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Autore: Tomi Dark angel    25/07/2015    8 recensioni
STEREK.
Tratto dalla storia: "-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-La... la camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-"
Stiles Stilinski sparisce per tre anni. Per tre anni tutti lo credono morto, per tre anni di lui non si hanno notizie. Quando però riappare, non è più lo stesso. Di lui non resta che una creatura nuova, un incubo talmente orrendo che anche Beacon Hills teme di accogliere.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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“Coloro che sognano di notte
Nei polverosi recessi delle loro menti,
Si svegliano di giorno per scoprire la vanità di quelle immagini:
Ma coloro i quali sognano di giorno, son pericolosi,
Perché possono vivere i loro sogni a occhi aperti
E renderli possibili.”
 
È bizzarro il modo in cui il mondo gira. Nel suo lento percorso intorno al sole, esso lascia che accadano i fatti più impensabili e resta a guardare, fissando come medico inquisitore ciò che accade ai suoi figli più cari. Alcune maledizioni si trasformano in benedizioni e viceversa, ma quando diventa impossibile distinguere i due aspetti, quando bene e male si mescolano e tutto diventa grigio… come è giusto reagire?
Questo, Stiles Stilinski non lo sa.
Specie in questo momento, mentre si specchia nei grandi occhi chiari di suo padre, dove il riflesso di un ragazzo ancora giovane e felice di vivere si confonde col suo, ibrido e dagli occhi stanchi.
Non avrebbe dovuto incontrare suo padre. Non avrebbe dovuto incontrare nessuna delle persone lì presenti, eppure qualcosa è cambiato. Hanno portato Melissa e lo Sceriffo da lui, hanno fatto in modo che si incontrassero, e questo Stiles lo capisce dallo sguardo colpevole di Scott, che al suo migliore amico sa nascondere meno di niente.
-Stiles…- esala lo Sceriffo Stilinski, incredulo e con le gambe tremanti. Tende una mano, stiracchia le dita verso un figlio che credeva d’aver perso, un figlio che troppe volte ha sognato e visto nelle più chiare allucinazioni. Stenta a credere che Stiles sia reale, ma se così non fosse, non avrebbe modo di spiegarsi le strane zampe da canide e la coda chilometrica dalla punta d’acciaio che adesso fende l’aria nervosa, così come farebbe l’arto di un felino.
Stiles vacilla, le gambe improvvisamente molli. Derek non lo sostiene ma appoggia una mano sulla base della schiena, infondendogli il suo calore e la sua sicurezza. Stiles avverte la sua presenza, il respiro pallido che ha accanto, la dolcezza di un tocco rassicurante e gentile sulla pelle. Si sente meglio con Derek accanto, ma appena guarda gli occhi lucidi di suo padre e di Melissa e si specchia in essi… non è più tanto sicuro di star bene.
Cosa può dire la pallida ombra di un figlio al padre che crede di aver ritrovato quella parte di sé troppo a lungo creduta dispersa? Cosa può dire un dannato a un vivo puro e sincero come l’uomo che per anni ha rischiato la vita per ciò che credeva più giusto?
Stiles non vuole che suo padre lo ricordi così, ibrido e stanco di sopravvivere. Non vuole che dimentichi il suo sorriso, il colore sul suo volto che adesso è sostituito da un pallore mortale tinto appena di evanescenti riflessi rossi e oro.
-Mio figlio…- sussurra lo sceriffo mentre oltrepassa Melissa con cautela, come se temesse di veder sparire Stiles da un momento all’altro. Non sbatte le palpebre, ma calde lacrime di cristallo scendono lungo il viso stanco ed emaciato di quello che una volta era un uomo forte e ben piazzato.
Stiles muore dentro quando nota i veri cambiamenti che egli stesso ha apportato al padre. Non l’ha mai visto così vecchio, così esausto, come un cadavere che si trascina invano sulla strada di una vita che non lo accetta più. Di chi è la colpa? Stiles crede di conoscere la risposta, ma rifiuta di accettarla davvero.
Non dovrebbe neanche tentare d’accostarsi al padre, ora che vede in che stato l’ha ridotto. Non dovrebbe toccarlo, abbracciarlo, scoppiargli a piangere sulla spalla. Eppure lo fa, perché alla fine di tutto, Stiles è solo un ragazzo.
Lascia che lo Sceriffo corra da lui, lascia che gli avvolga le braccia intorno ai fianchi e gli baci ripetutamente i capelli e le tempie. Stiles riesce a sentire il tremito del suo corpo, il profumo tanto agognato che per lui sa di casa, di famiglia, di tempi felici che vedevano un ragazzino sereno e sorridente ficcare il naso tra un’indagine di polizia e l’altra. Stiles credeva d’averlo perduto, eppure eccolo lì: ha ancora un padre e nemmeno riesce a crederci.
-Mio figlio… mio figlio…-
Lo Sceriffo mormora quelle parole come un mantra benefico mentre calde lacrime bagnano la pelle di Stiles, che dolcemente ricambia la stretta e… scoppia in lacrime a sua volta.
Non sa perché lo fa, ma succede. È come trovare un vecchio e caldo rifugio dopo lunghi anni d’agonia trascorsi nel gelo del dolore e delle intemperie. Stiles sente quel tepore entrargli nelle ossa e nella mente, ed è bello perché tutto questo sa di ricordi, di pace. Rivede la sua casa, i vecchi istanti vissuti con suo padre, le risate e i litigi. Finanche il più brutto dei momenti trascorsi con lui non appare più così tragico perché erano insieme, ed erano una famiglia. Forse, lo sono ancora.
In memoria di quegli stessi ricordi, eternamente infangati dal dolore di tre anni trascorsi all’Inferno e della sofferenza che mai è riuscito a sfogare liberamente, Stiles piange. Singhiozza forte, aggrappato alla camicia di suo padre, espellendo in lacrime tutti gli incubi vissuti nell’ultimo e più profondo girone dell’Inferno, laddove un figlio pregava per il padre mentre il padre stesso impazziva di dolore.
Al solo pensiero di tutto ciò che ha vissuto e superato, Stiles si sente male: realizza improvvisamente e a piena coscienza la sua situazione, le sue esperienze. Adesso che è tra le braccia di suo padre, al sicuro e protetto dal mondo intero, Stiles può fermarsi un momento per ragionare davvero su quanto gli hanno tolto ingiustamente.
Ha patito l’Inferno, ed è stata sua madre a spedircelo.
Ha sofferto torture indicibili e non ha mai implorato pietà.
Ha abbandonato la sua famiglia, la sua casa, i suoi amici.
Lo hanno ucciso. Stiles è morto, e solo ora concepisce questo macabro pensiero. È ancora un ragazzo, ha vissuto poco; eppure, conosce già il gelido respiro della morte, ha già sperimentato cosa significhi ascoltare gli ultimi battiti di vita. Queste cose, un ragazzino non dovrebbe saperle. Le uniche preoccupazioni di uno della sua età dovrebbero essere scuola e ragazze, nulla di più.
Invece sulle sue spalle ricade il peso di una guerra antica più dell’universo e il destino di un pianeta che ha tutta l’intenzione di difendere. Ha sfidato Dio e Satana, e sa bene che entrambi non dimenticheranno. Se un demone muore, sparisce e basta. Non gli è concesso ritorno, non gli è concessa possibilità di trapasso o redenzione. La sua essenza si disperde, e Stiles sente che questo è l’unico destino che lo attende.
Lasciando libero sfogo alla sua impotenza, Stiles urla di un grido lancinante, disperato, che spacca in più pezzi il cuore dei presenti. Suo padre non l’ha mai sentito urlare così e lo stesso Derek non l’ha mai visto così piccolo e fragile, come un bambino alla mercé di un mondo troppo crudele per accettare la sua nascita.
Stiles grida per Alastor e Dumah, grida per Valefar, per il suo  branco, per il mondo intero.
Improvvisamente, come soffocato da una cappa di nubi, il sole comincia a oscurarsi e le tenebre si fanno più fitte, massicce, come petrolio vivo e palpabile.
-Stiles!- grida Allison, ma Stiles non sembra aver perso il controllo. Al contrario, il ragazzo si separa dal padre e lo guarda in viso, specchiandosi in quegli occhi brucianti di lacrime e domande, di pianto e dolore.
-Mi dispiace, papà…-
Ma lo Sceriffo sorride appena e gli accarezza la guancia. Sembra ringiovanito, più vigoroso e meno stanco.
-Mi hanno già detto tutto, ragazzo mio.- Il suo volto si contrae in una smorfia dolorosa e nuove lacrime affiorano, calde e lucenti come vetro liquido. –Cosa ti hanno fatto?-
Ma Stiles scuote il capo e con grande sorpresa dei presenti, sorride a sua volta. Sposta lo sguardo su Melissa, che intanto si è coperta la bocca e singhiozza tra le braccia di Scott, senza tuttavia staccare gli occhi da Stiles.
-Mi sei mancata anche tu, Melissa.-
E allora la signora McCall abbandona l’abbraccio del figlio per gettarsi in quello di un altro ragazzo, un giovane che ha visto crescere e ha cresciuto, un giovane al quale ha curato ferite e asciugato numerose lacrime e sorrisi spenti.
Anche se non possiedono alcun legame di sangue, Melissa ritiene quel ragazzino logorroico e iperattivo suo figlio a pieno titolo. Se ne è accorta quando, dopo la scomparsa di Stiles, ha dovuto sopportare un lungo periodo di depressione e si è sentita come se le avessero strappato Scott dalle braccia. Un po’ tardi per accorgersene, ma adesso le è concessa un’altra possibilità.
Stringe con forza Stiles e lo Sceriffo, affonda il viso nell’incavo del collo del ragazzo e gli bagna la pelle di lacrime.
Stiles non ricorda cosa vuol dire avere una famiglia vera, di quelle che ti fanno sentire l’affetto di un padre e una madre, ma sente che forse, questa è la strada giusta da intraprendere.
-Io… non ricordo cosa vuol dire avere una mamma.- mormora, allontanandosi appena da Melissa per guardarla in viso. Le poggia le mani sulle guance, la fissa da vicino con amore improvviso e incondizionato, un affetto talmente grande che spiazza Melissa e le fa tremare le gambe. –Ma credo… che se potessi scegliere, la mia mamma saresti tu.-
Melissa cerca di sorridere, cerca di non crollare, ma ogni sforzo diventa inutile quando Stiles si china a baciarle la fronte con dolcezza e una nobiltà che prima non vantava. È come trovarsi al cospetto di un grande sovrano decaduto, un principe che nella sua nobiltà si umilia e ignora la grandezza del suo rango.
Melissa sente le gambe cederle, ma straordinariamente, non cade. Qualcosa la sostiene all’altezza della vita, uno spesso filo d’acciaio che stringe senza soffocare.
-Sarà difficile abituarsi a questo.- asserisce lo Sceriffo, accennando alla coda di Stiles, morbidamente stretta intorno alla vita di Melissa.
Stiles ride.
-E per me sarà difficile abituarmi al fatto che Melissa McCall sarà mia madre!-
Suo padre si strozza con la sua stessa saliva e comincia a tossire, con Scott che gli rifila deboli pacche sulla schiena.
-Come… come l’hai…?-
-La guardi come guardavi la mamma.-
Lo Sceriffo trattiene il respiro, ma Stiles non pare arrabbiato. Al contrario, ammicca. –Bel colpo, Sceriffo.-
-Stiles!-
Stiles sorride sereno, ma in quel momento un suono indistinto lo distrae. È un lamento di donna, il pianto sommesso di qualcuno che Stiles conosce bene.
-Stiles…- chiama Derek, affiancandolo. Vorrebbe fermarlo, impedirgli di entrare nella stanza attigua, ma sa che Stiles non gli darà ascolto. Prima o poi dovrà vedere Valefar, capire fino a che punto è critica la situazione. È per questo che Derek si limita ad affiancarlo e semplicemente gli stringe forte la mano per supportarlo e fargli sentire la sua vicinanza.
Stiles varca la soglia, si ferma appena entrato. La sua stretta sulla mano di Derek si accentua, quasi gli spezza le dita, ma il licantropo può capirlo.
Valefar giace moribondo sul letto, avvolto da un mare di coperte che lo fasciano come macabro sudario. Ha il corpo bendato, un ago in vena, il volto ricucito accuratamente ma ancora grigiastro come quello di un cadavere. Al suo fianco, siede Lydia. Gli stringe forte una mano, il volto esangue e gli occhi lucidi di lacrime. Poi, lentamente, si volta verso di loro e fissa Stiles con fare supplicante, gli occhi sbarrati, impauriti, che pregano disperati un cambiamento, un miracolo inaspettato.
Nessuno di loro ha mai visto Lydia Martin così fragile, debole come vetro coperto di crepe e pronto a infrangersi al primo soffio di vento.
-Ti prego…- esala con la voce roca di chi ha pianto troppo e non ha neanche più la forza per continuare. È debole, spezzata in ogni sfaccettatura del suo essere, al punto che pare di guardare un’anima in pena già morta da tempo e decaduta all’Inferno. –Stiles… ti prego.-
E Stiles accoglie la sua preghiera, non perché si sente un Dio, ma perché ricorda bene cosa significhi implorare senza essere ascoltati. Non ignorerà il pianto altrui, non si coprirà le orecchie alle suppliche di chi implora aiuto. Sceglie di ascoltare, di staccarsi dall’essere divino per accostarsi realmente all’uomo e ai dolori che lo percuotono ogni giorno.
Affianca Lydia, le appoggia una mano sulla spalla. Nobilmente, flette il busto per portare il viso alla sua altezza e guardarla da vicino, gli occhi improvvisamente brillanti d’oro e di una sottile pupilla verticale.
-Lydia.- mormora, sfilandole dolcemente la mano dalla stretta inerme di Valefar. –Nell’arco della tua vita, hai sofferto tante volte. Ti ho sentita piangere, ti ho vista cadere in ginocchio e rialzarti. Mai tuttavia, hai scelto di arrenderti. Ogni volta hai deciso di andare avanti, ogni volta hai caparbiamente perseguito il tuo obbiettivo. Quando ti conobbi, non avrei mai pensato che avresti rivolto le tue uniche imprecazioni proprio verso uno come me. Valefar è mio amico. Mi ha aiutato a sopravvivere, ha scelto di rivoltarsi contro la sua stessa natura per restarmi accanto. Non hai bisogno di supplicare me per spingermi ad aiutarlo. Il tuo dovere l’hai fatto, ma adesso lascia che io svolga la mia parte.-
Stiles porta lentamente la mano di Lydia alle labbra e, alla luce del sole che sfiora d’oro la sua pelle covata dalle fiamme, ne bacia il dorso. È un tocco lento, gentile, che sa di benedizione e mille ringraziamenti.
-Se non fosse stato per te, Valefar sarebbe morto. Io l’ho salvato dall’Inferno, ma tu lo mantieni aggrappato alla vita.- Sorride dolcemente, gli occhi lucenti come astri appena nati. Al bacio dorato del sole, la pelle di Stiles balugina come fiamma covata, dispiegando sul suo corpo l’elegante magnificenza di una colata lavica che brilla tra le carni, viva e pulsante come fiamma attizzata in un caminetto.
Lydia ne resta affascinata, ma ancor più sbarra gli occhi quando Stiles si inginocchia e china il capo, la mano di lei ancora stretta tra le sue.
Stiles Stilinski si inginocchia al cospetto di una ragazza. Un demone si piega dinanzi all’umanità stessa, scegliendo nella sua grandezza di sottomettersi alla fragilità di una creatura più piccola ma ricolma di fulgidi sentimenti.
È questo che dovrebbe fare Dio, è questo che dovrebbe fare Satana: trattare l’uomo come un padre tratterebbe un figlio, concedergli una possibilità e credere in ciò che esso rappresenta. Un simbolo, una forma di vita capace di grandi cose.
-Ascolterò la tua richiesta, Lydia Martin.- sussurra Stiles nel silenzio generale. –Seguirò la tua voce e salverò Valefar. Lo prometto.-
In quel momento, Diablo entra dalla finestra come un’ombra massiccia e bellissima, fulgida di lucenti piume nere e intelligenti occhi dorati. Mentre Stiles si raddrizza, il famiglio sbatte le ali e si aggrappa alla sua spalla come spirito guardiano, in attesa del prossimo ordine.
-Diablo.- Stiles picchietta l’indice sul becco del corvo imperiale. –Sai cosa fare.-
E Diablo spalanca le ali e si leva in volo, innalzandosi al cielo in ampie spirali che salgono sempre più su, verso il soffitto. Oltrepassa la finestra, sparisce nei bagliori solari del mattino, lasciandosi alle spalle un’unica piuma nera e il sentore cristallino che non tutte le speranze sono perdute.
Stiles ha un piano, e lo perseguirà fino alla fine. Stiles ha un piano, e non permetterà a Lucifero di sottrargli un altro amico. Mai più lascerà che questo accada, mai più concederà a degli innocenti di sacrificarsi in suo nome; lo promette sul sole e sulla Terra, sulla luna e sulle stelle. Dio e Lucifero pagheranno anche questa.
-Stiles, che vuoi fare?- chiede Scott, improvvisamente titubante.
Stiles si volta, sorride. –C’è ancora speranza, Scottie. Posso salvare Valefar, ma dovrò allontanarmi per un po’.-
-Dovremo.- si intromette Derek, afferrandogli nuovamente la mano. La stringe forte, incatena gli occhi ai suoi quasi sfidandolo a contraddirlo. –Ti ho già lasciato solo una volta, ragazzino, e guarda cosa hai combinato.-
Stiles sbatte le palpebre, stordito dal verde accecante di quegli occhi. –Sourwolf, non posso chiederti di…-
-Non me lo stai chiedendo. Tu prova a lasciarmi indietro, e al tuo ritorno ti stacco la testa. Ovunque andrai, ti seguirò, e questo perché hai bisogno di qualcuno che sedi il tuo stupido istinto da suicida eroico.-
Stiles vorrebbe piangere di nuovo perché la fedeltà di Derek lo lascia incredulo e spaesato, come un tesoro troppo prezioso ricevuto improvvisamente. Vorrebbe, ma non ci riesce. Al contrario, Stiles sorride con gratitudine e si appoggia al petto caldo del licantropo, che lo abbraccia gentilmente e lo stringe a sé, appoggiando il mento sul suo capo.
Derek profuma di buono, di casa, e Stiles ha imparato ad attribuire quell’odore al suo angolo di Paradiso personale. Riesce a sentire il cuore del licantropo battere insieme al suo, affinare le pulsazioni in una danza ipnotica e bellissima.
Non importa più che suo padre e Melissa li stiano guardando, non importa che il branco sia lì, non importa più niente: Derek sarà con lui, e questo rende Stiles invincibile.
-Figliolo…- si fa avanti lo Sceriffo. –Devo sapere qualcosa?-
Fissa Derek con sospetto, la mano pericolosamente appoggiata sul fianco a pochi centimetri dalla fondina della pistola. Stiles vorrebbe pensare che suo padre non sparerebbe a Derek, ma non ne è del tutto convinto. Anzi, comincia a temere per la vita del suo… cosa? Amico, partner… fidanzato? Cosa sono loro?
-Papà… ehm…-
-Oh, per l’amor del cielo!- si intromette Melissa. –Veramente non te n’eri accorto? Solo un cieco non noterebbe il modo in cui si guardano quei due! Derek praticamente non gli stacca gli occhi di dosso, e fanno questo da quando si conoscono!-
-Davvero?- esclama Stiles.
-Davvero?- ripete lo Sceriffo.
-DAVVERO?!- urla Scott.
Derek tossicchia.
-Aha…- ridacchia Stiles. –Quindi devo pensare che…-
-Se vuoi ancora la testa attaccata al collo, non finire quella frase.
Stiles ride apertamente e si stringe con più forza al corpo di Derek, avvinghiandoli entrambi con la coda, intrecciata all’altezza della vita. Appoggia la fronte contro il suo collo, inspira il suo profumo, poi si allontana appena per guardare il padre in viso.
-Credo di doverti dire qualcosina, papà.-
Melissa ride, ma lo Sceriffo non si muove, e ancora pare indeciso tra la pistola e uno svenimento improvviso. Boccheggia, fissa Stiles e Derek con fare incredulo.
-Ma voi… voi…-
-Non mi sembra il momento di parlarne.- interviene Melissa, poggiando una mano sul petto dello Sceriffo. –Avremo modo di discuterne più tardi, ma quel ragazzo ha bisogno di aiuto adesso.-
Stiles non può essere più d’accordo. Sorride verso Melissa, annuisce lentamente, poi si volta verso Valefar.
-Dobbiamo andare.- sussurra, chinandosi su di lui, ma Lydia lo blocca.
-Non ho intenzione di stare a guardare di nuovo.- ringhia, rabbiosa. –Non ho intenzione di aspettare che torni, di restare all’oscuro del suo destino. Valefar è… non so nemmeno io cosa rappresenti per me, ma so che non posso lasciartelo portare via, Stiles. O andiamo insieme, o lui non si muove di qui.-
Lydia continua a fissarlo, lo sfida con lo sguardo. Non si piega al volere di Stiles, rifiuta di abbandonare Valefar per l’ennesima volta. Ha bisogno di saperlo al sicuro, o quantomeno vuole restare con lui fino alla fine se qualcosa dovesse andare storto. Glielo deve. Lydia gli deve tutto, in verità; finanche il suo sorriso. Ha bisogno di Valefar come un asmatico necessita d’aria durante un attacco particolarmente violento. Accetterà qualsiasi cosa, qualsiasi pericolo, ma non lascerà che li separino di nuovo. Lydia sente che è la cosa giusta da fare, l’unica scelta da seguire. Valefar… è importante. Lei non sa perché, non riesce a capirlo, ma va bene così.
Sorprendentemente, Stiles sorride con calore e la abbraccia. Se la stringe al petto e la culla, le sfiora i morbidi capelli con una pallida mano, la stessa che ha saputo infliggere in passato più carezze che schiaffi.
-Non te l’avrei mai chiesto, Lyds.- sussurra sui suoi capelli. –So cosa significa separarsi da coloro che amiamo, e importi un sacrificio del genere sarebbe stato barbaro e stupido.-
Si separa da lei, la guarda in viso senza smettere di sorridere. -Andiamo, Lydia. Insieme, salveremo Valefar.-
-Figliolo…- chiama improvvisamente lo Sceriffo. Si avvicina lentamente al figlio e lo guarda in viso, specchiandosi negli stessi occhi dorati che un tempo appartenevano alla madre, alla donna che il signor Stilinski amava e ancora ama. Quegli occhi, lo Sceriffo li ricorda bene. Lo commossero quando li vide la prima volta su un volto di bambino e lo fecero innamorare ancor prima quando ammiccarono lucenti su un giovane viso di donna. Adesso però, in quelle iridi dorate c’è qualcos’altro, una luce nuova che lo Sceriffo non ha mai visto prima.
-Sei cresciuto molto, figlio mio. Non avrei mai creduto di dirlo, ma… sei un uomo, ormai, molto più di quanto possa esserlo io. Se un quarto di ciò che ho saputo dai ragazzi è vero, allora sei molto più di una brava persona: sei un eroe. E sono fiero di sapere che questo eroe è mio figlio.-
Stiles trema, gli occhi inondati di lacrime. –Grazie, papà…-
Derek gli dà una piccola spintarella, spedendolo tra le braccia dello Sceriffo, che lo stringe forte e gli bacia i capelli, piangendo con la fierezza di un padre orgoglioso e finalmente sereno.
Ha atteso Stiles per tre anni. Per tre anni ha rifatto il letto nella sua stanza come se il figlio fosse in procinto di varcare la soglia di casa, per tre anni ha cucinato e apparecchiato per due al solo fine di fissare quel posto vuoto e immaginarselo diversamente.
Tre anni.
-Fai ciò che devi fare, amico.- sorride Scott. –Vai e salva Valefar. Noi resteremo qui a controllare la situazione.-
Stiles annuisce.
-Il varco ormai è chiuso, vero?- chiede Isaac, dubbioso.
-Sì, ma ci sono ancora buone probabilità che Lucifero tenti di uscire dall’Inferno… forse per riprendersi ciò che resta dei suoi figli.-
Tutti fissano lui e Valefar.
-Intendi dire che… il Diavolo potrebbe…- la voce di Melissa si spegne in un sussurro spaventato. Scott la abbraccia con dolcezza, tentando di confortarla, ma Melissa è una donna intelligente e ha ormai capito a quale pericolo vanno incontro tutti loro. Fissa il vuoto per qualche istante, poi i suoi occhi si scuriscono di rabbia e oscura decisione.
-Fate quello che dovete, ragazzi.- ringhia alla fine. –Se Lucifero dovesse farsi vedere, lo tratterremo a dovere.-
Stiles ride al pensiero che Melissa faccia più paura del Diavolo in persona. Forse Lucifero troverà pane per i suoi denti: sottovalutare la forza d’animo degli uomini è uno degli sbagli più grossi dei Divini.
-Grazie. A tutti.- sorride Stiles alla fine.
Fa un passo indietro per intrecciare le dita con quelle calde e confortevoli di Derek, poi stringe l’altra mano con quella di Lydia mentre avvolge la coda intorno al corpo esanime di Valefar.
-Tu dici che sono un eroe, papà.- sorride alla fine mentre Diablo ricompare stringendo tra gli artigli Duivel, la civetta di Valefar. –Ma la realtà è che da bravo figlio, ho semplicemente preso tutto dai miei genitori.-
Con queste parole spariscono, abbandonando il loft e il branco. Si allontanano, catapultati dall’altra parte del mondo, senza tuttavia lasciare per davvero quella che a tutti gli effetti è ormai la loro famiglia.
 
“Nessun giorno è uguale all’altro.
Ogni mattina porta con sé un particolare miracolo,
Il proprio momento magico,
Nel quale i vecchi universi vengono distrutti
E si creano nuove stelle.”
 
Lydia ha sempre amato la bellezza. Ne è attratta, la ammira e la ricerca con bisogno quasi fisico. Sin da bambina, ha imparato a conoscere la magnificenza esteriore, l’importanza esagerata dell’aspetto fisico. Col tempo, ha sviluppato la convinzione che solo l’essere umano possa essere bello, mentre l’ambiente puro e selvaggio, tutt’altro che artificiale, sappia essere rude e basta. Senza l’aiuto estetico dell’uomo, il mondo non imparerà ad abbellirsi. Senza l’aiuto estetico dell’uomo, la natura apparirà niente più che selvaggia e indomita.
Grande errore.
Lydia non è sicura di cosa ha davanti, perché ciò che vede appare soltanto come un sogno e basta.
Lava. C’è lava dappertutto. I colori spiccano brillanti, vividi, lucenti come distesa di fiamme purissime e appena nate.
Lydia si accorge di poggiare i piedi su una striscia di diamante lucente che, addossato all’immensa parete circolare di pietra e terra che abbraccia l’immenso ambiente, conferisce un appoggio sicuro e lontano dall’oceano di lava che si stende sotto di loro. Dal muro sbucano diversi cristalli dei colori più disparati, al punto che Lydia non riesce nemmeno a riconoscerli tutti. Un arcobaleno splendente di pietre ancora allo stato brado, più brillanti di come le si vedono nelle gioiellerie e più vive di quanto dovrebbero apparire dei normalissimi minerali. Lydia li vede sbucare dappertutto, come germogli di luce grandi e piccoli che riflettono l’oro e il cremisi della lava in migliaia di sfaccettature colorate.
Nell’oceano di fuoco liquido, vi sono delle pedane di diamante. Circolari, dal diametro di un metro circa. Sbucano dalla lava come piccoli spiragli di gelo laddove il gelo non dovrebbe neanche essere contemplato per condurre al centro esatto dell’immenso spiazzo circolare, dove una struttura indistinta ammicca luminosa, ma soffocata dai fumi della lava.
Lydia sente che dovrebbe temere quel posto; sente che certe cose, un essere umano non dovrebbe guardarle. Eppure, lei è lì e fissa allucinata la devastante magnificenza di un lago di lava che si estende per metri e metri, a vista d’occhio, al punto che il diametro opposto della chiusa circolare è praticamente invisibile.
Esiste davvero un posto del genere, al mondo?
Troppo presa dalla bellezza del luogo, Lydia non si accorge di poter respirare liberamente, né tantomeno di non essere soggetta al calore della lava troppo vicina. Si preme una mano sulla gola, poi guarda al suo fianco, dove Stiles sta accucciato con Valefar tra le braccia. Al suo fianco, ci sono Derek, Diablo e Duivel, ma tutti e tre restano immobili, il primo stupefatto e gli altri due apparentemente troppo stanchi e spossati per reagire.
-Che… che posto è questo?- esala Lydia.
Sorprendentemente, non è Stiles a rispondere, ma Derek: -Il tempio del fuoco.-
Stiles annuisce, esausto. Trasportarli tutti lì sembra averlo spossato molto e Lydia teme che il mantenere puliti i suoi polmoni e quelli di Derek dai lapilli lo stia stancando ancora di più.
Anche Derek nota l’improvviso pallore del demone, perciò si inginocchia al suo fianco e gli appoggia una mano sulla guancia, guardandolo da vicino. –Stai bene?- domanda, apprensivo come mai Lydia l’ha visto prima.
Dolcemente, Stiles inclina il capo verso quella mano, alla disperata ricerca di un contatto maggiore. Chiude gli occhi e rilassa il corpo mentre Derek gli appoggia l’altra mano sul ginocchio e senza malizia lo accarezza. Nessuno dei suoi gesti volge verso un secondo fine, Lydia lo capisce dallo sguardo venerante e puramente innamorato che Derek rivolge solo e soltanto a Stiles. Se dovesse dare un volto all’amore vero, Lydia si dice che forse e stranamente, la sua scelta ricadrebbe sul Derek che ha davanti.
 -Ora sto meglio.- sussurra Stiles, rasserenato. –È che ancora devo riprendermi dall’ultima visita all’Inferno. Valefar non è l’unico a pezzi, lupastro.-
Derek gli bacia una tempia. –Lo so, ragazzino.- risponde, poi volge lo sguardo tutto intorno. –Credevo che ci fosse una statua per ogni elemento.-
-Infatti c’è, ma la Madre Lava è sotto i nostri piedi, totalmente avvolta dal fuoco. Meglio non disturbarla, ok? Non vorrei affrontare un’esperienza stile Pacific Rim.-
Derek annuisce, ma al contrario del licantropo, Lydia non si sente per niente a suo agio.
-Che posto è questo?- interviene. –Dove diavolo siamo?-
Stiles si raddrizza e fa un inchino teatrale che tuttavia appare quasi irrisorio nella sua lenta ed eccessiva eleganza.
-Benvenuta, Lydia Martin, al tempio di Lava. Precisamente, siamo nella bocca del vulcano più grande del mondo: il Mauna Loa!-
 
"Per lor maledizione sì non si perde,
Che non possa tornar,
L'etterno amore,
Mentre che la speranza ha fior del verde". 
 
Lydia Martin non ha mai conosciuto realmente la vita. Si è sempre limitata a sopravvivere, ad andare avanti senza lottare veramente. Sin da bambina, i suoi genitori la trattavano come una bambola e nient’altro mentre, una volta cresciuta, ci pensavano i ragazzi a trattarla da oggetto. Vivere così non è vita, ma Lydia lo ha capito solo più tardi, quando un ragazzino dai grandi occhi dorati ha scelto di proteggerla, aiutarla e supportarla senza mai chiederle niente in cambio.
Lui l’ha salvata innumerevoli volte, abbracciata quando serviva, guardata quando Lydia aveva bisogno di sentirsi bella. E ogni volta, quel ragazzo non chiedeva niente.
In quel momento, attraverso quegli occhi, Lydia ha scoperto la vita vera. Essere se stessa, andare avanti senza sopravvivere. Il dorato di quegli occhi ha riflettuto il calore del sole, lo stesso tepore che non ha mai baciato per davvero la pelle nivea di bambola ingabbiata che Lydia aveva imparato ad essere.
Lydia non ne è certa, ma se qualcuno le chiedesse che sapore ha la libertà vera, quella che alleggerisce l’animo e piega le labbra in un sorriso beato, lei risponderebbe che sa di sole. Non sa perché, ma Lydia la libertà di essere, la associa a Stiles e ai suoi occhi dorati.
Quando Stiles è scomparso, Lydia ha lottato strenuamente per aggrapparsi a se stessa, per non cadere nelle tenebre. Senza la luce di quegli occhi, il buio l’ha accecata e spiazzata, rinchiusa e soffocata. Lydia ha sognato molte volte di trascinarsi lungo un sentiero buio, zoppa e cieca, stanca e con le unghie spezzate. Per raggiungere quale traguardo, poi? Altra oscurità? Lydia non lo saprà mai, ma è certa che se non avesse continuato a seguire quel sentiero in sogno, avrebbe smesso di lottare e si sarebbe azzoppata davvero.
Dopo e insieme a Stiles, incredibilmente, è arrivato qualcun altro: un ragazzo biondo, dagli occhi leggermente truccati e lo sguardo gentile d’angelo.
Angelo. Lydia non dovrebbe associare a lui una parola tanto pericolosa. Gli angeli hanno le ali piumate e vivono in Paradiso. Valefar no, ed è costretto a vivere un Inferno che non merita, una punizione bestiale addetta ai tanti peccatori di suicidio che come lui, hanno sfidato la vita in un’ultima corsa verso la morte.
Bizzarro come la storia abbia il brutto vizio di ripetersi.
Gli fu offerta una seconda possibilità. Non Dio, ma Satana scelse di trasformarlo e rigettarlo in Terra come bestia maledetta nella speranza che quel giovane massacrato, senza ricordi e dall’anima a pezzi, rispondesse ai suoi comandi. Lydia si chiede cosa si provi ad aprire gli occhi su una nuova vita, privi di memorie e finanche del proprio nome. Non si sa nulla, neanche più la propria età. E forse, questo è anche peggio della dannazione stessa.
Il dolore fisico o psicologico è sopportabile, fino a un certo punto. La perdita di se stessi no, e questo perché non si riconosce nemmeno più il proprio essere, il proprio corpo o addirittura la voce. Tutto appare estraneo e improvvisamente, non ci si fida neanche più di se stessi perché colui che si vede allo specchio, è un banale sconosciuto. Il più grande tradimento che si possa subire infatti, è quello del proprio stesso io.
Lydia non sa cosa ci fa lì, non sa perché improvvisamente ha paura. Giace accovacciata accanto al corpo esanime di Valefar, gli stringe una mano alla disperata ricerca di quel tepore che l’ha sempre confortata. Adesso tuttavia, quella mano è fredda come il ghiaccio, inerme come arto di cadavere e Lydia trema forte perché teme che Valefar, il suo Valefar, sia già sparito.
Il lago di lava si stende maestoso davanti ai loro occhi, un oceano di rosso e giallo, di cremisi e nero mescolati. Piccoli frammenti di roccia e residui di pietra lavica emergono e affondano, ammiccando sinistri nell’Inferno bollente di quei colori troppo accesi e troppo caldi.
Lydia non ha paura della lava, né di ciò che potrebbe accadere se la pedana di diamante cedesse. Non teme la morte, né la sofferenza. Tuttavia, ha paura di ciò che stanno facendo, di ciò che li aspetta. Stiles li ha portati lì per curare Valefar, ma esiste davvero una cura? Può un corpo mutilato risvegliarsi e tornare a vivere normalmente? Trattandosi di un demone, Lydia penserebbe anche che sia possibile, ma non è certa che questa sia la mossa giusta da muovere.
E se Valefar si risvegliasse, vivo ma eternamente infermo? Se le sue ali, in qualunque stato si trovino, siano spezzate e maciullate al punto da non poter più volare?
Lydia pensa al vecchio Valefar, il ragazzo solare e loquace che hanno conosciuto. Sorrideva sempre, tendeva sempre le mani a chi implorava aiuto. Anche quando era lui ad essere in difficoltà, si preoccupava per gli altri e, se gli era possibile, correva da loro.
Cosa accadrebbe invece se quello stesso Valefar, sempre pronto a correre, restasse azzoppato? Cosa accadrebbe se un fato bastardo gli spezzasse le ali e la gioia di vivere? Un uccello non vive se non vola, così come Valefar non potrebbe vivere da infermo. Riportarlo indietro, significherebbe spezzarlo definitivamente, annullare il suo essere e ciò che esso ha sempre rappresentato per il branco, per Stiles… per Lydia.
La banshee ripensa al loro ultimo incontro, alle preghiere ascoltate di Valefar, colui che con le ultime forze si appellò a una fragile ragazza, anziché a Dio o a Satana.
“Non dimenticarmi”.
E Lydia non dimentica, non lo farà mai. Nella sua testa, tutto ciò che rimane è ben diverso dal Valefar distrutto e massacrato che ha davanti. Il suo demone sorride, ha un filo di trucco sugli occhi e i capelli spettinati ad arte. È vivo e bellissimo, giusto e caritatevole. Più che un demone, il suo Valefar appare come un angelo.
-Cosa dobbiamo fare?- domanda Derek, guardando Stiles di sottecchi.
Il demone si raddrizza, raggiunge Valefar e fissa intensamente il suo viso.
-I demoni sono forgiati dal fuoco e dal dolore, dal sangue e dall’oscurità. Principalmente, i nostri corpi sbocciano tra le fiamme e poi tutto il resto li ridefinisce. La mia speranza è che affidare Valefar al fuoco primordiale, quello che partendo da qui scorre poi sotto la crosta terrestre del mondo intero, possa aiutarlo. Non ho altre idee, ma una possibilità di salvezza c’è.-
Lydia sbatte le palpebre. –Vuoi gettarlo nella lava?-
-L’idea è questa. Ricorda che il fuoco non ci ferisce, Lyds.-
Ma Lydia ha paura di nuovo e il motivo lo conosce bene. Adesso sa.
Le parole di Stiles l’hanno in qualche modo condannata, hanno chiuso sulla sua anima un cappio che si stringe poco a poco, sottraendole aria e bruciandole i polmoni così come dovrebbe accadere in presenza di tanto bruciante calore. Fa male da morire, ma dopotutto… quel dolore non è poi così terribile.
È come guardare una ghigliottina da vicino con la consapevolezza che quella stessa lama, avrebbe funto da boia sulla vita di Lydia stessa. Tranciare una vita è facile, essere condannati lo è altrettanto. Ma condannarsi da soli in nome di ciò che è giusto? Un tempo, Lydia avrebbe pensato che un gesto del genere incarnasse la più pura stupidità, mentre adesso… adesso sa che un sacrificio tanto importante, tanto vivo e accorato, sia giusto e basta.
È la sua vita, la sua libertà… e, per una volta, vuole decidere lei. Glielo ha insegnato Stiles, gliel’ha ricordato il branco, lo ha confermato lo stesso Valefar. Adesso, Lydia vuole dimostrare a se stessa che ha capito.
Lydia si inginocchia, gli occhi fissi sulla lava troppo vicina. Allunga una mano, la ferma a pochi centimetri dal fuoco liquido che dolcemente la invita ad avanzare, a seguire quella strada che lei stessa ha scelto innamorandosi di un demone.
La dannazione è una brutta cosa. Si soffre, si grida, si implora pietà. Per lunghi anni, Lydia si è chiesta perché mai un uomo debba patire le pene dell’Inferno quando così spesso è facile evitarle. Basta uno sforzo in più, un sacrificio in meno, e tutto andrà per il verso giusto. Alcuni gettano al vento la propria anima in nome di qualcosa di importante, qualcosa che Lydia non ha mai compreso appieno.
Adesso però, può capirlo.
-Devo andare io.- sussurra, e le sue parole cadono come macigni nel silenzio assopito dell’ambiente. Decretano una condanna, una preghiera ignorata, un bisogno vivo e impellente di scegliere il proprio destino.
-Non scherzare, Lyds. Dovrò portare Valefar con me nella lava; se lo facessi tu, moriresti seduta stante.- protesta Stiles, preoccupato.
-Devo farlo io.-
-Non se ne parla.- ringhia Derek, facendo baluginare gli occhi blu, ma Lydia si volta e lo guarda, le grandi iridi riflesse di lacrime.
-Devo farlo io.- esala con dolcezza non sua, che quasi le muta il volto e il timbro in qualcos’altro, una nuova entità che Stiles riconosce con un brivido.
Vede negli occhi di Lydia lo stesso sguardo che aveva lui quando si è arreso alla sua condanna all’Inferno.
Sente nella voce di Lydia lo stesso tono che usò lui quando capì che era giusto andare.
Quelle creature, con occhi grandi di lacrime e voce pulita di agnello innocente, Stiles li chiama “immolati”. Angeli senz’ali che scelgono di sacrificarsi, uomini e donne i cui occhi sono abbastanza puliti da vedere il giusto e perseguirlo senza sosta semplicemente perché deve andare così.
Sono questi gli uomini che Stiles protegge, questi gli angeli in cui crede.
Una volta, sua madre gli disse che il riflesso che vediamo allo specchio è nient’altro che l’involucro di un diamante, qualcosa che può mutare in pietra preziosa o restare nero di carbone. Da bambini, si nasce diamanti, ma spesso crescendo, quei diamanti s’anneriscono e poco a poco vanno in pezzi, annientati da un’oscurità che il loro bagliore non riesce a respingere. Son pochi coloro capaci di alimentare quel bagliore di diamante, scegliendo sempre tra la via giusta e la più facile, quella che semplicemente è necessario seguire.
Lydia è uno di quei diamanti, Stiles lo capì anni addietro quando la vide per la prima volta. Ricoperta di carbone, ancora acerba e schiacciata dal peso della vita… eppure, nonostante tutto, ancora lucente di uno scintillio prezioso, reale, che nulla ha a che vedere col brillio di braccialetti e collane d’oro e d’argento.
-Perché?- chiede semplicemente, e Lydia respira a fondo per calmarsi.
-Perché a dirmelo è stata l’incappucciata nera.-
Stiles annuisce lentamente. –Mentre eravamo via, vero?-
Lydia esita. –Io… ero davanti al varco e… lei è apparsa. Non so perché ha voluto incontrarmi, non so perché mi ha scelta. Ha detto che avrei svolto un ruolo importante in questa storia, che avrei salvato una parte stessa della mia anima.-
Lydia sposta lo sguardo su Valefar e lo fissa in silenzio, gli occhi gentili e addolciti da un affetto che Stiles non riesce ad attribuirle davvero.
-Io non so perché penso che parlasse di Valefar, né sono sicura che tutto questo non sia una follia, ma… devo farlo. È l’unica cosa che sento, l’unico passo giusto che voglio compiere in autonomia. Voglio scegliere, Stiles. Voglio essere libera.-
Lydia gli afferra una mano, lo guarda negli occhi. E Stiles capisce.
Alcuni dicono che gli occhi siano lo specchio dell’anima. Vivi, brillanti di luce o morti e bui di oscurità. Alcuni parlano con lo sguardo e piangono con la voce. La vera essenza dell’essere umano sa essere bizzarra e poco chiara ma, per chi la comprende veramente, un nuovo mondo si spiega, dilata le sue appendici negli animi di chi sa ancora ascoltare. È come estrarre un brillante dalla terra, una gemma preziosa la cui luce riflessa si specchia in mille e mille sfaccettature diverse e sempre nuove.
Stiles ha avuto modo di appurare questa realtà quando negli occhi di Derek ha imparato a riconoscere la sua vera essenza, la creatura giusta e altruista del suo io interiore. Ha scavato quelle burbere iridi verdi, ha vagliato l’anima che proteggevano e alla fine, Stiles ha finito col capire e con l’amare ciò che ha visto e scoperto. Il vero Derek, l’unica e più importante realtà della sola creatura che Stiles si è mai concesso di amare veramente.
Stiles non pretende di conoscere davvero l’anima di Lydia, ma quantomeno, sa di poterla capire. Sacrificarsi in nome di chi si ama, proteggere col proprio corpo l’anima di chi forse mai conoscerà il reale significato di tale gesto… sono cose che Stiles capisce bene.
Inconsapevolmente, il demone stringe forte la mano di Derek, chiedendogli per l’ennesima volta di prestargli quel barlume di forza di cui ha bisogno, quella bruciante decisione che solo il licantropo sa fornirgli.
Per l’ultima volta, Stiles si aggrappa al suo licantropo pregando di poter agire in onor di giustizia. Si affida a lui per una delle scelte più difficili della sua vita, si affida a lui per concedergli la vita stessa.
Come se avesse percepito quei pensieri, Derek ricambia forte la stretta. Strano a dirsi, ma il suo tocco sa di sole ed erba fresca, di pioggia e di aghi di pino appena spiccati. Stiles ha imparato a riconoscerlo, ad aggrapparvisi quando le forze gli vengono meno, e stranamente, questo Derek l’ha capito.
Dammi la forza, Derek.
Stiles chiude gli occhi e una piccola lacrima brillante scivola lungo la sua guancia. Una lacrima umana, pulita, sincera di amico sofferente. Deve lasciarla andare, deve liberarla e ritirare l’ala protettiva che l’ha sempre schermita dall’ombra, dal dolore e dagli errori del mondo.
Lydia è cresciuta, e adesso lo guarda come la donna che è diventata. Fiera e decisa, altera e bellissima.
Stiles deve lasciarla andare.
-Sii libera.- sussurra alla fine, lasciando cadere la mano dalla sua stretta. Con occhi ancora colmi di lacrime, guarda Derek in cerca di conferma e il licantropo semplicemente annuisce e gli bacia la fronte con dolcezza, la stessa dolcezza capace di riportare in Stiles un barlume di serenità e un pallido bagliore di luce pulsante.
Stiles chiude gli occhi e si abbandona a quel tocco fresco e genuino, morbido e fiducioso. Derek si affida alle sue decisioni, a occhi chiusi segue le sue scelte, e per Stiles non esiste regalo più bello. Sente adesso di avere un paio d’ali in più, due appendici piumate e invisibili più potenti di qualsiasi ala demoniaca, capaci di spedirlo oltre i cieli, oltre le nebule dell’universo e i buchi neri. Non è solo, e anche se dolorosa, la scelta che ha fatto è quella giusta perché Derek si fida.
-Grazie… amico mio.- sorride Lydia, finalmente serena.
Si volta, afferra Valefar con dolcezza venerante e faticosamente si raddrizza, barcollando sui tacchi a spillo.
Sii libera.
Lydia avanza, fiera e altera come una tigre, dritta e bellissima come una leonessa in caccia. A testa alta, cammina incontro alla morte per seguire un’ideale, una speranza ancora viva e pulsante.
Sii te stessa.
Lydia respira a fondo, guarda sicura verso il mare di lava. Sorride di un sorriso sereno, felice, tipico di chi finalmente è padrone del proprio destino come delle proprie scelte. E poco a poco, mentre la giovane banshee esala l’ultimo, fiero respiro, le sue ali di libertà si spiegano e sbattono neonate per la prima volta, vive e leggere come mai prima d’ora.
Lydia stringe con dolcezza il corpo di Valefar, gli avvolge i fianchi con un braccio e lascia che il suo viso appoggi gentile contro il collo morbido di lei. Sente il corpo del demone premere abbandonato contro il suo, il respiro flebile e quasi spento che a stento le sfiora le carni.
Spezza i fili che ti legano.
Lydia solleva gli occhi al cielo, verso i bordi frastagliati della bocca del vulcano.
C’è uno splendido cielo, lassù. Le stelle brillano più del solito, tanto che agli occhi di Lydia, appaiono come tanti cristalli esposti, una mostra splendente di preziosi che mai la sua mano di giovane ragazza avrà modo di toccare fisicamente. Eppure, per qualche istante che le è apparso quasi come un sogno, Lydia ha avuto modo di crederci. Stretta tra le braccia di un demone bizzarro e leggermente truccato, ha toccato la volta celeste non con un dito, ma con entrambe le mani.
È bastato un attimo, un istante di pura fisicità e tutto è diventato luce.  Improvvisamente, il sole che dagli occhi di Stiles le illuminava fiocamente la vita, è diventato una supernova nello sguardo di Valefar e Lydia non ricorda di aver mai saggiato un calore più puro e piacevole.
Salva il futuro. Proteggi ciò che è giusto.
Avrebbe voluto dirgli tutto, ma forse Valefar lo sa già. Nonostante tutto, è una creatura intelligente, e su una cosa aveva ragione: Lydia non dimenticherà. Ricorderà per tutti e due, in vita come in morte e quando approderà all’Inferno, nel girone dei suicidi, resterà se stessa soltanto per ricordare a demoni e dannati, ad angeli e beati che i demoni sono creature vive, reali e spesso, se vogliono, anche giuste.
Con il sorriso ancora stampato tra le labbra e il corpo di Valefar tra le braccia, Lydia si lascia cadere.
Non è un salto, no. Lei semplicemente si abbandona alla morte, slacciando la sua tenace stretta di mano con la vita. Ha compiuto il suo giro, anche se agli occhi di molti apparirà troppo presto, ma a lei va bene così: finalmente, ha scelto di sua stessa volontà.
-Mi dispiace…- esala Lydia mentre il suo corpo tocca la lava.
Le dispiace veramente, dopotutto. Le dispiace per le troppe rispostacce che ha rivolto verso Valefar, le dispiace di avergli sorriso poco e di averlo sfiorato altrettanto. Le dispiace per non avergli mai chiesto niente della sua storia, perché da brava egoista, Lydia non lo ha mai guardato veramente.
Lui la guardava sempre invece, ad ogni istante del giorno e della notte, quando il sole lasciava il posto alla luna o quando pioveva o nevicava. Lui c’era, e Lydia non lo sapeva. Valefar era lì, e Lydia non sapeva mai osservare.
Adesso, mentre la lava abbraccia di dolore i loro corpi, Lydia si domanda chi sia realmente Valefar, il suo Valefar. Non le interessa Alexander Olsen, il ragazzo che era, quel lato umano che ossessionava Valefar al punto da perseguirlo addirittura. Non è mai stato quel nome a donargli umanità perché in lui, l’umanità c’è sempre stata.
Mentre muore, Lydia ricorda le parole che Stiles disse una volta, tempo addietro: “Una creatura riscopre la propria umanità attraverso le scelte che compie. Non un nome decreta ciò che si è realmente quanto invece può farlo un gesto di carità gentile, come il tendere la mano verso chi, accecato dal buio e azzoppato dalla vita, non ha la forza per rialzarsi in solitudine”.
Stupido ragazzino petulante. Aveva ragione su tutta la linea, e adesso Lydia può capirlo. Valefar ne è la prova, puro e bellissimo come un bocciolo di rosa coperto di melma. Per quanta sporcizia possa ricoprirlo, un fiore resterà fiore per sempre.
Lydia muore, e soltanto adesso può capire.
Lydia muore, e solo adesso ha la forza per sorridere e ricordare che dopotutto, è valsa la pena seguire quel percorso, anche se alla fine di tutto ad attenderla, ha trovato la morte.
È un buon modo per andarsene. Va bene così.
Lydia si abbandona al dolore delle ossa che si sciolgono mentre gli organi poco a poco collassano, la abbandonano, smettono di funzionare. È bizzarro che Lydia abbia avuto così tempo per pensare alla sua vita, a Stiles, al branco prima di andarsene.
Chiude gli occhi per l’ultima volta mentre il vago ricordo dei suoi amici la invade. Li rivede tutti insieme, intenti a ridere mentre il sole bacia loro la pelle di un bagliore quasi angelico. La chiamano, la guardano, la fanno sentire bella e ben lontana da un banalissimo oggetto.
Quella è casa sua. Quella è la sua famiglia.
Finalmente, Lydia ha trovato il suo Paradiso.
 
“Hai fretta? Dove stai andando?”
“Chi sei?”
“Come ti chiami?”
“Hai fretta?”
Beato mondo di parole. Tante frasi senza senso, tante lettere accorpate in un unico legame di concetti e idee, di follia e stupidità. L’uomo ama parlare inutilmente, lo ha sempre fatto, ma questo sottrae tempo al tempo e poco a poco si invecchia, ci si consuma, e allora le troppe parole espresse inutilmente cominciano a pesare su spalle sempre più curve.
“Chi sei?”
“Hai fretta?”
Lei non ha fretta, per niente. Anzi, non sa nemmeno dove si trova. Non sa da dove provengano quelle voci, né perché siede nuda su un pavimento di gelido buio con distratta tranquillità. Continua a oscillare il capo, a stento si guarda intorno. Dopotutto, non c’è proprio niente da vedere.
“Dove vai?”
“Hai fretta?”
Voci, troppe voci. Sussurrano tutte, una cacofonia di suoni indistinti che assemblati tra loro formano un’unica, grande matassa di confusione. Eppure, alcune frasi continuano a tornare, alcune domande si ripetono.
Lydia non sa perché. Non le interessa.
-Alla fine, hai seguito il mio consiglio.-
Lydia si volta, posa lo sguardo sull’incappucciata educatamente seduta su un invisibile sgabello a mezz’aria. Morbida, elegante, stoica come solo la morte sa essere. Le vesti si fondono con l’oscurità, ondeggiano vive intorno al corpo smagrito mentre le mani scheletriche giacciono intrecciate su un grembo vuoto che tuttavia, di figli ne ha partoriti già tanti.
L’incappucciata la fissa, sorridendo serena da sotto il manto di oscurità che l’avvolge già dall’alba dei Tempi. Lydia riesce a percepire la sua serenità, la gioia di rivedere una figlia per lungo tempo perduta ma che ormai è destinata a rincasare. Un passo alla volta, i vivi s’accostano alla casa di madre Morte per chiudere il cerchio e varcare quella porta che da neonati abbandonarono e che dopo, in gioventù o in vecchiaia, saranno destinati a varcare per l’ultima volta. Lydia si sente adesso una di quei figli, troppo giovane per morire, ma ugualmente felice di andarsene.
Ha compiuto il suo ultimo passo in serenità, chiudendo a modo suo il piccolo cerchio di vita che tuttavia, sarebbe potuto essere più ampio. Va bene così.
-Sì, e sono felice di averlo fatto. Non so cosa sarebbe accaduto se fosse andato Stiles al posto mio, ma mi fido di te. Lo sento. Sei mia madre, dopotutto.-
L’incappucciata inclina il capo. –Sono la madre di tutti voi, figlia mia. Non posso dirti cosa sarebbe accaduto se al tuo posto ci fosse stato Stiles, ma ricorda una cosa: il sacrificio innocente, per quanto macabro, possiede un potere quasi illimitato. Finanche Dio e Lucifero son costretti a chinare il capo dinanzi a tale potere, poiché esso pianta radici profonde che risalgono a molto prima dell’Alba dei Tempi. Il sacrificio innocente è sacro, e spezza ogni legge universale.-
Lydia annuisce, conscia della verità di quelle parole. Sa bene cosa ha fatto, sa di aver mosso il passo giusto. Adesso ha la certezza che Valefar ha riaperto gli occhi, che è tornato a casa: riabbraccerà Stiles, il branco, la vita perché questo è tutto ciò che merita.
-Grazie.- mormora semplicemente, e l’incappucciata si alza.
-Andiamo, figlia mia?-
-Andiamo.-
Lydia tende la mano verso di lei, pronta a seguirla, ad affiancarla come una vecchia amica, da pari a pari. Ha scelto la sua strada, e morirà in fierezza, austera come la donna fatta e finita che ha deciso di diventare. Dopotutto, morire non è poi così male.
Poi però, qualcosa cambia e il mondo di Lydia si capovolge per l’ennesima volta, rovesciato da un profumo di incenso e vaniglia, misto al soffio di un respiro che da dietro, le sfiora l’orecchio in un’ondata di calore improvviso e bellissimo.
Una mano copre la sua, chiude le dita in un pugno serrato che le impedisce di toccare le falangi scheletriche ma tese dell’incappucciata, che adesso fissa Lydia in silenzio.
-Mi dispiace interrompere questo piacevole incontro, dolcezze…- annuncia una voce morbida come pieghe di velluto e placida come laghi più limpidi. -… ma la ragazzina non va da nessuna parte.-
Lydia rabbrividisce, quasi le cedono le gambe. Le ginocchia tremano tanto violentemente che il ragazzo alle sue spalle è costretto a cingerle i fianchi con l’altro braccio per sostenerla.
E allora, ogni cosa scivola al suo posto. Per Lydia è come essere già in Paradiso, al cospetto degli angeli stessi. Lo sa perché la creatura più splendida e innocente di tutte la sta toccando, la protegge, stende su di lei un manto di ali invisibili e gentili. Il suo Paradiso è caldo come pelle di demone e ha due occhi di un azzurro stupefacente, messi in risalto da un filo di matita. Non ha bisogno di voltarsi per immaginarlo, per capire che per l’ennesima volta, lui non la lascerà andare.
-Sei in ritardo, figlio mio.- sorride l’incappucciata.
Lydia sente il corpo di Valefar aderire al suo, la grande mano dalle dita sottili coprire in tutta la sua ampiezza il fianco di lei. È un tocco gentile, effimero come ali di farfalla e altrettanto delicato.
-Lei viene via con me, dolcezza.- afferma Valefar, e Lydia avverte nella morbidezza della sua voce una nota di avvertimento, una traccia di implacabilità che finanche la Morte stessa non potrà contrastare.
Valefar è sempre stato un tipo pacifico: raramente Lydia l’ha visto alzare la voce, mai l’ha visto minacciare qualcuno. Questo trascina la sua mente alle ricerche che ha fatto, ai dati che mai ha voluto confessare al resto del branco.
Valefar è uno dei demoni più famosi della mitologia sacra, al punto che le sono bastati pochi istanti per trovare risultati su quel nome. Protettore dei ladri, comandante di ben dieci legioni infernali… all’Inferno, è chiamato il Duca.
Duca. È una parola grossa per chiunque, anche per un demone. Si parla di un alto grado, una carica che ben pochi meritano di nome e di fatto. Eppure Valefar, figlio di un aristocratico atteggiamento e padre di un potere mai ostentato pienamente, merita questo e ben altro.
Lydia non l’ha mai sentito minacciare qualcuno, e adesso sa perché: le minacce sono potenti, importanti, capaci di sradicare gli alberi e far tremare la terra. Tali promesse di sangue e ossa spezzate, sono difficili da mantenere, ma quando si tratta di un Duca, tener fede alla parola data è un obbligo.
Valefar adesso minaccia la Morte stessa, e Lydia sente che se si arrivasse allo scontro frontale, i suoi sinistri avvertimenti si rivelerebbero ben più che mere parole. Ne son testimoni il cielo e la terra, l’Inferno e il Paradiso, l’uomo e tutte le creature viventi. Ne è testimone Lydia Martin.
L’incappucciata si alza, fissa da sotto la veste la creatura che ancora resta immobile alle spalle di Lydia.
-Un’anima è un’anima, Duca. La sua è danneggiata, e io dovrò soltanto svolgere il mio lavoro. Non posso ignorare i doveri che all’inizio di tutto mi furono affidati.-
Valefar accentua la stretta sui fianchi di Lydia, intimandole di non muoversi.
-Lei non viene.-
-Sai anche tu che deve. È morta, e i morti non ritornano.-
-Dirlo dopo tutto quello che è successo ultimamente, dolcezza, mi sembra un po’ ipocrita.-
L’incappucciata lo fissa, resta immobile. Lo giudica in silenzio, lentamente avanza una sentenza decisiva che stabilirà il futuro di Lydia o l’imminente scontro frontale col Duca dell’Inferno.
-Mi chiedi molto, Duca.-
-Non ti sto chiedendo niente, dolcezza.-
Lydia avverte il sorriso nella voce di Valefar e incredibilmente… l’incappucciata sorride a sua volta.
-Non ho mai avuto la presunzione di capire gli umani, poiché essi seguono una linea sentimentale che io non avrò mai modo di sperimentare, ma per molte ere mi sono illusa di conoscere i demoni. Pensavo di sapere, di capire. Tuttavia, adesso giungi tu ad intaccare la mia presa di presunzione. Tu, insieme a molti dei miei figli che troppo in fretta si stanno risvegliando. Li sento spezzare le catene, pensare con la propria testa.-
L’incappucciata si volta, dà loro le spalle.
-Qualcosa si muove, figli miei, e prima che tutto finisca, vi resta un’ultima battaglia da affrontare, la prova più difficile di tutte. Bada, Duca: Lydia Martin sopravvive perché per mio consiglio ha scelto di gettarsi tra le fiamme, ma ricorda che la morte giunge per tutti e quando sarà il momento, non potrai proteggerla. Dovrà cavarsela da sola.-
Valefar aderisce al corpo di Lydia, la stringe come se intendesse proteggerla dal mondo intero. E Lydia sente che è veramente così.
Valefar, il Duca infernale, la proteggerà fino alla fine dei Tempi, oltre l’arco in ascesa della vita, dopo la morte e ovunque la sua anima andrà a finire. Che si tratti di Inferno o Paradiso, Lydia sente che lui non la abbandonerà.
-Torniamo a casa, dolcezza.- sussurra Valefar, e allora tutto si scurisce ancora di più, le tenebre abbracciano Lydia e la accecano, ma lei non ha più paura: sente alle sue spalle una presenza, una creatura viva e giusta che, contro la sua stessa natura demoniaca, le dona con dedizione una promessa capace di spezzare il sole e abbattere la luna, affrontare i tempi e qualsiasi era a venire.
Valefar promette, e Lydia gli crede.
Valefar la protegge, la stringe al petto e Lydia finalmente si sente a casa.
 
Angolo dell’autrice:
Ce la sto mettendo tutta, davvero. Al momento sto molto male, ma non posso impedirmi di aggiornare, perché so che finché la più piccola persona aspetterà di leggere un nuovo capitolo di questa storia, non potrò fermarmi. Tuttavia, vi chiedo di essere pazienti, poiché le mie forze sono davvero misere al momento e anche scrivere questo angolino mi stanca da morire. Ma ce la faccio. Ce la faccio perché ci siete voi e ogni volta che leggo un nuovo commento… mio Dio, non posso crederci. C’è chi ha paragonato le mie (scarse) capacità di “scrittura” a quelle di uno scrittore di professione e… davvero, ho pianto. Non lo dico per dire. Ho pianto veramente, e l’ho fatto col sorriso sulle labbra e una mano premuta sulla bocca perché la vera magia di cui parlate non la compiono questi miseri capitoli, no. Gli incantesimi più potenti di tutti sono i vostri, trasmessi attraverso commenti lunghi e corti, pacati o adorabilmente pazzi da legare. Questi capitoli siete voi. Li avete costruiti insieme a me e, davvero, è col cuore in mano che vi ringrazio. Vi ringrazio perché ogni volta mi concedete quel po’ di tempo che non merito per scrivere una recensione. Vi ringrazio perché siete con me quando devo trovare le energie per correggere e scrivere anche alle tre del mattino, quando ho sonno ma non posso fermarmi. Siete dei diamanti, i miei diamanti più belli. Ed è grazie alla vostra luce che i miei personaggi salgono a galla ogni volta. Li sento respirare, ridere e piangere con me quando leggo le vostre parole. Grazie di cuore, perché il tempo che mi dedicate è il regalo più bello che io possa ricevere ed è una benedizione che non mi aspettavo.
Grazie a:
Giada_ASR
Even_if_it_rains
Two_dollar_bill
Elenuar Black
Fangirl_Mutante_SHIELD
Sophi33
_Sara92_
Barbara78
Drarry90

 
Anticipazioni:
“-Benvenuto a casa mia, Sourwolf.- esala la voce improvvisamente nervosa di Stiles, e allora Derek alza lo sguardo sull’ennesima meraviglia dell’universo, figlia non degli angeli, ma dei demoni più antichi e potenti dell’Inferno.
Se il Tempio dell’Acqua in sé racchiudeva una sensazione di placida serenità, quieta e liscia come la superficie del lago più tranquillo, quello del Fuoco trasuda invece una pacata potenza, una distruttività sopita di bestia addormentata ma capace col solo sguardo di pietrificare il mondo intero.
Derek ha sempre pensato che il fuoco non abbia volto: è un elemento, qualcosa di inafferrabile il più delle volte e fisico soltanto quando scalda o ferisce. Quel tempio però, in tutta la sua fulgida magnificenza, rispecchia in sé il vero aspetto delle fiamme più possenti, figlie di incendi distruttivi o di fuocherelli capaci di scaldare vite e salvare dall’assideramento. Il fuoco sa essere buono e cattivo, terribile e bellissimo, a seconda di come è trattato. Non si tocca, eppure, anche se non fisicamente, egli sfiora con carezze di calore o ferite di ustioni. A modo suo, il fuoco è vivo e il Tempio che lo rappresenta è capace di dimostrarlo."

Tomi Dark Angel
  
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