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Autore: gingersnapped    24/07/2015    1 recensioni
“Respira. Quando non respiri, non pensi.”
Le sue parole l’avevano colpito. Quelle stesse parole, pronunciate dalla sua piccola bocca in un giorno assai lontano da quello, ma chiare come se le avesse pronunciate qualche istante prima, risuonavano nella testa di Hiccup. La ricordava ancora davanti a lui, i lunghi riccioli rossi che si muovevano con la lieve brezza del vento, l’arco (il suo arco) in mano, gli occhi acquamarina sorridenti. Sembrava così lontana in quel momento.
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ognuno di noi è dannato. Moriamo tra fiamme e fortuna.




Era sola. Si girò attorno, cercando di intravedere qualcosa tra la fitta foresta. Percepiva l’adrenalina nel sangue che la incitava a muoversi, ma non sapeva dove andare. Vagò per poco, in quel vuoto, prima di accorgersi di un fuoco fatuo poco distante da lei e non appena lo toccò, venne catapultata in un altro luogo.
“Merida, composta!”, le esclamò la madre, sgranando i grandi occhi castani in modo che avvertisse maggiormente il rimprovero ed esortandola a sedersi per bene, come lei le aveva insegnato. Lo sfarzoso abito verde che indossava sembrava frusciare ad ogni passo, finché si sedette nel trono accanto a quello del marito, incredibilmente grande e maestoso. E tutto trascorse velocemente, forse fin troppo, finché lei stessa non riconobbe quella figura possente che si ergeva fra tutte: Mor’du. Sua madre cacciò un urlo, mentre suo padre non perse tempo ad estrarre la spada ma purtroppo non era stato abbastanza veloce. Sua madre, i suoi fratelli e lei stessa erano intrappolati nelle mani dei nemici. Con un atto di forza che a lei parve in quel momento straordinario anche (e soprattutto) per lei stessa, si liberò dal quel nemico rovesciandolo con la sua stessa lancia e, spostando quella appena, colpì nella mano l’uomo accanto, nella cui mano teneva una spada. La prese al volo, e ne approfittò per colpire un terzo uomo davanti a lei. Sua madre le rivolgeva uno sguardo terrorizzato, mentre i suoi piccoli fratellini si guardavano attorno, i grandi occhi azzurri che non stavano fermi, non capendo esattamente cosa stesse succedendo. Suo padre aveva invece intrapreso un combattimento con un paio di guardie, mentre Mor’du guardava compiaciuto la sua gamba di legno, memoria dell’incontro precedente. Merida si soffermò a guardare quell’uomo, accorgendosi di avere la spada grondante di sangue e per questo la gettò a terra.
“Merida!”, urlò Elinor, gli occhi inondati dalle lacrime.



La rossa si risvegliò di soprassalto, gli occhi spalancati e la pelle imperlata di sudore. Si alzò da quel letto immediatamente, non riconoscendo a primo impatto quell’ambiente. Il soffitto troppo basso e quella camera troppo stretta non erano certamente suoi. Iniziò leggermente a rilassarsi quando riconobbe Rapunzel, in un letto poco distante dal suo, abbracciata ad una bambina, Emma, la sorella di Jack. Chiuse gli occhi, come se questo l’avrebbe riportata magicamente indietro nel tempo, nel suo palazzo. Nonostante sapesse che questo non avrebbe mai potuto funzionare, sembrò rimanere delusa. Doveva tornare là, dalla sua famiglia.


“Dove stai andando?”, chiese Hiccup, posando la matita e la pergamena. Merida, colpevole, si girò, non potendo evitare di maledirlo mentalmente per l’occasione.
“Sto tornando a casa, e tu?”
“Ritraggo Toothless”, rispose semplicemente lui, indicando il foglio e il falco che si trovava davanti a lui. Lei rimase stupita, fermandosi ad accarezzare l’uccello.
“Sei andato a prenderlo?”
“No, straordinariamente è venuto lui.”
“È proprio un uccello intelligente”, commentò Merida, sorridendo.
“Non puoi tornare a casa, lo sai questo, vero?”
La rossa poggiò i propri occhi a terra, fissi su un punto indistinto. La luna era estremamente luminosa nel cielo, quella notte, e non voleva che Hiccup le leggesse l’anima e capisse che non era così forte come voleva far pensare di essere.
“Ci devo tornare. Devo parlare con mio padre”, spiegò lei, certa che almeno lui avrebbe capito. Il moro sospirò profondamente, posando i suoi occhi verdi, parecchio malinconici quella sera, su di lei.
“Ti uccideranno se tornerai”, disse semplicemente.
“Hic, devo tentarci!”
“Anch’io devo parlare con Gobber e con mio padre, non credi?”, fece lui, sospirando ancora una volta. “E teoricamente anche con tuo padre, però quest’ultima chiacchierata potrebbe anche essere evitata”, aggiunse, riprendendo carta e penna.
“Per le armi?”, domandò Merida, curiosa.
“Per le armi”, confermò lui, continuando il disegno di Toothless. La principessa rimase in silenzio, guardando ora il falco, ora il ragazzo, e si accomodò negli scalini della porta accanto ad Hiccup.
“Ci sono stati..?, iniziò lei, ma l’artista le fece segno di rimanere in silenzio. Merida tese le orecchie, non riuscendo a percepire quasi nulla fin quando anche lei sentì un brusìo indistinto.
“Vai dentro”, le sussurrò Hiccup, tastando bene la spada al suo fianco, quasi per assicurarsi che fosse ancora lì.
“Non ti lascio da solo”, disse lei, corrucciandosi leggermente.
“Va’ dentro”, le ordinò lui, afferrandole le spalle. Era un tono che non ammetteva repliche e che nessuno, se non sua madre, aveva mai osato rivolgerle. E proprio per questo lo eseguì, sperando che quella notte passasse in fretta.



 
(Le gioie di una madre)




Jack si svegliò presto, quel giorno. Ancor più presto di quanto non fosse abituato. Ci mise davvero poco a capire che la principessa aveva cercato di squagliarsela ma che Hiccup l’aveva rispedita dentro, rimandando qualsiasi decisione al giorno successivo. Deciso a mantenere il silenzio in quella casa e a non disturbare l’amico che stava facendo la guardia, andò a controllare le condizioni della madre. Era davvero peggiorata in quegli ultimi giorni e Jack temeva ardentemente, anche se non l’avrebbe mai ammesso ad anima viva, che sarebbe morta presto, lasciando la piccola Emma in un momento così delicato. Così si avvicinò verso la camera della madre con lentezza spropositata, ben attento a non fare il benché minimo rumore ma sua madre se ne accorse lo stesso.
“Jack”, lo chiamò con appena un sussurro, cercando di mettersi composta. Visto che non aveva la forza necessaria neanche per quel gesto, se ne occupò Jack, alzandole il cuscino e facendo in modo che si potessero guardare nel viso. La luna era maledettamente luminosa nel cielo, quella notta, non impedendogli di vedere il volto della madre. Il ragazzo si stupiva ogni volta di constatare quanto la madre e la sorella fossero simili: il viso rotondo, paffuto, conferiva maggiore dolcezza, che era comunque ben visibile dai grandi e caldi occhi castani e dalle fossette che si formavano quando sorridevano. E Jack si sentiva tremendamente male quando osservava anche il corpo sciupato della madre, estremamente magro, o i pochi capelli rimasti a causa della malattia.
“Jack, ho sentito movimento ieri sera”, cominciò lei, sempre sussurrando, incapace di parlare ad una voce più alta, “hai portato qualche amico a casa?”, chiese, accompagnando la frase con un sorriso. Il brunetto ne abbozzò uno anche lui, pensando che la madre si preoccupava per lui come se fosse ancora un bambino e non del decorso della sua malattia.
“Sì mamma, ho portato giusto qualcuno. Avevano bisogno di protezione”, rispose lui, scostandole qualche ciuffo di capelli dalla fronte ed approfittandone per controllare se avesse la febbre.
“E non me li hai fatti conoscere?”, domandò lei, posando la mano ossuta sulla guancia del figlio.
“Pensavo fossi stanca”, bofonchiò lui cercando di eludere la domanda e quindi di dare la vera risposta.
“No, tesoro, la mamma sta bene”, fece lei, sorridendo. Fu lì che Jack si ritrasse dal contatto.
“No mamma, tu non stai bene”, disse lui, abbassando lo sguardo. La madre sgranò gli occhi castani, più grandi del normale, come se gli stesse rivelando una terribile verità. “Sei malata e stai per..”
“Jack, sto bene. Come non potrei stare bene con dei figli come te ed Emma?”
Il brunetto non rispose, soffermandosi più del dovuto a guardare il cielo che, dal blu scuro, stava diventando sempre più chiaro fino all’azzurro del primo mattino.
“Jack, lo so benissimo che me ne sto andando”, affermò lei, la voce non più un sussurro, quasi lo stesse rimproverando. “Mi piacerebbe conoscere questi tuoi amici. Devono essere importanti, se li hai portati qua”, disse poi sorridendo, con la voce di nuovo dolce.
“Certo mamma”, accordò lui, annuendo. “È quasi mattina, ti porto un bicchiere di latte adesso.”
“No Jack”, replicò lei, cercando di afferrargli il braccio visto che si stava alzando. Ma Jack sorrise.
“Hai bisogno di forze, mamma. Sono amici speciali.”



“Hai dei capelli bellissimi! E sono così lunghi!”, esclamò Emma quella mattina a Rapunzel, proprio mentre era impegnata ad intrecciarle i capelli. In realtà la sua prima scelta era stata Merida ma la ragazza aveva decisamente ostacolato tutti i tentativi della bambina nel legarle i capelli (arrivando perfino a scappare e a farsi inseguire dalla brunetta) e aveva finito per lavarseli e ritornare al suo riccio indomabile.
“Grazie”, fece di rimandò Rapunzel, sorridendo ampiamente. “Li lascio crescere da sempre ormai.”
“Sono davvero meravigliosi. Sembrano tanti fili d’oro!”, continuò ad elogiarla la bambina, armeggiando con quei capelli –immensi-.
“Ragazze”, le salutò Jack, entrando allegramente nella loro stanzetta, “e Hiccup”, aggiunse, abbozzando un sorriso all’artista che stava per approfittarsi di quel momento per recuperare il sonno perduto, “vi voglio presentare una persona”, disse, facendo segno di seguirlo.
“È lei?”, chiese Emma, prendendo la mano del fratello maggiore. Questo annuì, e i tre amici non poterono fare a meno di guardarsi confusi. Lo seguirono per un corridoio stretto e lungo, finché non si trovarono in una stanza abbastanza piccola, con un solo letto e una persona. Era innegabile non definirla madre di Jack e di Emma data la somiglianza.
“Jack, presentami i tuoi amici”, disse la signora, in un sussurro. Il brunetto annuì ma Hiccup lo precedette. Era cresciuto senza una madre, e in quel momento non capiva bene perché Jack avesse voluto nascondere la sua esistenza. Per anni era stato convinto che Jack fosse solo al mondo, senza più una famiglia, mentre nel giro di una notte aveva scoperto che aveva una sorella e una madre malata. Si sentiva in un certo modo tradito –era davvero la parola esatta?-. Credeva che nessuno meglio di Jack avrebbe potuto comprende la sofferenza della separazione dalla famiglia, comprendere lui, ma Jack provava una sofferenza del tutto diversa.
“Salve signora Overland, io sono Hiccup e sono..”
“Tu sei l’artista”, lo interruppe la donna, lo sguardo febbricitante. “Mio figlio parla spesso di te”, spiegò, facendo segno al moro di avvicinarsi per osservarlo meglio.
“Hai degli occhi splendidi, ragazzo mio, capaci di leggere il mondo.”
“Grazie”, sussurrò Hiccup, “spero di esserne davvero capace.”
“E lo sarai. Grandi progetti porterai a termine, uno più straordinario dell’altro. Non spaventarti delle perdite, però. Anche queste saranno spaventose”, confermò lei, sfiorandogli appena la guancia tempestata da lentiggini. Poi il suo sguardo cadde sulla bionda, in piedi accanto ad Emma.
“Io sono Rapunzel, invece”, disse la bionda rispondendo a quella muta richiesta e tendendo una mano verso la madre di Jack ed Emma. Anche per lei la donna riservò un caldo sorriso, arrivando ad accarezzarle le mani, come se gliele volesse scaldare.
“Rapunzel”, ripeté la donna, sorridendo tra sé e sé. “Sei più forte di quanto pensi, ragazza mia. Ti auguro di realizzare ogni tuo sogno.”
“Grazie mille, glielo auguro anche a lei.”
“I miei due sogni si sono già realizzati”, commentò lei, posando il suo sguardo su Jack ed Emma. Poi questo si spostò su Merida.
“Io sono..”, cominciò la ragazza, ma la donna aveva già iniziato a scuotere la testa.
“Morissi all’istante se non riuscissi a riconoscere un membro della famiglia reale”, disse, con quella sua voce così debole, “tu devi essere Merida.”
“Sissignora”, confermò la rossa, avvicinandosi alla signora per vederla e farsi vedere meglio. Questa reclinò la testa a destra e a sinistra, come se la stesse studiando.
“Spero proprio che riuscirai a salvare il regno”, sospirò la donna, come se fosse estremamente stanca al punto che Emma le si avvicinò.
“Morirò tra le fiamme se non ucciderò Mor’du personalmente”, disse Merida duramente, ma la madre di Jack sorrise, come se stesse parlando ad una bambina.
“Quando il sangue bolle l’anima incita la lingua ad esprimere voti sacri e pericolosi. Fuochi fatui, bambina, che emettono più luce che calore, che sono già svaniti non appena pronunciati.”
Vedendo le sopracciglia ramate della principessa aggrottarsi, confuse, si affrettò ad aggiungere: “Non mi aspetto che tu capisca questo subito, ma non sempre va come noi vogliamo. Ognuno di noi è dannato, moriamo tra fiamme e fortuna.”
Merida non replicò, non volendo iniziare una discussione con una donna chiaramente malata e debole.
“Sono davvero contenta di avervi visto”, disse la donna, “adesso so che i miei bambini sono in mani sicure.”
E detto questo, i suoi occhi si chiusero.



 
(La morte. Suonava così maestosa)




Fu straziante rimanere là. Si guardò le mani che la donna prima aveva toccato, accarezzato come se ne conoscesse davvero il grande potenziale sicuramente meglio di lei. Le veniva voglia di piangere. Aveva sofferto, studiato per imparare a curare, a far continuare a vivere eppure l’unica cosa che aveva visto da quando aveva abbandonato la casa del Genio era stata la morte. Era dura fare i conti con questa entità che sembrava controllare le loro vite meglio ancora del destino. La morte. Suonava così maestosa. Chiuse gli occhi verdi, come se volesse ignorare quella scena che era rimasta impressa, comunque, nella sua mente. Poteva ancora vedere la sagoma di Jack fiondarsi sulla madre, abbracciandola, cercando di aiutarla, mentre Merida si era avvicinata quel tanto che bastava ad Emma per tenerla lontana dal corpo della madre. Hiccup aveva guardato insistentemente Jack, come se stesse cercando di fargli capire che ormai era tutto inutile. E lei continuava a rimanere immobile, cercando di estraniarsi da tutto questo dolore, da tutta questa sofferenza. Ma più semplicemente non poteva. Ed in quel momento, comprese perfettamente le parole di Hiccup qualche mese prima.
“Come fai?”, gli chiese Merida, guardandolo con aria accusatrice. Gli occhi acquamarina sembravano ardere del più gelido dei fuochi.
“Cosa?”
“Un uomo è morto e tu sei impassibile. Come fai?”, ripeté.
“Quell’uomo sarebbe morto lo stesso. Forse non oggi, ma un domani sarebbe morto, e nessuno di noi avrebbe potuto far niente lo stesso”, spiegò Hiccup, rivolgendo uno sguardo di riguardo alla bionda, che si era appoggiata alla spalla di Jack.
“Ma è pur sempre un uomo!”
“Cambierebbe qualcosa forse?”

Il Genio gliel’aveva spiegato, ma non le era mai stato chiaro fino a quel momento. Tutti loro erano immersi in un cerchio e tutti loro sarebbero morti, prima o poi. E questo era il momento della signora Overland. Pertanto Rapunzel decise di incanalare quella sofferenza in sé. Aprì gli occhi e andò ad abbracciare Jack ed Emma, lasciando che il loro dolore diventasse anche il suo dolore.


 
(Riunioni)




“Dove potrà essere finita?”, domandò Fergus, guardando intensamente quella mappa procurata prontamente da Gobber. Questo si limitò a fissarlo, toccandosi di tanto in tanto i lunghi baffi intrecciati, senza dire una parola. Stoick si avvicinò anche lui a guardare quella mappa della città, come se vi fosse scritto il luogo in cui si trovava la principessa in quel momento.
“Almeno sappiamo che non è stata catturata dal nemico”, disse il comandante delle guardie, sollevato. Fergus levò gli occhi acquamarina, dello stesso colore della figlia, al cielo. “Speriamo.”
“Se fosse stata catturata lo sapremmo. Mor’du se ne vanterebbe”, lo confortò quello. Il re annuì, come se non ne fosse pienamente convinto, poi si rivolse a Gobber. “Avevi detto che qui avevi un sacco di armi.”
Gobber alzò la mano –e anche la protesi- in aria, come a volersi dichiarare innocente. “Ce le avevo. Hiccup le avrà portate via”, cercò di giustificarsi.
“Perché quel ragazzo non ne combina una giusta?”, chiese Stoick sospirando. Loro avrebbero potuto utilizzare quelle armi, che ne avrebbe fatto invece Hiccup? Ma Fergus non sembrava così arrabbiato.
“Quanto vorrei avere quell’artista qui davanti!”, esclamò.
“Anch’io. Gli darei una bella stringata”, commentò Stoick, mentre Gobber si versava elegantemente un bicchiere di birra.
“Cosa? No!”, fece Fergus, guardando l’amico. “Gli parlerei delle armi. Devo solo espugnare il castello e poi la guerra potrà iniziare.”
“La guerra è già iniziata, Fergus”, disse Gobber, versandosi un altro bicchiere.
“Non ad armi pari.”
“Ci serve trovare solo Merida ed Hiccup”, disse Stoick, sospirando tristemente, ma Gobber sorrise. “So chi ci può riuscire.”



“Io non mi sono allenata per questo!”, esclamò Astrid, in risposta alla proposta di Gobber che la guardava come se da lei si aspettasse una risposta del genere.
“Già, e poi perché lo dovremmo fare?”, chiese Snotlout, svogliato, sbadigliando sonoramente. “Insomma, sono fuggiti di loro spontanea volontà. Non sono stati rapiti o cose del genere. Se ne sono andati. Io non vorrei essere trovato se fuggissi.”
“Poi sono solo due persone. Passano inosservate, solo due persone”, si aggregò Fishlegs, annuendo rivolto agli altri compagni.
“Non sono due persone! Sono quattro!”, gracchiò l’insegnante. Alla vista dello sguardo interrogativo degli allievi aggiunse: “Si tratta di Jack e di Rapunzel. Quattro persone non passano inosservate, specialmente per i capelli delle due fanciulle. E adesso, andate a cercarli!”
“Non ci penso nemmeno”, dissero in coro i due gemelli Ruffnut e Tuffnut, facendo roteare gli occhi al cielo al maestro. Era costretto ad affidare quella missione a loro: i nobili erano troppo occupati a difendere i loro possedimenti e Aster sembrava sparito, volatilizzato nel nulla.
“Sentitemi babbei”, tentò di persuaderli ancora il vecchio maestro ma venne interrotto da Stoick.
“Sentite, lo so che dopo il vostro addestramento andare a recuperare la principessa sembra una perdita di tempo, ma non lo è. Ne va della salvezza di Dunbroch. Avete fatto un voto, avete consacrato la vostra vita alla nazione. E ora il vostro re vi ordina di trovare la principessa”, disse il comandante delle guardie, camminando tra di loro. “E voi lo farete”, aggiunse, con un tono che non ammetteva repliche, fermandosi a guardare Astrid.
“Tu non sei il nostro re”, disse Ruffnut, ricevendo proprio un’occhiataccia da Astrid ma Stoick sorrise beffardo.
“Hai ragione. Io non lo sono, lui sì”, e indicò un punto imprecisato alle sue spalle dove comparve Fergus. Tutti s’inchinarono, senza nessuna eccezione. L’unica a parlare fu Astrid.
“Giuro che troverò sua figlia, sire”, disse, assottigliando gli occhi, ghiaccio puro incastonato.


 
(Scelta)




Jack si soffermò a guardare ognuno di loro, ringraziandoli mentalmente della loro presenza. Sua sorella si era già addormentata da tempo e lui li aveva chiamati a parlare in cucina a notte tarda. Poteva ben notare come Rapunzel lo guardava, come se dovesse crollare e perdere il controllo un’altra volta –cosa che, comunque, non sarebbe accaduta-, o Hiccup, che fingeva di fare altro mentre aspettava pazientemente che il brunetto si prendesse tutto il tempo necessario per dire ciò che aveva da dire. Merida, invece, sembrava immersa nei suoi pensieri, toccandosi di tanto in tanto la collana con lo stemma della sua famiglia. Gli dispiaceva, gli doleva dire quello che stava per dire, eppure non c’era altra soluzione.
“Vi lascio”, disse Jack, dopo quella che sembrava un’eternità. Tre paia di occhi puntarono la loro attenzione su di lui, anche più del dovuto. “Scusatemi, ma dopo..”, qui si fermò, sentendo un fastidiosissimo groppo alla gola, “dopo quello che è successo, non me la sento di lasciare Emma.”
Rapunzel annuì, mentre Hiccup rimase in silenzio. Solo Merida non riusciva a capire.
“Perché?”, chiese, la voce un sussurro. Jack la guardò di rimando, come se lui non riuscisse a capirla.
“Non voglio trascinare mia sorella all’inferno”, rispose il ragazzo, evitando di aggiungere per te.
“Ma c’è solo un inferno, e noi ci viviamo. Rimanere qua con tua sorella o portarla in viaggio non cambierà niente. Forse avrà una speranza in più di sopravvivere”, disse la rossa, cercando con gli occhi l’appoggio degli altri due. Jack si fermò un attimo a riflettere e Rapunzel ne approfittò per posargli una mano sopra la sua e gli sorrise.
“Non sarai solo a proteggerla, ci saremo anche noi.”
Ma Hiccup non era d’accordo. Anche se nella sua mente accusava Jack di avergli mentito, rimaneva sempre una delle persone a cui voleva più bene al mondo. “È vero”, disse cauto, ricevendo prontamente un sorriso dalle due ragazze, “ma portandola con noi la esporresti a più pericoli”, aggiunse, ritrovandosi due paia di occhi terrorizzati –ovviamente quelli di Jack e di Rapunzel, e un paio che lo guardavano con astio. 
“Certo, ma qui continueresti a non poter tenere d’occhio Emma sempre. Ci saranno sempre quelle volte in cui dovrai uscire per il cibo, o per controllare la situazione”, replicò Merida.
Jack chiuse gli occhi, sforzandosi di pensare lucidamente. Avevano ragione entrambi, purtroppo. Viaggiando con loro (a che scopo poi? Sarebbero riusciti semplicemente in quattro a sconfiggere un’intera nazione militare come Drachma?) avrebbe esposto sua sorella, che adesso costituiva tutta la sua famiglia, a continui pericoli uno dopo l’altro. E loro quattro sarebbero riusciti ad evitarli tutti? Contando che un pazzo voleva uccidere a tutti i costi la principessa? Rimanendo a casa, invece, avrebbe potuto sorvegliare meglio la sorella, uscendo solo per rubare qualcosa di indispensabile. Ma in quei momenti sua sorella, la sua curiosa sorella, sarebbe rimasta a casa senza fare alcun rumore? E se fosse uscito e non l’avesse più trovata? Magari andando in viaggio avrebbe potuto prestarle attenzione Rapunzel, compensando così quelle attenzioni femminili che lui non era in grado di darle. Ma se per sfortuna –visto che la fortuna sembrava essersi dimenticata di loro- fossero stati catturati? Potevano ricongiungersi semplicemente con i genitori, sperando che la loro fine non fosse troppo dolorosa.



“Cosa stai facendo?”, domandò Hiccup, rimproverando la ragazza dai capelli rossi.
“Sto cercando di aiutare un amico!”, rispose lei, offesa dal comportamento del ragazzo.
“No! Io sto cercando di aiutare un amico. Tu gli stai semplicemente proponendo di andare a morire con sua sorella!”
“Credi che stia facendo questo?”, chiese lei, sgranando gli occhi acquamarina che erano diventati pericolosamente gelidi. “Pensi che vi stia mandando tutti a morire?”
Hiccup indietreggiò, capendo di aver detto qualcosa di sbagliato. “Io non intendevo questo.”
“Gli ho dato una possibilità. O protegge da solo Emma, o la proteggiamo tutti quanti.”
“No, non è così semplice. Non si tratta di proteggere, si tratta di sopravvivere”, replicò Hiccup.
“E risolveremo ogni problema quando si presenterà!”
“Perché metti in discussione sempre tutto?”
“Parli tu che metti in discussione il punto e anche la virgola!”
“Che succede, ragazzi?”
Ad interromperli fu Emma, che faceva capolino dalla finestra sotto la quale i due si erano messi a discutere. La brunetta li guardava preoccupati, stropicciandosi gli occhi –evidentemente avevano disturbato il suo sonno- ma comunque rivolgeva ai due ragazzi un dolce sorriso.
“Sta’ tranquilla Emma, torna a dormire”, disse semplicemente Hiccup, abbassando la testa.
“Emma”, la chiamò Merida, utilizzando il tono di voce che utilizzava con i suoi fratelli, “stiamo parlando di una scelta che deve fare tuo fratello”, le rivelò e sentì immediatamente gli occhi dell’artista posarsi su di lui. “Magari tu puoi aiutarlo a decidere.”
La bambina annuì. “Di cosa si tratta?”
“Della vostra vita.”



Astrid stava perdendo la calma. Era tutto il giorno che cercava la principessa ed Hiccup, ma non era per questo che stava perdendo la calma. Era la compagnia. Sfortunatamente, il comandante Stoick le aveva ordinato di eseguire quella ricerca di gruppo ma sinceramente le sembrava di perdere del tempo prezioso. Era evidente che il capitano delle guardie non sapesse come si destreggiava con la sua ascia a bipenne se le aveva dato quel compito. Si fermò ancora una volta, aspettando che i suoi compagni si sbrigassero e si fermò a guardarli. A parte Snotlout erano tutti dei pessimi lottatori, e Snotlout non era nemmeno migliore di lei. I due gemelli Ruffnut e Tuffnut stavano –nuovamente- litigando, mentre Fishlegs aveva il fiatone non essendo abituato a camminare per così tanto tempo. E Snotlout invece sembrava troppo occupato a cercare di far colpo su di lei piuttosto che svolgere quella missione.
“Sono circondata da un branco di idioti”, commentò la bionda, voltandosi disgustata e riprendendo la sua spedita camminata.
“Cosa hai detto, Astrid?”, chiese Snotlout, sorridendo amabilmente. La ragazza strinse i suoi occhi glaciali.
“Niente”, disse semplicemente, sperando ardentemente di trovare il prima possibile Merida e Hiccup.
“Hai coinvolto una bambina!”, esclamò qualcuno, poco distante da dove erano loro.
“Aveva il diritto di sapere. La scelta riguarda anche lei”, disse di rimando una voce femminile.
“E va bene. Hai vinto”, fece l’altro in segno di resa, alzando pure le mani in alto. Astrid si avvicinò leggermente, attenta a non far rumore e riconoscendo le due figure. Era impossibile non riconoscere, anche nella notte, i capelli della principessa.
“Cosa? Non è un gioco, Hic. Voglio che Jack venga con noi, voglio che non muoia di solitudine cercando di salvare sua sorella. Io voglio aiutarlo. È questo che fanno gli amici. Perché tu lo vuoi tenere lontano, invece?”
La bionda ringraziò mentalmente Odino per aver realizzato il suo desiderio e fece segno agli altri di seguirla ma purtroppo non furono così silenziosi come lei sperava. Infatti, prima che il moro potesse dare anche una sola risposta alla principessa, i due interlocutori si girarono verso la fonte del rumore l’uno con la spada e l’altra con l’arco.
“Chi va là?”, chiese Merida, con un tono irato (più per la conversazione che per incutere timore). Astrid si fece avanti lentamente, le mani in aria e ben attente a non sfiorare neanche casualmente la sua arma. Aveva già avuto prova della bravura della principessa a combattere.
“Principessa, vostro padre mi manda a chiamarvi.”

 
(Nel frattempo, a palazzo)




Era buio, e faceva freddo. La donna pregò tutti gli dei in cui credeva affinché i suoi figli non fossero in quella stessa situazione in cui si trovava lei. Strinse ancora di più le mani nelle sbarre, mani che erano pure legate con le manette, fino a far diventare le nocchie bianche. Le veniva voglia di piangere, vista la situazione. Un forte rumore la destò, inducendola ad andare verso l’angolo più remoto della sua cella. Sentì altri passi, pesanti, strascicati, finché questi non si fermarono proprio davanti alla sua cella.
“Sua maestà”, disse una voce roca, profonda, quasi ferina e fintamente cortese, “sono venuto a parlarle. Sono alquanto dispiaciuto per il modo in cui l’hanno trattata. Ho saputo che non ha ricevuto nemmeno i pasti quindi ho provveduto a portarvene personalmente.”
L’uomo aprì la cella, porgendole un vassoio pieno di leccornie proprio davanti a lei. Elinor osservò tutto attentamente, senza toccare nulla, e posò i suoi occhi sull’uomo.
“Cosa vuoi, Mor’du?”, domandò, sprezzante, mentre l’uomo rideva, accarezzandosi la folta barba bruna.
“Da te niente, mia cara”, rispose, continuando a guardarla dall’alto con un sorriso compiaciuto.
“Credi di essere migliore di me, vero?”, chiese lei, con astio. “Io sono una donna libera!”
“Una donna libera?”, ripeté Mor’du, beffeggiandola, soffermandosi sulle manette e aprendo le mani ad indicare l’intera cella.
“Anche se sono una prigioniera rimango una donna libera”, rispose Elinor. “Anche se ho queste”, disse, alzando i polsi dove le manette di ferro avevano già fatto i propri segni sulla pelle rosea della sovrana, “continuo ad essere una donna libera!”
“Sei mia prigioniera!”, urlò l’uomo, perdendo la calma. “Sei mia prigioniera, sei imprigionata qui, non hai alcuna libertà, non puoi essere una donna libera. Questo vuol dire essere prigioniera.”
“E tu cosa sei?”, lo provocò Elinor, ricevendo un sonoro schiaffo da quell’uomo.
“Prendete quel vassoio”, ordinò Mor’du, irato. “E chiudete nuovamente questa cella. Sua maestà la regina non riceverà più niente da noi.”



Ciao a tutti e buone vacanze! La maturità non mi ha ucciso e io sono ritornata a scrivere solo adesso perché onestamente sono una persona stanca e annoiata dalla vita che non trova l'ispirazione in qualcosa che tra l'altro è semplicemente nella mia testa. Scusate il ritardo e spero che vi godiate il capitolo. Buona lettura
dalla vostra gingersnapped
 
   
 
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