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Autore: Tadako    24/07/2015    2 recensioni
Pioggia. Rumorosa e insistente cade sul terreno umido creando piccoli rivoli silenziosi.
Vento. Pieno di rabbia si scaglia contro case e alberi gridando col suo suono grottesco.
Fuoco. Avidamente si nutre del legno ormai ridotto in cenere, lottando contro la pioggia per sopravvivere.
Tre dei quattro elementi sfoggiano la loro potenza davanti a me. Solo il quarto sembra tranquillo, immobile mi avvolge i piedi nel fango ghiacciato quasi a consolarmi.
Tremo, ma non ho freddo. Non provo più nulla, non penso più a nulla.
Strigno compulsivamente il braccio di un orsacchiotto di peluches. Sul corto vestitino bianco il sangue scorre lento, diramandosi per il tessuto.
quando le ginocchia sbucciate entrano in contatto con il suolo smetto di vedere, e tutto diventa buio.
___
Cosa ne poteva sapere mia, la strana ragazza di un piccolo paesino, di quel che le sarebbe capitato...?
Chi è lei, da dove derivano i suoi poteri.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3- Ombre Nere

Il frenetico rumore delle rotaie riempie il pesante silenzio creatosi nella cabina, mentre dal finestrino scorre veloce un susseguirsi di alberi e case illuminate dalla bianca luce della luna.
Nonostante il buio riconosco subito il piccolo boschetto che sfila sotto il mio sguardo per poi allontanarsi col resto del paesaggio. Il luogo da dove tutto è iniziato, il luogo dove ho incontrato Matt.
Dal giorno più brutto sono passati un mese, dieci giorni e quattro ore. Un infinito periodo di pausa destinato a finire proprio in quel preciso momento.
Davanti a me il misterioso ragazzo sonnicchia comodamente sdraiato sullo schienale del proprio sedile. Dal giorno più brutto l'unico volto che ho avuto la forza di vedere è stato il suo: sempre presente, in ogni circostanza. Non mi ha mai lasciata sola.
Mi è stato vicino in ogni momento di ogni giornata. Quando ero triste, quando piangevo, quando urlavo... persino quando incolpavo lui stesso del mio dolore, a volte tirandogli anche qualche oggetto contro...
Le prime serate le avevamo trascorse nella casetta di legno abbandonata lontano dal resto del villaggio, accanto al focolare, in silenzio. Protetta da una grossa coperta rossa passavo le ore concentrata su quel misterioso viso illuminato dai bagliori del fuoco e cercavo di intuirne le emozioni, senza mai riuscirci. Capitava che lui voltando lo sguardo mi coglieva in flagrante a fissarlo, allora di scatto abbassavo la testa arrossendo.
Poi le cose lentamente cambiarono... cominciammo a uscire e a parlare. Parlare di ogni cosa, come due vecchi amici d'infanzia.
Gli confidai tutto: dal mio strano potere ai miei rapporti con le atre persone; degli scherzi, delle prese in giro, delle lacrime... e ogni volta la sua reazione non era altro che un sorriso e uno sguardo comprensivo, uno sguardo da cui non traspariva alcun tipo di giudizio nei miei confronti.
Era strano per me, non essere giudicata... 
Di lui non parlavamo molto, spesso tendeva a cambiare discorso quando gli chiedevo di qualche sua faccenda personale. Mi disse che era orfano, e che i suoi genitori lo avevano abbandonato davanti ad un'orfanotrofio accanto ad un ciondolo d'oro con dentro un pezzetto di carta bianco: l'unico oggetto che gli rimaneva delle sue origini. 
Della sua infanzia parlava sempre con allegria. Raccontava dei suoi amici, delle suore simpatiche che ogni tanto gli portavano qualche caramella di contrabbando, e di Anna... Anna era la bambina con cui aveva legato di più in quel posto, la sua migliore amica; ogni volta che la nominava gli occhi gli si riempivano di gioia e un genuino sorriso gli compariva sulle labbra.
Di quel che succedette dopo l'orfanotrofio non ne fece mai parola. 
Un giorno ebbi infine il coraggio di chiedergli la domanda che più mi interessava fargli.
-Perchè sei venuto da me...?- gli chiesi cogliendolo di sorpresa. Girò lo sguardo e rimase in silenzio per qualche istante, poi posato il coltello con cui stava ripulendo il pesce per la cena mi si avvicinò.
-Mi hai raccontato di avere un potere, di sentire delle voci... giusto?- cominciò così il suo discorso, e io annuii confusa. 
-Le altre persone ti hanno dato della matta e hanno rinnegato il tuo dono, ma solo perchè le persone hanno paura di qualsiasi cosa sia diversa dal loro ideale di normalità. Io invece sto per dirti quel che tu hai sempre saputo ma che non hai mai voluto ammettere, ciò che ti fa paura e ti fa sentire diversa. Mia, tu leggi nel pensiero.-
Poggiando la testa sul finestrino del treno rivango la reazione che ebbi a quelle parole, e capisco che alla fine non ne ero rimasta poi così sorpresa. Forse perchè, come aveva detto lui, già lo sapevo... 
Realizzo solo in quel momento che alla fine lui non aveva mai risposto alla mia domanda; il discorso di quel giorno si perse nella discussione del mio dono e del perchè per così tanto tempo non ero mai riuscita ad accettarlo. Ma quindi perchè lui era lì, perchè eravamo saliti su quel treno... 
-Che giorno è oggi?-
-Martedì, perchè?-
-Tra tre giorni facciamo i bagagli e partiamo.-
-Cosa?-
-Prenderemo il primo treno per la città.-
-Ma Perchè?!-
-Non hai più nulla per cui rimanere, e io devo andar via... vieni con me.-
-E dove?-
-Te l'ho detto, andiamo in città.-
Fu questo l'unico discorso che avemmo sull'argomento... Non ci fu altro da dire, presi le poche cose che avevo, le racchiusi in una piccola valigetta e partii abbandonando per sempre il luogo dove avevo trascorso tutta la mia vita. Non ebbi neanche la possibilità di salutare la mia vecchia casa, ormai sovrannominata come "casa del delitto" per la misteriosa strage avvenuta in essa. Per settimane la polizia circondava l'edificio ispezionandolo da cima a fondo, ma al momento l'unica possibile sospettata del duplice omicidio ero io: la pazza ragazzina del paese vista per l'ultima volta dalla preside della scuola dopo un duro rimprovero e sparita nel nulla subito dopo l'accaduto. Inoltre alcuni anziani di case più vicine testimoniavano di aver sentito delle mie acute grida la sera del giorno più brutto e la scientifica aveva rilevato le mie impronte sulla maniglia della porta.
Le prove non erano ovviamente sufficenti per incriminarmi, ma bastavano a far girare voci.
Per questo motivo non volli più tornare al villaggio, neanche per testimoniare la mia innocenza... di quel che pensavano gli altri non mi importava più di tanto.
-A cosa stai pensando?- mi chiede Matt interrompendo improvvisamente il mio susseguirsi di pensieri.
-A tante cose...- rispondo evasiva.
-Cose tristi immagino.- incrocio il mio sguardo col suo e realizzo che stava studiando la mia espressione... lo fa spesso, e ogni volta mi mette in serio imbarazzo. Riesce a capire come mi sento semplicemente guardandomi, al contrario per me le sue emozioni sono un gigantesco punto interrogativo.
-No...-
-... stai pensando al tuo paese? Ti dispiace così tanto lasciarlo?-
-Credimi, no.- esclamo questa volta sincera.
-Allora perchè sei malinconica.-
-Non sono malinconica!-
Mi guarda in silenzio. 
-Ma tu non stavi dormendo?-
-Ho il sonno leggero, e poi tra dieci minuti dovremmo essere arriva...-
Non fa in tempo a finire la frase che un assordande fracasso spezza l'aria e la cabina sobbalza come in preda ad un terremoto. Le luci si spengono e riaccendono ad intermittenza, poi tutto diventa buio. Un silenzio inquietante si impossessa dell'ambiente.
-M-Matt...?-
-Shh...- scorgo i suoi occhi verdi illuminati dalla luna scrutare furtivi l'ambiente. Un fruscio lo fa girare di scatto.
-Dobbiamo andarcene da qui...- bisbiglia. Non faccio in tempo a reagire che mi afferra per un polso e mi fa uscire dalla cabina. Ho paura. Il cuore mi batte come impazzito e l'unica cosa in grado di rassicurarmi è quella mano che mi stringe decisa trascinandomi verso il corridoio.
Un altro fruscio ci fa bloccare. 
-Informiamo i gentili passeggeri che il treno si è fermato a causa di un guasto al motore. Ci scusiamo per eventuali disagi e vi preghiamo di mantenere le vostre postazioni fino al riavvio del mezzo.- Un urlo spezza l'aria. Subito dopo si sente una porta sbattere con forza, poi silenzio.
-Sono nel quarto vagone, questo significa che non sanno dove siamo...- bisbiglia tastando una parete con le mani. -Bene.-
-D-di chi stai parlando... chi ha urlato?!- 
-Mia ascoltami... devo chiederti un favore, ed è molto importante che tu mi ascolti.- mi dice con decisione afferrandomi per le spalle. Il suo naso sfiora il mio.
-S-si...-
-Ho bisogno che tu sia coraggiosa. Farai tutto ciò che ti chiederò di fare, senza contestare nulla.-
-O-ok.- le sue parole mi intimoriscono ancora di più, ma so che posso fidarmi di lui e mi convinco che se faccio quel che dice andrà tutto bene. Non devo far altro che seguirlo cecamente.
-Bene. Ora ascolta, le porte del treno si aprono e si chiudono attraverso i pannelli di controllo posti ai due estremi del treno, quindi ci basterà raggiungerne uno per riuscire a fuggire. A giudicare dalle urla loro dovrebbero essere arrivati al quarto binario, questo significa che ai primi non avremo problemi, o almeno è meno probabile. Ora ci serve qualcosa di sottile e molto resistente per poter aprire la porta che ci divide dal primo vagone.-
Avrei voluto fare mille domande in quel momento. Chi c'era in quel treno? Cercavano forse noi? Avevano qualcosa in comune con gli uomini in nero visti nel bosco solo un mese prima?
Ma non ci penso, mi ripeto che la cosa più giusta da fare è aiutarlo in quel che sta facendo.
-Ci sono... ascolta, io torno un attimo in cabina, tu resta qui. Sarò il più veloce possibile.- Finisce di dire la frase mentre ripercorre la strada fatta poco prima e io rimango sola. Non devo lasciarmi sovraffarre dal panico. Devo rimanere concentrata. Decido di avvicinarmi alla porta che separa i due vagoni: è scorrevole e si apre e chiude elettricamente attraverso un tastino ormai privo di corrente. Dei passeggeri del treno nessuna traccia: probabilmente rimasti chiusi nelle loro cabine intimoriti dalle urla o intendi a seguire gli ordini del capotreno di rimanere ai propri posti.
Un dolore al fianco mi fa gridare.
In preda alla fitta mi accascio a terra portando subito le mani al punto dolorante. Un liquido denso mi bagna le dita mentre tasto la superficie di quella che sembra una lama metallica.
-Zitta.- mi sussurra una voce all'orecchio e immediatamente mi accorgo di una presenza dietro di me.
Non faccio in tempo a girarmi che una mano nera coperta da un guanto mi copre la bocca, impedendomi di respirare. Mi dimeno in preda al terrore ma la gigantesca figura dietro di me non mi lascia scampo. Le ginocchia mi tengono strette le gambe mentre un braccio spinge sul petto. Sento il suo respiro sulla fronte e un sottile sorriso risalta sullo sfondo nero.
Sono al limite delle mie energie. Le immagini diventano più opache. Mi manca l'aria. 
Un rumore di lama. La mano che lentamente perde pressione sul mio volto e il corpo esanime che si accascia su di me.
-Mia... Mia stai bene?!- Matt mi scuote ripetutamente subito dopo aver gettato via la gigantesca ombra.
-M-Matt...- bisbiglio tornando a vedere con lucidità. Mi stringe in un rassicurante abbraccio, poi sposta l'attenzione sulla ferita.
-Fortunatamente non ha colpito organi vitali, il taglio è solo superficiale.- Poi si alza e tirando via il coltelo dal corpo senza vita lo infila a lato della porta facendo leva e riuscendo ad aprirla.
-Svelta, ci stanno raggiungendo.- mi porge la mano e io la afferro senza pensarci. 
Cominciamo a correre fino al pannello centrale e, una volta forzata anche l'ultima porta, inizia a cercare la leva d'emergenza che avrebbe dovuto aprire tutte le porte del treno. Del macchinista nessuna traccia, doveva quindi trovarsi dall'altro capo del mezzo... 
Un altro urlo riempie l'aria, questa volta ben più vicino.
-Sono qui...- bisbiglio fissando il corridoio come in trans.
-Diamine, non c'è più tempo!- esclama il mio compagno. 
Non c'è più tempo. E' finita. Mi giro ad osservare Matt mentre ancora speranzoso preme tasti e abbassa tutte le leve che vede.
E' tranquillo, non sembra trasparire nessuna traccia di paura... sa che ormai non c'è più niente da fare, perchè anche se in un estremo atto di fortuna fosse riuscito ad aprire il treno, le ombre nere non ci avrebbero messo più di qualche secondo a raggiungerci; eppure non smette di cercare.
Due grosse mani mi arrivano alla bocca e l'urlo di spavento mi muore in gola. spalanco gli occhi cercando il mio compagno con lo sguardo mentre vengo trascinata verso il petto dell'ombra. 
-Stai ferma se vuoi vivere.- mi sussurra, poi un enorme mantello mi avvolge e perdo lucidità.
Il pavimento sembra smaterializzarsi. Non sento più niente, come dentro un sogno.
Dov'è Matt...


Spazio dell'autrice 

Salve cari lettori, eccomi qui con il terzo capitolo di questa assurda storia... perchè assurda? Semplicemente perchè ormai è chiaro che questo racconto non ha un genere. Nel primo capitolo poteva sembrare una commedia romantica mentre nel secondo già scendiamo nel drammatico, in questo infine entriamo direttamente nell'azione con una scenetta di fuga dei nostri due protagonisti.
Non so quanto possa piacere questo cambio di trama, io semplicemente scrivo quel che mi sento, senza programmare nulla, per questo ogni capitolo suscita emozioni diverse. Mi scuso quindi con voi per questi miei atti di follia.
Detto questo, passiamo ai ringraziamenti.
Ringrazio I Sogni di Elen per la creazione del banner. Ti amo <3
Un grazie anche a Sam27Sputafuoco e Persona22 per aver letto e recensito i primi due capitoli.
Infine grazie a tutti quelli che seguono questa storia e sono arrivati a leggere fino a questo punto.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, un bacio e alla prossima!

TK:3
  
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