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Autore: Tomi Dark angel    26/07/2015    7 recensioni
STEREK.
Tratto dalla storia: "-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-La... la camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-"
Stiles Stilinski sparisce per tre anni. Per tre anni tutti lo credono morto, per tre anni di lui non si hanno notizie. Quando però riappare, non è più lo stesso. Di lui non resta che una creatura nuova, un incubo talmente orrendo che anche Beacon Hills teme di accogliere.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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“I sogni sembrano reali quando ci siamo dentro,
Non ti pare?
Solo quando ci svegliamo ci rendiamo conto
Che c’era qualcosa di strano.”
 
Si dice che perdere un amico faccia avvertire ai sopravvissuti il peso del tempo che scorre troppo in fretta. Ci si sente vecchi, pesanti, esausti. Le lancette della vita accelerano e improvvisamente, il senso di immortalità che si prova quando si è molto giovani, sparisce.
Stiles ha già perso molti amici nel corso degli anni. Da quando Scott è stato trasformato in licantropo, tutto è cambiato e la gente ha iniziato a morire, a restare uccisa. Corpi dilaniati, sangue dappertutto, membra sparse di belve inferocite che un pezzo alla volta hanno scelto di smembrare fragili brani di carne troppo deboli per ribellarsi.
All’inizio, Stiles credeva di essere precipitato nel più barbaro degli incubi. Li rivedeva ogni notte, quei corpi noti o sconosciuti che la polizia trovava di continuo, smembrati o sacrificati, a pezzi o dilaniati. Quegli incubi tuttavia, sono ben lontani da ciò che Stiles subisce adesso.
Beacon Hills non può neanche immaginare gli orrori dell’Inferno.
Beacon Hills non potrà mai ricordare il dolore di una perdita tanto grande, dove tutto ciò che gli è permesso è di fissare sofferente l’ultimo salto d’angelo di una ragazza gentile, onesta, che fino alla fine ha voluto seguire un ideale e una serena libertà di scelta.
Un’altra immolata, un altro sacrificio. Tutto in nome di quella guerra maledetta, dove Dio e Satana rifiutano di arrendersi per pura presa di posizione. I loro figli muoiono, le anime si dissolvono e tutto va in pezzi, ma loro continuano, continuano sempre a combattere. Per entrambi, quella piccola guerra è nient’altro che una partita a scacchi dove i pezzi sacrificati sono poco più che insulsi.
Lydia Martin era solo una pedina agli occhi di Dio e Satana. Ai loro occhi, certo. Ma per Stiles, Lydia era molto più di un semplice pezzo. L’ha lasciata andare perché si fida di lei e dell’incappucciata, l’ha lasciata andare perché è sicuro di vederla riemergere. Se di Dio e Lucifero non si fida affatto, lo stesso non può dirsi dell’incappucciata nera. Stiles gli deve la vita e la sua stessa anima, perciò se c’è qualcuno a parte Derek e il branco alla quale affiderebbe tutto il suo essere, quella è lei.
Carpendo i suoi pensieri come al solito, Derek gli stringe forte la mano per rassicurarlo. Non lo fissa, gli lascia i suoi spazi e il silenzio per accettare l’accaduto. Il suo volto è impassibile, ma Stiles sa che se lo guardasse veramente negli occhi, leggerebbe in essi tutto il dolore che prova.
“Gli occhi sono lo specchio dell’anima”, e l’anima di Derek Hale è quanto di più luminoso e innocente esista al mondo. Di riflesso, anche i suoi occhi sono così, puri e limpidi per chi sa guardarli e carpirne la vera essenza. E Stiles li ama per questo. Ama tutto di lui, ma gli occhi… quello è il suo piccolo mondo di giada, un tempio che né angeli, né demoni potranno mai reclamare, poiché a costruirlo, è stato lo stesso Derek Hale e la storia che l’ha reso ciò che è.
Cercando di non pensarci proprio adesso che Lydia si è gettata a capofitto tra le fiamme, Stiles spinge lo sguardo più in là, verso il tempio. I suoi occhi demoniaci traggono beneficio dal calore esagerato della lava e si sciacquano ad ogni ondata di soffio cocente. La pelle di Stiles si risveglia, il suo essere interiore respira a pieni polmoni e improvvisamente, il giovane demone si sente in grado di fare qualsiasi cosa, di essere qualsiasi cosa.
Le sue ali, anche se ancora ritratte nel corpo, bruciano dalla voglia di spiegarsi. Stiles le sente premere contro la pelle mentre le zampe da canide si fortificano e lentamente, anche se ancora agili e troppo sottili, fanno affiorare contro la pelle nervi e tendini, muscoli e vene.
Derek lo fissa mentre la pelle di Stiles comincia a ricoprirsi di rosso e oro, viva di una splendida luce che brilla ancor più della lava. È come una fiamma, un’entità viva e autonoma più lucente delle stelle, più potente di una supernova. E, come al solito, Derek ne resta affascinato, troppo incredulo per convincersi che sì, quella splendida creatura ultraterrena è nelle sue mani, anima e corpo, senza se e senza ma. Perché ha scelto lui? Perché, nella sua dolce gentilezza, Stiles ha sorriso proprio alla malsana acidità di una creatura difettosa, la cui semplice storia intride rabbia e malattia, lacrime e rancore?
-Che diavolo era quello?-
La voce di Stiles risveglia Derek dall’improvviso, spingendolo a seguire la traiettoria del suo sguardo. Fissa verso le nubi, assottiglia lo sguardo nel vano tentativo di penetrare i fumi della lava, ma i suoi occhi non sono nati per questo: vedono al buio, sviluppano in esso un senso di forza e protezione. Le fiamme, invece, fanno male.
Il fuoco ha bruciato casa Hale.
Il fuoco ha ucciso l’intera famiglia di Derek.
E, strano a dirsi, adesso Derek ama profondamente una creatura nata da quelle stesse fiamme.
-Non vedo niente.- afferma, ma Stiles non lo ascolta più.
Ha gli occhi sbarrati, le labbra schiuse, la coda rigida per il nervosismo. Derek nota la tensione dei suoi muscoli, fasci intrecciati  di nervi, vene e carne che premono possenti contro la pelle.
-Stiles, che cosa…-
-Devo raggiungere il tempio.-
Prima ancora che Derek possa aprir bocca, Stiles spalanca le ali. Quattro immensi arti stiracchiati di ossa d’acciaio e vele di seta. Semiaperte, sono abbastanza grandi da riempire quasi per intero il cratere, e questo lascia Derek pietrificato perché come già accaduto in precedenza, non le ricordava tanto ampie. Sembrano crescere ogni volta, un centimetro dopo l’altro, sbocciando immense dalle fantasie più fulgide di Dio e Lucifero.
Il cielo scompare, inghiottito da riflessi rossi e oro che, correndo lungo la membrana scura delle ali, rigettano sulla lava un’ombra anomala, una nebula di riflessi splendenti e in movimento che come piccoli diamanti colorano l’oceano di fuoco di cristalli sfaccettati, limpidi, capaci di creare un nuovo, splendido mondo. I cristalli che sfondano le pareti del cratere splendono con più forza, come in risposta alla chiamata mortifera di una creatura infernale che si libera, splendida e terribile come il più voglioso dei peccati. Migliaia di colori dipingono d’incanto quelle ali, le richiamano alla vita, le mutano come tele di seta un tempo scure e tristi improvvisamente trasformatesi in uno spettro di sfumature sempre diverse, sempre in movimento.
Derek fissa incantato le vene pulsanti e in rilievo che ancora s’intravedono contro la sottigliezza delle membrane mentre il catrame cola sulle ossa, lungo i muscoli, sul manto stesso di colori appena nati dal riflesso del fuoco e dei cristalli.
Ha dell’incredibile che una vista del genere sia stata partorita dall’Inferno. Quelle ali, quel cratere, la creatura stessa che adesso sta eretta al fianco di Derek, con gli occhi ancora fissi verso l’ombra lontana del tempio. Nella sua essenza di bestia dannata, Stiles incarna in sé tutta la magia dell’Inferno e tutta la sua devastante potenza. Nonostante la piccola statura e il volto apparentemente dolce di giovane ragazzo, egli  trasuda un senso di implacabile fierezza da ogni poro della pelle, più di qualsiasi angelo, più di Lucifero stesso.
-Sourwolf…- chiama improvvisamente Stiles, gli occhi ancora fissi all’orizzonte. –Questo posto è… pericoloso. Non appartiene agli angeli, ma ai demoni. Le fiamme sono delle madri per noi, quindi non ti chiederò di venire al tempio con me.-
-Fai bene a non chiedere, perché io vengo, ragazzino.- ringhia Derek in risposta, e Stiles lo guarda, gli occhi serpentini dalla pupilla verticale, la pelle che già lampeggia di luce e bagliori rossi e oro.
-È pericoloso.-
-Diventerò pericoloso io se mi lasci qui.-
Stiles sorride. –Non hai paura del fuoco, Uomo Ghiaccio?-
-Abbiamo già scoperto che come lupo artico non me la cavo, quindi proviamole tutte. Con alcune creature del fuoco ci vado parecchio d’accordo, e questo è un buon segno.-
Derek lo fissa allusivo, e Stiles tossicchia imbarazzato.
-Da quando si abbandona a questi incantevoli giochi di parole, Mr. Darcy?-
-Da quando ho scoperto che qualcuno qui è facilmente imbarazzabile.-
Stiles apre un occhio per fissarlo di sottecchi. –Piantala di guardarmi così!-
-Così come?- Derek inarca le sopracciglia, stranito.
-Come… ah, lascia stare. A volte fai paura. E le tue sopracciglia sono inquietanti. Un giorno te le raserò a zero.-
-Tu provaci e ti stacco la coda.-
Stiles arriccia un angolo della labbra, un occhio ancora aperto e l’espressione rasserenata. Stringe forte la mano di Derek, per l’ennesima volta si aggrappa a quel contatto e gli chiede aiuto, sostegno.
-Trattieni il respiro e chiudi gli occhi.-
E Derek si fida. Senza chiedere né dubitare, obbedisce e serra le palpebre, i polmoni improvvisamente stretti in un blocco d’aria volontario che non pompa più ossigeno al corpo e al cervello.
Il risucchio dell’oscurità che si chiude su di loro riempie di gelo improvviso il suo intero corpo, ma Derek non si agita. Si aggrappa alla stretta di Stiles, al calore che quel tocco gli infonde nelle vene e alla fine, grazie ad esso, tutto finisce.
I rumori tornano a riempirgli le orecchie, l’odore del fuoco e della terra invadono le sue narici e quando apre gli occhi, Derek fissa i suoi stessi piedi nudi posti su una piattaforma di massiccio diamante, coperto da incisioni arcane nere come l’onice. La superficie è tiepida e tiene sorprendentemente a bada il calore. Illuminata dal basso, essa rigetta sul viso di Derek e tutto intorno a lui una miriade di sfaccettature cristalline che in loro racchiudono tutti i colori del mondo o semplicemente la totale assenza di esso, visibile in un bianco accecante.
-Benvenuto a casa mia, Sourwolf.- esala la voce improvvisamente nervosa di Stiles, e allora Derek alza lo sguardo sull’ennesima meraviglia dell’universo, figlia non degli angeli, ma dei demoni più antichi e potenti dell’Inferno.
Se il Tempio dell’Acqua in sé racchiudeva una sensazione di placida serenità, quieta e liscia come la superficie del lago più tranquillo, quello del Fuoco trasuda invece una pacata potenza, una distruttività sopita di bestia addormentata ma capace col solo sguardo di pietrificare il mondo intero.
Derek ha sempre pensato che il fuoco non abbia volto: è un elemento, qualcosa di inafferrabile il più delle volte e fisico soltanto quando scalda o ferisce. Quel tempio però, in tutta la sua fulgida magnificenza, rispecchia in sé il vero aspetto delle fiamme più possenti, figlie di incendi distruttivi o di fuocherelli capaci di scaldare vite e salvare dall’assideramento. Il fuoco sa essere buono e cattivo, terribile e bellissimo, a seconda di come è trattato. Non si tocca, eppure, anche se non fisicamente, egli sfiora con carezze di calore o ferite di ustioni. A modo suo, il fuoco è vivo e il Tempio che lo rappresenta è capace di dimostrarlo.
La struttura si srotola in un corpo centrale massiccio dalla forma spigolosa, con mura roventi di vero rubino fuso insieme all’oro più brillante che Derek abbia mai visto. Colate disordinate scendono come macchie di colore in gocce luminose di ocra brillante, segno forse che l’oro incastonato tra i rubini debba essersi fuso col tempo e con la vicinanza della lava, trasformandosi in una cascata di metallo che Derek vede ancora scivolare in rivoli lucenti tra il rosso sangue delle mura.
Un protiro d’oro massiccio di forma rettangolare  si stende davanti all’entrata, sorretto da due sole statue di demoni alti circa otto metri, in ginocchio, con le braccia sollevate a sostenere il peso e i muscoli gonfi di sforzo. Hanno i capelli lunghi, i capi chini, le corna da ariete e le zampe di capra. Derek ha quasi timore di guardarli da vicino perché chiunque abbia scolpito quelle figure, ha curato i dettagli talmente bene da donar loro una parvenza di vita, le sembianze di creature vive che respirano e da un momento all’altro potrebbero sbattere le palpebre.
Strano a dirsi, ma quei demoni non hanno ali, né le lame al posto delle mani. Sono muniti di artigli bestiali e le code dalle punte triangolari, scolpite nel più oscuro granato Mozambico*, scivolano verso l’entrata per intrecciarsi tra loro in un unico arco di cristalli cremisi che, sollevato, preannuncia un portone di diamante nero a due battenti. Su ogni porta è scolpito in rilievo un drago d’oro impennato sulle zampe posteriori per far sì che, ad ante chiuse, la bestia intrecci gli artigli col suo gemello in un sigillo inscindibile, quieto e posato.
Derek spinge gli occhi verso la base del tempio, dove altre statue marmoree di draghi alte almeno quattro metri giacciono a intervalli regolari lungo il perimetro. Le bestie sono tutte uguali, con lunghi colli e squame sovrapposte, musi affusolati e corna ondulate. Stanno seduti compostamente, con un’unica zampa alzata verso l’alto a sostenere dei concentrati di fiamme simili a quelli evocati dai demoni quando manipolano il fuoco.
Derek spinge lo sguardo più in alto, verso il cielo, dove sulla cupola di diamante nero e onice, abbracciata da anelli concentrici di rubino che si avvolgono a spirale intorno ad essa, svetta l’ennesima statua, più grande e possente delle altre.
Un drago di diamante, splendente come il sole e alto quasi quaranta metri pianta gli artigli nella monumentale cupola. Ha il collo ripiegato di lato, il muso rivolto verso il cielo e le ali appena schiuse che toccano e si fondono con le mura del cratere stesso, inglobandosi nella roccia e nei cristalli. La coda si avvolge intorno al corpo massiccio, che sta accucciato e pronto al balzo, contratto in un fascio di muscoli visibili anche sotto le squame finemente lavorate. Anche dal basso della sua posizione, Derek distingue chiaramente i profondi occhi di rubino della bestia, le corna cremisi e gli artigli dello stesso materiale.
Derek non crede di aver mai visto niente di più splendido. Quel luogo, in tutta la sua solenne magnificenza, impersona la potenza del fuoco come la sua pacata pericolosità. Ed è opera dei demoni, gli stessi che affermano di conoscere solo l’Inferno e le grida atroci dei dannati.
-Ti… piace?- tentenna Stiles, guardandolo di sottecchi e allora Derek si volta, specchiandosi in quegli occhi dorati d’ansia e timore.
-È… accettabile.- afferma Derek, cercando di mantenere un contegno. Vorrebbe dire in realtà che quel luogo è bellissimo, che respira sacralità e potenza, ma non è bravo ad esprimersi a parole. Tuttavia, Stiles capisce e sorride timidamente, abbassando gli occhi. Quando si tratta del suo mondo, è sempre così: riservato, impaurito, timoroso. E Derek non vuole che Stiles sia così, non con lui.
-È… bello.- ammette alla fine, costringendosi a parlare per smorzare l’atmosfera. –Quantomeno, questo indica che non tutti i demoni sono imbranati come te.-
Stiles sbuffa dal naso e accenna un sorriso. –Imbranato lo sarai tu, isterico di un Sourwolf!-
Derek arriccia istintivamente un angolo delle labbra e a sorpresa, Stiles si solleva sulle punte per baciargli quel lato della bocca. Lo fa delicatamente, con la dolce semplicità di un bambino e prima ancora che Derek possa reagire, il demone è tornato al suo posto.
-Dovresti sorridere di più, Agente Smith.-
-Mi hai appena paragonato al cattivo di Matrix?-
Stiles si preme una mano sul cuore. –Non dirmi che l’hai visto davvero o potrei morire!-
-Sei già morto.-
-Sai cosa in…-
Stiles si zittisce all’improvviso e di scatto lascia andare la mano di Derek. Guarda alla sua destra, verso la donna che lentamente si avvicina, camminando felpata sulle magre zampe da… felino?
Derek non l’ha sentita arrivare e anche adesso che è vicina, non riesce ad avvertire l’ansito del suo respiro o il battito del suo cuore. La donna non ha odore e se Derek non la vedesse lasciare piccole impronte sulla piattaforma di diamante, penserebbe che si tratti di un fantasma.
Man mano che ella si avvicina, il licantropo ha modo di vederla meglio: nota la pelle nera come l’onice percorsa da riflessi argentati e le orecchie a punta, e capisce da subito che non è umana. Infatti, la donna sfoggia una bellezza devastante, costruita da un volto gentile, affilati occhi da gatta con azzurre pupille verticali e lunghi e lisci capelli, candidi come la veste che indossa, stretta in vita da una cintura d’oro finemente lavorata. Il corpo, visibile attraverso l’abito quasi monacale, è magro e slanciato come gambo di rosa in sboccio, ma s’imbestialisce a partire dalla vita, dove la pelle color carbone lucente si converte in lucido pelo nero di gatto. Dalla sommità più bassa della veste, sbuca una coda bianca, dalla metallica punta triangolare.
-Ehilà, Beleth!-
Stiles sventola una mano amichevolmente, ma non si avvicina, restio ad allontanarsi da Derek in presenza di un demone.
La donna li fissa, giudicandoli coi pallidi occhi da serpe. Sta immobile, non parla. Forse non è in grado di farlo, ma questo a Derek non interessa: lo innervosisce invece la dolcezza sconfinata con la quale Stiles tratta ogni demone che incontra, apparentemente dimentico delle torture subite. Apparentemente. Certe cose non si dimenticano, questo Derek lo sa bene. Più ripensa ai dannati che ha visto all’Inferno, più si sente a un passo dall’impazzire al solo pensiero che Stiles, il suo Stiles, abbia sofferto tre anni di quella devastante dannazione. Smembrato, massacrato, ustionato dal ghiaccio e dalle fiamme. Derek può solo immaginare il resto, e muore un po’ dentro ogni volta che lo fa. Lui non c’era quando Stiles moriva. Lui non c’era quando i demoni lo facevano a pezzi.
Prima di allora, Derek non c’è mai stato.
Eppure c’è adesso, mentre Stiles sorride affabile e saluta con dolcezza un demone austero e bellissimo che tuttavia, Derek è certo abbia massacrato il suo ragazzino almeno un paio di volte nell’arco dei tre anni trascorsi all’Inferno. Quelle fragili mani di donna, hanno snudato artigli sporchi del sangue di Stiles. Quelle morbide labbra carnose hanno riso delle sue preghiere e morso le carni già lacerate di un dannato che di oscuro aveva ben poco.
Ogni demone ha ucciso Stiles mille e mille volte, eppure lui perdona sempre, senza stancarsi mai. Non medita vendetta, non cela rabbia o frustrazione. Semplicemente, Stiles accetta ciò che è diventato e ciò che i demoni stessi gli hanno fatto, scegliendo ogni volta di guardare oltre, verso l’umanità forse perduta di quelle stesse creature ormai troppo bestiali, troppo annegate nell’oscurità. Derek può vederle soffocare nel buio, più e più volte, mentre disperate annaspano verso una luce ormai lontana. Anche i demoni muoiono, ogni volta che un pezzo del loro io umano sparisce.
Stiles chiede qualcosa alla donna in quella strana lingua demoniaca, raschiante e profonda come gli abissi della terra. Parla velocemente, con sicurezza, e ancora una volta Derek non riesce a impedirsi di pensare che quei suoni rispecchiano in totale pienezza il vero volto del peccato più antico. Sensuale e graffiante, morbido e terribile allo stesso tempo. Se a parlare è Stiles poi, Derek trova quella lingua ancora più affascinante, ma questo non glielo dirà mai.
Stiles non deve sapere fino a che punto gli è entrato nelle ossa e nel corpo.
Stiles non deve sapere che su di lui, può vantare il dominio totale di un potere incondizionato, devoto, che Derek non riesce a spezzare.
-Possiamo passare!- esclama Stiles all’improvviso, riportando Derek alla realtà. Lui  guarda intorno e nota che la donna si sta allontanando, silenziosa e sfuggente come la più pallida delle ombre. Derek si odia per non essersene accorto prima.
-Cosa ha detto?- chiede il licantropo.
-Che possiamo passare, professor Xavier.-
-Sai cosa intendo. Avete parlato per un po’, e non credo ti abbia semplicemente detto di passare. Cosa voleva?-
Stiles scrolla le spalle. –Cose da demoni. Non preoccuparti, Beleth è una brava ragazza.-
-Come lo sono tutti gli altri demoni secondo i tuoi standard?-
Stiles sorride, divertito. –No, lei lo è per davvero. Sai che esistono i demoni buoni? Be’, buoni per un certo verso. Beleth, per esempio, è un demone diurno.-
-Esistono demoni diurni?-
-Seh. Per farti un esempio, lei all’Inferno ci sta pochissimo e solo quando raramente abbandona questo tempio. Lei… la conobbi due anni fa, quando ancora ero nell’ultimo girone. Come Valefar, anche Beleth mi distinse tra le schiere di dannati.-
Derek digrigna i denti alla finale conferma dei suoi sospetti. Beleth era tra quei demoni, Beleth ha torturato Stiles. Lo ha massacrato, e adesso lui la guarda, le sorride, la perdona.
-Immagino che sia accaduto perché pregavi.- sbotta alla fine Derek, piccato. Lo guarda di sottecchi, in attesa della sua reazione, ma incredibilmente, Stiles sorride impacciato, abbassando gli occhi. Ha le guance color porpora e una zampa che struscia nervosamente sul terreno. Non parla più, non apre bocca. Semplicemente, lo oltrepassa e raggiunge trepidante una delle statue di drago più vicine.
Derek non sa cosa ha intenzione di fare e, trattandosi di Stiles, non è neanche certo di volerlo sapere. Tuttavia, il licantropo non può fare a meno di avvicinarsi per guardare da vicino quel viso che, accostatosi alla fiamma tenuta alta dalla zampa protesa del drago, si tinge di nuove ombre, tonalità vive e lucenti che evidenziano gli zigomi, il naso all’insù, le profondità d’abisso di quegli occhi.
Adesso, nello sguardo di Stiles, Derek può vedere un ricordo. Lo sente agitarsi nella mente del demone, lo vede strisciare ombroso nelle iridi fisse e improvvisamente vitree, segno che Stiles sta ricordando l’Inferno.
Prima che il licantropo possa fare qualcosa però, Stiles respira a fondo e protende una mano per affondare le dita tra le lingue incandescenti del concentrato di fuoco fatuo. La pelle non si scotta, il volto del demone resta fermo e immutato e neanche il barlume di un’emozione attraversa quegli occhi mentre le falangi si flettono, appena visibili all’interno del piccolo inferno chiusosi attorno alla sua mano.
-Stiles, che stai…-
-Aspetta.-
Stiles ritrae lentamente la mano, stringendo adesso tra il pollice e il medio qualcosa, un… diamante. Solo che non somiglia a nessun tipo di diamante mai visto prima: nero come il carbone, sfaccettato, lucente come una piccola stella oscura. Al suo centro, sboccia un minuscolo fiore di bagliori, un concentrato cangiante di colori e sfumature che mutano di continuo, danzando sinuosi per specchiarsi contro le innumerevoli pareti della pietra in frammenti di luce sempre diversi, vivi, come di fiamma accesa e accarezzata dal vento. Rosso, oro, blu, viola, bianco, nero. Derek riesce ad afferrare solo un quarto dei colori racchiusi in quella gemma splendente, ma grande appena quanto una pallina da pingpong.
Stiles fissa il diamante in controluce, negli occhi lo specchio di un’indecisione schiacciante. Poi, dopo istanti interi di silenzio, abbassa la mano e torna a fissare la fiamma sostenuta dalla statua di drago.
-In ognuna di queste fiamme…- dice, pensieroso. -… c’è uno di questi. I diamanti nascono dal calore e dal carbone, e questo perché essi, nel loro concentrato di luce e purezza, sbocciano dallo stesso materiale che forgia noi impuri. I diamanti che conosci sono candidi, perché al termine del loro concepimento, il fuoco li abbandona ed essi hanno il tempo per schiarirsi dal fumo e dal calore, lontani da tutto ciò che li anneriva. Lontani dalla bruciante oscurità delle fiamme.-
Stiles non lo guarda, chiude gli occhi.
-A volte prego di essere uno di questi, sai? A volte spero di potermi schiarire anche io, solo per sapere cosa si provi ad essere… candidi. Puliti. Lontani dal peccato e dal nero dei ricordi più oscuri. A volte ci spero, ma poi sento l’Inferno aggrapparsi alla mia anima e farla a pezzi ogni volta che ne ricostruisco faticosamente un pezzo. È per questo che ho sfidato Dio e Lucifero.-
Stiles si raddrizza, si volta verso Derek. Nei suoi occhi, si agita adesso il bagliore di una rabbia gelida e incondizionata, un senso di potenza che il licantropo riesce ad avvertire quasi fisicamente, come un’ondata di calore che gli attraversa le carni.
-Mai più.- ringhia Stiles. –Non ci saranno altri demoni come me, non ci saranno altri patti di anime innocenti vendute per sbaglio al migliore offerente. Combatto per far sì che ogni diamante nero abbia la sua occasione per schiarirsi; combatto per ricordare ai miei stessi simili che anche se quasi indistruttibili, i diamanti hanno almeno un punto debole, una minuscola zona che se toccata, manda in pezzi l’intera pietra. Non voglio altri Alastor e Dumah, non voglio altri diamanti sfracellati. Voglio semplicemente che la gente smetta di morire e capisca che a scegliere il nostro destino, siamo noi.-
Derek avverte un’ondata di dolorosa paura nella sua voce, la conferma che nonostante tutto, Stiles si sente ancora un ragazzino troppo piccolo per affrontare una battaglia di quella portata. A dispetto di ciò tuttavia, il giovane demone non si è mai tirato indietro e anche all’Inferno ha avuto il coraggio di sfidare Lucifero per l’ennesima volta, scegliendo ciò che giusto rispetto a ciò che è facile.
Derek non sa come faccia. Lui stesso ha combattuto innumerevoli battaglie a testa alta, ma il solo pensiero di affrontare l’Inferno intero in uno schianto frontale lo inquieta. Come può un ragazzino così piccolo osare tanto al cospetto delle due potenze massime dell’universo?
-Tieni.- dice improvvisamente Stiles, tendendogli il diamante nero, ancora appoggiato sul palmo. Sorride timidamente, insicuro sulla reazione che potrebbe avere l’altro. –Forse i diamanti non ti piacciono, ma il colore nero sì.-
Prima ancora che Derek possa reagire, Stiles fa cadere il diamante sul suo palmo e, voltandosi, intreccia nuovamente le dita alle sue. Gli stringe forte la mano e incastra il diamante tra i loro palmi, ancora imbarazzato ma felice che Derek sia lì. Chiede silenziosamente di aiutarlo a proseguire, perché ha bisogno di entrare, di sapere, di fare qualsiasi cosa l’abbia spinto a raggiungere il tempio.
E Derek lo accontenta, soffocando ogni domanda. Percepisce chiaramente il nervosismo di Stiles e sa che il giovane demone sta evitando qualsiasi domanda su Beleth e sul loro incontro. Questo a Derek non piace per niente. Esigerà le sue risposte, ma forse non è il momento giusto per agire perché Stiles ha bisogno di lui e perché Stiles è Stiles e se anche gli chiedesse di percorrere a piedi e senz’acqua l’intero deserto del Sahara, Derek lo farebbe.
Col diamante ancora stretto tra le mani, oltrepassano le statue e il portico, il calore della lava e i bagliori delle fiamme sostenute dai draghi. Raggiungono il portone e sgusciano all’interno del tempio senza toccarlo, entrambi restii a profanare quel luogo benedetto non da Dio, ma dai demoni e da ciò che resta della loro magnificenza bestiale.
In silenzio, Derek avanza per accedere alla semioscurità del tempio… e alla grandezza sconfinata di un’opera degna rappresentante del fuoco stesso.
La sala centrale stende le sue ali possenti in lunghezza, dove pareti di pietra lavica sfondate da colate d’oro purissimo formano un’area di forma rettangolare che sulla sua sommità, si apre in un cerchio ampio di purissima luce oscura dettata dalla cupola sovrastante. Statue di draghi e demoni sono addossate alle pareti, tutte in possesso di fiaccole fluttuanti troppo piccole per illuminare appieno l’ambiente ma abbastanza luminose da coprire di ombre sinistre i volti marmorei delle sculture.
Più avanti, al centro della cascata di luce nera e oro che piove dalla cupola, vi è un’altra statua, grande quanto quella del drago all’esterno. Scolpita interamente nel rubino sanguigno e alta una decina di metri, essa raffigura un angelo splendido oltre ogni dire, la creatura più bella che Derek abbia mai visto. Splende come il sole, fulgida di una magnificenza irraggiungibile capace di offuscare la luna, il cielo e le sue figlie stelle. Ha il volto morbido e quasi effeminato, le labbra piene, gli zigomi alti. Gli occhi, a stento visibili attraverso la dolce massa di capelli ondulati, volgono al cielo uno sguardo di diamanti oscuri, neri come il petrolio, che tuttavia non annegano la pacata sofferenza che esprimono quelle iridi. Lo sguardo dell’angelo è una preghiera, reale e supplichevole. Derek può sentirla sulla pelle, nell’animo, come veleno che scorre nelle vene. Quegli occhi parlano, piangono lacrime invisibili e narrano storie antiche, tristi e ben lontane dalle favole. Tutto il dolore del mondo è racchiuso lì, in due enormi diamanti oscuri che quasi insignificanti, esprimono uno dei sentimenti più devastanti dell’universo.
Derek scorre lo sguardo sul corpo dell’angelo, seminascosto dalla veste spiegazzata che dalla vita in giù, abbraccia le gambe in morbide pieghe e svolazzi di stoffa leggera, effimera come ali di farfalla.
L’angelo ha le braccia appena allargate, i palmi rivolti all’insù, i muscoli protesi e nervosi nello slancio del corpo che pare innalzarsi verso il cielo. Ha una sola ala, abbandonata ai suoi piedi come arto morto ma abbastanza grande da occupare l’intero spazio della circonferenza luminosa della cupola. Le piume giacciono morbide e silenziose intorno ai piedi, delicatamente sovrapposte le une alle altre, mentre l’osso dell’ala ricade in una strana angolatura, come se fosse spezzato. Derek non ha mai visto niente di più triste in vita sua. Una creatura nasce con le ali per poter volare, ma quando appunto un’ala si spezza… cosa resta della gloriosa magnificenza di quella stessa creatura? Che senso ha vivere a metà, sognando il cielo con la bruciante consapevolezza di non poterlo toccare?
-Lucifero.- esala Stiles improvvisamente, gli occhi fissi sulla statua. –Il giorno della caduta, lui era così. A modo nostro, lo siamo stati tutti.-
Derek non vuole pensare che Stiles abbia avuto quello sguardo. Non vuole immaginare quel pallido viso d’angelo caduto spezzarsi di dolore, debolezze, abbandono. Lo stesso abbandono che deve aver provato morendo in totale solitudine, al cospetto del mondo e del male più nero che esso abbia mai accolto. Derek ci pensa, e allora non ce la fa più.
Senza parlare, avvolge i fianchi di Stiles con un braccio e lo tira a sé per lasciare che il giovane demone appoggi il capo sul suo petto, protetto dal mondo e dagli incubi, dalle lacrime e dal dolore. Usa il proprio stesso corpo per nasconderlo, per donargli quel po’ di felicità che sa concedergli con la sua sola presenza, col tocco di mani gentili, col battito lento e vivo di un cuore di giovane licantropo.
E funziona. Semplicemente, funziona.
Stiles si rilassa, chiude gli occhi. Abbandonandosi al battito cardiaco di Derek, alla freschezza delle sue mani e al suo odore di bosco e terra bagnata, gli sembra quasi di tornare indietro nel tempo, quando un ragazzino logorroico e iperattivo scorrazzava tra alberi e cespugli, fiori e piante sconosciute. Ride, quel bambino, e inginocchiandosi impacciato, annusa con curiosità l’odore pulito di terra ancora umida, selvaggia, che accarezza fresca i palmi sporchi di giovane umano.
Quella terra, che per tanti anni ha visto crescere Stiles e l’ha accolto come madre fertile e gentile, odora di Derek. È bizzarro, ma per Stiles quella sensazione è come un segnale, il simbolo che sin dall’inizio, loro erano insieme, cresciuti l’uno sulle orme dell’altro.
Attraverso quel profumo, Stiles si rivede bambino.
Attraverso quel profumo, Stiles si vede ragazzo.
Attraverso quel profumo, Stiles matura, cresce, sbocciando in uomo fatto e finito che fino alla fine resterà accanto al suo grosso lupo nero.
Derek sa di casa, di sicurezza e protezione. Respira piano, sereno e vivo come mai prima d’ora. La sua pelle non è sudata, ma accarezzandola, Stiles riesce a sentire la ruvidezza di piccoli pezzi di terra e roccia sotto le dita, come se Derek avesse corso per miglia in mezzo al bosco.
-Non c’è bisogno che ti dica cosa penso, ragazzino.- soffia Derek sui suoi capelli. –Non sono bravo con le parole e certe cose le sai già.-
Stiles sbuffa una risata triste contro il suo petto. –Non so più niente, Derek. Dumah si è sacrificata per salvarmi e più ci penso, più sto male.-
-L’hai capito da solo che Dumah…?-
-L’ho sentito. Io ascolto sempre e ciò che sento fa male perché tutto ciò che posso fare ogni volta è sentire e basta. Non sono un diamante bianco, ma mi piace pensare che forse, un giorno…-
-Hai ragione.- lo interrompe Derek. –Non sei un diamante bianco. Anzi, non sei un diamante.-
Stiles sospira, mortificato. Sa di essere sporco, sa di essere ancor peggio del carbone più nero, ma sentirselo dire da Derek lo uccide dentro, un pezzo alla volta. Se non avesse già affrontato la sua trasformazione in demone in precedenza, accadrebbe adesso perché il dolore che esplode in Stiles all’udire quelle parole è tanto devastante da farlo vacillare.
Del mondo intero, gli interessa ben poco, ma di Derek… il mondo di Stiles, quello vero, è lui.
-Non sei un diamante, e sei un imbecille già perché ti paragoni a un banalissimo minerale.- sbotta Derek all’improvviso. –Sei molto più di questo, ma sei talmente idiota da non accorgertene nemmeno. Passi il tempo a piangerti addosso, sperando che il miracolo prima o poi accada, senza capire che il miracolo vero sei tu, e non hai bisogno di angeli o di Dio per dimostrarlo.-
Stiles non ha parole per replicare. Per la prima volta, non trova la voce per esprimersi, suoni per parlare. Boccheggia in cerca d’aria, gli occhi sbarrati adesso fissi in quelli di Derek, che lo guarda di rimando con le sopracciglia corrugate e le labbra strette, segno evidente di nervosismo. Forse pensa di essersi spinto troppo in là, forse pensa di avere esagerato.
Ma tutto ciò che pensa invece Stiles, è diverso. Lo è perché Derek non gli ha mai detto niente di simile, lo è perché quegli occhi di smeraldo, tanto inquieti quanto splendidi, s’animano della più pura sincerità e Stiles capisce che il suo licantropo pensa davvero ciò che ha detto.
Ogni volta che trascorre del tempo in sua compagnia, Stiles si convince d’aver conosciuto il piano più alto del Paradiso e ogni volta invece, è costretto a ricredersi perché Derek riesce a portarlo sempre più su, oltre i cieli e il Creato, oltre Inferno e Paradiso, lontano, dove angeli e demoni perdono importanza. Lo trascina via da tutto semplicemente guardandolo, sempre pronto ad accoglierlo nel magnifico mondo dei suoi occhi, dove foreste di giada e smeraldo crescono selvagge e incontrastate in un regno di purissima, incontrastata serenità.
Quello è il mondo che Stiles ama, quello è il mondo che protegge e per il quale è disposto a sacrificare ogni cosa, finanche se stesso. Quello è Derek, il suo Derek.
Si dice che appena nati, i bambini piangano forte perché bisognosi d’annunciare al mondo intero che ci sono, che adesso respirano anche loro. Strillano a pieni polmoni, figli d’una voce neonata ma possente che tuttavia, non attira l’attenzione del pianeta. Per quante grida un bambino possa emettere, non un uomo riuscirà a guardarlo davvero perché la voce a volte, non esprime abbastanza. Infatti, è solo quando il neonato smette di urlare e semplicemente sorride che d’improvviso, il mondo trattiene il respiro e si volta.
Stiles si sente così, adesso. Un bambino che urla, che non sa come esprimersi.
Non ha parole per ringraziare Derek, non pensa di essere abbastanza anche solo per rivolgergli uno sguardo, eppure Stiles sente di doverlo fare perché è giusto e perché quando la voce non basta, ad esprimersi sono e saranno sempre i gesti.
Dolcemente, gli afferra il viso tra le mani. Derek chiude gli occhi e volta appena il capo per baciargli il palmo morbido con devozione senza tempo, eterna e incrollabile. Inspira da vicino il suo odore, sorride appena contro la mano bollente del suo demone.
Poi, tutto va in pezzi.
Un concentrato di massiccia oscurità li investe, pesante e mefitica come la Morte stessa. Li coglie di sorpresa, attraversando Derek e travolgendo Stiles con foga schiacciante. Il colpo troppo violento e improvviso lo sbalza lontano, leggero come una marionetta trascinata da un tornado.
Stiles sente il vento accarezzargli il corpo, la mente svuotarsi per lasciare il posto a un unico pensiero spaventato, lo stesso che mentre la rabbia lo aggredisce, lo aiuta a tenere a bada il suo demone: Derek.
Reagendo d’istinto, Stiles cala bruscamente le ali verso il basso, veloci come ombre fugaci e inafferrabili. Pianta le punte acuminate delle ossa nel pavimento con la facilità di un coltello che affonda nel burro, arrestando il volo e ripiegando le zampe per equilibrare il corpo. La coda oscilla, pronta alla battaglia, quando improvvisamente un grido lancinante spezza il mondo di Stiles.
Quel suono, è talmente orribile che il demone è tentato di coprirsi le orecchie con le mani e cadere in ginocchio. Tornerebbe all’Inferno di sua stessa volontà pur di non udirlo di nuovo, perché l’urlo di Derek fa male, brucia da morire.
Stiles avverte la sua anima frantumarsi, il suo intero essere sanguinare al suono di quel grido. Poi, il demone solleva lo sguardo e definitivamente, ogni parvenza di serenità sparisce insieme al sangue che lentamente cola lungo gli artigli di Beleth, ora piantati a fondo nella schiena di Derek.
 
“T’amo senza sapere come, né quando, né da dove
T’amo direttamente, senza problemi, né orgoglio.
Così ti amo, perché non so amare che così.”
 
Stiles Stilinski, ha sempre pensato di conoscere a fondo ogni tipo d’incubo. Per tre anni, li ha vissuti in prima persona e per tre anni ha scelto di affrontarli senza reagire. Ha subito a capo chino, resistendo come roccia inamovibile ad ogni schianto doloroso che sempre più spesso rischiava di spezzarlo. Ha osservato impotente lo svolgersi di ogni tipo di tortura, ha ascoltato suppliche e visto brani di carne strappati dalle ossa.
Col passare del tempo poi, Stiles è diventato incubo egli stesso. Abbracciato dall’oscurità e da essa stessa concepito, ha pensato dopo di aver visto e subito abbastanza incubi da poter pretendere di conoscerli ormai pienamente e senza riserve.
Errore.
Stiles crolla in ginocchio mentre l’ennesimo e più orribile incubo si sveglia dinanzi al suo sguardo, vivo e pulsante d’orrore. È qualcosa di nuovo, tinto dal sangue di Derek Hale e dal suo stesso grido armonizzato. Stiles pensava che nulla potesse più spezzarlo dopo tre anni trascorsi all’Inferno, ma si sbagliava. Quello, è l’incubo più devastante che abbia mai visto, l’orrore indescrivibile che passo dopo passo gli lacera le retine, percuote la sua anima faticosamente ricucita, annienta cuore ed emozioni.
Derek boccheggia, ha gli occhi sbarrati fissi sulla lama che buca assassina il suo petto, coprendolo di sangue e convulsioni leggere. Resta in piedi, non crolla, e Stiles sa che Derek Hale non è il tipo da piegarsi innanzi alla morte. Se ne andrà in piedi, a testa alta, permettendosi di crollare solo e soltanto quando l’ultimo battito avrà lasciato il suo corpo.
Alle sue spalle, vi è Beleth, alta e bellissima, immobile e austera come una splendida statua. Fissa Stiles con interesse, badando bene a non estrarre la lama dal petto di Derek. Sa che, se solo perdesse di vista il suo unico ostaggio, Stiles la farebbe a pezzi. Sa che, dopo aver toccato Derek, il suo compagno demone non le permetterebbe un respiro di troppo.
-Lascialo andare… ti prego, Beleth!- esala, Stiles, pallido e insicuro come se la lama avesse attraversato anche lui. Le ali tremano, si accasciano come spezzate e la sua pelle perde di lucentezza. La sua stella si spegne, soffocata da un dolore troppo intenso che poco a poco le sottrae vita e luminosità. Senza Derek, Stiles si lascerebbe morire, e questo Beleth può sentirlo chiaramente.
Per questo è arrabbiata. Per questo odia a morte entrambi.
-Sai cosa hai fatto, Stiles?- sibila lei con voce gracchiante. –Sai a cosa ci hai condannati? Hai sfidato pubblicamente Lucifero sul suo stesso campo, e adesso lui verrà a prenderti, ovunque vorrai nasconderti, e farà a pezzi qualsiasi demone si trovi nelle tue prossime vicinanze. Saremo tutti puniti, e questo perché tu hai voluto cambiare le regole, scegliendo di agire di testa tua! Vuoi guidare un esercito, quando sei così debole da cadere in ginocchio non appena il tuo cane resta ferito!-
Derek ringhia, sputa un grumo di sangue. Tenta di muoversi, ma questo allarga solo la ferita al centro del suo petto.
Stiles singhiozza, troppo prostrato per gridare e troppo stanco per reagire. Non riesce a respirare, gli gira la testa. La sola visione del suo Derek ridotto in quello stato, lo frantuma in mille pezzi più di uno specchio sbriciolato dalla furia di un tornado.
-Ti prego… Beleth, ti prego…-
Ma Beleth ringhia, muovendo appena la lama nel corpo di Derek. Lui sibila più forte, ma non le presta la soddisfazione di ascoltare alcun gemito di dolore. Il sangue gli cola tra le labbra, scivola sugli abiti e macchia i jeans. Gli tremano le gambe e fa male, un male allucinante. Derek grida interiormente, ma si costringe a serrare le labbra perché Stiles è lì e non dovrebbe nemmeno vederlo in quelle condizioni. Non merita di ascoltare le sue grida, non ha bisogno dell’ennesimo incubo da affrontare.
-Ci hai condannati per questo, Stiles. Ci hai condannati per lui.- ringhia Beleth. –Non sa perché ti avvicinai quando ero all’Inferno? Non sa chi sono?-
Stiles mugola, impotente.
-DIGLIELO!!!-
Il ruggito di Beleth spacca a metà i timpani di Derek. Sente quel suono entrargli nelle ossa, come grido disperato d’una condannata.
Stiles singhiozza, e mentre guarda Derek in viso con lacrime cristalline che colano lungo le guance, schiude le labbra: -Lei… il suo compito è riunire le persone innamorate. Riesce a sen… sentire l’amore vero e fa in modo che le giu… giuste persone lo perseguano. Mi conobbe per… per questo, perché ero innamorato e l’unica cosa che mi aggrappava alla sanità mentale era quello stesso amore. Io ti amo dal primo istante in cui ti ho conosciuto, Derek. Ogni volta che ti vedevo, io… volevo dirtelo. Ma non te l’ho mai detto… non ho mai… non…-
Derek ripensa allora al ricordo in cui Stiles si faceva massacrare da un uomo incappucciato, lo stesso che l’avrebbe poi trascinato all’Inferno. Ricorda l’istante in cui Stiles si voltava verso la finestra, lo specchio della luna riflesso nei suoi occhi. E ricorda, Derek, le ultime parole del condannato a morte, un istante prima che la morte stessa lo ghermisse: “Avrei dovuto dirglielo”.
-Lei predisse una… cosa, per me. Disse… disse che mi avresti… spinto a morire… disse che per te mi sarei lasciato morire…- esala Stiles, tra i singhiozzi. Respira affannosamente, il petto che si alza e si abbassa, poi si accascia definitivamente. –BELETH, TI PREGO!!!-
Ma Beleth non si muove.
-Pensi che Lucifero sia stupido? Pensi che non sappia quanto sei debole? Non riesci neanche a proteggere te stesso, e basta abbattere il tuo licantropo per farti fuori! Sei fragile!-
-Ti… sbagli…- ringhia Derek, attirando l’attenzione dei due demoni. Sputa un grumo di sangue, trema, ma non smette di parlare: -Lui è più… forte… di tutti voi. È di… diverso, e lo te… temete per questo. La tua non è una di… mostrazione di coraggio… ma di paura. Hai paura.-
Beleth muove la lama all’interno del suo corpo e Derek ringhia di nuovo mentre Stiles urla più forte.
-Ti prego! Farò qualsiasi cosa, ma lascialo vivere! Tornerò all’Inferno, se vorrai, ma per favore…-
Allora, Beleth estrae la lama.
Derek crolla al suolo, esausto ma vivo. La ferita inizia a cicatrizzarsi da subito, ma ci vorrà tempo affinché si chiuda del tutto, e questo perché a ferirlo è stato un demone.
-È questo, allora? È questo l’amore?- esala Beleth. –Neanche Dante Alighieri sarebbe mai arrivato a tanto, ma tu… tu per lui hai rivoluzionato l’Inferno intero e adesso… adesso i demoni si stanno schierando. Per te, così piccolo e fragile. Così umano.-
Stiles singhiozza ancora, senza rispondere.
-Però capisco cosa vedano in te.-
Beleth lo fissa, le iridi feline ristrette e calcolatrici. Lo giudica in silenzio, così come fece quella volta all’Inferno, quando Stiles incrociò per la prima volta i suoi occhi. Lei gli disse allora che sarebbe morto per proteggere Derek, gli disse che il suo amore avrebbe trovato tragica fine con la semplicità di uno che parla del tempo. Lo mise in guardia, ma Stiles la ignorò, e ancora la ignora, fiero delle sue scelte.
Non abbandonerà Derek, a costo di tornare all’Inferno e morire altre mille volte.
-Non ti chie… chiedo di unirti a me. Lasciami morire, se devo, ma non toccare lui.- esala Stiles, tra gli ansiti. –Questa guerra a… appartiene a chi sente di voler… essere libero. Perciò, se non vuoi averci nu…lla a che fare, fatti da parte. Oppure uccidimi. Uccidimi, fammi a pezzi… ma lui non lo toccherai.-
Stiles solleva il capo, ansante. Per quanto gli giri la testa, riesce a mettere a fuoco il corpo di Derek, il suo gomito che si pianta per terra e solleva il busto sanguinante dal pavimento. Respira faticosamente, ma almeno respira. È vivo, e Stiles lo sente vicino, ora più che mai, perché anche nella morte, loro saranno insieme.
Insieme davanti al mondo, insieme al cospetto di Dio e Satana. È per questo che Stiles combatte. 
Derek pare carpire i suoi pensieri e alza gli occhi, affannato e sporco di sangue. Incrocia lo sguardo di Stiles, affonda nelle pieghe delle sue iridi dorate, vive e bellissime mentre il demone si abbandona fiducioso allo smeraldo delle pupille di Derek. Per lui, guardare quegli occhi è come tornare a casa. E a casa, ci torneranno davvero.
Insieme. 
-Mi… dispiace per te.- ringhia Stiles, piantando un piede per terra. –Ma io non mollo.-
Le ali si allargano, riempiendo abissali lo spazio sconfinato del tempio. L’oro che piove sulla statua abbraccia le vele setose, tingendole di una benedizione preziosa, lucente come bacio solare.
Ed è allora che Derek la percepisce, viva e pulsante come creatura autonoma. La furia distruttiva di Stiles si risveglia, manifestandosi a ondate massicce che velocemente si propagano, schiantandosi contro i muri del tempio, contro la statua, contro il cielo e il vulcano più grande del mondo. Abbraccia ogni cosa, rabbiosa come un cane pronto a mordere la mano del padrone.
Quella rabbia, è cieca. Odia tutti, chiunque le capiti a tiro. Respira furia, esala sangue e Beleth riesce ad avvertirne la massiccia pericolosità strisciarle contro la pelle.
È quella la vera forza di un demone, l’ira inenarrabile di chi per secoli è crollato impotente al cospetto di innumerevoli torture, senza mai poter reagire. Prima o poi, quell’impotenza esplode, si trasforma in corna e coda uncinata, in ruggiti e lame sporche di sangue. Ma c’è qualcosa di più.
La rabbia di Stiles è devastante, ma indirizzata con precisione millimetrica. È una bestia controllata, tenuta al guinzaglio, che reagisce e si scatena a ordine e comando del suo stesso padrone. Nessun demone tanto giovane sarebbe capace di ingabbiare in sicurezza la sua bestia interiore. Anche i più vecchi, sono costretti a lottare contro il loro stesso io per averla vinta e comandare il proprio stesso corpo.
Quel ragazzino invece, la rabbia riesce a tenerla sotto controllo. In qualche modo, ha fuso demone e umano, vivo e defunto, luce e ombra. Beleth riesce a vederlo negli occhi dorati dalla pupilla ellittica, nella coda scudisciante, nelle ali massicce che riempiono il tempio per intero e nelle zampe che di debole, non hanno più niente.
Ma non è questa l’unica sorpresa.
Improvvisamente, una nuova ondata di potere devastante travolge Beleth, costringendola a retrocedere di qualche passo. Un muro massiccio di rabbia inossidabile si schianta ferocemente contro il suo stesso muso, attraverso il corpo e gli organi, spingendosi fin dentro le ossa.
Non proviene da Stiles, ma non ha origine neanche dall’esterno del tempio.
Non ci sono altri demoni lì, e Beleth non riesce a riconoscere quel muro di energia distruttiva che di infernale, ha ben poco. Pare un lascito devastante dell’essenza umana di Stiles, qualcosa che non dovrebbe esserci, qualcosa che nessun demone possiede.
A meno che…
Beleth china il capo di scatto… dove occhi blu dalla pupilla ellittica la fissano, posti su un viso di giovane licantropo dai capelli neri. Occhi bestiali su un viso di bestia, occhi infernali su un essere puro.
Che anomalia è mai quella? Nessun testo biblico ne parla, nessuna leggenda ha mai accennato ad un simile obbrobrio. Eppure, Beleth ne è la testimone, lì, in quel momento, mentre Derek Hale, ancora stanco e ferito, emana ondate di fisica rabbia animale che mai nessun licantropo dovrebbe ottenere.
E quegli occhi. Attraversano la luce e l’oscurità, l’Inferno e il Paradiso. Non sono umani, non sono demoniaci. Non sono niente, eppure… eppure Beleth se ne sente schiacciata, perché quello sguardo, trasuda più umanità di qualsiasi altra cosa.
La coda di Stiles saetta all’improvviso, invisibile e velocissima come cometa oscura in un cielo nerissimo. Stranamente, stavolta Derek riesce a sentirla, ad avvertirne la vicinanza. E non ha paura perché per qualche ignota ragione, ne conosce già il tragitto. Sa come agirà Stiles, sa dove e come colpirà.
E infatti, Derek non sbaglia.
Prima ancora che Beleth possa reagire, la coda di Stiles le buca lo stomaco, come punta di freccia che trapassa un corpo inerme. Sbuca dall’altra parte, tanto massiccia da spezzarle costole e frantumarle gli organi.
Beleth ruggisce di dolore, un grido lancinante che costringe Derek a coprirsi le orecchie e Stiles a sibilare infastidito.
-Tu non hai potere su di noi!- ringhia Stiles, così forte da far tremare la terra. La sua voce è una condanna, il suo timbro lama tagliente di ghigliottina. Quella è la voce dell’umanità intera, la voce della potenza più pura.
Beleth non può niente contro di essa, perché nessuno è tanto forte da contrastarla. Si sente piccola e fragile, come debole umana al cospetto di Lucifero in persona.
E capisce.
Capisce che quello è il vero generale dell’Inferno, una creatura degna di guidare una rivolta. Capisce che Dio e Lucifero dovranno lottare strenuamente per contrastarla, e Beleth non è certa che a vincere sarebbero loro.
Stiles reagisce in funzione di Derek, tiene a bada la bestia in suo nome e per lui sceglie di lottare con tutta la sua forza. È questa la vera potenza del ragazzo, quella che incuriosisce i demoni e stupisce gli angeli.
Stiles estrae la coda, lascia che Beleth cada in ginocchio con le mani strette sulla ferita sanguinante.
-Non voglio ucciderti.- sbotta Stiles.
Beleth solleva gli occhi, lo guarda in viso. A sorpresa, annuisce.
Non vincerà quella battaglia, non se Stiles è con Derek. E forse… anche Lucifero e Dio proveranno quello stesso terrore, quel senso di inquietudine e di pericolo. Capiranno che quel ragazzo, è un capo. Capiranno che la sua umanità sarà la vera nemica da abbattere, la forza indistruttibile che come un torrente in piena si riverserà in battaglia.
La coda di Stiles sibila, guizza. Il piatto della punta triangolare colpisce Beleth in volto e la abbatte, schiantandola al suolo con tanta veemenza da spaccare il pavimento e riempirlo di crepe.
È finita. E, con lo scioglimento della tensione, anche Stiles crolla.
Ha avuto paura, una paura mostruosa. Vedere Derek in quelle condizioni, a terra e coperto di sangue… l’ha quasi spezzato, più di quanto abbia mai fatto qualsiasi altra tortura.
Calmati.
Stiles respira a fondo, alla disperata ricerca d’aria. Le ali si afflosciano, le zampe tremano, la coda crolla di schianto al suolo, tanto pesante da affondare nel pavimento durissimo.
Calmati.
La paura non lo abbandona. Se chiude gli occhi, rivede Derek a terra. Se chiude gli occhi, lo immagina moribondo, stanco, col petto che poco a poco rallenta il respiro e infine smette di muoversi. E, insieme a quelle visioni, arriva anche il resto. Ricordi mostruosi, dolori indicibili, lacrime d’impotenza trattenute e mai versate.
Ricorda, Stiles, ricorda l’Inferno. Certe immagini, non potrà mai dimenticarle, perché quel dolore non lo abbandonerà mai. Ferri roventi sulla carne, ossa spezzate, uncini negli occhi e fiamme sottopelle. Non urlava mai quando lo ferivano, perché si sentiva troppo stanco per farlo, troppo prostrato per aprir bocca. Coraggio? Lui non è mai stato coraggioso. Come può pretendere adesso di affrontare una guerra simile, se non riesce a proteggere neanche quanto di più prezioso ha al mondo?
Poi però, una mano compare. Qualcuno lo afferra, lo strattona oltre il velo d’oscurità, verso una luce calda e gentile. Due braccia umide di sangue e sudore lo avvolgono, stringendolo a un corpo solido, che sa di sogno più che d’incubo. Stiles ne avverte il calore, il profumo indimenticabile, il respiro calmo e sereno.
Quel corpo. Il corpo del suo angelo.
-Respira.- mormora la voce di Derek, a un centimetro dal suo orecchio. –Sono qui, respira.-
E Stiles ubbidisce, perché a chiederglielo è Derek. Inspira a fondo, calma il tremito convulso delle mani, si aggrappa forte alla gentilezza del tocco dell’altro sulla pelle.
È a casa. Sta bene.
-Perché non me lo hai detto?- sussurra Derek. Non è arrabbiato, solo curioso. E quella gentilezza, spinge Stiles a dire la verità.
-Non volevo che… mi lasciassi.- risponde con voce flebile.
Derek sbuffa forte dal naso. –Sei un ragazzino imbecille. O non mi conosci, o sei più idiota di quanto pensassi. E piantala di nascondermi le cose, o la prossima volta ti apro la gola. Con i denti.-
Ancora ad occhi chiusi e stretto nel suo abbraccio, Stiles corruga le sopracciglia. –Dovrei parlare dei fatti miei a uno che non ha mai visto Star Wars? Non sei affidabile, Sourwolf.-
-La smetti di ricordarmi che non ho visto quel dannato film? Avevo altro da fare.-
-QUEI film. E sarebbe ora di vederli, o ti lascio!-
-E io ti apro la gola con i denti.-
-Sì, ma io ti lascio!-
-Quando ti avrò ucciso.-
-Saprò difendermi con la mia spada laser… ah, scusa! Tu non sai cos’è una spada laser!-
Stringendolo ancora tra le braccia, Derek gli affibbia un delicato scappellotto dietro la testa.
-Ti rendi conto che litighiamo stando abbracciati?- sbotta il licantropo, trattenendo faticosamente un timbro divertito che, è convinto, di certo rovinerebbe quel po’ di dignità che è rimasta nella sua immagine.
-È colpa tua! È sempre colpa tua!-
-Tanto per dirne una nuova. Da quando mi conoscete, tu e Scott mi avete accusato di non so quanti omicidi e di altrettanti tentati massacri, quindi ci sono abituato.-
Stiles ridacchia contro la sua spalla, pensando a tutti i guai ingiustificati che lui e Scott hanno indirizzato verso Derek da quando si conoscono. Hanno fatto tanta strada e ormai si conoscono da tempo, ma ogni volta che lo guarda, Stiles è convinto di non averlo mai fatto abbastanza. È assurdo come il viso di Derek racchiuda in sé sempre nuovi aspetti, nuovi dettagli che Stiles all’inizio non aveva notato. Ogni volta, per lui è come fissare un’opera d’arte dalle mille sfaccettature cangianti, vive di emozioni e polvere di stelle.
Derek, il suo Sourwolf.
-E intanto ti comunico che a furia di battibeccare, ti ho fatto passare l’attacco di panico.-
Stiles sbarra gli occhi mentre Derek si allontana, fissandolo con un sopracciglio inarcato e l’aria soddisfatta di chi ha vinto la sua ennesima battaglia.
 -Per la cronaca…- sbotta, afferrandogli la nuca con una mano. -… vorrei ricordarti che quello con una sfilza preoccupante di ex psicopatiche alle spalle sono io, quindi la tua amica demone può anche cominciare a sperare che la sua predizione rispecchi un pericolo più grande di loro, o non se ne fa niente. Non ho intenzione di lasciarti morire, ragazzino. L’unico che può minacciare la tua vita sono io.-
Le sue non sono parole romantiche, né particolarmente profonde, ma rappresentano tutto ciò che Stiles ha bisogno di sentire.
Derek ha sempre una parola giusta per lui, come costruttore di perle addetto ad affidarle alle giuste ostriche. Non manca mai di trovare il momento giusto, le frasi giuste, il tono di voce giusto. Spesso appare rude, macabro, aggressivo, ma per Stiles non è così perché… be’, perché è Derek. E Derek, per quanto imperfetto, racchiude in sé il personale universo di perfezione di Stiles.
Senza accorgersene, Stiles sorride e una piccola lacrima gli inumidisce l’occhio destro. Non vuole piangere, non vuole sentirsi debole. Però ogni volta che lo guarda, ogni volta che ode la voce di Derek, ogni volta che lo sfiora e ascolta il battito del suo cuore… Stiles quasi non riesce a credere alla grandezza del miracolo in cui è incappato.
-Grazie.- mormora semplicemente, e Derek capisce.
Con quel “grazie” sussurrato, Stiles vuole dire tante cose: grazie per avermi salvato da me stesso, grazie per avermi sottratto alla morsa dell’Inferno, grazie per avermi ricordato che alla fine, anche l’oscurità deve passare. Grazie.
Finalmente, Derek si china su di lui e lo bacia. Un bacio dolce, a fior di labbra, che a sua volta parla e racconta, sussurra e grida troppe cose. Uno sfiorarsi di lingue che insieme, narrano mille e mille storie intrecciate. Gli eroi dall’armatura scintillante di Stiles si affiancano alle fiere creature della notte che per anni hanno popolato la vita di Derek e all’improvviso, un mondo nuovo sboccia in quel bacio, in quel tocco di mani che sfiorano e si intrecciano, giocano e si sfuggono.
Stiles rinasce in quel bacio, sboccia a nuova vita. Socchiudendo gli occhi, guarda la luce da vicino, riflessa negli occhi blu zaffiro di Derek. Occhi da licantropo, occhi che Stiles vorrebbe osservare fino alla fine dei secoli.
Vuole che sia quello, il suo futuro. Quelle mani, quei sospiri, quel tocco delicato di labbra screpolate.
Quando si separano, Stiles torna a respirare normalmente, come se non avesse mai sfiorato un maledetto attacco di panico. Si sente bene, rinato, nuovo. E il suo benessere sboccia dal tocco di Derek, le cui mani sono adesso strette sulla base delle  ali frementi di Stiles. Il demone può sentire i suoi polpastrelli ruvidi contro la membrana sensibile, il tocco quieto e innamorato che scorre lungo vene le vene quasi impalpabili. Derek lo scopre, lo svela, lo chiama senza parlare.
E Stiles risponde.
Accade all’improvviso, quando per mero cambio di luce colpisce il candido rubino splendente della statua di Lucifero. Lo accarezza, scivola lungo ogni ombra, ogni sfaccettatura. Poi, senza cause né perché, un’ombra di donna compare non vista all’altezza del braccio della scultura. Giace accovacciata sul bicipite, i gonfi capelli ricci e gli occhi felini fissi su Stiles e Derek, ancora ciechi alla sua presenza.
Un piccolo furetto evanescente scorrazza sulle dita della statua, tanto leggero e impalpabile che di lui, non si ode neanche il ticchettio delle unghiette sul rubino.
Stiles avverte all’improvviso che qualcosa è cambiato. Sente una nuova presenza, un fruscio remoto e impalpabile. Schiude le palpebre, si stacca da Derek, poi si volta.
La donna è ancora lì, ombra tra le ombre, come silhouette senza volto né vestiti. Stiles non sa se lo sta guardando, non sa se stia parlando oppure no. In realtà, non è neanche sicuro che sia lì perché lui, quella figura la riconosce. E non è assolutamente possibile che di lei sia rimasto un rimasuglio d’anima.
Dove vanno i demoni quando muoiono?
Stiles ha creduto che si trattasse di sua madre. L’ha vista da lontano, ha frainteso le sue forme sfuggenti e l’ombra morbida di donna. Ci ha creduto, l’ha inseguita. Ma quella non è lei, per niente.
Dove vanno i demoni quando muoiono?
Stiles si raddrizza lentamente, gli occhi ancora fissi sulla figura immobile. Forse lo sta fissando, ma questo lui non può saperlo con certezza.
-Che succede?- si inquieta Derek, voltandosi. Sbatte le palpebre, dilata le narici, tende i muscoli. –Stiles.-
Il demone boccheggia, a corto d’aria. Il fatto che Derek continui a guardarsi intorno, gli fa sorgere un dubbio. –Non… la vedi?- domanda, senza distogliere lo sguardo dalla figura.
Derek si guarda attorno con più foga, gli occhi accesi di blu elettrico. Scandaglia l’ambiente con lo sguardo, pronto a difendersi e attaccare, ma la sua attenzione non si sofferma da nessuna parte.
-Di chi parli?-
Non la vede. Derek non può vedere la donna.
Dove vanno i demoni quando muoiono?
-Stiles. Rispondimi.- ringhia Derek lentamente, nell’evidente sforzo di restare immobile e trattenere l’inquietudine.
Stiles sta per rispondere. Apre bocca per parlare, ma ha appena il tempo per emettere un suono: la donna si muove, lentamente si tocca il viso e si sfila qualcosa, come… una maschera, una seconda pelle. Stiles non lo sa, ma quando l’ombra tende il braccio e lascia cadere la figura di una maschera da furetto, capisce.
L’oggetto cade, ascende verso il suolo.
La donna si volta di profilo e preme l’indice sulla bocca in segno di silenzio.
Poi, la maschera urta il suolo e Stiles lo sente. Il basso rombo di un onirica onda d’urto, un solo cerchio concentrico che si allarga e lo investe, travolgendolo e passandogli attraverso. Non tocca Derek, non lo sfiora nemmeno e, quando Stiles sente la mente distaccarsi dal corpo e le gambe cedere, è felice che il suo licantropo stia bene.
-STILES!!!-
Dove vanno i demoni quando muoiono?
 
Buio. Fa caldo, la pelle brucia. Qualcosa ti penetra nella carne, sfonda ossa e trapassa organi. Strattona. Non riesci a respirare quando ti spingono la testa tra le fiamme, e allora gridare non serve a niente, perché fumo e fiamme ti sottraggono ogni possibilità di fuga, ogni disperato bisogno di esprimere tutto il tuo dolore.
Senti il calore consumarti la pelle, i bulbi oculari, finanche i denti e le orecchie. Fiamme assassine ti mangiano le carni, e quelle si ricompongono ogni volta, continuamente, in un circolo doloroso che mai troverà fine.
Gli uncini che ti sfondano il corpo strattonano di nuovo, zanne feroci si chiudono sui tuoi arti e li spezzano una, due, tre volte, mentre code uncinate pugnalano l’addome ripetutamente.
Fa male, un male bruciante e inarrestabile. Ti senti impazzire, lurido pezzo di carne informe senza più palpebre per chiudere gli occhi, senza più bulbi oculari per guardare. Sei un ammasso informe di sangue, un oggetto nelle mani dei tuoi aguzzini che lottano per farti tacere mentre, anche con labbra cucite e denti strappati dalla bocca, tu continui a pregare.
Lo scenario cambia, il dolore si annulla. È buio di nuovo, ma c’è confusione. Qualcuno ti chiama, qualcuno grida. Rumori di lotta, ruggiti, sibili sinistri. Hai paura di qualcosa, ed è un sentimento talmente forte, talmente bruciante, che esso comincia a corroderti le ossa.
Lui no, lui no, lui no, lui no…
Una voce parla, ripete quelle stesse parole una volta e una volta sola. Riconosci quel timbro come tuo, eppure hai paura di te stesso perché non ricordi di aver parlato. In realtà, non sapevi neanche di avere un corpo. Chi lo muove, adesso? Chi è a parlare?
Le palpebre si sollevano d’improvviso, regalandoti la visuale ravvicinata di un volto pallido di ragazzino, a malapena nascosto dal cappuccio nero. Al suo collo, sotto la veste, è appeso un amuleto, lo stesso che tempo fa ti donò il potere di cambiare aspetto. Ti specchi nei suoi occhi sbarrati, fissi i capelli neri che sconvolti cadono dinanzi al viso e sulla fronte madida di sudore. Allora lo riconosci, ma questo un istante prima di scagliarlo lontano, verso l’alto, con la leggerezza di un uomo che lancia una pallina da tennis. Non avverti il suo peso, il tocco delle dita strette intorno al collo.
Non senti niente. Non sei niente. Solo due occhi esanimi e una mente impotente che come ultimo pensiero grida: “Non voglio farlo”.
Il corpo di Alastor si schianta contro la vetrata più alta della chiesa, cade all’interno con grazia quasi angelica. Sai cosa gli accadrà ancor prima che le fiamme guizzino, salendo in alto, guizzando impazzite oltre le imposte della finestra come mefitici annunci di morte.
Capisci allora di aver ucciso un tuo alleato, un tuo aguzzino. Hai ucciso un demone, lo stesso che per i giorni a venire hai guardato negli occhi, parlandoci, toccandolo, seguendolo. Lo hai ucciso allora, quando uscisti la prima volta con Derek, quando il tuo licantropo conobbe Valefar in quel locale.
Eppure, Alastor non è morto prima della sua effettiva dipartita. Oppure sì?
Affannato, ripensi ai momenti trascorsi insieme a quel macabro bambino e al suo Cubo di Rubik. Momenti dolorosi, inquietanti, intrisi di pericolo e senso di impotenza. Eppure, Alastor si comportava da Alastor. Gelido, arrogante, pacato. Un vecchio in un corpo di bambino, un immortale negli occhi di un infante.
Alastor era vivo, lo ricordi bene. O forse… quello con il quale hai avuto a che fare, non era Alastor. Ma, se pure è così, sorge spontanea una domanda: chi ha preso il suo posto?
 
Respirare. Per molti è facile, basilare, così come natura ha imposto. I polmoni si gonfiano, il petto si alza e si abbassa. L’aria che si inala ha mille sfaccettature, viva come creatura benefica che mai si stanca di benedire ogni respiro, ogni ansito di creatura vivente.
Respirare è facile, respirare è umano.
Per Lydia Martin invece, respirare è impossibile. Forse ha perso la sua umanità, forse è morta e trapassata, perché si sente soffocare e non riesce a inalare neanche un briciolo di quell’aria maledetta che tante volte in passato l’ha aiutata, protetta, mantenuta in vita.
Quando era piccola, sentì i suoi genitori litigare con più violenza del solito e questo le causò il suo primo e ultimo attacco di panico. Era sola, rannicchiata sul pavimento, e ansimava con disperazione animale in cerca d’aria. Non riusciva a riprendere il controllo dei polmoni, si sentiva soffocare e qualcosa le premeva prepotente contro il petto. Immaginò allora che un mostro dalle mani enormi le schiacciasse la gabbia toracica, premendo di più, sempre di più, fin quasi a spaccarle le costole.
I bambini possiedono una fantasia illimitata, dalle ali grandi più del mondo stesso, ma quando quelle stesse appendici piumate si trasformano in nere propaggini di maledizione, quell’immaginazione si rivolta e diventa allora l’arma più potente dell’universo. Gli incubi diventano spaventosi, schiaccianti, e non ci sono cavalieri dalla splendente armatura pronti a respingerli. Si è soli in balia della propria testa.
Per Lydia fu così, allora. Ricorda ancora la pelle viscida di quel mostro, i suoi neri occhi affamati, le zanne schiuse a un millimetro dalla sua faccia. Per quanti orrori abbia visto in passato, Lydia non potrà mai dimenticare quel viso mostruoso, nero di catrame e ruvido di maledizioni.
Adesso, Lydia si sente alla stessa maniera. Sta soffocando, si sente schiacciata, e il mostro è lì, sul suo petto. Non riesce ad aprire gli occhi per guardarlo, non se la sente di incontrare quel lucido sguardo di ferocia famelica, perciò semplicemente, lotta per restare in vita, ma lo fa ad occhi chiusi. Spalanca la bocca, cerca di inspirare. Arpiona le unghie su qualcosa di morbido fin quasi a spezzarsi le dita.
Vuole vivere. Vuole vivere disperatamente.
-…dia… Lydia!- esala una voce ansante, remota. Qualcuno la chiama, qualcuno la tocca. Non è la voce del mostro, non sono i suoi artigli. Qualcosa la richiama alla vita, respinge di prepotenza la bestia assassina che tenta di soffocarla.
-LYDIA!!!-
Aria. In risposta a quel richiamo devastante, Lydia torna a respirare. Sente la mano del mostro sparire, i polmoni gonfiarsi di riflesso alla grata ricerca di un ansito vitale.
La sente, adesso. C’è ancora, e la tocca dappertutto, strisciando sottopelle, nei suoi occhi, nella sua bocca, fin dentro le ossa e gli organi. La vita.
Lydia non vuole sperarci molto, perché adesso ricorda: sa di essersi gettata in un mare di lava, sa di essersi decomposta nell’abbraccio delle fiamme. Sa che è morta. Forse, magari. Eppure, i morti non respirano, non sentono i polmoni bruciare, non tossiscono grumi di sangue e saliva. Ma lei che ne sa? Non è mai morta, e forse i morti funzionano veramente così: soffrono, piangono, muoiono più e più volte. Magari è finita all’Inferno e la stanno torturando.
-Lydia.-
No. L’Inferno è lontano anni luce, se la Sua voce è lì. Non il timbro di Dio, non quello degli angeli. È qualcosa di meglio, qualcosa che Lydia ha solo aspirato ad ascoltare di nuovo.
Quella non è una tortura. Nessuna tortura profuma di cannella e vaniglia. Nessuna tortura le sfiora la testa e le bacia la fronte con dolcezza devota, gentile come tocco d’ali di farfalla. Labbra morbide le accarezzano la pelle senza malizia, quasi timorose di toccarla.
-Lydia.- chiama ancora la voce e allora Lydia solleva le palpebre, perché a chiederlo e Lui, e a Lui il corpo di Lydia risponde all’istante, senza esitazione. Non si tratta del rapporto che passa tra marionetta e marionettista, quanto piuttosto del legame che stringe la luna al cielo. È qualcosa di istintivo, che Lydia non capisce, ma che non le dispiace, né la preoccupa.
La vista è appannata, confusa, ma Lydia è certa che già in normali circostanze, non dovrebbe nemmeno vederci. Distingue macchie confuse di colore, la forma di un viso molto vicino al suo. Qualcuno le appoggia una mano sulla guancia, la fissa in attesa di risposta. Lydia avverte la paura vera in quel tocco, l’ansia di un terrore primordiale e incontrollabile.
-Lydia.-
È il suo nome, quello.
-Lydia.-
Una parola sussurrata, un richiamo alla vita.
-Lydia.-
E Lydia riconosce se stessa, riprende totale controllo del suo corpo perché a chiamarla, è Valefar, il suo Valefar, la creatura che con fermezza l’ha sottratta all’abbraccio della Morte abbracciando Lydia egli stesso.
Valefar, che col suo fare accattivante l’ha avvicinata.
Valefar, che agli insulti, ha sempre risposto col sorriso.
Valefar, il demone umano.
Lydia mette a fuoco il suo viso d’alabastro, così vicino al suo che i loro nasi quasi si toccano. Alla banshee non dà fastidio, anzi: non gli si è mai accostata tanto, e adesso che è lì, può notare in lui piccoli particolari che prima le sfuggivano.
Pelle liscia, un sottile velo di lentiggini sul naso dritto. Quelle, Lydia non le aveva notate. Sono piccole, adorabili, quasi puerili sul suo volto di ventenne. Poi, ci sono i capelli: biondi, abbastanza lunghi da incorniciargli il viso e cadergli scomposti sugli…
-C… che ti è successo all’occhio?- esala Lydia, ancora esausta e ansimante.
Se fino a poco prima credeva di essere caduta in un bel sogno, adesso… adesso sa di trovarsi in un incubo. Mefitico, sporco, terrificante. La perfezione si spezza, la serenità va in frantumi come vetro percosso da un martello. E Valefar la guarda da vicino con un unico occhio azzurro cielo, vivo, brillante, sereno così come Lydia lo ricorda. Uno solo. L’altro è argentato, pallido, smorto e privo d’emozioni. Guarda senza vedere, fissa senza guardare.
Cieco. Valefar ha perso un occhio.
Lydia vorrebbe piangere. Lui l’ha riportata indietro intera, mentre lei… lei ha causato solo danni. I demoni ci vedono poco alla luce del sole, ma con un solo occhio? Valefar adesso è indifeso, fragile, come un uccello dalle ali spezzate. È tornato dal mondo dei morti a metà, e questo per colpa sua.
-Stai pensando qualcosa di stupido…- sbotta Valefar con un sorrisetto che scopre i denti bianchissimi.
Lydia distoglie lo sguardo e chiude gli occhi, troppo prostrata per guardare ancora la causa del suo operato, il suo ennesimo fallimento.
Gli occhi di Valefar rappresentano la vita, i colori, l’oceano placido baciato dal sole. Quel colore, è lucente e bellissimo come zaffiro. Quel colore, ha illuminato il viso e l’anima di Lydia anche nei momenti più bui. Adesso però, quella luce è dimezzata e lei si trova al buio, spezzata, sanguinante di sensi di colpa e lacrime non versate.
-Sì, stai decisamente pensando una cazzata.-
A sorpresa, Valefar le spinge dolcemente la guancia per costringerla a guardarlo in viso. Occhi spaiati, occhi dal vago taglio orientale. Occhi splendidi che nella loro purezza, hanno saputo affrontare l’Inferno e la sua sporcizia.
-Mi dispiace… mi dispiace.- sussurra Lydia, odiandosi per il tono tremulo della sua voce. Non vuole sentirsi debole, non vuole essere fragile. Eppure, nonostante tutto, quando incontra lo sguardo gentile e per nulla accusatorio di Valefar, si sente a un passo dal crollare. Sente la sua mano sul viso, il suo corpo accanto al suo e grazie a questo, Lydia si sente rinascere, morbida tra le sue dita come argilla da rimodellare ogni volta con cura d’artista.
-Ti dispiace per avermi riportato in vita?- sorride Valefar, divertito. –Ah, beata gioventù.-
Lydia lo spintona senza forza. –Non prendermi in giro! Hai perso un occhio!-
-E sei stata tu a cavarmelo? Devo essermi perso qualcosa.-
Valefar si raddrizza e scrolla il capo, le due code gemelle abbandonate al suolo intorno a loro come una lucente barriera protettiva blu e nera. È la prima volta che Lydia le vede da vicino, la prima volta che ha modo di accorgersi quanto siano grosse le punte triangolari dall’aspetto metallico, micidiale. Emanano evidenti segnali di pericolo e si trovano proprio a un passo da lei, vicino alla testa… eppure, Lydia non ha paura. Si sente al sicuro, protetta totalmente, fiduciosa che se solo accadesse qualcosa, quelle due code scatterebbero in sua difesa, velocissime e letali più di qualsiasi arma bianca.
Incantata, allunga una mano per sfiorare la coda più vicina, quella blu cobalto. È attraversata da lucenti riflessi metallici e in prossimità delle tre punte, si schiarisce in uno slavato azzurrino.
È bella. Strano a dirsi, ma è così.
Mentre Lydia la sfiora, la coda prende vita. Lentamente, si solleva e oscillando, le sfiora una guancia. È una carezza, un tocco gentile di timor reverenziale volto a sottrarre qualcosa alla pelle della ragazza… una lacrima. Piccola e senza peso, eterea e quasi evanescente. Alla fine, è sfuggita al rigido controllo emozionale di Lydia come acqua che piove dal cielo e questo le fa rabbia.
-Ehi, dolcezza.-
Lydia solleva lo sguardo stordita per incontrare gli occhi ormai spaiati di Valefar. Troppo vicini. Vicinissimi. Il viso del demone è accostato al suo, al punto che i loro nasi si sfiorano. Condividono respiri, odori, sensazioni. Lydia sprofonda nel cielo vivo di quello sguardo fatto di sogni e ricordi, vita e morte. Occhi di demone, occhi di uomo. Al loro interno, si intravede lo spicchio di un universo variopinto di supernove e buchi neri, nebule e astri luminosi. È come sbirciare nei meandri di un sogno bellissimo e irraggiungibile, qualcosa del quale Lydia ha solo sentito parlare.
-Sai perché il mio occhio è così?- sussurra Valefar sulle sue labbra.
Lydia scuote appena il capo, restia a muoversi in presenza di quella splendida, inavvicinabile creatura improvvisamente così vicina, così reale.
-Perché era così quando sono morto. Mentre mi torturavano, persi un occhio. E questo accadde ad Alexander, al mio io umano.- Valefar si raddrizza e afferra la mano di Lydia, aiutandola a sedersi. –Tu… mi hai restituito un altro pezzo di umanità, Lydia. Non ci vedo più dall’occhio destro, ma questa cecità è il regalo più importante e più bello che tu mi abbia fatto.-
Valefar sorride, gli occhi illuminati di vita, al punto che pare vederci da entrambi. Un piccolo raggio di luna sboccia nell’iride argentata, accostandosi all’azzurro cielo del suo compagno gemello.
Ci sono fiabe che narrano di principi e principesse, draghi e cavalieri. In ogni racconto che si rispetti, il cattivo è sempre il mostro, che si tratti di un rettile sputafuoco o di una terribile creatura infernale. Ma Lydia ormai, non può che essere in disaccordo con questo piccolo, importante punto di vista perché quella creatura, che di infernale recapita solo la nascita, è più bella di qualsiasi cavaliere, più magica di qualsiasi mago o folletto. La sua favola, il suo angelo dalle ali oscure.
Lydia si concede allora di sorridere tremula e di accasciarsi debolmente, fragile come statua di vetro. Prendendo il coraggio a due mani, si appoggia contro il suo petto, così come fece prima che Valefar partisse alla ricerca di Stiles. Chiede protezione, chiede sicurezza. Ha lottato per averlo indietro e adesso Valefar è lì, col suo profumo, i suoi sorrisi, i suoi splendidi occhi spaiati che soltanto al suo sguardo sarebbero parsi come la più magica delle benedizioni.
Rispondendo al suo tocco, Valefar la afferra per i fianchi e la posiziona tra le sue gambe. Appoggia la schiena contro la parete di roccia e lascia che la colonna vertebrale di Lydia entri in contatto col suo petto. Le cinge i fianchi con le braccia, struscia il naso contro la sua guancia in un gesto di devoto affetto caritatevole.
-Rendimi umano, Lydia.- sussurra contro la sua pelle. –Rendimi vivo.-
E Lydia risponde al suo richiamo perché non aspetta altro, perché a chiamarla è Valefar.
Rovescia il capo all’indietro, appoggia una mano sulla sua nuca e dolcemente lo spinge a chinarsi su di lei, morbido tra le sue dita come argilla fresca, umida di malleabilità. Valefar si affida a lei, le dona quanto di più importante abbia mai posseduto e in un dolce sfiorarsi di labbra, si abbandona definitivamente al calore umano di una ragazza che fino a quel momento, il tepore vero dell’amore non è mai riuscita a sentirlo.
Con dolcezza infinita, devota e innamorata, Valefar schiude le labbra e scorre gentilmente la lingua contro quella di Lydia. Chiede il permesso, trema d’aspettativa. E Lydia non è mai stata trattata con tanta devozione perché mai prima di quel momento ha ricevuto un bacio del genere, come quello dei film, che inizia col sorgere del sole e si estingue al tramonto. Quel bacio porta luce e tenebra, vita e morte. Incarna nel suo incanto una magia antica, devastante e meravigliosa capace di scorrere le ere, affrontare qualsiasi guerra, arrestare il tempo e costringerlo a retrocedere.
Lydia è parte di quel potere, adesso. È indistruttibile come un diamante, magica come primo respiro di infante appena nato. E a donarle questa magia, è l’essere più improbabile che abbia mai immaginato.
Mentre le mani di Valefar risalgono lungo i suoi fianchi, Lydia risponde al bacio a sua volta. Chiude gli occhi, affonda nel calore peccaminoso di quella bocca che di demoniaco, ha veramente poco. Sa di fragola e vaniglia, un mix bizzarro ma che Lydia ama da subito, al punto di aggrapparvisi con ogni particella del suo corpo.
Le dita di Valefar le sfiorano i seni con gentilezza devota, risalgono alle clavicole, scivolano poi lungo le braccia, sui polsi, fino alle mani. Lì, intreccia le dita con quelle di Lydia e silenziosamente, le promette qualcosa di immenso, un sogno e una vita che lei non ha mai neanche immaginato.
“Sono qui”.
Lydia sorride nel bacio, stringe forte le mani di Valefar. Crede nella sua promessa, crede nel tacito accordo che si scambiano adesso, sulle rive di un lago di lava luminosa. Eppure, nonostante tutto, la luce di quel torrente non riflette neanche un quarto dei bagliori che attraversano adesso gli occhi e il corpo di Lydia, oltre le ossa, fin dentro la sua anima.
Liquida polvere di stelle scorre nelle sue vene, sbocciando morbida dal bacio di Valefar che poco a poco si fa più azzardato, più intenso, senza mai tuttavia evitarsi di chiedere il permesso. Respira la sua aria, vive della sua anima. E lentamente, Lydia si accorge che qualcosa è cambiato, che il suo cuore adesso crede in qualcosa, un domani vivo e luminoso dove gli incubi sono solo il più macabro dei ricordi.
Improvvisamente, un ululato di dolore infrange il sogno di serenità generatosi. Spacca i timpani, lacera l’animo e sa di mille e mille sofferenze. Qualcuno sta morendo da qualche parte, qualcuno soffre più di qualsiasi anima torturata all’Inferno. Un lamento così straziante, Valefar non l’ha mai sentito, ma è Lydia a riconoscerlo.
-Derek.- esala, spaventata. –È successo qualcosa a Stiles.-
 
 
Beleth: In demonologia, Beleth (ma anche Byleth, o Elyth)[ è una demone diurna. Beleth è una femmina, ha un aspetto delicato, spesso illustrato con testa di felino e corpo di donna. Ha la facoltà di riunire le persone in amore. Le ragazze che aspettano proposte amorose pregano Beleth affinché tali proposte avvengano presto. Appartiene all'Ordine dei Poteri e governa 85 legioni di spiriti.
 
Angolo dell’autrice:
Siamo quasi alla fine. E già. Ma non è una cosa brutta, no? A volte, quando si amano certi personaggi, essi ci camminano accanto per tutta la vita. Per questo spero di avervi donato Valefar e Dumah, nella speranza che vi siano entrati dentro abbastanza da accompagnarvi. E insieme a voi, ci sarò anche io. Sono solo una piccola scrittrice, se tale mi si vuol definire, ma attraverso i vostri commenti, le vostre parole, il vostro affetto, ho imparato a conoscervi e ad amarvi. Per voi non ho volto, né voce, ma sappiate questo: sono vostra amica e vi voglio bene. Come è scritto in un libro che ho letto, certe avventure, per quanto pericolose, se vissute insieme hanno il potere di far nascere incredibili amicizie. E noi abbiamo camminato insieme lungo questo incredibile sentiero di demoni e licantropi, banshee e sirene. Vi ho trascinati in un tempio, vi sto per gettare in mezzo a una guerra devastante, ma tutto questo, noi lo viviamo insieme e voi non mancate di ricordarmi la vostra presenza. Per questo vi ringrazio col cuore e con l’animo, perché davvero, le vostre parole mi fanno pensare che forse, non sono poi così incapace a scrivere e questo per me è un traguardo che non avrei mai pensato di raggiungere. Grazie.
Barbara78
Even_If_it_rains
_Sara92_
Sophi33
_HeartDrum_

 
Anticipazioni:
“Quando si volta di nuovo verso i due ragazzini, vede Stiles torreggiare su di loro, le mani strette convulsamente sulle loro nuche, i muscoli delle braccia gonfi per costringere entrambi i nuovi arrivati in quelle posizioni di sottomessa vulnerabilità. Dà le spalle all’intero branco, ma di questo Scott è felice, perché non vorrebbe vederlo in viso, non adesso che la sua sola postura spaventerebbe Dio in persona, se non anche Lucifero stesso.
La figura di Stiles emana potenza, un senso di forza devastante e inarrestabile.
-Ditemi cosa volete. E badate a non mentire, perché ora come ora mi basterebbe un pensiero per decapitarvi entrambi.- sussurra Stiles con calma mortale.
-Allora?!- sbotta Stiles, stringendo la presa sulle loro nuche. –Sto aspettando.-
Il primo ragazzino parla con voce roca, dovuta alla presa troppo accentuata sul suo collo che quasi gli stacca la testa.
-Lui… arriva! Sta arrivando!-
-Lui chi?!-
-LUCIFERO!!!-”



Tomi Dark Angel
  
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