Cosa guardi?» glielo domanda confusamente, fissando il cielo terso d’azzurro.
Mitsui solleva le spalle, continuando a guardare le nuvole che si spostano con lentezza «I segnali dell’Apocalisse.»
«Eh?»
«No niente… Hai bisogno di qualcosa?» la guarda curioso, studiando il suo essere così… Distante, nonostante pochi metri li separino. E’ come se un’invisibile barriera si ergesse ogni qualvolta i loro corpi gravitano così vicini da potersi sfiorare
Tentenna «Ahm… per caso stai andando a casa?»
Superato il momento di sbigottimento, Mitsui opta per la difensiva…
«Sì, perché? Hai bisogno della scorta?»
… O per essere un cazzone di prima categoria.
La guarda storto, anche se in realtà è più incazzato con sé stesso e con il proprio modo di trattarla così, come se fosse una specie di Itou # 2.
Shiba sembra intimidita dal suo comportamento ma sospira e sfoggia una tranquillità davvero invidiabile «Volevo ringraziarti per ieri. Sai, per il fun club» sventola una mano «Se non fosse stato per te, a quest’ora sarei ancora bloccata da quei pazzi.»

O senza mutande…
«Non l’ho fatto per te, quelli stavano bloccando l’ingresso.» le dà le spalle, riprende a camminare anche se con passo più cadenzato, aspettando di udire i suoi passettini veloci raggiungerlo e quando se la ritrova affianco gli tornano alla mente i pomeriggi trascorsi a passeggiare per vicoli isolati per spingere un po’ più in là il rientro a casa.
I baci sotto i lampioni, il tenersi per mano… Sono tutte cose di cui non ha più sentito la mancanza, che nei suoi anni bui ha reputato stupide e pure un po’ troppo melense per un duro e puro come lui e ora invece continua a dirsi che, in fondo, erano le poche cose belle che lo facevano alzare il mattino senza un sonoro «Che due coglioni.»
«Sì, beh, mh… Grazie, comunque…  E’ stato gentile da parte tua.»
«Figurati…» borbotta scazzato, mentre la mano infilata nella tasca dei pantaloni gli pizzica la coscia, rammentandogli che un momento di così rara quiete non può assolutamente essere rovinato dal suo essere un becero coglione.
Anche perché se la Itou venisse a scoprirlo, lo appenderebbe per le palle al centro del cortile scolastico, punendolo pubblicamente. E Tetsuo le darebbe una mano, può scommetterci quei pochi yen che i suoi gli sganciano spacciandoli per lauta paghetta.
La guarda di sottecchi e può avvertire quello stesso attorcigliamento di budella che gli ha mozzato il fiato in gola quel lontano sabato sera trascorso al Mc, quando per un attimo ha visto appianarsi la strada per ritornare alla normalità; poi l’attacco isterico in corridoio ha fatto sfumare ogni possibilità.
Mentre ne studia il profilo non sa esattamente come comportarsi, del resto Shibahime non è come tutte quelle ex che si è lasciato dietro nei suoi anni bravi, quelle che non si lagnano se non vengono richiamate e che se ne infischiano altamente delle chiacchiere, soprattutto se servono per riempire scomodi silenzi che lo fanno soffocare.
Mah, che tanto quella se ne ondeggia lì come se stessero facendo una scampagnata nei boschi…
«Certo che sei diventata una star, ormai. Addirittura un tuo fun club…» la prende bonariamente in giro, sente i nervi distendersi quando ode la sua risatina leggera che cozza con lo sguardo vago che gli ha appena rivolto.
«Ah, che imbarazzo» si schiaffa una mano sul volto «Non sono abituata a certe cose.» confessa rassegnata.
«Ah no?»
«Ma va, ma ti pare?! È Nanaka quella coi fan che la tampinano per i corridoi o in palestra.»
«La Itou?»
«O negli spogliatoi. Incredibile come voi maschi sappiate sempre trovare i nascondigli più assurdi per--»
«Mi vuoi far credere che la Itou ha un fun club? Quella specie di schiavista?!»
«Beh, perché ti stupisci? È brava!»
«Sì, ma… E’ la Itou, andiamo!»
«Ed è bella.»
«Ed è bella—E basta con questa storia!» sbrodola arcigno, avvertendo la bile salirgli in gola al pensiero che, di questo passo, potrebbero finire col parlare del davanzale della Itou. Di nuovo.
«E comunque sai che non mi piacciono. Gli autografi, le foto… Non fanno per me.» glielo dice candidamente, con quell’aria un po’ annoiata e un po’ altera che lo ha sempre affascinato.
Già, ricorda perfettamente le fughe dagli stadi non appena finiva una gara e irrimediabilmente un’orda di assatanati si gettavano su di lei, il suo body e i capelli rossi umidi; così come ricorda i momenti di fuoco che ne seguivano, quella ricerca disperata di un piacere che ha sempre creduto di poter trovare solo nel basket, per raggiungere una complicità guadagnata con così tanta fatica e persa in una soffiata di vento estivo, con la sabbia che brucia sotto i piedi e i capelli che gli finiscono davanti agli occhi.
Ripensarci lo fa parecchio incazzare, soprattutto perché non è più il ragazzino delle medie smanioso di scoprire cosa si celasse nel suo cuore ingarbugliato –o sotto l’orribile gonna a pieghe-, non ne ha il tempo né il coraggio, quel briciolo di forze che ha le vuole spendere tutte nel basket e magari ritornare agli albori di un tempo, quando il suo nome riecheggiava di bocca in bocca ad ogni partita. Poi gli viene in mente che in squadra c’è quel mostro di Rukawa, quella scheggia di Myagi e quella montagna umana di Akagi, quindi dovrà faticare il quadruplo e—Ah, beh, sì, c’è anche Sakuragi.
«Come stanno andando le partite?»
La guarda con tanto d’occhi «Eh?»
«Le partite… Come vanno?»
«Ah, beh, vanno…» si gratta la nuca, non si aspetta un’intromissione così repentina negli affari suoi «Vanno bene. Questo sabato c’è l’incontro con il Kainan.» un pizzicorio allo stomaco lo prende in contropiede; non sa se sia dovuto all’ansia pre-partita o al fatto che non si stanno lanciando contro bidoni della spazzatura e gatti casuali. Si sente come ai primi tempi in cui l’ha conosciuta, impacciato e capace solo di fare il gradasso pur di impressionarla, finendo poi per venir bonariamente deriso.
«Oh, il Kainan… Non è quella che ha vinto per diciassette volte consecutive i campionati?» glielo annuncia con placidità, facendo aumentare il bruciore.
«Seh, grazie…» sbrodola uggioso.
«Ahm, eh… Immagino siano davvero bravi se—Però anche voi lo siete!»
«Ma se non ci hai mai visto?»
«Mio fratello mi ha parlato così bene di voi! Dice che siete grandi e che non vede l’ora di scontrarsi con voi e--»
Ah, già, Akira Sendoh.
Il fratello d’oro, quello che la capisce meglio di chiunque altro, quello che si getterebbe nel fuoco pur di salvarla.
Quello che farebbe meglio a trovarsi una fidanzata vera, insomma.
Incredibile come gli anni siano passati, loro siano cambiati eppure certe cose restino immutate, come la gelosia che cova ogni volta che il nome di quel beota pascola nei loro discorsi e si ritrova a fare i conti con il suo lodarlo, il suo parlarne con uno strano brillio negli occhi, nemmeno fosse un supereroe; e c’è sempre quella bruciante sensazione di “secondo posto” che non ha mai sopportato e forse mai lo farà.
«E poi avete sconfitto lo Shoyo e lo Shoyo ha una buona squadra di ginnastica, quindi vuol dire che non siete così male. E anche il Kainan--»
«Ha una buona squadra di ginnastica, lo so.»
«Lo sai?»
Sventola una mano, deciso a sorvolare l’argomento. Possibile che la Itou non sia l’unica a seguire la filosofia “Se hanno una buona squadra di ginnastica ritmica, sicuramente quella di basket non sarà da meno”?
Chi capisce quelle frastornate, merita un premio.
«Stai tranquillo, vedrai che li sconfiggerete.»
«Ma io sono tranquillo.» puntualizza accigliato.
«Mh, bene, essere agitati non porta altro che guai. Non sei agitato, eh?»
«Ma no, macché» le rivolge un ghigno «Non è poi così diverso da quando giocavo alle medie.»
Shiba gli rivolge la stessa espressione sorniona «Sakuragi va in giro a dire che hai passato il pre-partita in bagno.»
«Ma io l’ammazzo quel demente!» brutto stronzo di un rosso! Ma gli stacca la testa non appena la vede! Gliela stacca e ci gioca a calcio, a pallacanestro, la usa come lanterna alla festa di Tanabata, la usa per--
«Ma tanto ci ha pensato Kogure a elogiarti.»

Ah, sia lodato quel santone di Kiminobu!
«Quello esagera sempre.»
«E’ solo contento di riaverti tra i piedi.» si interrompe lì, con quel suo sorrisetto penzolante e l’aria di chi non ha nessuna intenzione di esporsi troppo; Mitsui non ci resta così male nel constatare che, in fondo, Shibahime continua a mantenere una certa distanza tra loro.
Non parte neppure a chiedersi se riuscirà a colmarla, tanto non ci è mai riuscito.
«Certo, un po’ come Akagi.»
«Non finirà mai la rivalità tra voi, vero?» per poco non si strozza nel trattenere una risata «Ricordo ancora le litigate in palestra.»
«Era grande e grosso e pure incapace» la risata svagata che ha accompagnato le sue parole si sperde nel giro di un fiacco «Incredibile che sia diventato capitano.» che lo fa tornare indietro di qualche anno, quando lui aveva ancora quei tremendi capelli a scodella e Akagi era soltanto un armadio che cercava di fare canestro.
Shiba gli sorride appena ma non si pronuncia, quasi avesse il timore di riportare aneddoti scomodi. Come le visite in ospedale in cui lui parlava tutto il tempo del basket, di come Akagi fosse un fallito che aveva sì la tecnica ma si muoveva come un caterpillar impazzito, di come gli sarebbe piaciuto portare la squadra alla vittoria e quindi no che non ci stava seduto in uno stupido letto d’ospedale. Con lei, seduta lì di fianco, che sospirava e gli sorrideva gentile e leniva un po’ della sua sofferenza dicendogli che doveva stare tranquillo, che doveva pazientare e tutto si sarebbe sistemato.
Parlando di lui, lui e il basket, mentre si metteva in un angolino forse sperando che le chiedesse come le andavano le cose. Ora che ci pensa, le ha mai chiesto come andassero gli allenamenti? Di ginnastica, ovviamente, perché la prima cosa che le chiedeva non appena entrata in stanza era: «Akagi ha ucciso qualcuno, oggi?». Le ha mai chiesto come andassero le cose coi suoi, se suo padre la costringeva ancora a mangiare le uova che tanto odia o se sua madre si intrometteva ancora nella sua vita, progettandogliela?
No, decisamente no.
Un po’ capisce perché Shiba si sia allontanata, perché le sue visite si erano fatte più sporadiche. Doveva essere stato frustrante parlare sempre e solo dei suoi assurdi problemi, ponendolo al centro del suo minuscolo universo.
Ed è forse per questo, per quel suo essere stato un madornale coglione che butta lì un «Come vanno le gare?» che deve averla presa alla sprovvista, perché se ne esce fuori con un «Eh?» sorpreso e confuso allo stesso tempo.
«Le gare, come stanno andando?»
«Mh? Oh, direi bene» sorride «Siamo passate tra le prime dieci di ogni disciplina, dopodomani abbiamo le gare a squadre.»
«Sei agitata?»
«Un po’, ma credo che Nana sia quella più agitata di tutte. Ci tiene un sacco a vincere i campionati.»
«Agitata, quella? A me sembra sempre il solito Gundam pronto ad ucciderci tutti.»
«Oh, andiamo, ma sei proprio stronzo quando ti ci metti!» lo spintona un poco mentre la sua risata lo fa rilassare.
Si prende del tempo per studiarla da vicino, cercando di ritrovare tutti quei minuscoli particolari che gliel’hanno resa così cara o che gli hanno fatto desiderare di starsene spalmati sotto le lenzuola ogni volta che potevano.
E non trova nulla.
Shibahime è una nebulosa di imperfezioni che non riesce a mettere insieme e quella davanti a lei le nasconde talmente bene da apparirgli finta. I suoi sorrisi, i suoi zigomi sollevati, le increspature intorno agli occhi quando ride… Non riconosce nulla e quel che è peggio, non sa da che parte cominciare per poter ritrovare tutto ciò che gli è caro.
Ma poi eccoli lì, i suoi occhi farsi più sottili come se stesse cercando di riacciuffare i pensieri; è la stessa espressione che gli ha rivolto quando l’ha invitata a uscire per la prima volta.
Può ancora sentire il chiacchiericcio concitato nei corridoi del terzo piano, le gomitate dei suoi compagni che gli sussurravano di invitarla fuori non appena la sua testolina rossa ha fatto capolino in mezzo a quella marea di caschi scuri e il cuore in gola, che lo ha fatto balbettare come un perfetto imbecille per tutta la conversazione.
Lo ha tenuto sulle spine così a lungo da fargli venire i sudori freddi.
«Mitsui, riguardo a ieri--»
«Mi hai già ringraziato a sufficienza.» sventola una mano, stordito ancora dalla matassa di ricordi.
«Ahm, no, non è quello…» comincia a giocherellare con la punta della lunga coda, lo sguardo rivolto a terra «Per la scenata in corridoio, ecco, scusami.» e le parole che scivolano così inaspettate da fargli credere di essere piombato su di un altro pianeta. Uno di quelli dove il tempo scorre lento o all’incontrario e i ricordi possono essere modificati a proprio piacimento, perché c’è sempre qualcosa che si desidera cambiare, qualche frase ad effetto che non è stata pronunciata per tempo. Come quel giorno sulla spiaggia in cui avrebbe potuto fermarla se solo le parole non gli si fossero incastrate in gola o sullo stomaco.
Abbassa il capo e prima che possa dirle che va bene così, o che in realtà non va ma se lo fa andar bene lo stesso, eccola che si perde in uno dei suoi soliti irrefrenabili fiumi di parole.
«Non avrei dovuto, è che ho litigato con mia madre e allora…» seguita con imbarazzo, sventolando le mani sottili «Mi sono sfogata su di te.»
«Continuate a non andare d’accordo?»
Si gratta la nuca «Va a giorni.»
«E le hai parlato?»
«Mh?»
«Della ginnastica… Glielo hai detto che vorresti smettere?»
«Ahm, ecco—Ci ho provato ma non è che—Sì, insomma, sai com’è fatta. Lei non ascolta nessuno e—E poi non posso smettere, Nanaka mi ucciderebbe. Insomma, devo continuare, glielo devo.»
«Glielo devi?»
«Beh, sì, sono rientrata nel club solo per lei.»
Mitsui si massaggia il mento «E’ vero che avevi smesso. Non l’ho mai capito il perché.»
«Già, chissà perché…» ingoia ciò che stava per dirgli, probabilmente le torna in mente che in fondo non sono più così amici da potersi dire qualsiasi cosa che vada oltre la banalità e il suo cambiare argomento con repentinità ne è un esempio lampante «Beh, io vado per di qua.» si ferma davanti alle scale della metro, la cartella che sfrega contro la gonna a pieghe e la faccia costretta in una maschera di tranquillità. Glielo legge negli occhi scuri che si sente a disagio, lo vede nel suo costante ondeggiare sulle punte dei piedi, nel modo in cui sposta nervosamente i capelli scuri.
Non gli piacciono così.
Con quel corvino, la sua testa è identica alle mille altre teste che girovagano per la scuola, per le vie di Kanagawa. La appesantiscono, la invecchiano di almeno un paio d’anni e le conferiscono un’aria di tristezza che non le riconosce.
La cascata di fiammanti boccoli rossi le ha sempre conferito un’aria più sbarazzina, irradiavano ogni angolo buio e grigio della sua vita.
Si chiede dove sia finita la Shibahime della sua adolescenza, quella che lo aspettava alla fine di ogni allenamento, che andava a vedere le sue partite e faceva il tifo per lui, quella che si esaltava per ogni canestro da tre punti e che si lasciava sfiorare come se non stesse aspettando altro.
Questa che ha di fronte non sa chi sia e non gli piace.
Eppure la vuole trattene ancora un po’ a sé, perché sa che dietro tutto quello c’è sicuramente la Shibahime che è ancora capace di togliergli il fiato.
«Tu non verrai domani?»
Shiba sgrana appena gli occhi, inclina il capo e i fili neri le scivolano lungo il braccio «Allenamenti.» è tutto ciò che gli dice, prima di salutarlo con gli angoli della bocca ben sollevati.
Mh, beh, ci ha provato…
Si gratta la nuca e accantona ogni futile discorso con un sospiro. Si rende conto di quanto le loro chiacchierate siano vuote, di quanto poco lascino e di quanto Shibahime si interessi scarsamente a lui.
Non gli ha chiesto del ginocchio, se si è ambientato in squadra, se i suoi gli frantumano ancora le palle per quei due anni di stupidità… Paradossalmente è più interessata la Itou, quella viscida vipera che di tanto in tanto gli appare in mente con il suo «Sbatterla al muro non è una buona idea, ricordalo!»

Che dannata, infida stronza--
«Mitsui!» si blocca, gettando un’occhiata lungo la rampa di scale che porta alla metro; Shibahime ha il capo sollevato, le sue guance rosse sembrano il preludio di un’ennesima catastrofe.
«Che?»
«Ahm… Ecco, tu--»
«Allora?»
Gli sorride «Con i capelli così, tu… Stai bene, dico sul serio.»
E gli toglie il fiato, riesce ancora a toglierlo.
Non ce n’è.

 
A Madoka piace lasciare post-it in giro per casa, addobbando le pareti piene di fotografie scattate da suo padre. Dice che in questo modo può lasciare una prova del suo amore per loro, perché le parole tendono ad essere dimenticate col trascorrere del tempo.
Non le è mai passato per la testa che i post-it potrebbero puntualmente finire nel cestino, forse perché certa che non lo farebbero.
Ed in effetti, Shiba li conserva ancora.
Ricorda che da piccola, quando si svegliava e lei non c’era, se ne ritrovava uno sul cuscino, sempre di un colore diverso, con su scritto frasi come “Passa una bella giornata, tesoro!” e sciocchezze di questo genere.
Sciocchezze che l’hanno sempre fatta sentire un po’ meno scomoda e un po’ più simile a loro.
Ma quel pomeriggio, rincasata da lezioni di recupero in cui ha lasciato gran parte del cervello e pure un po’ di educazione e allenamenti in cui ha ricevuto più insulti che incoraggiamenti, il post-it che trova sulla scrivania ha il potere di farla avvilire.
È rosso, piccolo, con su scritto un veloce “Pensaci”, appiccicato su di un bigliettino di sottile carta di riso dai bordi decorati in verdognolo.
Punta il polpastrello sul bordo rigido del bigliettino, segue i tratti eleganti con cui è scritto…

 «Dott.ssa Nakajima Megumi.
Psicologa e psicoterapeuta.
Tel. XXX”

 Si sente come la bambina appena approdata in casa che fa la pipì a letto perché ha paura di svegliare i suoi nuovi genitori, perché l’ultima volta che ha disturbato una suora nel cuore della notte si è beccata una valanga di sberle; come la bambina che mangia tutto fino a scoppiare, anche quello che non le piace, perché l’ultima volta che si è rifiutata è rimasta a digiuno per una giornata intera.
Come la bambina che dice «Sì.» solo perché ha paura di essere rimandata indietro.
«Che due palle.» sbotta, gettandolo per terra, cercando di mettere per un po’ da parte il fastidio che non l’ha abbandonata da quando è salita sul treno.
Al suo posto prende la foto che la ritrae con Mitsui, chiedendosi come sia potuta cadere per un idiota con dei capelli orribili. Poi si ricorda che il suo sorriso l’ha sempre saputa sciogliere e allora smette addirittura di chiedersi perché stia compiendo quel viaggio nel tempo che a tratti fa male, altre volte lascia addosso un calore che fatica a lavar via.
Si è ripromessa che l’avrebbe tenuta ben nascosta, perché le cose belle tendono a durare poco e restare legata ad un ricordo simile avrebbe soltanto nuociuto ma ultimamente continua a riguardarsela, quasi si aspettasse di veder comparire particolari che fino ad allora non aveva preso in considerazione.
E in tutto quello, come se non bastasse, continua a vorticarle nella mente la loro ultima chiacchierata, quel suo essere così fastidiosamente burbero e il proprio essere troppo agitata per riuscire a tener testa a quel mucchio di emozioni che le si sono aggrappate al cuore.

«Con i capelli così, tu… Stai bene.»
Il capo le cade pesante sulle pagine del libro aperto, i piedi in aria smettono di dondolare e si afflosciano sul letto.
Porca miseria, ma quanto può essere cretina?! I capelli! Si è complimentata per i suoi capelli! Avrebbe potuto dargli l’in bocca al lupo per la partita ma no, lei doveva concentrarsi sulla cosa più stupida dell’intero pianeta! Diamine, non è più la dodicenne che camminava per i corridoi con la testa fra le nuvole e che lo riempiva di stupidi complimenti pur di rendersi un po’ più simpatica ai suoi occhi.
Patetica, ridicola, assolutamente--
«Shiba, sei qui?» quel bussare cantilenante lo riconoscerebbe tra mille…
«Papà, è aperto.»
Ed infatti eccolo lì, col suo sorriso alla Akira e gli occhi blu nascosti dalle enormi lenti degli occhiali squadrati.
«Disturbo?»
Shiba solleva il capo e gli sorride «Nah, tanto stavo facendo finta di studiare.»
Suo padre si lascia andare ad un’allegra risata prima di chiudersi la porta alle spalle «Cosa studiavi?»
«Matematica.»
«Ngh.»
«Già…»stiracchia un sorriso mentre giocherella con la penna «L’ultimo test non è andato bene e mamma ha paura che se non recupero, mi sbattono fuori dal club. Mamma esagera sempre.» le sfugge non senza un pizzico di fastidio, storcendo il naso mentre suo padre si accomoda alla scrivania.
«Sai che quando si preoccupa, diventa paranoica.» la giustifica, come sempre del resto.
«Troppo…» borbotta stanca, gonfiando le guance «Avevi bisogno di qualcosa?» chiede tornando a scribacchiare sul quaderno, ben consapevole del perché suo padre si sia addentrato nel suo santuario come se stesse per varcare un mondo inesplorato: Madoka l’ha mandato lì. Sicuramente lo avrà asfissiato talmente tanto da costringerlo a prendere in mano la situazione, perché a quanto pare in quella casa solo gli uomini Sendoh sanno come assestare i loro isterismi.
«Avevo voglia di svagarmi. È da ore che sono chiuso a lavorare.»
Shiba potrebbe trovarsi sulla Luna e sentirebbe comunque la puzza di bugia, perché suo padre non si svagherebbe mai in camera sua. Probabilmente andrebbe al campetto con Akira e urlando da bravo scaricatore di porto dimentico delle buone maniere –e che Madoka gira a piede libero per casa- la inviterebbe ad unirsi a loro, giusto per sfottere lei, le sue mani di pasta frolla e i piedi scemi che si incastrano tra loro.
È insolito trovarselo lì, a girare sulla sedia mentre osserva le medaglie e i trofei che troneggiano sulla parete adiacente il letto, circondati da quelle poche foto che è riuscita a scattare senza far finire il dito davanti all’obiettivo.
Le piacerebbe pensare che sia lì solo ed esclusivamente perché ha voglia di stare in sua compagnia ma il leggero tamburellare delle dita sui pantaloni della tuta, fanno sfumare quella sciocchezza.
«Al direttore sono piaciute le foto?» butta lì quella domanda per ritardare l’inevitabile.
«Aha. Sta valutando l’ipotesi di farmi fare qualche altro mese fuori, parlava dell’Africa…» allunga il collo per sbirciare una foto incorniciata sul comodino «Cielo, ma quanti anni avevi?»
«Nove. Mi avevate portata allo zoo.»
«Quella volta che è venuta anche la nonna?»
«No, quella volta che tuo figlio ha cercato di buttarmi nella gabbia dei leoni.» gli ricorda con un sorriso tirato, sbuffando al cospetto della sua risata cristallina. No, non riesce ad avercela con lui, è come avere a che fare con un Akira con gli occhiali e la barba.
Torna a guardare il quaderno, gli scarabocchi che spaccerà per esercizi mal riusciti e il bordino della foto nascosta non appena suo padre ha fatto capolino.
Suo padre smette di ridere e la guarda con serietà «Shiba… Va tutto bene?»
Lo guarda con tanto d’occhi «Certo, perché?»
«Negli ultimi tempi sei piuttosto--»
«Ingrata?» così, giusto per ricordarsi che Madoka ha il vizio di farglielo notare quando le liti degenerano.
«Preoccupata… Lo sai che se qualcosa non va, con noi puoi parlarne.»
Shiba storce il naso «Sono un po’ in ansia per la gara di domani, tutto qui.» e mica è così scema da spifferargli che Hisashi Mitsui è tornato in città pensando bene di scombussolarla un po’ di più. Non vuole nemmeno immaginare il putiferio che ne verrebbe fuori se sua madre dovesse scoprirlo, le viene la nausea al solo pensarci.
«Vedrai che andrà bene.»
Suo padre ha quel sorriso rassicurante che la fa star bene, lo stesso sorriso che non ha smesso di regalarle da quando ha posto piede sul tappetino all’ingresso, quel lontano dicembre di molti anni addietro.
Può ancora rivedere la sua barba incolta, i capelli un po’ più scuri e il sorriso ben coperto dall’enorme sciarpa a scacchi che ora è diventata proprietà di Akira. E il suo «Vieni qui, la tele non morde!» mentre guardavano le partite e lei se ne stava lì, acciambellata in un angolo. E i baci della buona notte, le coperte rimboccate, le favole inventate nel cuore della notte quando non riusciva a dormire, le carezze sui capelli…
Le trasmette un calore talmente cocente da farla sentire fortunata per essere stata salvata, in un certo senso.
«Deve andar bene! Altrimenti Nanaka mi fa ingoiare il nastro!» sentenzia tetra.
«Andiamo, la Itou è una così brava ragazza.»
«Sì, fuori dalla palestra!»
«Continuerà con la ginnastica, terminata la scuola?»
Alza le spalle «Penso di sì, non ne abbiamo parlato» fa ciondolare il capo «Qualche università si è interessata a lei, comunque.»
«E a te no?»
«Pff… Chi vuoi che vada da un secondo posto?» anche se, beh, non è che gliene freghi granché. È quasi tentata di dirglielo, forse perché il suo sorriso la incoraggia a non tenere quel lacerante segreto solo per sé, ma la sensazione che Madoka potrebbe non prenderla bene la fa tacere.
«Vedrai che chiederanno anche di te» le fa un occhiolino e Shiba lo accoglie con un sorriso tirato, pregando dentro sé che nessuno si interessi alle sue scarse performance. Ha il sentore che se dovesse farsi avanti qualche istituto, la possibilità di allontanarsi da quel mondo che a volte la fa soffocare diventerebbe pari a zero «In caso contrario, puoi sempre venirtene in giro con me.»
«A far che? A portarti il treppiede?»
«In realtà ti vedo meglio come esca mentre siamo in mezzo alle tigri.»
«Aha, non vedo l’ora!» ridacchia quando lo sente ridere di gusto, a quanto pare i Sendoh maschi si divertono un mondo a vederla circondata da felini pronti a sbranarla «Però sarebbe bello, visitare posti nuovi… Potrei conoscere l’amore della mia vita, sai, come nei Ponti di Madison County!» sospira sognante, la guancia posata sulla mano e la mente che vaga per lidi inesplorati.
Ci pensa però Kyosuke a riportarla coi piedi sul letto «Scordatelo. Ti sposerai a trent’anni e tuo marito lo conoscerai il giorno del matrimonio.»
«Papà, come sei retrogrado.»
«Ma tanto nessuno vorrebbe mai sposare una con il tuo caratteraccio.»
«Ma—ehi!» gli tira contro il cuscino ma lo manca, perché non sia mai che la sua mira decida di darsi da fare una buona volta.
«Quando fai così sei uguale a Madoka.»
Ed effettivamente Shiba non ne resta poi così tanto colpita.
Si è resa conto che della dolcezza della sua vera madre è rimasto ben poco, lasciando spazio ad un carattere decisamente più difficile da gestire. Probabilmente è per questo che si scontrano: per tutto quel tempo ha cercato di modellarla affinché somigliasse a quella che potrebbe essere la figlia perfetta, ritrovandosi con un’estranea che di lei ha ben poco.
«A proposito di Madoka, mi ha detto che avete discusso…» suo padre si allunga verso il pavimento e raccoglie il bigliettino, rigirandoselo fra le mani «E’ per questo?» la fa irrigidire il modo in cui lo squadra.
«Eccoci…»
«Shiba--»
«Papà, non ho voglia di parlarne.»
Suo padre sospira e quando un Sendoh maschio sospira, non è mai una buona cosa «Shibahime…» Oh, no, il nome per intero… «So che a volte Madoka può essere ansiosa--»
«Pesante, pesante è la parola giusta.»
Le lancia un’occhiataccia «Il punto è che ti vuole bene, te ne vogliamo tutti, e crediamo davvero che sia un bene se tornassi dalla dottoressa Nakajima.» è una sentenza asciutta, se non fosse per la postura rilassata faticherebbe a credere che quello sia suo padre.
Rotea gli occhi «Vedo che sei d’accordo anche tu con le belle idee di mamma--»
«E’ stata una mia idea.» la interrompe mite, sventolandolo.
Shibahime si solleva, guardandolo con tanto d’occhi «Cosa?!» è decisamente sorpresa, questo genere di bizzarrie solitamente escono fuori dalla mente geniale di Madoka; e si sente decisamente in colpa al pensiero di averla praticamente fatta piangere sul volante.
Grugnisce mentre affonda sui libri, con suo padre che si avvicina e le carezza la nuca «Io non ci voglio andare» piagnucola con voce ovattata «Non mi serve a niente.»
Kyosuke sospira «Akira ci ha raccontato che sei svenuta spesso quando non c’eravamo e che gli incubi sono ricominciati. Non credi sia il caso di lasciarti aiutare?»
«Perché proprio da lei?»
«Perché ci sono cose che neppure noi siamo in grado di fare» si massaggia il collo, ha l’aria di un supereroe che si è appena rifiutato di salvare la città dall’ultima imminente catastrofe «Ti basta come spiegazione?» il suo sorriso si amplia, scioglie quel senso di pesantezza che è calato nella stanza, ora immersa nel silenzio.
Shiba abbassa lo sguardo.
Se solo riuscisse a parlare tranquillamente di ciò che le frulla in testa, si risparmierebbe tutti quei casini ma ha il timore che, una volta confessato ogni più recondito segreto, le cose finirebbero col precipitare in un oblio talmente profondo da impedirle di riprendersele.
Si rende conto che non è poi così cambiata dalla bambina di appena dieci anni che si rintanava nel buio della stanzetta pur di non dover avere a che fare con quegli estranei.
Suo padre abbandona il bigliettino vicino a lei «Mi prometti che ci penserai?»
«Seh.»
«E chiedi scusa alla mamma.»
«Nh.»
«Shiba--»
«Sì, sì…»
Le scocca un bacio sulla fronte e lei ridacchia, la sua barba ispida le fa sempre il solletico «Comunque, ero serio quando parlavo di portarti in giro con me.»
«Anche per le tigri?»
«Soprattutto per le tigri!» Shiba scuote la nuca «Ma questa estate, se non hai programmi e se sei libera, dovresti venire con noi. Ti insegnerei a non fotografarti l’indice.» se ne va con un sorriso e quella labile promessa che forse si dimenticherà una volta che la porta si sarà chiusa ma chissenefrega, un sorriso glielo ha strappato.
I maschi di casa Sendoh sanno sempre come farla sentire meglio.

Koshino si sporge dalla balaustra, osserva lo sciame di ginnaste dai colori sgargianti delle Fumino[1] che danzano da quasi due minuti.
Al termine del brano, conclusosi con uno scrosciare di applausi che quasi fanno crollare il palazzetto, getta la testa indietro ributtandosi sulla sedia.
Koshino sbuffa, afflosciandosi «Ne avremo ancora per molto?»
«Non eri costretto a venire.»
«E perdermi qualche caduta di tua sorella? No, grazie.»
Akira si lascia andare ad una fiacca risata mentre si immagina Shiba che si fa attorcigliare dal nastro per poi precipitare rovinosamente a terra.
Non è mai stata molto elegante, è un’impacciata cronica e la maggior parte delle cose che tocca finiscono col disintegrarsi, eppure quando si esibisce diventa un’altra persona, è come se una strana energia l’avvolgesse e la facesse sembrare una libellula o qualcosa del genere.
È uno spettacolo.
«25,245… Vuol dire che sono andate bene?» con la nuca indica il tabellone con i punteggi.
«Penalità[2]: 5,045… Se fosse successo a Nanaka, avrebbe ucciso qualcuno.»
«Non ci capisco niente di ginnastica.»
«Nemmeno io.» Akira scrolla le spalle.
«Ci fosse almeno qualche bella ragazza.» ribatte l’altro, spiluccandosi la maglia del Ryonan.
«Le compagne di squadra di Shiba sono carine. Se vuoi te le presento.»
«Risparmiami, col culo che ho saranno tutte come tua sorella. Tanto vale darsi alla castità permanente.»
«Magari ce n’è qualcuna come Nanaka. Nanaka non si tocca, eh.»
«Figurati se la più figa non andavi a pescartela tu» porta le braccia dietro la testa, scuotendola quando l’altro si lascia andare ad una spensierata risata «Ma quindi fate sul serio?»
Sendoh ci pensa su un momento «Vedi anelli o cose simili?»
«E che vuol dire? Non è che serva per forza un anello.»
«Già, anche perché penso che Nanaka me lo tirerebbe dietro.»
«O te lo farebbe ingoiare» e lui vorrebbe ridere della battuta, vorrebbe davvero perché in fondo prendere tutto alla leggera è l’unico modo che ha per non lasciarsi divorare dai dubbi, il problema è che non ci riesce. Un vago sorriso è tutto ciò che gli concede, mentre alla mente gli tornano le sue parole sussurrate nel buio della stanza -quando si è reso conto che la sua divisa era già finita sul pavimento- quel suo «Fai sul serio?», che lo ha tenuto appigliato alla realtà per qualche istante prima di perdersi completamente.
Sono passati tre anni da quando hanno dato il via a quel loro piccolo segreto, certo che fa sul serio! Che domanda del cazzo…
«Come fanno a piacerti le ginnaste? Sono tutte così… Magre.» fa strisciare le dita nell’aria, dipingendo quella che dovrebbe essere una lavagna o una tavola da surf.
«Guarda che non mi piacciono le ginnaste, mi piace solo Nanaka.»
«E tua sorella. Ma come faceva a piacerti? È un’isterica.» Koshino non sa mai tenere la bocca chiusa, da aria a ogni pensiero che naviga nell’androne del suo cervello e lo fa con quel suo modo sempre garbato che lo spinge a chiedersi perché se lo sia trascinato dietro.
Poi si ricorda che è il suo amico più caro, nonostante tutto, e che a modo suo è sempre disposto a dispensargli qualche buon consiglio -con poco garbo eh, non sia mai che si addolcisca un po’ quel nevrotico-.
Sospira «Guarda che è stato tanto tempo fa.»
Il suo ghigno si apre a dismisura «Già. Cosa facevamo? Le medie, no?»
«Può essere.»
«Ti eri preso una sbandata allucinante.» si schiaffa una mano sul viso per trattenere una risata. Akira, d’altro canto, vorrebbe sprofondare dalla vergogna.
Fatica ancora a credere di essersi preso una cotta stratosferica per Shibahime, se solo ci pensa nemmeno sa dirsi da quando sia cominciata.
C’è che un giorno si è svegliato -avrà avuto sì e no undici anni- e si è accorto di quanto luminosa fosse -e di quanto scemo si sentisse al suo cospetto-.
Coi suoi capelli lunghi e ricci e rossi, i suoi occhi particolari che brillavano, il suo sorriso sdentato ma sempre aperto… Era come un faro in lontananza, la lucina della notte che da poco aveva smesso di tenere accesa.
E poi è arrivata Nanaka.
Dal nulla, improvvisa, con la sua compostezza e la seriosità di chi non si lascia di certo andare con uno sconosciuto.
E’ un pomeriggio di aprile, può ancora sentire il chiacchiericcio di sua madre in giardino che gli racconta dell’ultima gaffe di suo padre ad una cena di beneficenza a cui hanno partecipato qualche sera prima, mentre lui fa qualche tiro a canestro pur di non studiare.
Ode la risata di Shiba dal vialetto d’ingresso e senza nemmeno curarsi del pallone che si schianta contro il ferro, le corre incontro pronto a chiederle come sia andata la giornata, preso com’era da quel sentimento acerbo che covava nei suoi confronti.
Ed eccola là.
Di fianco a lei, composta e altera, così diversa dalla luminosa miniatura che le saltella intorno vantandosi delle peonie che ha piantato –e che miracolosamente non sono ancora morte-.
Ha i capelli un po’ più corti e legati in una treccia laterale, la divisa della scuola mette in risalto le sue forme poco evidenti e gli occhi che saettano da una parte all’altra mentre studia l’ampio giardino sono di un blu così intenso da farlo quasi sentire immerso nel mare che tanto ama.
Sente le viscere contorcersi come tanti anni prima, come quando Shibahime era una nana da giardino che se ne stava seduta in un angolo di un orfanotrofio e lui ha sentito il bisogno impellente di parlarle.
Può ancora avvertire l’elettricità che l’ha pervaso quando i loro sguardi si sono incrociati, sotto le allegre presentazioni di Shiba che, stranamente, è passata in secondo piano.
«Sai? C’è una cosa che non ti ho mai detto» la serietà di Koshino per poco non lo spaventa ma non fa in tempo a chiedergli cosa ci sia dietro che quello torna a guardare la palestra «Oi, eccole lì.» gli dà una botta sul braccio, indicando con il mento le ragazze che entrano sulle punte, rigide e con il naso all’insù.
Nanaka fa il proprio trionfale ingresso brandendo il cerchio, affiancata da una compagna che si guarda attorno intimidita –la riconosce, è la matricola coi codini che per poco non ci è rimasta secca quando le ha sorriso-. Shibahime è nel retro, chiude la fila reggendo ben tre nastri, restando distante dalle altre quando si posizionano al centro della palestra.
Indossano un body rosso e nero di paiette, Nanaka glielo ha mostrato orgogliosamente qualche mese prima in uno dei loro incontri segreti; gli ricorda la Regina di cuori, complice la compostezza con cui regge il cerchio all’indietro mentre inarca la schiena.
L’allarme dà il via all’esibizione e Shiba, date le spalle alle compagne, lancia in aria i tre nastri per poi recuperare il cerchio che Nana ha lanciato qualche secondo prima.
È un susseguirsi di passaggi veloci che coglie con fatica e preso da un moto di orgoglio nei confronti di sua sorella -che ha appena tirato il cerchio e recuperato il nastro zampettando più in là-, si ritrova a scuotere quel brontolone di Koshino che ha l’aria di uno che vorrebbe morire «Guarda quanta eleganza.»
«A me sembrano solo un mucchio di invasate che agitano il nastro» sbotta lugubre, probabilmente è entrato nella fase “Porca miseria ma chi me l’ha fatto fare di essere venuto qui?”. Poi si risveglia, preso da chissà quale raptus «Una ha lanciato il cerchio col piede!»
«Aha, ho visto.»
«Una ha lanciato il cerchio col piede e l’altra l’ha preso!» Koshino sembra aver guadagnato interesse «Quante volte dici che si saranno colpite prima di farlo uscire bene?»
No, ok, è il solito demente.
Le cinque ragazze compiono un Fouettés en tournant[3] in perfetta sincronia e ad Akira tornano in mente tutte le bestemmie che Shiba ha sprecato in quei mesi perché «Porca miseria se la Mitamura mi dice ancora che giro come un aereo che precipita le cavo gli occhi con la bacchetta! E che cavolo, non lo so fare il Fouettés!», mentre gironzolava per la cucina, prendendosela poi con lui perché aveva cucinato ancora ramen.
Ha versato sudore, lacrime e fatica per quei miseri due minuti, eppure stanno scivolando via con una fluidità inaudita, nemmeno li sentisse. Si muove leggera, cammina sulle punte slanciandosi con il nastro rosso che le si attorciglia intorno senza mai sfiorarla e lo fa girare reggendosi su di una gamba sola con la schiena piegata all’indietro.
Anche Nanaka è di una naturalezza strabiliante mentre si fa passare il cerchio sulle spalle per poi lanciarlo all’altra compagna, recuperando il nastro prima che tocchi terra.
Resterebbe a contemplarla in religioso silenzio se solo Koshino non gracchiasse così tanto «Le ha lanciato il cerchio con il nastro!» si sporge «Se non vincono vado dai giudici e gliene dico quattro.»
«Solo quattro?»
Hiroaki lo guarda di sbieco per poi tornare a concentrarsi sul balletto che è quasi giunto al termine «Ricordami di non prendere per il culo tua sorella per almeno un mese.»
«Un mese? Come sei caritatevole!»
«Facciamo una settimana, va.»
«Non resisteresti nemmeno per cinque minuti.»
«E’ che si presta, capisci? Quando le chiedi un panino col pollo e te ne fa uno col maiale, sembra quasi ti stia supplicando di sfotterla.»
Akira si schiaffa una mano sulla faccia mentre le ragazze danno il via agli ultimi passi, passandosi i nastri e i cerchi prima di disporsi a stella, le mani sollevate e rigide fino a che la musica non sfuma in una cascata di applausi.
Fanno un breve inchino e salutano il pubblico, poi zampettano via per attendere il risultato. Può vedere nitidamente Shiba che viene sollevata da una matricola coi capelli corti e biondi quando sul tabellone compare un enorme 27,450 che, per il momento, le piazza al secondo posto.
«Maledetto Kainan, pure nella ginnastica ci sa fare.» è il commento acido di Koshino, mentre osserva l’altra squadra sospirare per il primato ancora mantenuto.
Akira annuisce. Gli viene in mente che questo sabato lo Shohoku se la dovrò vedere proprio con il Kainan King.
Quasi prova pena per loro…
Hiroaki si alza «Beh, finito, alleluja e amen.»
«Ma se mancano ancora tre squadre?»
«Non resto qui un minuto di più! Se sento altra musica classica mi sparo. Andiamo ad aspettarle fuori» si volta, il suo ghigno è qualcosa di spaventoso «Se vuoi distraggo tua sorella così puoi farti la Itou.»
«Con distrarla intendi: attentare alla sua vita?»
«Se lo meriterebbe. Non sa preparare nemmeno dei sandwich decenti.» borbotta caustico, incamminandosi verso l’uscita del palazzetto.
Akira gli è dietro, indeciso se ridere o votarsi alla santa pazienza. Fuori dal palazzetto respira a pieni polmoni e gli torna alla mente il discorso lasciato in sospeso «Oi, cosa dovevi dirmi?»
«Eh?»
«Prima… Stavi per dirmi qualcosa.»
Hiroaki sembra cadere dalle nuvole poi i suoi occhi si sgranano «Oh, quello… Nh, ma no niente, non è mica importante.»
«Se non ti conoscessi, penserei che stai per chiedermi la mano di Shiba.»
Koshino fa una smorfia «Che schifo, vuoi farmi rimettere il pranzo di Natale?» Akira sorride beato
«E’ che… No, niente.»
«Non fare la donnetta e spara.»
«Va che non
è una cosa molto carina
«Koshino che si preoccupa di dire una cattiveria, sono quasi commosso.» commenta allegro, ridendosela alla grande quando l’amico per poco non gli morsica un braccio.
Si massaggia il collo e poi sospira «Ma niente, è che quando eravamo bambini, ecco, a volte pensavo che sarebbe stato meglio se aveste adottato un maschio.»
Akira lo fissa con tanto d’occhi.
Effettivamente non è una cosa carina.
Il problema è che, spesso, ci ha pensato anche lui.

Ci sono state mattine, due anni fa, in cui si svegliava sperando di essere già morto. O in un mondo diverso da quello schifo che era costretto a vivere senza averne voglia.
Lo psichiatra che lo ha avuto in cura per qualche tempo, prima che cominciasse a marinare le sedute da bravo teppista cazzone che è stato, gli ha parlato di depressione e di un mucchio di altre stronzate di cui non ricorda il nome e che, a dire il vero, gli sono scivolate addosso come gli scivolavano le prediche infinite che sua madre gli donava in macchina.
La verità è che non c’era molto per cui valesse la pena svegliarsi ma la sua non era depressione, era più… Noia, ecco.
Era annoiato.
Quando le cose non andavano si rifugiava nel campetto da basket vicino alla spiaggia e ci passava le ore, sentendo di aver dato un senso al vuoto che si trascinava dietro ma quando il ginocchio glielo ha impedito, beh, che altro gli era rimasto?
Neppure il sesso con Shibahime serviva a lenire quel senso di tedio che si era impadronito delle sue viscere, forse perché aveva perso quel non sapeva che, che gliel’aveva sempre resa affascinante.
Ecco, quella è una delle mattine di due anni fa. Quando la sveglia ha suonato e il suo occhio si è aperto, ha quasi sperato di vedersi comparire fuochi e fiamme mentre Lucifero lo invita a banchettare alla sua tavola, ma l’unica cosa che ha visto è stato il caos di camera sua e quell’enorme X rossa sul calendario, scarabocchiata fino a farla scomparire.
Hanno perso contro il Kainan e sente che la colpa è in parte sua.
Sarebbe bastato spostare di appena qualche millimetro la traiettoria, saltare un po’ più in alto, tentennare meno e forse la palla sarebbe finita nel canestro.
Forse a quest’ora sarebbe con un mal di testa post-sbronza da festeggiamento folle.
Forse--
«Mi-tsu-iiii
Si blocca di colpo, la schiena incurvata.
No, la Itou alle 8:05 è qualcosa di inaccettabile!
Quel cinguettio cantilenante di prima mattina è peggio delle litigate che i suoi si sparano a colazione, pranzo e cena.
Accelera il passo, magari se finge di non sentirla quell’aguzzina si leverà dalle scatole.
«Mitsui, stai scappando?» lo rincorre, sul viso fresco penzola un sorrisetto talmente fastidioso da fargli girare i coglioni -e quelli gli stanno vorticando senza sosta da quando i piedi hanno toccato il pavimento, per dire-.
Non sa ancora se sia dovuto alla squillante voce di sua madre che gli ha ricordato quanto nulla sia poi così cambiato da quando ha appeso le risse al chiodo o la costante sensazione di angoscia che lo attanaglia quando pensa che avrebbe potuto portare lo Shohoku alla vittoria, se solo Kyota non avesse deviato la palla.
«Ma chi scappa.»
«E allora perché corri?»
«Perché sono in ritardo!»
«Macché, macché, di tempo ce n’è in abbondanza!» sventola una mano, la maledetta, costringendolo a rallentare il passo.
Ed è così che se la ritrova affianco, con quella sua aria beata di chi sembra aver dimenticato cosa significhi “avere un sonno boia”.
Si arrende all’idea di dover arrivare a scuola in sua compagnia «Com’è che sei così allegra di prima mattina?» sbrodola uggioso, guardandolo di sbieco.
Nana alza le spalle «Vederti mi ha risollevato il morale» ribatte civettuola, dandogli una pacca sulla spalla quando comincia a strozzarsi con la saliva «Su, su, stavo scherzando!»
«Cazzo Itou, vuoi farmi vomitare i cereali?!»
«Come la fai tragica» rotea gli occhi blu «Scommetto che se fosse stata Shibahime a dirtelo, a quest’ora staresti andando a scuola a bordo di una nuvola rosa.» è il suo commento che gli fa venire in mente immagini orribili.
Ci rinuncia, questa psicopatica gli si è appiccicata come una carta moschicida e non riesce mica a levarsela di dosso.
«Se vuoi ti ci mando a calci in culo a scuola-»
Gli dà un pizzico sul braccio «L’educazione l’hai lasciata sotto le lenzuola?»
«No, ma tu potevi restarci.» borbotta tetro, incurvando ancora di più la schiena mentre sente la sua risatina svagata perforargli il cervello. Non credeva che questa squinternata potesse essere così… Normale.
Gli mette i brividi vederla sotto effetto di chissà quale sostanza stupefacente.
«Avanti, cos’è quel muso lungo?»
«Nh, niente» si massaggia la cicatrice «Abbiamo perso contro il Kainan.» sbrodola uggioso, maledicendosi subito per essersi lasciato andare proprio con lei. Non ama parlare delle sue sconfitte, odia gli sguardi di pietà che la gente gli riserva, nemmeno fosse scampato ad una guerra atomica riscoprendosi uno dei pochi superstiti.
E quando pensa che quella rompipalle lo riempirà di scontati «Oh, mi dispiace, vedrai che andrà meglio la prossima volta.», ecco che se ne salta su con un serafico «Lo so, siete sull’orlo del precipizio.» che gli fa cascare i coglioni.

Che merda a consolare le persone…
«Nhg, è la stessa cosa che ci ha detto Ayako.»
«Ah, saggia donna. Mi piace quell’Ayako, sai? È l’unica che sta a contatto con voi debosciati e ne esce fuori sana e salva» gli sorride beata; Mitsui mormora qualcosa di incomprensibile «Tu… Non ti senti in colpa per aver sbagliato canestro, vero?»
«Non ho sbagliato! È stato Kyota che—Oh, ma che ne parlo a fare con te? Tanto non ci capisci niente di basket.»
«Ne capisco abbastanza per sapere che non è stata colpa tua, quindi levati quest’aria da martire.» sbotta spiccia, lasciandolo impalato per qualche istante.
«Aria da martire?!»
«Certo che il Kainan è davvero forte, come la loro squadra di ginnastica del resto.» ed ecco che la schizoide comincia a parlottare tra sé, facendolo dubitare della sua sanità mentale.
La Itou a volte lo spaventa…
«Com’è che sei venuta a vedere la partita?»
«Mh? Oh, le matricole mi hanno chiesto di accompagnarle.»
«Credevo aveste gli allenamenti.»
«Già, ma abbiamo finito prima» lo guarda di sottecchi, il suo sorrisino mellifluo lo fa rabbrividire «Ho provato a convincere Shiba…» e non c’è bisogno che concluda la frase, perché tanto sa che quella non c’è venuta.
«Sai che mi importa.»
«Oh, sì che ti importa» asserisce punzecchiandogli una guancia «Però questa è una situazione perfetta!» il suo sorriso si spande, ha un non sa che di diabolico «Cosa c’è di meglio di una sconfitta per far riavvicinare due ottusi come voi?»
«Come dici?»
«No, no, nulla.» sventola una mano.
Mitsui grugnisce. La Itou canticchia.
Canticchia.
Canticchia, per la miseria!
C’è qualcosa di sbagliato e inquietante in tutto questo.
«La vuoi smettere di essere così allegra?! È lunedì, è mattina, e che cazzo!»
La Itou gli galleggia intorno «Non posso farne a meno. Ci siamo qualificate per i qaurti, sai? Nelle gare a squadre siamo arrivate seconde nel nostro girone!»
«Ma che brave, urrà.» agita un pugno senza troppa convinzione.
«E Shiba è uno schianto con quel body.»
La guarda di sottecchi, sente di star andando in fiamme. Maledetta stronza che gli fa venire in mente strane immagini proprio quando ha le difese abbassate!
«Brutta--»
«Dovresti venire a vederci un giorno.»
«No, grazie. Mi dà noia la musica classica.»
Nana arcua un sopracciglio, poi torna a guardare davanti a sé «A Shibahime farebbe piacere.»
«Non gliene frega niente.»
«Ma sì che le importa.»
«No che non le importa, ok? Perché se le importasse, verrebbe ai miei allenamenti o alle mie partite e invece no, non ci viene mica» le parole gli raschiano la gola e solo dopo averle vomitate con troppa enfasi, si rende conto di essersi comportato da donna mestruata che è stata appena mollata dal fidanzato di turno. Gli basta osservare il candore sul volto di Nanaka per capire di essersi infilato in un vicolo cieco «Non che me ne freghi qualcosa.»
«Aha, certo.»
«Può fare quel che vuole.»
«Già.»
«Non è mica la mia fidanzata.»
«Ma ti piacerebbe che lo fosse.»
«Eh—No, certo che no!»
Nanaka sospira, la sua allegria è migrata via «Sai? Se lo ammettessi sarebbe tutto molto più semplice.»
«Ammettere cosa?»
«Che ti piace ancora» scuote le spalle ma quando le rivolge uno sguardo vago, il suo capo cade in avanti con pesantezza «Beh, quando ci arriverai vieni da me, ok?»
Mitsui resta imbambolato per qualche istante, frastornato dalla piattezza cui gli ha scaraventato addosso quelle parole.
Ovvio che Shibahime gli piace, non l’ha scordata quando sono stati distanti, figurarsi ora che ce l’ha praticamente a tre banchi di distanza, certo è che non ha il tempo per riprendere tutto da dove l’hanno lasciato e sperare che possano ripartire da zero, magari accantonando ciò che di brutto c’è stato fra loro.
Realizza però un’assoluta verità: non può farcela da solo.
Devono essere in due a volere le cose e Mitsui non è così autodistruttivo da crogiolarsi nella sua rabbia.
«Itou…?» la chiama piano, serio «A Shiba non piaccio più.» e l’espressione di pura confusione che gli regala, è qualcosa di memorabile.
Così come è memorabile la finezza con cui gli si rivolge «Ma sei scemo?»
«Cosa?»
«Mi chiedo se facciate a gara di idiozia, voi due» scuote la nuca, la lunga treccia ondeggia sulla sua spalla «E’ ovvio che gli piaci, devi solo darle tempo.»
«Aha, certo, e ti aspetti che me ne stia qui ad attenderla fino a che non mi si atrofizza il—»
«Certo che no» gli dà un pizzico sul braccio «Ma nessuna qui vorrebbe mettersi con te, oh ex teppista.» cinguetta maligna.
«Questo perché siete tutte delle damigelle di ‘sto grande ca—Ahi! La vuoi smettere di pizzicarmi?!»
«Ohohoh, guarda un po’ chi c’è qui…» la capoclasse En squadra la mano di Nanaka posata sul suo braccio come se avesse una fotocamera integrata agli occhiali «Itou, Mitsui…» il sibilo di Tomoko serpeggia fra loro, sorride come se li avesse colti con le mani nelle mutande l’uno dell’altra e quel ghigno che penzola sul suo volta prima di superarli, è quasi peggio di quello che Nanaka gli rivolge ogni volta che parlano di Shiba.
«Serpe…» la sente sibilare.
«Che?»
Scuote la nuca «Mitsui, fa attenzione alla En. Quella è peggio di una vipera.»
Hisashi la guarda con tanto d’occhi, non comprendendo appieno le sue parole «E questo che vorrebbe dire?»
Nana si volta, solleva le spalle «Non mi stupirebbe se la tua storia con Shiba saltasse fuori e, date le circostanze, non ho idea di come potrebbe prenderla.»
Non ha idea del perché ma quelle parole stimolano quel senso di rabbia sopito che se ne sta lì, in un angolino remoto del suo stomaco e che lo costringere a ribattere con decisamente più incazzatura di quanta avrebbe dovuto metterne «Se le dà così fastidio che gli altri sappiano che è stata con me, non è un problema mio.»
Nana sbuffa, lo guarda come se fosse un ritardato «Non sei tu il problema, è tutto il resto.»
«Il resto.»
«Il resto, certo, cosa credi?» inclina il capo, davvero lo sta guardando come se il cervello gli stesse colando dalle orecchie! Adesso la uccide «Il tuo passato, il suo passato… Sono dell’idea che potrebbe nascerci una bellissima soap-opera se ci mettessimo lì a discuterne--»
«Ma che cazzo--»
«Ma se la En decide di spiattellare tutto, non so cosa ne uscirebbe fuori. Quella è capace di inventarsi storie improbabili pur di vendere quella robaccia che spaccia per giornalino scolastico. Tipo… Che so, che sei tornato a giocare solo per riconquistare il suo amore o che lei ti ha lasciato perché avevi deciso usarla come palo mentre rapinavi banche e casinò.»
Nh, beh, effettivamente è stato lasciato. Certo, la storia del casinò sarebbe decisamente più divertente ma si deve accontentare di una normale rottura tra adolescenti.
Rintronato dal suo fiume di parole, scuote la nuca e la guarda scettico «E sentiamo, che dovrei fare?»
«Nulla.»
«Nulla, certo. Nulla?!»
«No, fino a che la serpe non fa niente è inutile fasciarsi la testa.»
«E allora cos’era tutto quel discorso?!»
«Ti ho messo in guardia» sventola una mano e gli dà le spalle, la stronza, lasciandolo pieno di dubbi e con l’incazzatura che si è trascinato dal letto «E poi guarda il lato positivo: se dovesse succedere, potresti tornare ad essere il suo supereroe pronto a proteggerla.» e gli fa un occhiolino. Se ne va facendogli un maledetto, disgustosissimo occhiolino che lo lascia impalato all’ingresso.
Supereroe, certo, come no.
Come potrebbe mai salvarla se a malapena le rivolge la parola?!
«No, dici davvero?» è la voce di Shiba, la riconoscerebbe perfino in un rave party con la musica a palla.
«Ma sì, ti dico di sì!»
La sente ridacchiare con una loro compagna di classe mentre sfilano al suo fianco, senza nemmeno accorgersi della sua grigia presenza.
Come può salvarla se nemmeno si accorge di lui?

«Tornare a seguire le partite potrebbe aiutarti a superare il tuo trauma.» la sentenza di Nanaka, pontificata per la non numerabile volta nell’arco dell’intera giornata, si mescola al leggero sbattere dell’armadietto. Vi si appoggia e immancabilmente il suo ghigno si posa su di lei, ricurva sulla panca mentre si massaggia i piedi doloranti; ha dovuto mettere dei cerotti sulle dita, le si stanno spaccando a furia di camminare sulle punte durante gli allenamenti.
«Ti avanzano dei cerotti?»
«Pensaci…» insiste di fronte al suo ignorarla «Tornare a veder giocare il tuo incubo potrebbe ricordarti che, in fondo, il basket non ti dispiace come vuoi continuare a far credere» pontifica sicura, asciugandosi i capelli umidi con un asciugamano «Superare il trauma, andando incontro alla tua più grande paura. Vedila come una caduta da cavallo, su.»
«Ma Mitsui non è un cavallo.»
Le dà una leggera clavettata in testa «E’ una metafora.»
Shibahime sospira «Hai intenzione di studiare psicologia?» rimbrotta scorbutica, socchiudendo gli occhi mentre li punta sul suo ghigno fastidioso.
«Mi piacerebbe ma no, sai che mamma non vuole» alza le spalle «E’ che credo che il problema sia tutto lì.»
Shiba sta per risponderle ma il frastuono proveniente dalla palestra in fondo al corridoio le fa impalare.
«Siamo stati invasi dagli Unni?» è il serafico commento di Shiba mentre getta la testolina fuori dallo spogliatoio, cercando di capire chi sia il fautore di un macello tanto apocalittico.
«O magari sono solo quei dementi del club di basket.» replica asciutta Nanaka, già armata di clavette e nastri.
Shiba sbatacchia gli occhi «A quest’ora?!»
Alza le spalle «Hanno perso contro il Kainan, staranno facendo allenamenti extra… Speravo si dessero all’Arakiri ma--»
«Hanno perso?»
«Aha» la sua risatina le perfora le orecchie «Ci stai pensando, vero?»
«A cosa?»
«A come questo sia il momento giusto.»
«Il momento giusto per cosa?» lo domanda stanca, ben conscia di dove andrà a parare quel discorso sibillino.
«Per consolare il tuo musone, ovvio!»
Shiba apre la bocca, poi il capo cade con indolenza «Nanaka, no--»
«Pensaci, quale momento migliore per andare lì e rivolgergli la parola?» le dà una leggera gomitata prima di superarla, diretta verso la fossa dei gladiatori «La gente tende ad essere più accondiscendente quando è vulnerabile. Credo gli farebbe piacere se tu andassi lì a parlargli.»
«Certo, come no…» si gratta la nuca, sentendosi di una stupidità abissale; un po’ perché la sta seguendo verso quella che sarà sicuramente la scena madre di chissà quale rissa tra teppisti falliti, e un po’ perché si sta inerpicando con lei in una discussione tanto sconclusionata.
Consolare Hisashi Mitsui, certo.
Quello che in ospedale, nervoso per la terapia, le scaraventava contro le riviste di basket se solo si azzardava a consolarlo. Quello che le ha tirato un ceffone in pieno viso solo perché «Ti stai intromettendo in affari che non ti riguardano, ragazzina.»
Ricorda ancora i suoi occhi, i brividi che le hanno trasmesso ed è una sensazione che non vuole più assaporare.
«Sai? Lui le odia queste cose» confessa con un leggero sorriso «Non gli è mai piaciuta la pietà degli altri, né le frasi di circostanza.»
«Ora è diverso. Mitsui, intendo… Non è più il ragazzino spocchioso che si credeva il miglior giocatore del mondo» le puntella l’indice sulla fronte «E tu non sei più la ragazzina che gli sbavava dietro.»
I suoi lineamenti si addolciscono mentre i ricordi la assalgono ma non fa nemmeno in tempo ad aggrapparsi ad uno di loro che il frastuono in palestra la fa sobbalzare.
Le getta un’occhiata impaurita «Apri tu, Nana-chaaan
L’altra sbuffa «Oh, andiamo, cosa potrà mai esserci di così—Oh.Mio--»
Nana si impala sulla porta, lo sguardo vacuo perso sullo spettacolo che si spalanca di fronte ai loro occhi: Sakuragi gonfio come un melone che pesta un Rukawa pieno di lividi e che ripete eleganti «Piantala coglione!» e finezze simili, seguite da altrettanto amorevoli «Sei una volpe morta! Ti scuoio e ci faccio una sciarpa con la tua pellaccia!»
E giù di botte come nemmeno nei film di Stallone.
Shibahime si copre le labbra con una mano, ripresasi dallo stupore «Fantastici!» e giù a ridere come quel demente di suo fratello.
Nana si riprende «Seriamente, che stanno combinando?»
«Si staranno allenando per il prossimo raduno in memoria di Street Fighter
Nana la trucida con lo sguardo ma d’altro canto, Shibahime fatica a restare seria di fronte a cotanta idiozia umana.
«Vuoi finire a fare da sacco?» domanda acida, facendole roteare gli occhi.
«Oh, suvvia, è divertente!»
«Da quando ti piace il pugilato?» Nana sbuffa «Interrompiamo il massacro, prima che Rukawa apra la testa del cretino.»
«Sakuragi, si chiama Sakuragi.»
«Chiamarlo cretino mi fa venire meno voglia di lasciarlo al suo destino.»
«Ah.»
Nana porta due dita alle labbra e fischia «Cos’è? State cercando di entrare nel club di wrestling?» l’ironia è sferzante e divide i due litiganti, grondanti di sudore e con qualche taglio e livido qua e là che li rende malconci.
Le matricole si lanciano un’occhiata intenditrice –sarà la prima ed ultima, Shiba vorrebbe fotografare tale miracoloso evento-, e dopo un attimo di smarrimento è Hanamichi Sakuragi a farsi avanti, sempre con la propria regalità.
«E voi chi Diavolo sareste? Siete delle spie mandate qua per osservare il mio incommensurabile talento, vero?» la sua risata sguaiata rimbomba nella palestra e Shiba, nonostante tutto, si ritrova a soffocare un risolino di fronte alla sua posa da supereroe.
Nana, d’altro canto, è ammantata da furia omicida «Questo demente avrebbe bisogno di una lavata di capo.»
«Secondo me sono tutte le botte in testa che gli dà Akagi ad averlo ridotto così.»
Le due si guardano sconsolate e quando un «Deficiente.» serpeggia fra loro, ecco che il siparietto riprende.
Kaede ha lanciato una palla contro Sakuragi e questo gli si è scaraventato contro.
«Li lasciamo qui e facciamo finta di niente?»
«Se muoiono e scoprono che siamo state qui, finiremmo nei guai.»
«Magari Akagi ci pagherà la cauzione come ringraziamento.»
Nana scuote la nuca, si avvia in palestra «Tu prendi Sakuragi, io mi occupo di Rukawa.»
«Cos—Ma, ehi! Perché devo occuparmene io?!» la segue con passo pesante, guardandola in cagnesco.
«Perché avete i capelli rossi.»
«Cosa c’entra?!»
«E perché se mi capita fra le mani, lo sbudello.»

«Sta’ fermo!» Shiba è esasperata, se Sakuragi non smette di dimenarsi gli cava un occhio.
«Non voglio che il nemico mi sfiori!» si divincola e comincia a sfregarsi la faccia con le mani «Ah, i germi del nemico! Andate ad infettare la maledetta Kitsune, io devo portare la squadra alla vittoria!»
«Demente.»
«Hai detto qualcosa?!»
«Sì, che sei un--»
«Piantala di dargli corda, ti prego.» Nana tira uno scappellotto a Rukawa e questo per poco non le mozza una mano.
«Sakuragi, guarda che non siamo spie.» si intromette Shiba, sorridendogli affabile.
I suoi occhi si riducono a due puntini sbatacchianti.
«Ah… Non siete qui per spiare il tensai?»
«Nessuno verrebbe mai a spiare una mezzasega come te.»
«Io lo ammazzo!»
«Stai a cuccia!» Nana gli lancia contro un batuffolo di cotone e il ragazzo si quieta «Siamo del club di ginnastica ritmica. Gli unici atleti che spiamo, sono le ginnaste delle altre squadre.»
«Non vantartene, è imbarazzante!»
Cala un silenzio teso, Hanamichi stringe le dita intorno al bordo della panca metallica su cui è seduto mentre Rukawa si lascia medicare senza fare troppe storie.
Shiba lo guarda oltre la spalla, stranita dalla mansuetudine con cui si fa sfiorare. E’... Strano. Non le pare quella borsa frigo che tutti decantano, così come non le pare l’algido atleta che corre dritto al canestro infischiandosene degli urletti striduli e delle adulazioni.
E’ un normale adolescente, solo un po’ più taciturno.
Risponde alla Itou con monosillabi, scazzati «Nh» e superbi «Tsk »a cui l’altra replica noncurante, quasi fosse abituata a leggere dietro le righe.
«Sicure di non essere del club di infermieristica?» la voce di Hanamichi la riporta alla realtà.
«Per la decima volta: no.» ribatte Shibahime, indecisa se chiudergli la bocca con i cerotti o limitarsi ad ignorarlo.
«Eppure sei così brava.» seguita scettico.
«Come se ci volesse un brevetto per sapere usare una garza e un paio di cerotti.»
«La Sendoh è avvezza agli idioti come voi.» cantilena la Itou, non consapevole di aver appena innescato l’ennesima miccia.
«Sendoh… Sendoh come--»
«Akira Sendoh? Oh, già già, è suo fratello!» cinguetta pimpante, guardandola con occhi sbrilluccicanti. Shibahime le scaraventa contro la cassetta dei medicamenti ma finisce per colpire l’armadietto.
«… Sei una Sendoh uscita male.» è il fine commento di Rukawa.
«Che?! E cosa ridi tu, maledetta!»
«Effettivamente… Non è che vi assomigliate granché.» constata Hanamichi.
«E per fortuna!»
«E dimmi! Ti ha mai parlato di me?» tutto gongolante, Sakuragi le sposta le mani e la guarda con aria da invincibile-uomo-che-non-deve-chiedere-mai.
«No.»
«Come sarebbe a dire: no?!»
«Però mi parla spesso di Rukawa!»
«Della Kitsune?! Ma è scemo o cosa--» gli tappa la bocca con la garza.
Shiba guarda oltre la spalla e nota che Kaede ha l’aria confusa, sempre che quella specie di maschera al vetriolo possa chiamarsi confusione «Dice che gli piaci.» aggiunge con un leggero sorriso.
Kaede alza le spalle «Boh. Non ho certe tendenze.»
«Non hai certe--» Nana scoppia a ridere, per poco non rotola sul pavimento; Sakuragi tenta di districarsi dalla ragnatela di bende mentre tenta di dare un calcio alla ragazza.
Shiba lo fissa allucinata «Ma non in quel senso! Intendevo come giocatore!» spiega esasperata «Dice che sei uno dei pochi avversarsi degni e che non vede l’ora di scontrarsi con te nella prossima partita» gli occhi di Kaede sembrano accendersi «Vedi di allenarti, eh. Acchan si sta dando da fare.»
«Tsk, ovvio.»
«Ma tu guarda quel porcospino, non riconosce nemmeno il talento quando ce l’ha di fronte.»
«Porcospino?» Nana lancia un’occhiata a Shiba ma questa scrolla le spalle.
«Ma glieli affloscio quegli spilli che si ritrova per capelli, glieli--»
Shiba sospira, li guarda a intermittenza «Parlando di cose più serie… Si può sapere perché vi stavate azzuffando?»
Hanamichi si cala nella parte del protagonista fragile e ferito che si ritrova a fare i conti con i proprio errori «Perché è colpa mia se abbiamo perso la partita contro il Ka—Maledetto Rukawa! Non tirarmi i cerotti!»
«Ringrazia che non ho un bisturi.»
«Da bravi, bisticcerete fuori» Nana sorride maligna sventolando un paio di forbici e i due tornano ad ammutolirsi «Sakuragi, guarda che non è colpa tua.»
«Ma cosa vuoi saperne, tu?»
«Ho visto la partita e, credimi, è stata solo sfortuna. Se Kyota non avesse deviato la palla, Mitsui avrebbe segnato un bel canestro da tre punti e a quest’ora sareste tutti ad ubriacarvi in qualche bar.» ah, già, gli incredibili canestri da tre punti di Mitsui; per un attimo si chiede se sia ancora così bravo come ricorda, se è ancora capace di far stare il pubblico in sospeso mentre la palla compie una parabola perfetta per poi infilarsi nel canestro.
Per lui è sempre stato come respirare.
«Sì, però--»
«E tu--» Nana lo guarda oltre la spalla «Nella foga non ti sei accorto di chi ti stava davanti. Può capitare.»
Shiba si ridesta, la guarda scettica «Com’è che a noi non ci consoli così quando perdiamo?»
«Perché voi non siete autorizzate a perdere» Nana mette le mani sui fianchi mentre studia il proprio lavoro, ovvero cercare di non far sembrare Kaede Rukawa una mummia «Ah, che matricole indisciplinate. Ai miei tempi ci si tagliava i capelli quando si commettevano certi errori.»
«Non era quando si veniva lasciate dal fidanzato?»
«Credi che io sia mai stata lasciata?»
«Non intendevo quello.»
«E comunque in quei casi ci si tinge.»
«Ma certo che sei stronza forte, eh!»
«Sakuragi dovrebbe avere la testa color arcobaleno, allora.»
«Brutta volpe, ma io ti mangio a colazione!»
«Non lo farei fossi in te, le volpi sono indigeste.»
«Nanaka—Ah, ci rinuncio» gli dà una sberla sulla nuca «Oh, fatto! Sei libero.» gli sorride affabile, venendo sovrastata da quella montagna umana di Sakuragi che mugugna frasi come «Tagliarsi i capelli, mh?» e amenità simili.
«Potete evitare di uccidervi fino a che siamo qui?» è la pacata richiesta di Nanaka, intenta a sistemare.
«Certo!» è l’affermazione di Hanamichi, anche se il modo in cui guarda Kaede fa morire ogni speranza.
«Seh, certo, come no…» replica Shiba, fissando i due che si allontanano fin troppo mansueti. Li accompagnano fuori, giusto per essere pronte a sedare quelle teste calde che potrebbero andare a fuoco da un momento all’altro.
Hanamichi si volta dopo qualche passo, punta l’indice verso di loro che se ne stanno lì impalate
«Sasaime! Di’ a tuo fratello che lo straccerò! Dopo tutto, sono il genio numero uno di Kanagawa!»
«Seh, l’idiota numero uno, vorrai dire.»
«Che hai detto, Kitsune?!»
E giù di nuovo ad azzuffarsi come due gatti.
«Io… Sono costernata.»
«Ma chi è Sasaime
«Sei tu.»
«Ah.»
«Cos-ter-na-ta.»
«Eh. Però è simpatico.»
«Mah.»
«Più di Rukawa di sicuro.»
«Anche il mio freezer è più simpatico di Rukawa, non vale come metodo di paragone.» sventola una mano.
«Ah, com’è che il nostro bel tenebroso ti rivolge la parola?»
Nana alza le spalle «Qualche estate fa eravamo allo stesso campo estivo.»
«Sì, ma con questo?»
«Non gli sbavo dietro e non gli rompo le palle.»
«Tutto chiaro.»
Li osservano appoggiate alla porta della palestra. Sakuragi dà un calcio alla bicicletta di Kaede e prima che questo possa montarci in sella, si ritrova ad imbastire una lotta con il rossino. L’ennesima.
«Coraggio, sistemiamo e andiamocene a casa. Quei due mi hanno esaurita.»
Shiba annuisce e guarda le matricole, convinta che in palestra avrebbe trovato il muso lungo di Mitsui e la linea elegante del suo profilo mentre tira a canestro.
Realizza solo ora di averci quasi sperato.

 
«Quindi andrai a consolarlo?»
Shiba, seduta sulla metro, copre uno sbadiglio dietro la sciarpa leggera «Ti ho detto di no.»
Nana riporta lo sguardo sul libro di storia «Che noiosa.»
«Ficcanaso.»
«Sasaime
«Ma piantala!» 


[1]Fumino: prima scuola scelta a caso nel mucchio che compare quando lo Shohoku batte il Miuradai.

[2]Penalità: Una delle quattro categorie a cui viene dato un punteggio per l’esecuzione. Gli altri tre sono: difficoltà, artistica ed esecuzione. Mi sono basata sulle Olimpiadi di Londra del 2012, spero che nel frattempo le cose non siano mutate.

[3]Fouettés en tournant: movimento del Balletto classico in cui la ballerina, poggiata su di un piede, si dà la spinta per compiere dei giri su sé stessa.


*Toc toc* Ahm… C’è nessuno?
Perdonatemi per il ritardo, scrivere il capitolo con il caldo e in ferie non si è rivelata una battaglia semplice ma alla fine qualcosa è uscito fuori e ammetto che il risultato non mi dispiace, e almeno ci stiamo avvicinando a quella che può essere considerata una riappacificazione tra i due mentecatti –e poi è piuttosto lungo, giusto per farmi perdonare-.
Ho cercato di mantenere i toni più leggeri, piazzando un po’ qua e un po’ là siparietti nonsense tra i vari personaggi; un po’ perché è lo spirito che ho sempre voluto avesse questa storia e un po’ perché mi diverte scriverli, sembra che si prestino a fare i dementi.
Poooi, per descrivere l’esibizione di ginnastica dello Shohoku mi sono basata sulle varie performance delle Olimpiadi di Londra del 2012, in particolare quella delle italiane … No, non mi ci sono avvicinata nemmeno di un millimetro a quella bellezza. È da togliere il fiato e io mi sono dovuta limitare a far capire cosa succedesse, ngh.
Come sempre ringrazio chi continua a seguire la storia, in particolare ReginaMills89 e Ice_DP per aver commentato lo scorso capitolo: siete state carinissime e gentilissime e io mi sento sempre un uno schifo a non sapervi ringraziare in maniera un po’ più decente :/

Alla prossima!
HeavenIsInYourEyes

   
 
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