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Autore: rossella0806    26/07/2015    3 recensioni
Philippe Soave è uno psicologo infantile che lavora presso il "Centre Arcenciel" di Versailles, una sorta di scuola che ospita bambini e ragazzi disagiati, a causa di dinamiche famigliari non proprio semplici.
Attraverso il suo sguardo appassionato, scopriremo la realtà personale dei piccoli e grandi ospiti, ognuno dei quali troverà un modo per riscattarsi dalle ingiustizie della vita.
Ci sarà anche spazio per sorridere, pensare e amare!
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il giorno successivo al nostro disastroso incontro, Liliane non venne al lavoro; la stessa cosa avvenne per quello dopo ancora e per il mattino del terzo giorno.
Dopo la cena con mia sorella, la poca autostima che mi era rimasta si era definitivamente inabissata  nel fondale più recondito della mia mente: Agnése, infatti, non faceva altro che elogiare le innumerevoli qualità che caratterizzavano il suo Fabrice, così perfetto e premuroso con lei, il marito che ogni donna vorrebbe avere, mentre io mi sentivo uno stupido idiota, che annuiva vagamente alle domande retoriche che continuava a fare più a se stessa che a me.
Così, una volta a casa, la sera successiva dopo il lavoro, cominciai a chiudermi in un mutismo selettivo: ero insensibile persino alle insistenze di Vivianne, stranamente arrendevole per aver perso per l’ennesima volta alla nostra infantile gara sull’orario d’arrivo del treno da Versailles, ma morbosamente insistente nell’offrirmi la solita pizza e boccale di birra che caratterizzavano da mesi i nostri mercoledì sera.
Vivianne, infatti, ha la rara qualità di capire ogni cosa le capiti attorno; senza fare domande imbarazzanti, adotta i comportamenti necessari per risolvere la situazione, peccato che, a volte, il suo non chiedere informazioni porti la persona interessata a trattarla male: ammetto, infatti, di essere stato un po’ troppo maleducato con lei, chiudendole la porta in faccia e mormorandole un impercettibile "scusa, ma stasera ho mal di testa", il pretesto più stupido, antiquato e fuori luogo del mondo.
Così, dopo averla gentilmente accomiatata insieme alla sua sfilza di rimproveri ( “Anche se non lo ammetterai neppure sotto tortura, lo so che c’entra una ragazza! Non capisci nulla, Philippe, in fatto di donne! Se continuerai di questo passo, rimarrai solo come un’eremita, anzi peggio! Se mi fai rientrare, stileremo insieme un elenco di consigli che ti possano aiutare! Sei proprio uno stupido, ecco quello che sei!" Ecc ecc ecc), cercai di togliermi dalla mente l’insulsa figura che avevo fatto con Liliane: non provai neppure a chiamarla o a mandarle un messaggio, talmente mi sentivo in colpa; semplicemente sprofondai nel letto, le persiane accostate per far entrar un po’ d’aria primaverile, con l’unica compagnia della radio come sottofondo.
Forse Vivianne aveva ragione, dopotutto: nella materia del secolo “Come conquistare l’universo femminile” il massimo voto che avrei potuto prendere sarebbe stato uno zero tondo tondo.
Guardando il soffitto bianco e forse necessitante di una passata di bianco, mi venne in mente che quello di cui avevo bisogno, oltre ai saggi consigli della mia vicina di casa, fosse un cane.
Sì, un bel cucciolo con cui andare a passeggio per le strade di Montigny: al parco, in riva al fiume, tra le vie affollate del centro … ho sempre avuto la certezza che, un uomo in giro con il proprio cane, avrebbe suscitato ammirazione e tenerezza nella donne che gli passavano vicino, mentre si fermavano per accarezzare la testa e il manto del piccoletto, cominciando ad attaccare bottone con il proprietario bipede.
Da piccolo e fino all’adolescenza, nella casa di Lione, avevo felicemente convissuto con tre animali: Silvye, la mia bellissima labrador, André, l’impavido micione ( unico maschio della famiglia insieme a mio padre e al sottoscritto) e Lise, la criceta più ghiotta che possa esistere.
Ebbene, quando portavo fuori a spasso Sylvie, la tattica che mi era venuta in mente in quel momento di sconforto che stavo vivendo, aveva sortito i suoi frutti: bambinette di cinque anni e anziane signore over settantacinque, si avvicinavano entusiaste alla mia ragazza, chiedendomi emozionate di poterla accarezzare.
Quei tempi ormai erano finiti, però l’idea di un nuovo amico a quattro zampe non mi dispiaceva affatto: forse, adesso che ero cresciuto, si sarebbero fatte avanti donne della mia età …
Mi rigirai su un fianco e, un braccio piegato sopra il cuscino come poggiatesta, mi addormentai di un sonno senza sogni.
 

Il pomeriggio di venerdì, però, poco dopo le cinque e mezza, Liliane si presentò al Centre: io ero nel giardino con il gruppo degli Orsetti lavatori, i bambini di otto anni, tutti indaffarati a svolgere al meglio la caccia al tesoro che avevo preparato per farli distrarre dagli ultimi avvenimenti che ci avevano colpito.
Riconobbi subito la sua automobile blu elettrico, una Mini Cooper la cui carrozzeria brillava sotto i raggi perpendicolari del sole tiepido di fine aprile.
Cercai di non dare troppa importanza alla figura sinuosa che avanzava verso il vialetto di ghiaia e terra, al rumore ritmico dei suoi sandali sul selciato, forse troppo estivi per la stagione, ai pantaloni neri abbinati alla maglietta arancione con le maniche a trequarti.
Deglutii come se quel gesto naturale avesse potuto togliermi da quell'impiccio in cui, io stesso, mi ero cacciato, l'unico responsabile di quella situazione forzata dentro la quale eravamo stati catapultati.
Le urla di gioia dei bambini mi distrassero per qualche istante dalle mie riflessioni: Maurice e Gerard, l'uno nero quasi come un africano e l'altro albino come un discendente dei popoli del Nord Europa, saettavano tra le mie gambe, cercando di rubarsi a vicenda l'ennesimo bigliettino che avevo disseminato per il giardino.
"Ciao ..." mi salutò Liliane, i capelli biondi raccolti in una coda lunga poco oltre la nuca. Non sembrava imbarazzata, era semplicemente apatica, quasi come se non mi vedesse realmente.
"Oh, ciao. Ehm come stai?"
Credo che divenni rosso come un pomodoro oltremodo maturo: distolsi lo sguardo per mezzo secondo dal suo viso troppo pallido, mentre notavo gli occhi leggermente cerchiati, sfuggenti ai miei.
Lo rialzai subito dopo, però, perché non volevo perdermi un solo istante di quella conversazione che, speravo, si sarebbe svolta non come un mordi e fuggi, ma con tutta la calma di cui necessitava.
"Ho bisogno di parlarti ..." anche lei abbassò lo sguardo, posandolo su un timido accenno di viole del pensiero, che faticavano a crescere in mezzo a quella ghiaia e a quella terra scadente.
"S-sì, sì, certo. Adesso?"
Liliane annuì poco convinta; un sorriso fugace si diffuse sulle labbra, anch'esse pallide come il resto del viso, quando mi domandò:
"Come mai i bambini sono tutti agitati?!"
Io mi girai nella direzione dei suoi occhi:
"Stanno facendo una caccia al tesoro. Credo che Nicholas abbia trovato il quarto o quinto biglietto che ho disseminato in giro: ormai ho perso il conto di quanti siano!" tentai di giustificarmi goffamente.
“Una caccia al tesoro …?” ribadì Liliane, una nota nostalgica nella voce bassa “che bella idea che hai avuto, Philippe!”
Cercai di non dare alcun peso al complimento non troppo velato che mi aveva fatto, continuando a spiegarle:
"Chi ricostruirà per primo la frase che conduce al tesoro, vincerà tre libri a sua scelta!"
"Ma un tempo non si utilizzava una mappa?!"
"Beh sì, ma io non sono così bravo a disegnare, quindi ho ripiegato su un'altra idea che ..."
“E la gita alla Grande Patisserie?” un lampo d’inquietudine attraversò i suoi begli occhi verdi.
“Quella dovrà aspettare, purtroppo. I ragazzi hanno capito la situazione, chi più chi meno, così, almeno per questa settimana, si dovranno ancora accontentare dei gelati di Monsieur Victor!”
Cercavo di essere il più naturale possibile, eppure avevo paura di rovinare ancora ogni cosa e, questa volta, per sempre.
"Hai parlato con la direttrice?"
Liliane si rabbuiò a quella domanda che lei stessa mi aveva posto, cambiando bruscamente discorso.
La vedevo tesa, eppure speravo che quel suo comportamento non fosse dettato da ciò che era successo tra di noi appena tre sere prima.
"Abbiamo fatto una riunione straordinaria ieri mattina, nella pausa pranzo dei ragazzi. I vigili del fuoco sono tornati e hanno dato il loro nullaosta a riaprire la zona del corridoio in cui erano cadute le tegole: hanno messo un telo provvisorio, al posto del buco nel tetto. Purtroppo la nostra situazione finanziaria non è positiva: siamo già in rosso di duecento euro e, questo improvviso incidente, non ha di certo migliorato le cose. Madame Betancourt non sa cosa fare, non sa a chi rivolgersi" le spiegai tutto d'un fiato, nel timore che potesse interrompermi e farmi perdere il filo del discorso con la sua voce, più di quanto la sua presenza non stesse già facendo.
"Lo so, lo immaginavo. Quando l'ho avvisata che mi sarei presa questa settimana di ferie, mi ha ribadito che non versiamo in buone acque, che se continuiamo di questo passo ..."
"Perché non sei venuta?" la interruppi quasi senza rendermene conto: volevo capire, dovevo capire se era per me che stava rinunciando al suo lavoro.
"Dove?"
"In questi giorni: mercoledì, alla riunione di ieri mattina, oggi ... insomma, è per me? E' successo qualcosa? Non stai bene?"
Liliane sospirò, mordendosi il labbro inferiore e riprendendo a guardare verso i bambini, sempre più impegnati nella loro caccia al tesoro.
Il sole stava quasi tramontando, una palla di fuoco incandescente che si abbassava gradatamente sull'orizzonte tinto di rosso, arancione e rosa, prendendo il posto dell'azzurro slavato che aveva caratterizzato quel venerdì.
Quando ritornò a guardarmi, il suo sguardo era vacuo, assente, e la sua voce era leggermente incrinata da una combinazione di sentimenti di cui io non possedevo la traduzione per poterli interpretare.
"E' tornato ..." mi rispose semplicemente.
Subito non capii quelle parole, sebbene una strana sensazione si impadronì di me: temevo che proseguisse, come se sapessi perfettamente il nome che mi avrebbe sputato in faccia, da lì a pochi istanti, un gancio di un pugile assestato a tradimento.
Allora tutto mi fu chiaro e, per la prima volta da quando era successo, mi sentii meno in colpa per l'assalto che le avevo riservato tre giorni prima.
"Lui è tornato, vero? Mathieu è di nuovo qui, non è così?"
Liliane annuì poco convinta, come se non riuscisse a rendersi conto della situazione che le stava capitando.
"E' arrivato lunedì sera, per questo mi sono bloccata quando … sì, insomma, quando è successo del bacio e di tutto il resto. Si è presentato alla porta come se nulla fosse” cominciò a spiegarmi con la voce leggermente incrinata  “come se in questi due anni non se ne fosse mai andato. Mai una telefonata, mai una cartolina, solo qualche rado messaggio per il mio compleanno e per Natale... poi nulla, capisci?! Il nulla, il vuoto! Io ..."
"Vuoi sederti?" domandai per cercare di farla sentire a suo agio; vedendo l'espressione smarrita e desolata sul suo viso, mi pentii subito della mia stupida richiesta: ultimamente non riuscivo proprio a comportarmi normalmente con lei, facevo una gaffe dietro l'altra, un'insensatezza dopo l'altra.
"N-no, non è necessario. Ho bisogno di parlare. Anzi no, forse ho sbagliato a venire. Volevo solo sapere se si era trovata una soluzione per il tetto, ma tu mi hai già risposto, quindi forse è meglio che vada ..."
"Aspetta, ti prego!" le bloccai un polso, nello stesso istante in cui Liliane cercava di allontanarsi da me.
"Philippe, io sono confusa, non so cosa fare ..."
Si portò un indice alle labbra, cominciando a mordicchiarsi la rispettiva unghia.
"Non mi sono mai mangiata le unghie in trent'anni, proprio adesso dovevo cominciare!" mi spiegò, abbozzando un sorriso malinconico.
Si allontanò di qualche passo dalla postazione che aveva mantenuto fino a quel momento: Sophie, Isabelle e di nuovo Nicholas si stavano pericolosamente avvicinando a noi e, credo fosse per loro, che non voleva farsi vedere in quello stato stravolto.
Liliane si voltò nella direzione opposta a quella in cui i tre Orsetti si stavano avvicinando, seguiti ancora da Maurice, Gerard, Michael e Benedette.
"Scusami se ti ho annoiato con i miei problemi, ora me ne vado. Ciao, Philippe"
Di nuovo le bloccai un polso, questa volta con un gesto talmente perentorio che la fece fermare all'istante, ma non voltare.
"Non andartene, aspetta ancora un attimo. Voglio solo dirti una cosa, poi non ti annoierò più con le mie parole, te lo prometto: ricordati, sei hai bisogno di qualunque cosa, di qualsiasi consiglio, puoi contare su di me, sempre.
L'altra sera sono stato impulsivo e maleducato e, se dovesse essere necessario, continuerò a domandarti scusa all'infinito, sperando che tu possa perdonarmi. So solo che non voglio perderti: per questo spero che potremo rimanere almeno amici e colleghi, Liliane …”
Allargai le braccia in un gesto di arrendevolezza e, guardando verso la Mini Cooper, conclusi la mia arringa da avvocatuccio:
“Ecco, se ora non vuoi più parlarmi, se non ti vuoi aprire, puoi andartene, quello che mi premeva dirti, te l'ho detto ... tutto qui"
Mi guardò di soppiatto, con la coda dell'occhio, sempre continuando a mangiucchiarsi l'unghia dell'indice.
Dopo essersi voltata, vedendo i bambini di nuovo lontani, mi si avvicinò e, abbracciandomi con tutta la forza e il calore di cui fu capace, disse semplicemente:
"Grazie ... grazie per esserci sempre stato, Philippe, grazie di tutto!"
"Sono tuo amico e ti voglio bene: è il minimo che avessi potuto fare, credimi ..."
"Vuol dire che posso rimanere ancora un po’? Che posso raccontarti cosa mi ha detto, cosa è successo?!"
Io annuii, sorridendo; poi la presi per mano e la condussi su una delle sgangherate panchine del giardino, a una ventina di metri da dove stavamo parlando, sempre un'ottima postazione per tenere sottocontrollo i bambini e la loro caccia al tesoro.
"Forse ho sbagliato, forse avrei dovuto insistere perché tu venissi, perché mi seguissi. Ecco cosa mi ha detto, l'altra sera: con quel suo sorriso sornione, con quel suo fare affabile e quella carezza inconfondibile su una guancia! Io avevo il cuore che mi batteva a mille, Philippe, non sapevo cosa stava succedendo, non capivo più nulla! Non sapevo se era un sogno, se era realtà, se era solo il frutto della mia fantasia!"
"E poi, cos'è successo?" cercai di modulare la voce, roca e fremente.
"Nulla. L'ho fatto accomodare, ma solo perché mi ha chiesto: non mi fai entrare? Ha cominciato a scusarsi per il suo comportamento e poi mi ha detto che non aveva mai smesso di pensare a me. Ma ti rendi conto?! Due anni all’altro capo del mondo, in Australia, ed io qui, da sola! E cosa ho fatto?! Al posto di insultarlo, di mandarlo via, di odiarlo, non ho saputo reagire, non ho saputo dire nulla! Mi sono sentita così stupida, così ingenua, così confusa! Io avevo rinunciato al nostro bambino, lo avevo fatto solo per l'amore che provavo per lui e per proteggere la sua maledetta carriera! E adesso, ecco che si ripresenta come la più innocente delle persone!"
"Lo ami ancora?" la mia voce era ferma e sicura, però, nel pronunciare quelle parole, avvertii un tuffo al cuore: non sapevo se fosse una proiezione del sentimento che provavo per Liliane o se, semplicemente, fosse paura e preoccupazione per lei.
"Credo di sì, ma non ne sono sicura. La cosa più brutta è che non capisco se è qui per restare, se vuole portarmi con sé, quali sono le sue reali intenzioni! E poi non capisco cosa voglio io, Philippe, se è solo attrazione quella che provo pensando a lui, se ne sono ancora innamorata ..."
"Ma non ne avete parlato?"
"Non gli ho dato il tempo” si portò una mano a coprirsi gli occhi, tirò su con il naso e poi continuò:
“Dopo lunedì sera non gli ho più risposto al telefono; mi ha lasciato una decina di messaggi in segreteria, ma io non so cosa dirgli. Ho paura ad affrontare il discorso, a sentire le sue eventuali proposte, ho paura della sua e della mia reazione!"
"Quindi non gli hai detto nulla del bambino che hai perso?"
Liliane scosse il capo, riprendendosi a mangiucchiarsi un'unghia, questa volta del pollice.
"Avrei voluto dirglielo, forse solo per farlo sentire in colpa, però qualcosa mi ha bloccato. Non avevo il coraggio, Philippe, non ho trovato il coraggio ... non valgo nulla, ecco perché se ne è andato …"
A quelle parole una rabbia crescente s'impadronì di me:
"Ma ti stai ascoltando, Liliane?! Tu non hai nulla di cui rimproverarti! Ti sei innamorata dell'uomo sbagliato, una persona che non ti merita, che vale molto meno di te e delle tue ottime qualità come donna e come psicologa! Non devi lasciarti abbattere, hai capito? Tu vai benissimo così come sei, mettitelo in testa!"
In quel momento delle grida ci fecero voltare nella direzione in cui i bambini stavano conducendo la loro gara.
Mi alzai di scatto dalla panchina: Nicholas, i capelli chiari tagliati particolarmente corti e gli occhi azzurri, era finito a terra, le mani sul naso.
Ci precipitammo verso di lui, immobile a pochi metri da noi.
"Nicholas, cos'è successo?! Cosa ti sei fatto?!"
"Maurice mi ha spinto! Ho picchiato contro questo sasso: m-mi fa t-tanto male il naso!" cominciò a lamentarsi, rimanendo fisso nella sua posizione, le gambe allungate e i piedi intraruotati.
“Riesci ad alzarti?”
“Non lo so … “
Liliane si fece avanti e, senza dire una parola, mi aiutò a sollevare il bambino.
“Ascoltami un attimo, Nicholas, fammi vedere il naso …”
Gli scostai le mani con delicatezza e guardai il bel risultato di quello che era successo: sanguinava un po’ ma, cosa più importante, non sembrava nulla di grave.
“Tieni premuto per qualche minuto: inclina la testa in avanti … bravo, così” gli allungai un fazzoletto di carta che Liliane aveva prontamente pescato dalla borsetta.
“Hai male da qualche altra parte?”
Nicholas scosse insicuro il capo, spiegandomi con voce bassa e imbronciata:
“Solo un pochino il polso e le ginocchia. Però non tanto”
Mi abbassai verso le zone che aveva indicato, esaminandole come un vero esperto in anatomia: anche quelle non sembravano rotte.
“Domattina presto chiamerò il dottor Brice perché ti visiti. D’accordo, Nicholas?”
“Ma domani è sabato! Tu dici che verrà?”
“Sì, io credo di sì, però, se ti fa tanto male, andiamo subito al pronto soccorso! Non facciamo passare neppure un minuto”
“No no, Philippe! Sto benissimo, davvero! Guarda, non mi esce nemmeno più sangue!”
Lui annuì, come per convincermi delle sue parole e, mostrandomi il fazzoletto macchiato, ricambiò il mio interesse con un mezzo abbraccio.
“Tu continua a tenerti il naso schiacciato, però!” lo rimproverai, arruffandogli i corti capelli biondi.
"Ha cercato di prendermi l'ultimo biglietto!" s'intromise Maurice, due occhi scuri e i ricci sparati, indicandomi il movente che sventolava tra le sue mani, forse geloso per tutto quell’affetto che stavamo mostrando al suo compagno.
"E tu cosa c'entri, Maurice? Perché hai fatto cadere Nicholas?" gli domandai, girandomi nella sua direzione.
"Io non ho fatto nulla, assolutamente nulla! Ho solo cercato di recuperare l'ultimo pezzo della frase, così poi avrei vinto! E’ colpa di Nicholas che non ha visto il sasso!"
"Non è vero, Philippe!" s’intromise Isabelle, un vestito giallo canarino e due codini biondi, diventando tutta rossa  "è stato lui, Maurice, a spingerlo, perché voleva rubargli il foglietto!"
"No, Philippe! E' stato Nicholas!" cercò di spiegarmi  Benedette, gli occhi grigioverdi e una maglietta bianca in abbinamento ai pantaloni rossi, le guance del medesimo colore per l'affanno.
"Hanno ragione Isabelle e Benedette, è stato Maurice!" continuò Gerard, un po’ meno pallido del solito, le scarpe sporche di terra, le mani e le ginocchia sbucciate.
"No, è stato Nicholas! Lui ha spinto Maurice per prendersi il biglietto! Mancava solo quello per finire la frase!" prese le difese dell'amico Michael, un piccoletto dai capelli e gli occhi castani.
"Basta! Adesso finitela, tutti quanti!" sbottai " vi state smontando come neve al sole! Tu, Gerard, sei pieno di escoriazioni! Come spiegherai alla zia, questa sera, come hai fatto a farti male, eh?! Nicholas ha rischiato di rompersi il naso e, cosa più grave, vi state addossando la colpa uno contro l’altro, ve ne rendete conto? Voi siete un gruppo, una squadra, degli amici! Avreste dovuto aiutarvi, giocare insieme, invece vi siete  comportati come dei … nemici!” li guardai negli occhi, ad uno ad uno, cercando di aggrottare le sopracciglia il più possibile e di dare un’aria minacciosa alla mia faccia.
“La caccia al tesoro era un modo per farvi distrarre dagli ultimi giorni, un modo per farvi divertire, e voi cosa avete fatto?! Vi siete approfittati della situazione, diventando dei rivali e giocando pericolosamente! Sapete che vi sareste potuti fare molto male, vero?!"
Nessuno di loro ribatté, ebbero solo la forza di abbassare la testa, sentendosi in colpa per l'accusa che gli era appena stata mossa.
"Bambini, io vi voglio bene, lo sapete: promettetimi che non vi comporterete mai più così, per favore” ripresi a guardarli negli occhi ad uno ad uno, sorridendo e smettendo di sgridarli, cosa che detestavo fare.
“Anzi, per dimostrarmi che avete capito, vi chiedo di darvi la mano, tutti quanti, e di chiedere scusa al vostro vicino: così!"
Presi la mano di Liliane, immobile davanti a quello spettacolo, poi con l'altra, agguantai la mano di Michael, lui quella di Sophie, lei quella di Isabelle; dopo fu la volta di Gerard, di Benedette, di Maurice e, infine, di Nicholas.
"Avanti, non credo di aver sentito quello che avete detto!"
Gli Orsetti lavatori pronunciarono, legati da una catena invisibile che unisce invece di obbligare, quell'unica parola che magicamente mette a nudo le emozioni di ciascuno di noi: scusa!, urlarono, facendosi scappare un sorriso.
Quando incrociai lo sguardo di Liliane, capii che avevo ottenuto il suo perdono: se la nostra relazione, da semplice amicizia, avesse dovuto trasformarsi in qualcosa d'altro, allora io avrei saputo aspettare.
Poi, sciolta la catena, un’illuminazione divina s’impadronì della mia mente e, sorridendo felice, esclamai:
“Forse so chi può aiutarci a trovare i soldi per riparare il tetto!”
I bambini e Liliane mi guardarono dubbiosi, mentre io mi allontanavo verso l’ingresso, alla ricerca di Madame Betancourt, un’idea fissa in testa.
“Ma Philippe, dove stai andando?!” Liliane mi corse dietro, la ghiaia che scricchiolava sotto la suola dei suoi sandali.
“Devo parlare con la direttrice, subito!” le gridai, fermo davanti alla vetrata d’ingresso del Centre, aspettando che mi raggiungesse.
Appena mi fu accanto, non le diedi il tempo di ribattere, perché le agguantai una mano e la trascinai dentro, su per le scale, dopo aver chiesto a una nostra collega mezza travolta in corridoio, di occuparsi dei bambini ancora fuori.
   
 
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