Videogiochi > The Elder Scroll Series
Ricorda la storia  |      
Autore: Hi Fis    23/07/2015    2 recensioni
One Shot che racconta un'altra storia sul Sangue di Drago, secoli dopo la sua venuta a Skyrim.
Per quanto seguito spirituale di "Le Tre Spade", si può leggere separatamente senza problemi.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il coraggio è non abbandonarsi, o più semplicemente ancora, il non cedere, anche quando ogni direzione sembra condurre ad una sola, ed inevitabile, destinazione.
Il coraggio è non mollare la presa quando si ha un precipizio sotto di sé e la testa di un drago sopra: scegliere tra precipitare ed essere divorati può apparire semplice, al punto che diviene possibile giustificare razionalmente la propria decisione... ma queste due alternative, non comprendono tutto: esiste sempre un'altra possibilità. Il coraggio, quello vero, è soprattutto questo: la capacità di sperare e di continuare a farlo, nonostante tutto.
 
È proprio con la paura nella mente e la speranza nel cuore, che Hnoss ha scelto di non muoversi: trattiene perfino il respiro, mentre le sue dita artigliano la roccia e le sue spalle si intorpidiscono, per il freddo e lo sforzo. Uno stillicidio, ma a cui si sottomette comunque, resistendo di traverso sulla parete, sostenendosi solo con le mani e un piede, mentre il vento si insinua senza pietà nel suo cappotto di pelliccia di orso nero.
È il primo giorno di primavera, o ciò che passa come tale a Skyrim: il cielo è così azzurro... come se fosse la prima volta che si mostra di quel colore dalla creazione del mondo. La brezza però, gli ha già spaccato le labbra e le raffiche hanno sporcato di neve il volto del giovane uomo. Nonostante questo, e la difficoltà dell'ascesa, c'è voluto un drago per fermarlo: come tutti i Nord, Hnoss è più testardo di una capra... ma con il Dovah sopra di lui, rischia ora di farne la stessa fine.
Non c'è dubbio che il drago, enorme e dello stesso colore del sole al tramonto, lo abbia visto: non si dice forse che gli occhi di un Dovah sappiano cogliere un topo in mezzo alla brughiera anche quando volano più alti delle nuvole? E quindi al giovane uomo del Nord non restano che due cose da fare in quel momento: guardare il suo riflesso nel titanico specchio che è l'iride azzurra del drago, e resistere in silenzio.
Non è impossibile sopravvivere ad un drago: se si è fortunati o da soli, si può riuscire perfino a scappare da uno di essi... o se invece si è molto valorosi, o semplicemente in molti, è perfino possibile vincerne uno in combattimento. Quello a cui non si può sopravvivere però, è un drago che si sia offeso: non si può sfidare l'orgoglio di uno dei primogeniti di Akatosh. I Dovah sono quasi più antichi del tempo stesso, e anche se il loro primogenito è stato abbattuto, la loro forza non è per questo diminuita. Se si incontra un Dovah dunque, e non si può né scappare né combattere, allora è bene lasciare a lui la parola per primo: i draghi guardano con meno disprezzo a prede... educate.
"...Drem Yol Lok." disse alla fine il Dovah, aprendo e chiudendo le sue fauci: il saluto della sua stirpe. Nella loro lingua, letteralmente: pace, fuoco e cielo.
Fu un sollievo impossibile da descrivere per Hnoss, quando furono quelle parole a passare tra le zanne del drago, invece che fuoco, ghiaccio... o peggio. Il giovane Nord non era mai stato educato a distinguere le varie tipologie di draghi: sapeva solamente che il Dovah che aveva di fronte era dotato di un muso appuntito, una sorta di becco, che gli donava tratti da volatile, e una strana gorgiera di pelle, tesa tra spine perpendicolari al suo collo. Il suo aspetto non era solo terribile, ma anche strano: di certo non era un drago comune...
"Sa... salute, erede della stirpe di Akatosh..." rispose Hnoss, balbettando per la paura e il freddo.
Gli lacrimavano gli occhi ormai per lo sforzo di non chiuderli, ma il giovane uomo era deciso, e aveva le capacità, a resistere: il suo apprendistato alla forgia poteva servire anche a questo.
"...Avete... avete intenzione di mangiarmi?" chiese sinceramente al drago: coraggio, l'unica cosa che potesse salvarlo in quel frangente.
Quello, e forse un po' di fortuna: Hnoss era un po' più basso dei suoi coetanei, ma se il drago fosse stato a stomaco vuoto...
"Solo se cadi." gli rispose il Dovah: la sua voce era così profonda da far tremare le rocce, ma Hnoss annuì: avrebbe potuto andargli peggio.
"...Potreste... potreste aiutarmi?" domandò ancora, passandosi la lingua sulle labbra sanguinanti: come Hnoss scoprì però, l'ingenuità non fa parte del coraggio.
"Non gioco con il cibo." ribatté sprezzante il drago: "Nemmeno quando ha Zul. Voce..." ma non il Thu'um dei Dovah, che scuote il mondo: solo Zul. La flebile voce dei mortali:
"...inoltre, sarebbe meglio per te non procedere amativ. Molti giungono a questa strunmah... questa montagna. Molti potrebbero hi naak... mhh... mangiarti. O peggio."
"La vostra gentilezza è pari solo alla vostra saggezza, nobile drago. Ma..." Hnoss si sforzò enormemente per trovare il modo migliore per continuare: mai, mai offendere un drago!
"...la mia debolezza mi impedisce di cominciare la discesa senza aver prima finito la salita." al giovane Nord, pareva in effetti che le dita gli si potessero staccare dai palmi da un momento all'altro: doveva raggiungere la cima ad ogni costo, la stessa cima da cui il drago si sporgeva su di lui, e riposare... o sarebbe caduto, e più prima che poi.
"Sei stato avvertito, Joor: chissà se questo tuo essere sahlok... debole, ti renderà... mhh... anche insignificante abbastanza da sopravvivere..." rifletté il drago, parlando più con sé stesso che col giovane uomo.
Un dubbio legittimo, ma in quel momento Hnoss aveva forze sufficienti per concentrarsi su una cosa sola: invece che riflettere, scelse di focalizzarsi sullo scalare gli ultimi metri di quella parete rocciosa, irta e dai bordi resi affilati dall'erosione del vento. Non fu facile, e l'avere un drago ad osservare ogni sua mossa non aiutava di certo, ma l'idea di poter diventare solo una macchia scura alla base della montagna fu probabilmente la spinta di cui aveva bisogno per restare aggrappato ed insistere, un appiglio alla volta.
Ce la fece alla fine, afferrando l'orlo e tirandosi in alto, strisciando prono sulla roccia, ormai senza fiato, fino a quando solamente i suoi piedi rimasero a dondolare sull'abisso: una posizione scomoda, ma la sensazione di avere della roccia sotto il petto e una presa sicura nelle mani era inequivocabile ed esilarante allo stesso tempo. Il Nord si concesse un sospiro per ristorarsi ed esultare: era ancora vivo.
Poi fece l'errore di alzare la testa e guardarsi attorno:
"Oh." fu tutto quello che Hnoss riuscì a dire: era arrivato in cima, ma il drago non era solo, come aveva invece pensato.
Si trovavano su una piatta terrazza di roccia, abbastanza larga da permettere ad almeno un altro dei primogenti di Akatosh di atterrarvi senza dover chiudere le ali. La ragione per cui Hnoss non era stato mangiato era poco più in là: una zampa di mammuth ancora sanguinante e mezza spolpata, che Hnoss riconobbe più per l'odore bruciato della pelliccia che per il suo aspetto. Difficile che il resto del mammuth fosse andato lontano: brandelli di pelle si allargavano sulla terrazza di pietra, come vele strappate dal vento, e almeno un osso era già stato spezzato per succhiarne il midollo. Il rosso vivo, della carne e del sangue, contrastava sul granito iridescente, color giada e rosa...
E sull'altro capo della terrazza di pietra, sporgendosi sull'abisso che era l'altro versante, ancor più scosceso di quello che il giovane Nord aveva scalato, si ergeva una delle ragioni per cui Hnoss avrebbe fatto meglio a non terminare la sua scalata.
 
A Skyrim, tutti conoscono le leggende: c'è stato un tempo, in un'era che uomini ed elfi hanno quasi dimenticato, e che uomini bestia non hanno mai vissuto, in cui i draghi dominavano sul mondo e gli uomini erano loro schiavi. Il tempo della tirannia di Alduin, il Divoratore del Mondo, in cui ali feroci e zanne crudeli governavano la terra ed il cielo: solo prostrandosi si poteva sopravvivere. E tra tutti gli schiavi, il terribile primogenito di Akatosh scelse in quei tempi antichi alcuni, imbevendoli di potere ed elevandoli più vicino al cielo. Sonaakke: i sacerdoti di un culto sanguinoso devoti ai loro alati maestri, che amministravano la terra in loro vece in quell'epoca buia. Nove di loro dominavano Skyrim ai tempi di Alduin, e non è un caso che nove siano oggi i feudi di questa terra: la Storia non dimentica mai il passato, al massimo lo trasforma.
Nove Sonaakke, nove potenti stregoni e negromanti, che anche quando Alduin fu bandito nelle correnti del tempo, perché troppo forte per essere davvero sconfitto dagli antichi Nord che si erano infine ribellati alla sua tirannia, e perfino dopo essere stati uccisi e sepolti; aveva atteso il ritorno del loro signore con pazienza, riemergendo dai loro sepolcri all'abominio che era la non-vita quando il Divoratore del Mondo era ricomparso assieme agli altri draghi, in tempo per affrontare l'ultimo Sangue di Drago, il Dovahkiin.
Strano in fondo come passati così diversi, uno remoto e ricordato con precisione solo dai Dovah, e uno assai più recente, misere generazioni or sono, si sovrapponessero in quel luogo.
Hnoss non riusciva a crederci: la figura che gli dava le spalle era proprio come veniva descritta nelle leggende. Un lungo mantello di broccato rosso, a coprire dalle spalle ai piedi, e una cupa maschera con cappuccio a nascondere il volto: eppure, Hnoss sapeva che il silenzioso osservatore di quel panorama non poteva essere davvero uno degli antichi sacerdoti dei draghi. Otto Sonaakke erano stati sconfitti dal Dovahkiin, e del nono non si avevano mai avuto notizie: nemmeno la sua maschera restava più a Tamriel... ma ciò che davvero tradiva la vera identità della figura vestita di rosso, era l'insegna tessuta sul suo mantello. Blu, come il mare, a formare con un'unica linea un simbolo che perfino Hnoss conosceva: l'occhio stellato, il marchio del Collegio di Magia e Stregoneria di Winterhold. Cosa esattamente, un incantatore e un drago stavano compiendo in quel luogo, prima del suo arrivo?
"Indeinsetiid..." pronunciò la figura senza voltarsi: Hnoss ci mise un poco a comprendere che quella prima parola doveva essere il nome del drago che lo aveva accolto, tanto che quasi perse il resto della frase.
"...avevi detto che era uno scoiattolo." quale fu lo stupore di Hnoss nello scoprire che era una donna a nascondersi sotto quelle vesti!
Per quanto strano potesse sembrare, il drago al loro fianco rise, guardando Hnoss con un unico grande occhio:
"I Joorre sono così simili ai Raanne... agli animali, che a volte mi... mmhh... confondo."
"...Vero." rispose la figura incappucciata, finalmente voltandosi.
Hnoss si ritrovò a fissare un volto cupo, grave e stilizzato, come già aveva immaginato: ogni maschera degli antichi sacerdoti del culto dei draghi aveva lo stesso volto, così dicevano le storie, differendo solo nella sostanza di cui erano fatti. Quella maschera in particolare era fatta di legno, ma Hnoss non aveva mai sentito di una maschera degli antichi Sonaakke fatta di legno...
La donna non si presentò, né rivelò il suo volto, ma Hnoss sentì il suo sguardo scorrergli addosso, come un vento gelido: il giovane uomo non ricambiò lo sguardo dietro il legno scuro. Come tutti i Nord, anche Hnoss temeva e disprezzava la magia: c'erano storie di uomini resi pazzi per un solo sguardo di mago. Difficile comunque che quella strega avesse bisogno di dominare la sua mente per ucciderlo, soprattutto in quel luogo:
"...Più un leprotto, che uno scoiattolo." commentò la donna dopo averlo osservato a lungo, rivolgendosi al drago: "...Un coniglio dalle orecchie corte."
Di nuovo, a Hnoss non restò che confidare nei nove dei e nella fortuna:
"Avevo sentito dire..." cominciò con voce flebile, senza rivolgersi a nessuno in particolare: "...Che non si può visitare questo luogo senza incontrare un drago, la morte o un miracolo... non pensavo lo si intendesse così letteralmente... né che li avrei incontrati tutti e tre."
La donna rise, lievemente: una bella risata di petto, giovanile. Nemmeno la sua voce sembrava quella di una vecchia, ma fino a quando non l'avesse vista in faccia, l'uomo del Nord non avrebbe provato ad indovinarne l'età:
"...Si dice così, mh?" chiese la strega e Hnoss annuì: "...Come ti chiami, leprotto? E guardami pure negli occhi: non ho bisogno di incrociare il tuo sguardo per costringerti a saltare dal bordo da cui sei salito."
Un pensiero assai poco confortante, ma il giovane uomo del Nord obbedì a quella richiesta: streghe e draghi... streghe che cavalcano i draghi... mai offendere simili esseri!
"...Hnoss Guerriero Grigio." rispose.
"E cosa porta il nipote di un fabbro in questo luogo?"
Hnoss era un po' più basso dei suoi coetanei, colpa del 16° di sangue Yokudan che gli scorreva nelle vene, e naturalmente d'indole paziente, per via del tempo passato a badare alla forgia: al metallo dopotutto non si può fare fretta, ma questo non voleva dire che fosse privo delle passioni così tipiche fra i temperamenti del Nord. Hnoss non era abituato a farsi canzonare, né umiliare: non aveva mai incontrato prima una strega cavalcatrice dei draghi, ma non per questo era disposto a tollerare oltre. Il fabbro, benché non ancora vero erede, si erse in tutta la sua altezza: Hnoss era un po' più basso dei suoi coetanei, ma non di molto.
"Vedo che il nome della mia famiglia ha raggiunto anche il Collegio di Winterhold... non credevo che a maghi e stregoni importasse di spade e corazze. Specie a qualcuno che cavalca i draghi."
"Così giovane... così mey." borbottò il drago sprezzante.
"Così come sempre è all'inizio della vita, amico mio." rispose la strega, rivolgendosi poi al giovane uomo per correggere il suo errore: "...Indeinsetiid non è una bestia da monta o da soma, leprotto. È un compagno: la tregua segnata in questo luogo, sei generazioni or sono, vale ancora... benché resti così poco." spiegò l'incantatrice, voltandosi di nuovo a guardare il panorama per un momento.
Forse, la più grande eredità lasciata dal Dovahkiin a Tamriel: la terra ai Joorre, ai mortali, il cielo ai Dovahhe, i draghi. Un patto, una tregua suggellata alla presenza di re, imperatori e draghi, un trattato breve in sé, eppure così onorato: giustizia e pace, per non ripetere gli errori del passato. Per la Voce di colui che ha sconfitto Alduin, tutti i figli di Akatosh riuniti finalmente sotto lo stesso cielo: molti si sarebbero opposti ad un simile trattato, se durante la Seconda Guerra Elfica non fosse stato dimostrato quanto preziosi potessero essere i draghi come alleati. Quel conflitto dopotutto, era stato in primo luogo l'occasione di rinsaldare gli anelli della catena che uniscono ogni individuo agli altri.
E così, quel patto onorato, quelle parole, ancora consolidavano quell'alleanza: dalla cima delle loro montagne, nessun drago avrebbe dovuto temere gli uomini, e allo stesso tempo, nessuna città, per piccola che fosse, avrebbe mai dovuto tremare sotto il Thu'um dei draghi. Non era perfetto, inutile negarlo, ma era l'unico compromesso che fosse vero alla natura di uomini, elfi, uomini bestia e draghi: l'unico patto che mantenesse tutti liberi di essere sé stessi. Che mantenesse la libertà di farsi la guerra, se così un giorno avessero voluto... ma anche, la libertà di rimanere alleati, così come quel drago e quella strega testimoniavano.
La donna sospirò, di affranta nostalgia, guardando ancora il paesaggio attraverso la sua maschera:
"...Io ho le mie ali, leprotto: non ho bisogno di quelle di un drago per volare. Soprattutto non di quelle di un amico o di un collega. Come me, Indeinsetiid insegna al Collegio."
"Il... il nobile drago insegna?" chiese Hnoss incredulo, strabuzzando gli occhi e passandoli dall'uno all'altro.
"Storia dell'Era Meretica. Ed Ensosin... ciò che voi Joorre chiamate l'arte di imporre effetti magici agli oggetti." confermò il drago.
"...Un compito per il quale, amico mio, sei sempre stato destinato: In Dein Setiid." sillabò la strega, assaporando quel nome: "...Maestro guardiano del tempo."
Il drago scosse la testa, tornando a guardare Hnoss e di nuovo, il fabbro si fece più piccolo possibile sotto quegli occhi azzurri senza sclera, dalla pupilla orizzontale.
"Lascerai dunque che sia io a raccontare a questo... Kiinseyol Ahrk Dwiin, di te?"
La domanda fece voltare di nuovo la strega verso di loro: Hnoss non poteva esserne certo con la maschera che portava, ma fu convinto che la donna fosse stupita almeno quanto lui.
"Dopotutto..." continuò Indeinsetiid: "... fino ad ora è stato più educato di molti nostri allievi."
"Vero anche questo." sospirò la strega osservando Hnoss, ma passò qualche istante prima che si decidesse a continuare:
"...Puoi chiamarmi Lady Volkihar, leprotto. Sono la direttrice del Collegio." non era l'Arcimago... ma comunque Hnoss stava discutendo col secondo più potente stregone di tutta Skyrim: "...Insegno la scienza dell'alchimia e l'architettura tonale Dwemer, a coloro che sono abbastanza intelligenti da comprenderla."
"Allora sono in svantaggio, Lady Volkihar... voi conoscete il mio clan, ma io non il vostro: venite da Cyrodiil?"
Senza che Hnoss capisse il perché, la direttrice del Collegio scoppiò a ridere, flettendo le ginocchia:
"...Direi l'opposto, leprotto." rispose, quando le risate si acquietarono: "La mia famiglia è così antica, che anche il suo nome è scomparso dalla storia. Come me del resto, e come dovrebbe essere."
"Temo... temo di non capire, Lady Volkihar."
"Io sono una delle figlie di Coldharbour, Hnoss." rivelò la strega, sfilandosi il manufatto di legno dal volto.
Il primo pensiero che Hnoss ebbe guardandola, senza più l'impedimento della maschera ad oscurarne il volto, fu che Lady Volkihar era bellissima: pelle d'alabastro, capelli neri, tratti tipici di una donna del Nord, ma col profilo di una principessa. Doveva essere giovane... di certo non doveva avere più di dieci anni rispetto a Hnoss: poi Lady Volkihar aprì gli occhi, e tutte le aspettative e i desideri del giovane fabbro vennero spazzati via. A fissarlo, trovò occhi dalla sclera nera, del colore dell'inchiostro, e dalle iridi del colore e l'intensità di un incendio: Hnoss non sapeva cosa, esattamente, fosse una figlia di Coldharbour, ma anche lui sapeva riconoscere un vampiro, quando lo vedeva.
"...Sono ancora bella ai tuoi occhi, leprotto?"
Hnoss non rispose, limitandosi ad annuire: offendere un vampiro? Ancor più pericoloso che offendere un drago... un drago, al massimo si limita a mangiarti.
Lady Volkyhar sembrò essere presa da un tremito, come se stesse affogando, ma Hnoss non poté fare niente mentre un fumo scuro, oleoso, cominciava a levarsi dalla sua pelle: poi la strega, la donna... il vampiro, sembrò esplodere, mentre l'oscurità di quel fumo si condensava in una nuova forma, coagulando repentinamente. Fu così rapido, che se Hnoss avesse sbattuto gli occhi, se lo sarebbe perso.
Davanti a lui ora, si ergeva una figura come Hnoss non ne aveva mai viste prima, e come non avrebbe più volute vederne: una Signora dei Vampiri, dalla pelle grigia e cerosa, un volto da pipistrello, con pochissima affinità con uno umano, glabra e mostruosa, con lunghi arti sottili con artigli affilati. Il mantello rosso che l'aveva coperta fino a quel momento cadde a terra, quando il vampiro dispiegò ali di pipistrello: un solo battito di quelle membrane aguzze, e si alzò da terra, rimanendo a librarsi a qualche spanna dalla roccia. Non più del colore di un incendio erano i suoi occhi, ma pozzi neri, ricolmi di un'oscurità che non era di questo mondo:
"...E ora?" chiese con voce dolce Lady Volkihar.
Per tutti nove... fu proprio la voce a turbarlo di più: perché mentre il suo aspetto era diventato così mostruoso, la voce... la sua voce era rimasta la stessa.
Hnoss non poté distogliere lo sguardo e seppe anche di dover rispondere: scelse un compromesso.
"Un drago, un miracolo e la morte... questo luogo è davvero all'altezza della sua fama." ripeté.
Il suo coraggio non andò sprecato: il vampiro tornò a posarsi sulla roccia, e bastarono pochi istanti perché tornasse alla sua forma umana: il processo non apparve meno doloroso della prima volta, ma fu quasi più rapido. Di nuovo, fu Lady Volkihar a guardarlo, avvolgendosi nel suo mantello di broccato: al di sotto, Hnoss poté solamente spiare per un istante una banale veste verde da stregone, tenuta chiusa da una spilla incisa a mimare un fiocco di neve nera, e un pugnale di foggia elfica alla cintura. Risalendo quel corpo flessuoso, l'uomo del Nord si accorse che il vampiro e strega, gli stava rivolgendo un sorriso... stranamente compiaciuto:
"E perfino di più." gli rispose ricambiando il suo sguardo: "...Per quattro generazioni sono stata direttrice del Collegio di Winterhold e confidente di ogni Arcimago che si è susseguito a reggerne il destino. Sono stata perfino amante di uno, per quanto la mia giovinezza si sia spenta ben prima della fondazione dell'Impero di Cyrodiil... Ho educato schiere intere di maghi, apprendisti e studiosi... ma tu sei il primo da molto tempo, a non essere terrorizzato dalla mia natura. Confesso... che sono quasi delusa."
Di nuovo, Hnoss ritenne più prudente non rispondere direttamente: di certo, la paura non mancava nel suo animo. Come esattamente riuscisse a controllarla però, nemmeno il giovane fabbro avrebbe potuto spiegarlo: forse era l'influsso di quel luogo. O forse era il suo interlocutore, la cui vita, o meglio non-vita, abbracciava le ere, piuttosto che i millenni:
"Deve essere un'esperienza interessante..." rifletté a voce alta.
"Che cosa?"
"Frequentare il Collegio di Winterhold."
Indeinsetiid sbuffò divertito a quelle parole:
"Anche dopo quattro generazioni..." disse Lady Volkihar: "....Ha i suoi momenti: tramandare la nobile arte della magia e accrescere la propria conoscenza su di essa è un compito quasi senza fine... e non privo di meraviglia."
"Non fatico a crederlo, Lady Volkihar..." rispose Hnoss guardandoli entrambi.
"Puoi crederci sulla parola, Joor, quando dico che, nonostante tutto, non siamo noi la causa di maggior meraviglia al Collegio."
Questo lasciò Hnoss senza parole: cosa poteva esserci di più strabiliante che avere un Dovah e un vampiro come maestri? Ma di nuovo, il fabbro non osò chiedere.
"...E ora che abbiamo esaurito i convenevoli e ci siamo presentati per ciò che siamo davvero, leprotto, dimmi: cosa ti porta su questo picco?"
I pensieri con cui aveva cominciato la scalata tornarono come l'onda fa sulla spiaggia alla mente di Hnoss: fu così strano, che gli venne da ridere.
"Potrà sembrarvi banale, di fronte a ciò che dovete aver visto... e alla vostra natura." aggiunse Hnoss: "...Questo è il mio Pellegrinaggio. Per il mio predecessore, sono quasi pronto a ereditare l'onore e la responsabilità della Forgia Celeste. Ma solo quando i miei occhi avranno davvero ammirato questo luogo, e ne avrò visto il suo guardiano, sarò pronto."
Drago e strega si scambiarono uno sguardo complice:
"La coincidenza non esiste..." sussurrò alla fine il drago, o almeno ci provò, dato che la sua gola non era fatta per lasciare il silenzio intatto.
"Vero." ripeté la strega: "Dimmi Hnoss Guerriero Grigio, cosa sai di questo luogo?" gli chiese, invitandolo al suo fianco, per osservare assieme lo stesso panorama.
Il giovane uomo del Nord aveva sentito le storie di cosa quel luogo era stato, ma ogni volta che qualcuno provava a descrivere cosa esattamente rimanesse... le parole non sembravano mai bastare. Finalmente però, Hnoss capì perché: dove un tempo c'era stata una grande città ad ergersi come baluardo di civiltà... ora mancava perfino la montagna su cui era stata edificata.
Ciò che colpiva davvero gli occhi non era ciò che c'era, ma ciò che mancava: un'intera montagna, semplicemente cancellata dal paesaggio. Un gigantesco cratere vuoto, di una forma incomprensibile: perché più lo sguardo del fabbro scendeva in quegli abissi, più esso si allargava, per tornare poi a stringersi dopo molte, troppe leghe. Su quel versante, le pareti erano perfettamente lisce e levigate, e lievemente concave: su quel lato, non ci sarebbe stato appiglio con cui arrestare la propria caduta.
Skuldafn: la montagna su cui un tempo il Sangue di Drago aveva eretto la sua città, il decimo feudo di Skyrim... e che appena un secolo dopo la sua fondazione, era scomparsa assieme alla montagna su cui poggiava.
Hnoss si stava sporgendo sull'orlo di un'enorme uovo cavo scavato nella roccia:
"So che qui, un tempo, si ergeva la più luminosa città di tutta Skyrim..."
"Molto di più, Hnoss." lo rimproverò dolcemente Lady Volkihar: "...Ci sono alcuni immortali a Tamriel che ancora ricordano quella città: i Dovah, primi fra tutti. Ma anche alcuni come me, che ne hanno varcato le porte e passeggiato tra le vie. Non siamo in molti... ma ricordiamo."
"...Che cosa, Lady Volkihar?"
"Ogni cosa: ricordo... ricordo come se fosse ieri la prima volta in cui sono giunta nella città: di aver cavalcato, lungo la strada d'oro, che da ovest allora risaliva la montagna per giungere alle porte della città. Ricordo la prima cinta di mura, di granito iridescente, bagnarsi nella prima luce dell'alba del feudo di Skuldafn, come se fosse da sempre che quella città si ergeva in questo luogo, quando invece, fino alla notte prima sapevo che c'erano solo rovine... ricordo i grandi portoni di metallo elfico, con incisi la sua insegna: i tre draghi che si mordono la coda a vicenda. E ricordo i templi del quartiere della luce, dove ogni divinità e credo poteva essere onorata in pace, senza contrasti..." Lady Volkihar si concesse un sorriso mentre ripensava a quei tempi "... e dove draghi curiosi osservavano la folla sciamare da un tempio all'altro. Ricordo la seconda cinta di mura e attraversandola... le mille voci dei mercati del quartiere dell'acqua, dove elfi dell'est e uomini del nord si incontravano e vivevano assieme, e la strada rossa, che da Skyrim conduceva a Morrowind... ricordo il grande anfiteatro della città, dove una volta all'anno il torneo di Skuldafn richiamava valorosi da ogni angolo di Tamriel... ah! Ricordo anche di quando il primogenito del Sangue di Drago si iscrisse in segreto al torneo, per potervi partecipare, e vincerlo... ma ricordo anche il sole sorgere sopra la Torre di Ottone, l'edificio più alto della città, dove per la prima volta alcuni segreti dell'architettura tonale e della scienza Dwemer sono stati dischiusi... E ricordo il quartiere del cielo... dove, sulle antiche rovine del tempio di Skuldafn, il Dovahkiin aveva eretto il suo palazzo." aggiunse quietamente Lady Volkihar: "Il gioiello del tesoro che era Skuldafn, che non fu mai capitale di Skyrim per nome, ma lo fu in ogni altro ambito. Ricordo perfino il coro dei sui giardini, dove le radici bianche e cremisi di Nirn componevano cori di struggente bellezza sotto la luce delle stelle, e l'aria profumava dei fiori di Hist..."
Lady Volkihar si rivolse a Hnoss, guardandolo con quei suoi occhi del colore del sole all'alba:
"Io sono vecchia, leprotto. Più vecchia della tua stessa civiltà e con ogni probabilità sopravvivrò ad essa... eppure quando camminavo in quella città... non mi sono mai sentita così giovane e viva." spiegò semplicemente, tornando a guardare il cratere.
 "Voi... voi avete conosciuto il Sangue di Drago!" comprese stupito Hnoss.
"...Intimamente. Fino alla scomparsa della città, sono stata la sua... oscura amica, sua confidente, sua alleata. Ero al suo fianco quando la Seconda Grande Guerra Elfica cominciò... c'ero anche quando le navi grattarono con la chiglia le sabbie di First Hold. E c'ero per quel decennio, in cui con artigli e lame e magia, ci scavammo la strada tra i Thalmor... sei generazioni or sono, per te. E tuttavia... niente vale il ricordo del tempo speso a pettinare sua figlia e ascoltare suo figlio fare musica, sotto l'ombra dell'albero di Hist. Ma non c'ero quando la città scomparve..." Hnoss credette per un attimo che la strega stesse per singhiozzare.
Sopra e fra loro, si frappose la testa del drago, ad unirsi nella contemplazione di ciò che non era più, riparandoli nella sua ombra:
"Noi Dovah chiamiamo questo luogo Dovahsosi Kalpa... la Kalpa del Sangue di Drago. Perfino noi lamentiamo la sua scomparsa. E ci struggiamo per non poterne arginare il guardiano... o ripristinare ciò che è stato..."
"Per quanto non vorremmo che il contrario."
Hnoss li guardò entrambi, sentendosi un estraneo perfino a se stesso: perché come si poteva restare immutati, dopo aver visto e udito tutto questo?
"Cosa è successo...?" chiese il fabbro, indicando lo spazio vuoto del cratere: perché il più grande mistero della città del Sangue di Drago, non era la sua fondazione, ma la sua scomparsa.
"Questo, nemmeno io so dirlo... ho speso due generazioni intere a cercare una risposta a questa domanda, e ho ancora solo teorie. Forse il frutto dello studio dell'Antica Pergamena custodita sulla cima della Torre di Ottone, un luogo che per un breve periodo ha rivaleggiato con l'ordine degli Psijic... o forse uno degli esperimenti per meglio comprendere come i Dwemer siano scomparsi... o forse perfino l'invidia di Dremora o Dei. O perfino l'antica magia di questo luogo, a causa della quale si è aperto il portale che ha inghiottito la città... So solamente che ciò che è stato fatto non può essere disfatto: qualcosa ha bandito Skuldafn e la montagna su cui poggiava dalla corrente del tempo. Nessuna magia può riportare nel tempo qualcosa che ne è uscito: un giorno forse la città riapparirà... o forse no. Nel frattempo, io aspetto, osservo e tramando. E onoro i miei ricordi."
"Deve essere molto triste... rassegnarsi."
"Chi ha parlato di rassegnazione?! Ma leprotto, devi capire che dopo sei generazioni di studi e la mia lunga vita, conosco i limiti di ciò che mi è possibile fare: nemmeno tutti i misteri di Sotha Sil potrebbero... e forse nemmeno lui aveva previsto questo."
"E allora perché insistere...?"
"Perché il Dovahkiin ha forgiato da solo il destino di Tamriel per le Ere a venire... se si trovasse il modo di farlo ritornare... quanto più luminoso sarebbe questo mondo? Ma non è solo per questo leprotto: lui ci era molto caro."
"E tuttavia, non tutto è... sizaan. Perduto. Qualcosa rimane dalla scomparsa della città..." pronunciò grave il drago.
"Il guardiano." sibilò Hnoss.
Lady Volkihar si esibì in una risata sprezzante:
"Molto peggio. Un tempo, lungo la strada rossa e quella d'oro, passava la più fiorente rotta commerciale del nord, ad unire Morrowind e Skyrim. Ora invece, le navi fanno porto a Winterhold, come crocevia tra est e ovest... in molti hanno tentato di riaprire la strada d'oro e rossa, i cui resti rimangono ancora..." sospirò la strega, indicando le antiche vie nella pietra, che si interrompevano improvvisamente.
"Hanno tentato e fallito?" chiese Hnoss
"Hanno tentato e sono morti." rispose il drago: "...Il guardiano difende ancora la città che non esiste più. Con furia cieca ed inestinguibile."
"...Sapevi che è dal sangue che i draghi traggono la loro magia?" chiese lady Volkihar: Hnoss scosse la testa.
"Dalle ossa la loro immortalità, dalla loro carne la forza, ma è dal sangue... è dal sangue che i draghi traggono la loro magia. Ecco perché è così velenoso." spiegò la vampira voltandosi a guardarlo: "Nessun corpo di uomo, elfo o uomo bestia può sopportare la magia contenuta nel sangue dei draghi: nemmeno il mio. Ci consuma, come una fiamma troppo violenta fa con uno stoppino asciutto."
"Nei corpi dei Dovahkiin, anime di drago. Nelle vene dei Dovahkiin, sangue di drago." salmodiò Indeinsetiid: "Ma non carne di drago: solo corpi mortali. Ibridi e abomini tutti loro... E nostri fratelli."
"Era prevedibile che il sangue del mio luminoso amico, versato in tante battaglie, producesse... imprevisti."
"Specie sulla corazza che gli donava la stessa forza della nostra carne. Ci sta guardando anche adesso dal fondo del cratere Joor: riesci a vederlo?"
Hnoss si sporse sull'abisso, cercando di far arrivare lo sguardo sul fondo delle tenebre: era fumo quello che vedeva, là proprio sul fondo? L'uomo non riusciva ad esserne sicuro: eppure era proprio per esso che si era avventurato fino in quel luogo.
"...Che cos'è?"
"Nemmeno io so la risposta." disse Lady Volkihar: "Un tempo era una corazza: ma la magia del sangue e quella che hanno fatto scomparire la città lo hanno... cambiato."
"Una creatura di silenzio, magia e morte. Un enigma. Noi lo chiamiamo Dovah Qah. Il drago vuoto: il drago senza anima." disse Indeinsetiid a voce più bassa possibile, sporgendo il suo occhio sull'abisso.
"Irrealmente forte. Invincibile in realtà, e per questo incomprensibile: non lascia mai questo luogo, ma per quanto l'abbia studiato, ancora non so se sia per scelta o per vincolo. È un bene comunque... se fosse libero... niente e nessuno potrebbe fermarlo."
"...Nemmeno una strega e un drago?"
Lady Volkihar sorrise amara:
"Una volta... una volta solamente ho cercato di chiamarlo, di comunicare con lui. Di capire se qualcosa del mio luminoso amico ancora sopravvivesse in lui: una volta solamente, nell'anniversario della scomparsa della città. Mi ha preso
un braccio e le ali quasi prima che me ne accorgessi. E avrebbe finito di eviscerarmi, se Indeinseetiid non fosse intervenuto: l'origine della nostra amicizia... essere una strega ed un vampiro ha i suoi pregi." rispose Lady Volkihar, sfregandosi la mano destra con la sinistra: "...A volte sogno ancora quella notte, quando la luce delle lune si rifletteva sul mio sangue."
Hnoss dovette chiedere a quel punto:
"...Non mi lascerete andare, non è vero? È per questo che mi state raccontando questo."
Ancora una volta, Lady Volkihar rise:
"Chi credi che abbia raccontato a tua nonna del guardiano? E perché credi che lei ti abbia mandato in questo luogo proprio in questo giorno? E pensi forse che qualcuno ti crederebbe, se raccontassi questa storia? Di aver incontrato un vampiro e un drago sulla cima della parete dell'antica Skuldafn? Tutto questo, per quanto poco rimanga... è troppo da credere udendolo semplicemente. Bisogna vederlo... bisogna... sperimentarlo." gli spiegò.
Poi Lady Volkihar urlò, con quanto fiato aveva in gola:
"DOVA QAH!" chiamò, e quel nome riecheggiò fra le pareti di roccia in mille echi: impossibile che non fosse stato udito.
La reazione di Indeinsetiid fu immediata: aprì le ali e spiccò il volo, allontanandosi da loro, e anche la vampira fece sei passi indietro, superando la metà della terrazza di roccia e trascinandosi dietro Hnoss.
Fecero appena in tempo: non era salito, in verità, non ne ebbe bisogno. Più che altro, apparve: grigio come una nuvola di tempesta, ergendosi nel punto in cui fino a poco prima Serana e Hnoss avevano guardato.
Sembrava quasi fatto di nembo, o di una materia che a volte scordasse di essere solida... eppure, anche di quella spettrale sostanza, era senza dubbio reale: come fumo senza fuoco, o un fuoco la cui fiamma non brillasse in questo mondo. Guardarlo faceva dolere la testa: parte di quella creatura... non era di questo mondo e, allo stesso tempo, non era in questo mondo. Come se quell'aspetto fosse solo ciò che permettesse ai presenti di venire osservata. Hnoss lo guardò bene: sembrava un drago di dimensioni umane... ma come la montagna, cavo. Non conteneva niente: era un Vuoto che non avrebbe mai potuto essere riempito. Un elmo a testa di drago, con quattro possenti corna, attraversate da fulmini: niente occhi, niente ali... ma una coda c'era invece, una coda sottile come una frusta, e dalla forma tre volte più crudele, piena di barbigli e uncini.
Non era un gigante, eppure... eppure Hnoss sentì montare la paura che era riuscito a domare fino a quel momento, come una marea nauseante, che gli paralizzò i sensi e il corpo. I capelli gli si rizzarono sulla nuca, perché Hnoss percepì che niente a Tamriel avrebbe potuto fermarlo.
Lady Volkihar invece liberò entrambe le mani, tracciando un complicato glifo di luce nell'aria con gli indici: poi chiuse i palmi, lanciando attraverso il suo simbolo una sfera di luce viola.
Il Drago Vuoto la respinse come se fosse niente più che un refolo.
"...E ora?" chiese Hnoss.
Serana lo afferrò per le spalle e si gettò dalla scarpata, mentre la sua pelle cominciava a fumare... e finalmente, anche Hnoss urlò.
La creatura non li seguì.
 
***

Dovette passare quasi un mese prima che Whiterun lo vedesse tornare: ma l'uomo che varcò le sue porte non era lo stesso Hnoss che era partito. Era cambiato: quanto esattamente, doveva ancora finire di scoprirlo. Furono i suoi piedi, non la sua mente, che lo portarono alla Forgia Celeste: sua nonna lo stava aspettando, riuscendo a non schiacciarsi le dita sotto il suo martello più per abitudine che grazie alla vista.
Quando lo sentì arrivare, Gersemi Guerriero Grigio posò il suo lavoro:
"...Che cosa hai imparato?" gli chiese senza preamboli, con una voce che aveva cominciato a farsi querula.
Hnoss non dovette pensarci a lungo:
"A non creare mai qualcosa che possa avere più scopi di quelli che ho deciso per lui."
"...Ora sei pronto a prendere il mio posto." rispose sua nonna, ricominciando a battere il metallo.
Come sempre era stato da tempo immemorabile, la Forgia Celeste ardeva tra le ali di pietra del suo guardiano, così come avrebbe continuato a fare.


Ben arrivati alla fine!
Spero che questa one shot vi sia piaciuta, per quanto strana possa esservi sembrata. Personalmente, ritengo il Dovahkiin, "Colui che temono", troppo potente per restare a Tamriel per sempre, così come gli eroi venuti prima di lui. E quindi la mia soluzione è stata di farlo sparire in questo modo. A parte questo, vorrei solo aggiungere, per chi potesse interessare, che il primo paragrafo di questa storia è stato ispirato da una piccola storia zen (o quella che mi sembra di ricordare essere una storia zen):
Un uomo stava camminando nella foresta quando s'imbatté in una tigre. Fatto dietro-front precipitosamente, si mise a correre inseguito dalla belva. Giunse sull'orlo di un precipizio, ma per fortuna trovò da aggrapparsi al ramo sporgente di un albero.
Guardò in basso, e stava per lasciarsi cadere, quando vide sotto di sé un'altra tigre. Come se non bastasse, arrivarono due grossi topi, l'uno bianco e l'altro nero, che incominciarono a rodere il ramo.
Ancora poco e il ramo sarebbe precipitato.
Fu allora che l'uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola. Tenendosi con una sola mano, con l'altra staccò la fragola e la mangiò.
Com'era dolce!

E con questo, un saluto :).
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > The Elder Scroll Series / Vai alla pagina dell'autore: Hi Fis