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Autore: Melisandrethered    24/07/2015    3 recensioni
"Nei primi anni di scuola, eri i mio tormento: ti sognavo la notte, insieme a Snape, che facevate di tutto per far perdere punti a Grifondoro. Maledetti Serpeverde. Al quarto anno, ti odiavo compulsivamente. Ero certo che tu avessi messo il mio nome nel calice di fuoco per farmi ammazzare, e l’ho creduto fino a metà del quinto anno. Dove mi sono reso conto, a quanto io possa ricordare da un giorno all’altro, di quanto tu fossi sexy con la divisa, e quanto fossi provocante mentre mangiucchiavi distrattamente il bordo della tua piuma, in un gesto dettato dal nervosismo e che poi ti faceva sputacchiare qua e là. E poi, al sesto anno, mi sono reso conto che tu non eri solo un sogno. Eri IL sogno. Il sogno proibito. Eri la mia ossessione. "
4.569 parole, con il conteggio di Word. Scusatemi, non sono molto brava a riassumere le idee.
Enjoy!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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e fuori è buio

“Ti ricorderò in ogni gesto più imperfetto”

Ogni volta che ti sposti quel ciuffo ribelle di biondissimi capelli dal viso. Hai smesso di riempirli di gelatina, sai che non mi piace vedere i tuoi morbidi capelli tirati e apiccicati alla testa. Stai molto meglio con i capelli leggermente più scompigliati, e neanche in questo modo riesci a perdere quell’aura di perfezione che sembra incorniciare perfettamente ed in ogni secondo la tua figura.
Ricordo ancora i movimenti impacciati che compivi con la bacchetta il primo anno, anche se in quel frangente tu rimanevi comunque elegante, mentre io sembravo un criceto con le convulsioni.
Ogni tuo più piccolo gesto trasuda perfezione, raffinatezza ed eleganza da tutti i pori, ed infondo, è di questo che sa la tua pelle, ed è questo che i miei occhi hanno colto già dalla prima volta che si sono posati su di te: Eri, e sei ancora qualcosa di talmente perfetto, che sapevo che non mi sarebbe stato permesso neanche i parlarti. Eri, e sei ancora, troppo per me. È per questo che litighiamo sempre, o no? E questa volta, per la prima volta, tu sei uscito di casa, sotto la pioggia incessante di fine novembre, dopo l’ennesimo, maledetto litigio.

“Ogni sogno perso e ritrovato in un cassetto”

E ogni volta ce non ci sei, penso. Penso a tutti i nostri sogni, a tutti i miei, di sogni, che in un modo o nell’altro ti riguardano sempre. Nei primi anni di scuola, eri i mio tormento: ti sognavo la notte, insieme a Snape, che facevate di tutto per far perdere punti a Grifondoro. Maledetti Serpeverde. Al quarto anno, ti odiavo compulsivamente. Ero certo che tu avessi messo il mio nome nel calice di fuoco per farmi ammazzare, e l’ho creduto fino a metà del quinto anno. Dove mi sono reso conto, a quanto io possa ricordare da un giorno all’altro, di quanto tu fossi sexy con la divisa, e quanto fossi provocante mentre mangiucchiavi distrattamente il bordo della tua piuma, in un gesto dettato dal nervosismo e che poi ti faceva sputacchiare qua e là. E poi, al sesto anno, mi sono reso conto che tu non eri solo un sogno. Eri IL sogno. Il sogno proibito. Eri la mia ossessione. E i sogni di quelle notti, erano tutti incentrati su di te. In alcuni, sognavo di provocarti per farti sputare qualsiasi verità tu dovessi raccontarmi (perché, davvero, il veritaserum è un gioco troppo facile per uno come me, e tu questo lo sai bene), in altri, specie verso metà anno, sognavo di stringerti a me e di riempirti di baci e carezze. Altri invece, erano a sfondo decisamente erotico. Ma non te ne ho mai raccontato neanche uno. Sono segreti che ho sempre tenuto per me. E che rispolvero sempre quando mi sento triste, o solo. O quando litighiamo. Perché si, pensare a te mi rende felice. Tu, mi rendi felice. In ogni modo.

“In quelle giornate che passavano in un' ora”

Le lezioni di pozioni condivise da Grifondoro e Serpeverde. O le giornate passate in punizione insieme. Non potrò ai dimenticarne neanche una. Tutte le ore, i minuti, i secondi passati a guardarti, a guardare il tuo profilo aristocratico, ad essere intimorito dal tuo sguardo quando ti giravi e mi rivolgevi uno di quei sorrisi sghembi di chi sa. Perché tu sapevi. Hai sempre saputo. Sapevi di essere la mia ossessione, sapevi che pensavo a te giorno e notte, e la cosa, in maniera perversa, ti piaceva. Amavi il fatto che ti ammirassi, amavi ogni secondo che il mio sguardo si posava sulla tua pelle, ed ora tutto questo non è cambiato. Tu non sei cambiato. Ami ancora sentire i miei occhi bruciarti addosso, ami provocarmi con sguardi maliziosi. Ancora oggi, che Hogwarts è passata da un pezzo e non siamo più i bambini di undici anni sciocchi del primo anno, ne i ragazzi cresciuti troppo e troppo in fretta del settimo. Ora di anni ne abbiamo venticinque, abbiamo entrambi un lavoro, eppure ogni volta che i nostri occhi si incrociano  ti vedo sorridere come quando di anni ne avevi undici, o diciotto. Con quel maledetto sorriso a mezza bocca, la lingua tra i denti. Sai che mi fa impazzire. Mi sorridesti così anche nella foresta proibita, quando fummo messi in punizione. Ti eri accorto che inciampavo ogni tre passi e, maledetto, sapevi che succedeva perché ero troppo occupato a guardare te che non a prestare attenzione a dove mettere i piedi.

“E la tenerezza i tuoi capelli e le lenzuola”

E adesso, a venticinque anni, ancora mi fai quel sorriso sghembo sotto le lenzuola, la notte, prima di andare a dormire, per costringermi a donarti attenzioni anche se siamo entrambi stanchi morti. Ma il sorriso più bello è quello che i regali la domenica mattina, appena ti svegli. Sei un dormiglione, per questo mi sveglio sempre prima di te, e mi fermo sempre nel letto per ammirare la tua angelica bellezza. Con i capelli talmente biondi da sembrare bianchi, la pelle pallida come alabastro e le labbra sottili e rosse, sembri una delle donne-angelo di Dante o Petrarca. Peccato che hai un’importante appendice in più che decisamente non mi lascia catalogarti nella categoria delle donne. E poi, quel tuo caratterino! Sei rimasto sempre uguale, spocchioso e irritante per la maggior parte delle volte. Solo nei miei confronti e, sorprendentemente per tutti, in quelli dei Weasley sei cambiato. Sei il padrino di Hugo, e io quello di Rose, e ami quei due bambini alla follia. Forse, è questo che ti manca, è questo che io non posso darti e che tu vuoi. Un bambino.

“E no, non piangere che non sopporto le tue lacrime”

Piangi sempre, quando litighiamo. Non ti avrei mai creduto così sensibile. In due anni di convivenza, abbiamo litigato anche per le cose più stupide, tipo chi dovesse lavare i piatti a pranzo o dove dovessimo andare nel fine settimana. Ma le litigate vere, quelle he ti facevano sempre piangere, erano quelle che riguardavano il mio lavoro al dipartimento Auror. Tu avresti tanto voluto lavorarci, ma per colpa di quella maledetta guerra e dei tuoi stupidi genitori non hai mai potuto entrare a far parte di una squadra. Ti limiti ai lavori d’ufficio, eppure non te ne lamenti mai, perché riconosci colpe che in realtà non sono neanche le tue adempi ai tuoi dovere in silenzio, aiutando Hermione per quella sua lotta alla protezione degli elfi domestici.
Ma non è per gelosia che litighiamo, no. È per la lontananza. Hai sempre odiato il fatto che, per colpa delle missioni, io debba stare lontano da casa per settimane senza poterti inviare neanche un solo gufo. Ogni volta che torno ti ritrovo mal nutrito, con le occhiaie fin sotto le ginocchia, stanco e triste, ed appena mi vedi piangi, e gridi, mi accusi di averti abbandonato, e di aver preso parte a quella missione solo per allontanarmi da te e dal tuo difficile carattere. So che in realtà non pensi nulla di tutto questo. Ma la tua fragilità e il tuo shock post-traumatico dovuto alla guerra ti fanno sempre terrorizzare e pensare al peggio. Anche se sai che non ti abbandonerei mai, non così, neanche se volessi davvero abbandonarti, perché il mio animo da nobile crocerossina Grifondoro me lo impedirebbe. E ogni volta che ti vedo piangere così disperatamente qualcosa dentro di me si spezza, e sanguina, e fa maledettamente male. Tante volte ho pensato di abbandonare il lavoro da Auror per dedicarmi a te più tempo, ma me lo hai sempre impedito. Sai che amo il mio lavoro almeno quanto lo avresti amato tu, e non vuoi che io rinunci a fare quello che mi piace per un tuo capriccio in una delle tue crisi di panico.

“Non ci riuscirò mai”

La prima volta ce ti ho visto piangere è stato nel bagno dei prefetti, al sesto anno. Non potrò mai dimenticare quella scena. Hai alzato lo sguardo sullo specchio, e tramite quello specchio ho incrociato il tuo sguardo. E ci ho letto dolore, ansia, disperazione, paura…desiderio. Desiderio di essere salvato, di essere preso e portato via da quella famiglia che non ha fatto altro che comandarti e renderti frigido e spocchioso oltre ogni dire, che ti ha allontanato per anni anche solo dall’idea di avere una vita normale. Già da allora non riuscivo a sopportare il vederti piangere, e non lo sopporto adesso, e mai riuscirò a faro. Non mi abituerò mai a vedere i tuoi occhi grigi come argento resi liquidi da quelle maledette lacrime che premono per uscire e che tu non tenti neanche di fermare, per il troppo dolore che ti provocano.
Non mi abituerò mai alle tue guance rosse e rigate da strisce salate. Non mi abituerò mai a vederti tenere le ginocchia raccolte al petto, la testa tra esse, e la tua schiena scossa dai singhiozzi, accovacciato sempre a terra, accanto al letto, e sempre dal mio lato. Sempre.

“Perché se sei felice”

Perché quando sei felice, il mondo diventa un posto più confortevole dove vivere. Perché quando torni a casa dopo una giornata di lavoro e mi trovi in cucina, intento a preparare qualcosa da mangiare dato che tu, da bravo principe non sai cucinare, e ti lanci addosso a me e mi abbracci, e mi stampi un bacio sulle labbra, tutto cambia. E allora l’arrabbiatura che mi porto dietro dal lavoro sparisce, e ci sei solo tu, e tu, e tu, e solamente tu.


“Ogni sorriso è oro”

E quando mi sorridi. Dio santissimo. Quando stai piangendo, e io mi accovaccio accanto a te, e ti stringo una mano, mormorandoti parole dolci e confortanti all’orecchio, e tu alzi il viso e sorridi, col volto ancora un po’ bagnato e gli occhi rossi, e poi ti asciughi il viso, mi lanci le braccia al collo, mi stringe per qualche minuto e poi mi sorridi, prima di baciarmi. E il mio respiro, a quei particolari sorrisi, si mozza. Perché so di essere io l’unico vero motivo di quel sorriso, perché so che in quel sorriso c’è dentro tutto l’affetto che provi per me, perché so che è raro vederti sorridere, e invece con me lo fai spesso, anche dopo aver pianto, anche dopo che sono stato io il motivo della tua crisi, anche se il mondo stesse crollando a pezzi su di noi, tu mi sorrideresti e ti affideresti a me, tra le mie braccia, per lasciarti proteggere. Perché tu, Malfoy, sei sempre stato indifeso. Sempre. Hai sempre fatto il grande, il bambino che poteva e doveva sopravvivere nel mondo degli adulti, quando invece l’unica cosa che realmente volevi era qualcuno che ti proteggesse, qualcuno a cui affidarsi e con cui dividere quel peso che ti porti sulle spalle.

“E nella lontananza perdonandoti ti imploro”

Ma questa volta, non so se mi perdonerai. Non so se rivedrò mai più quel sorriso. L’ho combinata troppo, troppo grande per i tuoi gusti. Non sei mai, mai uscito di casa arrabbiato. Ma stavolta…per colpa di una missione, quella che mi ha permesso di diventare capo Auror, oltretutto, sono stato fuori oltre un mese, saltando anche il nostro anniversario di fidanzamento. Quando sono tornato a casa, stamattina, mi hai lanciato addosso ogni tipo di oggetto che sei riuscito a trovare lungo la strada verso la tua bacchetta, per poi lanciarmi qualche schiantesimo e un paio di maledizioni, gridandomi contro prima un’accusa di tradimento, e poi ammettendo la verità, in una crisi di panico, la stessa che ti ha portato a scappare di casa e ad intimarmi di non seguirti, o ti saresti ammazzato. Tu non volevi che io diventassi capo Auror. Perché se già come Auror avevo troppe mansioni per a tua fragile psiche, ora come capo ne avrò il doppio, e non sei sicuro di poterlo sopportare.

“E parlerà di te”

Ogni tua crisi di panico, mi parla di te. Perché parli tanto quando non sei in te. Perché al settimo anno, quando abbiamo cominciato ad avvicinarci, è stato proprio grazie ad una crisi di panico, quando sei caduto a terra, in bagno, davanti ai mei occhi, e gridavi, e piangevi, e mi hai afferrato per la camicia e tirato a terra accanto a te, cominciando ad urlarmi contro tutti i tuoi casini, tutto quello che non avevi mai mostrato a nessuno. E hai deciso di mostrarlo a me.
Dentro di me, so che hai fatto la scelta giusta…

“è solo che”

…è solo che…

“Che quando non ritorni ed è già tardi e fuori è buio”

…che ancora non sei tornato. Sei uscito di casa stamattina alle sei, ed ora solo le otto di sera. Di solito, da bravi inglesi, ceniamo alle cinque. Io non ho ancora mangiato oggi. Sono qui, appoggiato a questa finestra da stamattina, scrutando il vuoto in attesa di vederti. Chissà se tu invece hai mangiato. Se hai preso il nottetempo e sei tornato al Malfoy Manor, chiedendo asilo a tua madre, perché io non sono degno di te. Perché non so prendermi cura di te come vorresti e come dovrei fare.

“Non c'è una soluzione questa casa sa di te”

Eppure, e di questo ne sono sicuro, il Manor della tua famiglia non è e non è mai stata casa tua come lo è sempre stato questa. L’hai arredata tu, col tuo impeccabile gusto e dando fondo probabilmente a tutta la camera blindata dei Malfoy. Ogni mobile, ogni quadro, ogni disegno, parla di te.  Se mi concentro, posso sentire la scia del tuo profumo su entrambi i nostri cuscini, perché tanto dormi sempre sul mio e il tuo ti finisce tra le gambe, per non far urtare tra loro le tue ginocchia delicate. Osso sentire il tuo odore sul divano, sulla tua poltrona preferita, in bagno. Le poche volte che sono venuto al Manor, la casa sapeva solo di aria. Niente di tuo, ne di Narcissa, ne tantomeno di Lucius.

“E ascolterò i tuoi passi e ad ogni passo starò meglio”

Finalmente, ho deciso di alzarmi da qui per mettere qualcosa sotto i denti, e magari chiamare Ron, e salutare i bambini. Ogni passo che faccio, rimbomba qui dentro. Senza te, che chiacchieri, che riempi questo enorme vuoto che ho nel petto, che sei chiuso dentro quel tuo maledetto laboratorio di pozioni e ogni tanto fai esplodere qualcosa quando cerchi di inventare pozioni nuove.

“E ad ogni sguardo esterno perdo l'interesse
E questo fa paura”

Ho chiamato Ron ed Hermione, pensando per un istante di potermi concedere qualche minuto di spensieratezza. Ma così non è stato. Non li ho ascoltati per la metà del tempo, troppo immerso nei miei pensieri. Troppo intento ad aspettarti. Troppo preoccupato, per potermi interessare di qualsiasi altra cosa che non sia tu. Sono passati sette anni, Draco. Sette anni che stiamo insieme.
E mi sto rendendo conto che non posso vivere senza di te. E questo fa paura…

“Tanta paura”


“Paura di star bene
Di scegliere e sbagliare
Ma ciò che mi fa stare bene sei tu amore”

Non so cosa fare. Se uscire di casa, mobilitare una maledettissima squadra di Auror e venire a cercarti, se andare da Narcissa sperando di trovarti li o stare fermo qui ad attendere. Ma ho paura di sbagliare, sempre e comunque. Cosa vuoi, Draco? Devo attendere impotente o muovere il mondo per cercarti? Ti prego, torna a casa. Non fare idiozie.

“Ho collezionato esperienze da giganti”

In due anni di convivenza e sette di fidanzamento, ormai ho  imparato a conoscerti. Ho fatto errori, abbiamo fatto errori, e questo non ha fatto altro che farci crescere. Sia come amanti, prima, che come persone, poi.
Tutti i nostri litigi sono serviti a non farmi fare gli stessi errori, dai più banali come lasciare la tavoletta del bagno alzata (neanche fossi una donna, ti arrabbi come niente per questo dettaglio) al menzionare il nome di tuo padre, che odi come poche cose al mondo.
E poi, la prima volta che abbiamo fatto l’amore. È stata la mia prima volta in assoluto, e anche la tua. Ed è stata magnifica. L’esperienza al posto d’onore tra tutte, quella che ricorderò per sempre, quella che ora, in questo preciso momento, mi sta facendo piangere. Perché ho paura. Terrore. Abbiamo ripetuto questa stessa esperienza talmente tante volte che l’ho sempre data per scontata, ma adesso, ora che non so se la ripeteremo nuovamente, insieme, ora che non so se tu stia facendo questa stessa esperienza con qualcun altro…ho paura. Perché non voglio nessun’altro. Nessuno, oltre te.

“Ho collezionato figuracce e figuranti”

Oh, si. Quante volte sono andato a sbattere contro le colonne, prima ad Hogwarts e poi al ministero, solo per poterti guardare per qualche secondo?
E quante volte, alle interrogazioni di pozioni, perdevo punti perché non sapevo neanche riconoscere un ago di porcospino da uno di istrice? Ricordo che amavi le ore di pozioni, non solo perché ti piaceva la materia, ma anche e soprattutto perché ti facevo ridere. Era l’unico momento di svago che ti concedevi durante le giornate. Mi guardavi, in attesa che il mio calderone esplodesse nuovamente, o che Snape mi togliesse punti a caso, anche senza motivo. Eppure, se devo ammettere tutta la verità, alcune volte lo facevo apposta. Solo per vedere di nuovo quel tuo meraviglioso sorriso illuminarti il viso e riempire le mie giornate. E le mie notti.

“Ho passato tanti anni in una gabbia d' oro”

E non solo io, vero amore? Io, rinchiuso in una gabbia fatta di fama ed ipocrisia. Al secondo anno, tutti avevano paura di me, tutti credevano che io fossi l’erede di Salazar Serpeverde, eppure tutti continuavano ad acclamarmi come “il bambino sopravvissuto”. Non esisteva persona che non conoscesse il mio nome in tutto il mondo magico, tutti fingevano di amarmi quando in realtà, nessuno lo faceva davvero. Qualcuno mi odiava, per gelosia. Qualcuno aveva paura di me, credendo che fossi una mini-reincarnazione del signore oscuro. E tutti erano disposti a dare la mia vita pur di non vedere mai più Voldemort. E tu? Tu hai vissuto per anni chiuso dentro una casa, con entrambi i genitori mangiamorte perché troppo terrorizzati dal signore oscuro e troppo accecati dal loro essere purosangue, e la stirpe e tutta quella roba li per potersi ribellare e vivere normalmente, come qualsiasi altro mago con un briciolo di sanità mentale.

“Si forse bellissimo, ma sempre in gabbia ero”

Chiunque conoscesse il mio o il tuo nome nel mondo magico (quindi praticamente chiunque) credeva che noi fossimo fortunatissimi. Tu, cresciuto nello sfarzo, tra feste e ricchezza, nel to enorme Manor. Io, iniziato al mondo magico ad undici anni, senza un briciolo di conoscenza di tutto quello che l’essere un mago comporta, e già famoso. Senza aver realmente alzato neanche un dito. Per loro, tutto mi era dovuto. Gente che si prostrava ai miei piedi anche per strada. Che odio. Ho sempre odiato essere quella specie di supereroe che tutti credevano che io fossi. Non potevo, e non posso ancora vivere, senza qualche inviato della gazzetta del Profeta alle calcagna, senza qualcuno che mi chieda una foto o un autografo, per aver fatto cosa, poi? Per essere stato protetto dall’amore di mia madre. È lei il vero eroe, non io. E lo è Narcissa, che ha sempre cercato di proteggerti per quanto potesse essere nei suoi limiti, e lo è Molly, che mi ha accolto in casa sua come se fossi l’ennesimo dei suoi figli. Non io. Loro. E tu? Anche tu odiavi vivere al Manor. Una casa enorme, e vuota. Gli unici che avrebbero mai potuto farti compagnia erano quei dispotici elfi domestici al servizio della tua famiglia da generazioni, che ti odiavano come ti hanno sempre odiato tutti solo per il tuo cognome. Per gli altri, la nostra vita era bellissima. Per me, è bellissima solo ora. Ora che nessuno dei due vive nella propria gabbia dorata. Ora che viviamo in una piccola villetta di periferia, insieme, e torniamo a casa stanchi, ma col sorriso sulle labbra, solo perché sappiamo che a casa avremo qualcuno ad aspettarci, qualcuno che ci ama davvero, che ci chiederà come è andata la giornata e che ci massaggerà le spalle rigide.

“ora dipenderò sempre dalla tua allegria”

Ora, come prima, come sempre. Mi basta un solo sorriso, per riuscire ad essere felice. Anche se sono arrabbiato con chiunque. Anche se io e Ron abbiamo appena litigato per una missione da portare a termine. Anche se sono stanco, e stressato, vederti ridere o sorridere è la mia unica cura.

“Che dipenderà sempre solo dalla mia”

Dalla fine della guerra, tu dipendi da me in tutto e per tutto. Tutti sono convinti che tu abbia un carattere forte e deciso, ma nessuno sa che non è vero, è una bugia. Dopo tutti i traumi che la guerra ti ha causato, hai cominciato ad avere bisogno di un appoggio, di un sostegno che non sia solo Narcissa, di qualcuno che ti sopportasse, che ti rendesse felice, che ti sorprendesse, che ti facesse sentire amato quando tutt’attorno a te sentivi solo odio e disprezzo.
E sono fiero di dire che è solo per merito mio che sei riuscito ad andare avanti, a farti una carriera e a sorridere, sempre, per ogni cosa.

“Che parlerà di te
E parlerà di te”

Si, perché ogni mio sorriso, ed ogni tuo sorriso, parla di te, e solo di te.
È solo che…

“È solo che


Che quando non ritorni ed è già tardi e fuori è buio

…che ancora non sei tornato a casa, e le lacrime cominciano a cadere lente dal mio viso. In un secondo, tutti i ricordi più belli della nostra vita insieme mi scorrono davanti agli occhi, crudeli. Come a ricordarmi che per colpa di uno stupido errore mi stanno sfuggendo dalle mani, che non potrò mai più riviverli. E adesso, fuori dalla stessa finestra di stamattina, dove sono tornato a sedermi da poco, non vedo niente. Vedo solo le luci ei lampioni, sfocate un po’ dalla pioggia che batte incessante sui vetri, e un po’ dalle milioni di lacrime che mi appannano la vista. E poi, lo vedo. Una luce, una delle tante luci, si avvicina. È piccola, non illumina come le altre, ma per me è la luce più grande di tutte. In un secondo, sono fuori casa, scalzo, con addosso un paio di pantaloni della tuta e un maglione sformato della signora Weasley, e ti corro incontro, perché ti ho visto, perché so che sei tu, eppure, quando provo ad abbracciarti, mi allontani. Non vuoi vedermi. Giri il viso, rigato dalla pioggia e dalle lacrime che di sicuro stanno cadendo ininterrotte da stamattina, più pallido e scavato del solito, e rientri in casa, zuppo e tremante.

“Non c'è una soluzione questa casa sa di te”

E come i tuoi piedi toccano la moquette del salotto, il tuo odore, misto a quello della pioggia e dell’asfalto bagnato, esplode tutto intorno, stordendomi.

“E ascolterò i tuoi passi e ad ogni passo starò meglio”

Cominci a salire le scale, a passo lento e trascinato, come se ti facessero male tutti i muscoli del corpo, come se il gelo ti fosse entrato nelle ossa, e  tuoi passi rimbombano per tutta la casa. E io sono immobile, pietrificato nel corridoio, migliaia di pensieri che mi passano velocemente davanti agli occhi ma non riesco ad afferrarne neanche uno.

“E ad ogni sguardo esterno perdo l'interesse”

E poi, un lampo. Sei qui, sei tornato, e non posso lasciarti andare di nuovo. Devo afferrarti in qualche modo, perché gli altri non mi interessano, perché voglio solo te, amo solo te, con il tuo caratteraccio e con i tuoi sbalzi d’umore, con le crisi di panico e gli oggetti che finiamo sempre per rompere quando me li lanci contro e io non faccio nulla per attutire la loro caduta. Ti corro dietro, e ti afferro per un polso, strattonandoti per farti girare verso di me, e poi ti guardo, e…

“e tanto ti amo”

- ti amo-
Le uniche due parole che riescono ad uscire dalle mie labbra in questo momento, l’unica verità che non posso tenere ancora celata. Perché devi saperla, devo dirtela perché devi ricordarla.

“che per quegli occhi dolci posso solo stare male”

Ti giri, e mi guardi. E i tuoi occhi color argento mi carezzano, e questo vale più di mille parole. Perché so che quello sguardo significa che anche tu mi ami, ma la realtà, è che non so se vuoi restare con me, o se vuoi sparire. E dal modo compassionevole con cui mi guardi, non presagisco niente di buono.

“e quelle labbra prenderle e poi baciarle al sole”

In un momento di puro panico, prendo il tuo viso tra le mani, e lo accarezzo, premendo disperatamente le labbra sulle tue “perché”..

“so quanto fa male la mancanza di un sorriso
quando allontanandoci sparisce dal tuo viso”

Ma tu non hai mai sorriso. Ti sei solo spostato, e mi hai sussurrato scuse. Un semplice – mi dispiace..- soffiato a vuoto, per poi sparire di corsa su per le scale. E d’un tratto, capisco perché stai scivolando via. È solo perché..

“e fa paura
tanta paura
paura di star bene
di scegliere e sbagliare”

“ma ciò che mi fa stare bene ora sei tu amore”


Non puoi farlo. Non puoi.
Corro di sopra, con te, e ti vedo, indeciso su cosa fare, se prendere la porta e sparire o rimanere qui. Perché sai che le tue crisi diventano sempre più pesanti da sopportare, e hai paura di farmi soffrire se rimani, se resti per prenderti la tua felicità, hai paura di calpestare la mia. Ti prego, non prendere la scelta sbagliata.

“e fuori è buio”

Guardi fuori dalla finestra, e non vedi altro che pioggia, e la fioca luce dei lampioni. E sai che se te ne andrai, la tua vita e la mia saranno esattamente così. Buie, fredde. Vuote. Ti giri a guardarmi, e sicuramente non sono lo spettacolo migliore del mondo, con i capelli ancora più scompigliati del solito, gli ochiali storti sul viso, le lacrime che non smettono di uscire e le braccia protese verso di te, a cercare di salvarti, a cercare di salvarmi.

“ ma ci sei tu amore”

E in quel momento, appena mi guardi, mi guardi davvero, ti rendi conto di tutto. E lasci cadere a terra la valigia già mezza piena, e allunghi le braccia ad afferrare le mie, prima di cadere in ginocchio in una litania di scuse. E io mi inginocchio davanti a te, e ti prendo il viso tra le mani e comincio a baciarlo, a baciarti, a dirti che va tutto bene, che hai preso la scelta giusta, che ho bisogno di te. Perché si, per quanto tu possa essere fragile e per quanto tu possa avere bisogno di me, sono io quello che in realtà ha più bisogno di te. Perché sei l’unico che mi ha sempre visto per quello che sono, e non per quella maledetta etichetta. Perché sei quello di più vicino ad una famiglia che io abbia mai posseduto, e non sono pronto a lasciarla sgretolare di nuovo, come ventiquattro anni fa. E siamo qui, di nuovo, come tutte e volte che litighiamo, a terra, ai piedi del nostro letto, io che ti stringo e tu che piangi, e poi sorridi, e ti guardo, e finalmente, la vedo: quella luce, quel mio personalissimo sole che illumina la notte.

…“ e fuori è buio”

                                                                    Fine

   
 
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