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Autore: Jessie95    28/07/2015    0 recensioni
Tratto dalla storia:
"Forse non dovrei raccontare a qualcuno che non conosco la nostra storia, ma avevo bisogno di scriverla, di vedere scritte, in nero, su un pezzo di carta, le parole che, una dopo l’altra, la compongono, ci compongono. Di vedere le parole che, forse, piano piano, ci hanno portato fino a questo punto, per vedere passo dopo passo se ho sbagliato da qualche parte con lui, perché per ora mi sto solo convincendo che non è stata colpa mia, che lui abbia avuto un comportamento da immaturo e che si stia comportando male nei miei confronti.
Probabilmente non dovrei nemmeno continuare a scriverla questa storia, probabilmente mi sto solo facendo del male a rivivere quelle giornate che abbiamo passato insieme, ma anche se non la scrivessi starei male comunque, le immagini dei giorni felici e di quelli tristi riempiono i miei occhi ogni momento in cui abbasso la guardia e mi colpiscono, come uno schiaffo, in pieno volto."
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PRIMA PARTE!
Questa non è una storia d’amore.
Ci tengo a precisarlo fin dall’inizio in modo che nessuno ci rimanga male.
A dir la verità, questa non è nemmeno una storia: è il racconto di un mio momento di vita, un momento di vita non propriamente felice.
Non sono mai stata così tanto male per un ragazzo, ma ribadisco questa non è una storia d’amore, che, però, non si conclude qua. No, perché questa storia nella vita reale non è ancora finita, mi rifiuto di credere che sia finita, sto ancora aspettando che torni da me chiedendo perdono, ma non credo ci sarà un lieto fine! Non per me. Non per noi.
Però, per farvi capire tutto, senza fare confusione, dobbiamo tornare indietro di qualche anno… all’inizio dell’anno in cui io ero in quarta superiore e lui in quinta. L’anno in cui ci siamo conosciuti, l’anno in cui la nostra relazione comincia.
A dir la verità tutto non sarebbe nemmeno cominciato se non fosse stato per lei, Fiorina, mia amica da soli pochi mesi a quei tempi, trasferitasi da Napoli alla grigia città di La Spezia. Lei abituata a sole e mare tutto l’anno si è ritrovata catapultata in una realtà completamente differente: nel “pisciatoio d’Italia”, così viene chiamata la mia città. Sì, sono spezzina, che, per chi se lo chiedesse, si trova in Liguria.
Nord e Sud a confronto.
Poco c’è da dire: è stato quasi amore a prima vista! Dico quasi perché inizialmente non la vedevo di buon occhio, i soliti pregiudizi che si fanno quando ancora non si conosce una persona giocano brutti scherzi, ma una volta sedute una di fronte all’altra ci siamo messe a chiacchierare e non abbiamo più smesso.
Poi c’è Viviana, lei è originaria di Como, ma vive qui da tanti anni. Ci siamo conosciute in terza, l’anno prima che arrivasse Fiorina. Inizialmente era gelosa, se così si può dire, del mio rapporto con lei perché, a quanto pareva passavo più tempo con Fiorina che con lei.
Alla fine si è risolto tutto e siamo diventate un trio inseparabile. Trio che dura tutt’ora certo, ma purtroppo non più come una volta perché si sa che una volta finita la scuola si tende a separarsi.
Ah, prima di iniziare a raccontare volevo solo avvisarvi che non farò nessuna descrizione delle persone da me citate, o per lo meno non scenderò nel dettaglio, dirò solo cose che saranno utili ai fini del racconto, per il resto siete libere di immaginarci come volete.
Date pure libero sfogo alla vostra fantasia, nessuno ve lo vieta!
Mi sono accorta che sto divagando, quindi iniziamo con questo racconto…
 
In quel periodo ero giù di morale perché avevo perso da poco una delle mie due migliori amiche, a quanto pareva per colpa mia, anche se non era assolutamente così.
Eravamo in classe tutte e tre in un giorno di novembre, in un giorno in cui la nostra scuola aveva deciso di fare autogestione non mi ricordo nemmeno per cosa. C’era casino, come era normale che fosse.
Eravamo sedute intorno ad un banco insieme a dei compagni di classe a giocare a carte.
Improvvisamente sulla porta appaiono due ragazzi, uno dei quali in un futuro prossimo ci avrebbe provato prima con Fiorina, poi con me ricevendo da entrambe un meritatissimo due di picche, mentre l’altro sarebbe diventato il mio migliore amico che nell’arco di tre anni mi avrebbe fatto stare malissimo, ma a quel tempo ancora non lo sapevo.
Si sedettero con noi e iniziammo a fare conoscenza.
Il giorno dopo andammo noi da Federico, così si chiama il protagonista di questa storia.
Io e Fiorina gli demmo un soprannome a testa: lei scelse “TIZIO”, io “PELUCHE” perché a quel tempo era grasso, fate attenzione: non lo dico come dispregiativo, ma come semplice dato di fatto, e quando lo abbracciavo era morbido come, appunto, un peluche. L’ho abbracciato spesso, sì, perché era bello stare abbracciata a lui, ma considerando che sono un’amante degli abbracci forse il mio giudizio è troppo di parte…
L’amicizia tra di noi si consolidava giorno per giorno, nonostante questo, però, si vedeva che lui era più attaccato a Fiorina, io venivo dopo e solo alla fine arrivava Viviana. Lei ci stava male perché notava meglio di tutti e quattro questo attaccamento nei nostri confronti decisamente maggiore rispetto ai suoi, ma spesso sorvolava su tutto.
Ricordo che a volte mi sentivo in imbarazzo a stare in sua compagnia, probabilmente per il fatto che insieme ai ragazzi non so che fare, cosa dire, come comportarmi… e molte volte sono corsa ai ripari utilizzando l’unica arma che ho a disposizione per non sembrare e sentirmi una stupida: chiudermi in me stessa in silenzio sorridendo e ascoltando ciò che hanno da dire gli altri.
Le giornate passavano, a tutti gli intervalli eravamo insieme davanti alle macchinette a chiacchierare e ad ogni cambio dell’ora ce lo ritrovavamo ad aspettarci dietro la porta dell’aula per scambiare due parole prima di rientrare in classe per riprendere le lezione, nonostante la sua aula si trovasse dalla parte opposta del corridoio rispetto alla nostra.
11 marzo. Peluche mi dice che è il giorno del suo compleanno ma che lo passerà in ospedale per togliersi un gesso alla gamba.
Siccome io sono una pazza decerebrata che adora più i bigliettini d’auguri che il regalo in sé, gliene feci uno piccolo piccolo, dopotutto ci conoscevamo da poco e nella mia testa era comparso il dubbio che magari a lui poteva non piacere il mio gesto o, peggio, dargli fastidio.
Disegno una piccola torta con una candelina accesa e scrivo quattro cazzate in croce tra cui un “NB: sulla torta c’è solo una candelina perché non so quanti anni compi XD”.
Il 12 marzo quel bigliettino è tra le sue mani, lo legge, mi guarda e scoppia a ridere con quella sua risata tanto particolare quanto contagiosa. Quel giorno scopro che ha solo un anno in più di me. Da quel giorno quel bigliettino è conservato nel suo portafoglio.
Maggio, gita di classe: crociera. Sì, in quarta come gita mi sono fatta una crociera partendo da Ancona e toccando le città di Corfù, Spalato e Venezia. Mica male, eh?!
Il punto non è questo comunque.
Penso che quella crociera sia stato il momento calmo prima della tempesta che stava per arrivare.
In quei cinque giorni siamo stati insieme praticamente sempre, tre notti su quattro abbiamo anche dormito tutti e quattro insieme, lui nel letto tra Fiorina e Viviana, dove notte dopo notte andava a sprofondare sempre di più nel mezzo, perché, evidentemente, un materasso matrimoniale è troppo complicato da gestire su una nave da crociera, mentre io dormivo su una brandina.
Peluche si alzava tutte le mattine presto e usciva dalla cabina e noi povere fanciulle assonnate non ce ne accorgevamo nemmeno.
Dico che quello è stato l’ultimo momento calmo prima della tempesta perché è su quella nave che lui ammette per la prima volta di provare dei sentimenti per Fiorina, purtroppo non ricambiati. Molte persone le avevano riportato la voce che lei gli piaceva già da parecchio tempo, ma ha sempre fatto finta di niente, come se nulla fosse, motivata, forse, dal pensiero che “fino a quando non è lui a dirlo, niente di tutto questo è vero.”
Tornati dalla crociera notiamo un distaccamento da parte sua, come è normale che sia, credo.
Fiorina mi prese da parte, un giorno, e mi disse di stargli vicino, perché in quel momento lui non aveva bisogno di restare solo. Io la guardai confusa, sgranando gli occhi.
Non so stare a contatto con i ragazzi, non so di cosa parlare. Mi mettono in imbarazzo e alla fine mi chiudo nel mio mutismo, non sarei d’aiuto, pensai subito e glielo dissi, ma lei mi rispose che non serviva dicessi nulla, che dovevo semplicemente restargli vicino.
Dovevo restare vicino al mio migliore amico, perché sì, avevo da poco iniziato a considerarlo il mio primo migliore amico maschio.
E lo feci, gli restai vicino.
Lentamente lui si riprese e torno a stare accanto a tutte noi senza eccezioni, né problemi, o così pareva a me.
Arrivò anche la fine dell’anno scolastico.
Lui aveva l’esame di maturità, gli chiesi quando aveva l’orale, di modo da andarlo a trovare e infondergli un po’ di coraggio, ma non lo trovai e così gli mandai solo un messaggio.
4 luglio. Il mio compleanno, precisamente il diciottesimo. Lo invitai alla mia festa, per risposta ricevetti un “non posso mancare”.
Dopo il mio compleanno non lo vidi più per tutta l’estate, ma continuammo a sentirci tramite messaggi, lui tirava fuori spesso quelle freddure stupide che gli piacciono tanto come primo messaggio giusto per far vedere che mi pensava, ma che adesso non mi manda più.
 
SECONDA PARTE!
Forse non dovrei raccontare a qualcuno che non conosco la nostra storia, ma avevo bisogno di scriverla, di vedere scritte, in nero, su un pezzo di carta, le parole che, una dopo l’altra, la compongono, ci compongono. Di vedere le parole che, forse, piano piano, ci hanno portato fino a questo punto, per vedere passo dopo passo se ho sbagliato da qualche parte con lui, perché per ora mi sto solo convincendo che non è stata colpa mia, che lui abbia avuto un comportamento da immaturo e che si stia comportando male nei miei confronti.
Probabilmente non dovrei nemmeno continuare a scriverla questa storia, probabilmente mi sto solo facendo del male a rivivere quelle giornate che abbiamo passato insieme, ma anche se non la scrivessi starei male comunque, le immagini dei giorni felici e di quelli tristi riempiono i miei occhi ogni momento in cui abbasso la guardia e mi colpiscono, come uno schiaffo, in pieno volto.
Quindi che senso ha, mi sono detta, non scriverla, tanto, stare male per stare male?! Preferisco essere consapevole di quando i ricordi mi colpiranno, piuttosto che aspettare che lo facciano da soli, cogliendomi impreparata.
Ed eccomi qui, pronta a raccontarvi la seconda parte del mio momento di vita, pronta a rivivere il secondo anno della nostra amicizia…
 
La scuola era riiniziata. Il mio ultimo primo giorno di scuola. Faceva quasi impressione dirlo, ma era così.
Era brutto, invece, camminare per i corridoi della scuola e non incontrare più le facce amiche dei ragazzi di quinta che avevamo imparato a conoscere così bene l’anno precedente, perché quell’anno era il nostro turno, quell’anno in quinta ci eravamo noi. In più, giusto per rincalcare la dose, nel corridoio dove si trovava la nostra classe noi eravamo l’unica quinta. Oltre al danno pure la beffa… E che cazzo, proprio vecchi ci volevano far sentire!
Nel frattempo mi mancava il mio migliore amico, mi mancava il suo girare per i corridoi, mi mancava ritrovarlo sulla soglia della nostra classe perché si annoiava. Mancava a tutte e tre, tanto.
Federico lo sentivamo per messaggio tutti i giorni, o meglio, lo sentiva tutti i giorni Fiorina, oltretutto l’unica del trio che il cellulare lo usa come un optional. Spesso è capitato che arrivava in classe e dopo due ore lo accendeva, ricordandosi che possedeva un cellulare anche lei e trovandoci qualche messaggio; io al contrario ho sempre avuto la bruttissima abitudine di perdere il mio, nel senso che lo lascio da qualche parte dimenticandolo e poi, correndo in giro come una pazza, potrei dire “Dov’è il mio cellulare? Ho perso il cellulare!”, tipico mio… Viviana, invece, è sempre stata l’unica con il cellulare sempre a portata di mano, acceso subito appena sveglia e pronta ad usarlo nel momento più opportuno. Ricordo che un giorno le arrivò un messaggio da peluche con scritto “Dì a Sara di guardare il cellulare!” presi il mio telefono e c’era un messaggio suo che ripeteva la stessa frase solo, ma al posto del mio nome c’era quello di Fiorina, quando glielo dissi lei trovò un suo messaggio di cui non ricordo il contenuto, ma questo non è importante, questo ricordo serviva solo per darvi l’idea di come siamo disadattate io e Fiorina.
Ogni tanto ce lo ritrovavamo in classe comunque, spacciando il fatto che ci venisse a trovare con la scusa di salutare i professori, oppure all’una, quando uscivamo dal cancello della scuola, lui era lì, con qualche pasticcino fatto da lui in mano portato come dono, perché lui lavora in una piccola pasticceria, più spesso di quanto io mi ricordi, e noi, tutte contente, gli saltavamo addosso abbracciandolo con un sorriso da un orecchio all’altro per poi scappare via un secondo dopo perché la fame era tanta e tornare a casa era una necessità.
25 novembre – compleanno di Fiorina. Ci ritrovammo noi quattro a festeggiarla in una pizzeria. E nonostante fossimo in pochi ci divertimmo, dopotutto i detti insegnano pochi, ma buoni!
Quasi verso fine serata arrivò uno di quei venditori di rose che entrano sempre nei ristoranti, noi ragazze cercammo di mandarlo via, ma lui si mise a parlare con Federico e dopo cinque minuti ci ritroviamo una rosa ciascuno, capite? È stato un gesto molto dolce, visto che avrebbe anche potuto non farlo e risparmiarsi tre euro per comprarsi qualcosa lui… ma il signorino voleva dimostrare che poteva fare qualche regalino non programmato dato che aveva appena iniziato a lavorare come pasticcere. Quella è stata la prima rosa che un ragazzo mi abbia mai regalato. Girovagammo un po’ per il centro e alla fine decidemmo di tornare a casa: era inutile girare a caso in quel modo, solo un perdita di tempo. Viviana venne accompagnata dal suo ragazzo, mentre io e Fiorina venimmo riportate in macchina da peluche, rigorosamente prima io e dopo lei, anche se sarebbe stato meglio il contrario visto che lei abitava proprio in centro, mentre io un po’ più in periferia, ma di lei era innamorato quel ragazzo e, se andava bene a lui, andava bene anche a me.
Io, Viviana e Fiorina avevamo deciso di fare teatro con la scuola quell’anno: in scena avremmo portato “Mamma mia”, leggermente rivisitata e con alcuni personaggi nuovi. Io recitavo, ballavo e, sfortunatamente per me e per le povere orecchie degli altri, cantavo anche una canzone, interpretavo il ruolo di Tanya e, giuro, mi sono divertita un mondo a farlo; mentre Vivi cantava e ballava soltanto; Fio, invece, si occupava della sceneggiatura.
Durante le prove, in un giorno di gennaio, Federico, con attaccata al braccio Fiorina, entrò nell’aula usata per fini teatrali. Viviana corse subito ad abbracciarlo io invece aspettai un attimo, per poterlo abbracciare con tutta calma. In quell’attimo sentii una ragazza parlare con una professoressa e dire una frase del tipo “Ha visto come stanno appiccicati?” e la prof rispondere “Secondo me c’è sotto un triangolo!” io mi sono voltata, ho sorriso ad entrambe, poi mi sono alzata e sono andata a reclamare il mio abbraccio, sentendo una voce commentare “Ah, no. Ho sbagliato: è un quadrato!”. A me non interessava contraddire quella voce. Che pensino quello che vogliono, mi sono detta, non capiranno mai il legame che c’è tra noi quattro!
Qualche mese dopo peluche decise di “rapire” Fiorina e me per portarci a mangiare un gelato, vi risparmio la scenata che ha fatto Viviana quando ha scoperto che lei non era stata invitata e l’uscita che non è poi così importante. Lui mi ha fatto notare, perché in quel caso, strano ma vero, era passato a prendere prima me, che era appena uscito dal tatuatore: all’interno del braccio destro ha tatuata la scritta “L’inferno esiste solo per chi ne ha paura” con un bicchiere di vino rovesciato. Un bel tatuaggio, non c’è che dire, mi piaceva molto!
Il 26 maggio, il giorno del compleanno di Viviana, salimmo sul palco per andare in scena. Portammo avanti, e con successo oserei dire, il nostro spettacolo, ci prendemmo i nostri applausi e, alla fine, una volta di nuovo dietro le quinte, ci preparammo prendendo le nostre cose per andare a cambiare nei camerini. Federico salì sul palco e decise che doveva portare le mie cose, che oltretutto erano tantissime perché dovevo cambiarmi molte volte durante lo spettacolo, ma c’era un piccolo problema: quasi non si reggeva in piedi da quanto era ubriaco. Diede perfino una testata ad un suo amico, barcollava, ma riuscì comunque a portare tutto in camerino senza cadere e farsi male. Quella sera e il giorno seguente prese una bella strigliata da tutte e tre, anche perché poi, il signorino, ha avuto la brillante idea di mettersi al volante dopo che noi eravamo andate via…
Siccome era un lunedì, Vivi decise di festeggiare il suo diciannovesimo compleanno il 30 maggio, che veniva di sabato. Passammo la serata in un ristorante e poi andammo a ballicchiare un po’ per Follo, che poco dista da Spezia.
Appena arrivai, puntualmente in ritardo, peluche mi guardò e mi disse che aveva una sorpresa per me. Lì per lì non capii, dopotutto non era il mio di compleanno, ma quando, dopo aver pagato, salimmo tutti nella sua macchina e lui tirò fuori un palloncino, capii: mi aveva portato l’elio! Cantai per tutto il tragitto dal ristorante a Follo un “Tanti Auguri” dalla vocina stupida e in quel momento ero la ragazza più felice del mondo. Ma si sa, quando sei troppo felice il karma rimette le cose apposto senza che tu glielo chieda. Quella sera Federico e Fiorina parlarono del fatto che lui era ancora innamorato di lei, che lui voleva sparire, ma che per lei lui era troppo importante e non voleva perderlo. Lui dopo era diverso. Triste, scontroso, abbattuto… ci fece salire in macchina per riaccompagnarci a casa, ma lui non salì. Penso che si dovesse schiarire le idee. Non volevo lasciarlo da solo, avevo paura di quello che avrebbe potuto fare in quel caso, per cui decisi di seguirlo, gli camminai affianco, senza parlare. C’ero senza imporgli troppo la mia presenza. Poi decisi di toccargli il braccio, un po’ perché volevo che si calmasse, un po’ perché portavo i tacchi e avevo bisogno di un sostegno, ma lui si scansò via, come scottato, fece retrofront e tornò verso la macchina, senza aspettarmi. Ci rimasi male e delle lacrime mi scivolarono sulle guance. Ci misi parecchio per tornare da loro e quando arrivai entrai in macchina senza una parola.
Si accorsero tutti che stavo ancora piangendo. Tutti tranne lui, troppo preso dai suoi problemi per essersi accorto di avermi ferita.
Il giorno seguente, il primo giugno, avevo un altro spettacolo con la mia compagnia teatrale, facevo la parte di Alice, una ragazza stalkerizzata dal suo ex che aveva sviluppato un ossessione dai telefoni. Ah, per la cronaca, lo spettacolo era ambientato in un manicomio, giusto per fare chiarezza, ecco.
Vennero a vedermi tutti e tre, lui in giacca e cravatta, forse perché aveva capito di aver fatto qualcosa di sbagliato, mi vennero incontro, ma appena lo vidi me ne andai nel bagno, dove poi mi raggiunsero le mie amiche. Spiegai loro cosa era successo il giorno prima e il motivo per cui non volevo vederlo e loro mi diedero ragione, poi Federico decise che voleva parlarmi ed entrò nel bagno, ma io ancora non ero pronta per parlare con lui e iniziammo un “gioco” di inseguimento. Alla fine mi stancai e parlai con lui. Alzai la voce, parecchio, e lui come al solito si guardava le mani o fissava il pavimento con quella espressione abbattuta e avvilita che lo caratterizza sempre in quei momenti, ci chiarimmo, o meglio ci passai sopra, ma smisi di parlargli per un certo periodo, perché lui voleva ancora andarsene e sparire dalle nostre vite.
Ultimo giorno di scuola: peluche ci rapì e andammo al mare, gli rivolgevo ancora a malapena la parola, ma stavo cercando di rimediare.
Prima di andare via ci fermammo in un bar, volevo sedermi vicino a lui, per anticipare i tempi e fare pace, ma Fiorina fu più veloce di me per cui mi accontentai del posto di fronte a lui.
Durante quella mezz’ora in cui ci fermammo al bar, Viviana disse una frase che non avrebbe dovuto dire, almeno non in quel momento, e lui la prese male. Ammutolì di nuovo e si rinchiuse nel suo silenzio per tutto il tragitto fino alla macchina e continuò fino all’entrata in autostrada, poi scoppiò dando la colpa a Viviana perché gli aveva espresso un suo pensiero, cioè che a lei non volesse bene quanto ne voleva a noi e che la metteva sempre in secondo piano, e a me, perché ancora ce l’avevo con lui e non gli parlavo. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Diedi un pugno alla portiera, mi presi i capelli nelle mani e tirai. Volevo piangere. E quella volta mi sentì, ma non fece niente, come al solito.
Ricominciai a parlargli poco dopo, perdonandolo ancora, perché gli volevo e gli voglio tuttora bene.
 
TERZA PARTE!
La parte più brutta, almeno per me, inizia adesso.
L’ultimo anno di amicizia prima che succedesse tutto il casino che è successo.
Prima di partire però devo introdurvi un altro personaggio, in quanto Viviana e Fiorina spariscono un po’ a causa delle strade diverse che abbiamo preso. Questo personaggio è una lei, si chiama Verena e la mia amicizia con lei è iniziata grazie all’unica migliore amica che mi era rimasta. Era amica di entrambe, ci ha fatto conoscere lei infatti, ma, per problemi che non voglio raccontarvi perché non fanno parte della storia principale, ha litigato con tutte e due, facendomi perdere un’altra volta quella che consideravo la mia migliore amica e facendoci avvicinare molto.
Era estate quando litigammo...
Era subito dopo il mio compleanno...
Era estate come l’ultima volta…
 
Mi sfogai con peluche per messaggio subito dopo una litigata con Chiara, ero nervosa, agitata, scrivevo poemi invece che messaggi e camminavo velocemente. Non ricordo bene come è andata la sequenza, ma ad un certo punto mi arrivò un suo messaggio con scritto “Non ti preoccupare tu non sei una persona da perdere, una come te è solo da trovare. Peggio per lei!” e mi fece sorridere perché è bello sentirsi certe parole, ogni tanto ci vogliono un po’ di attenzioni.
Verena nel frattempo si era fidanzata e uscivo con lei e il suo ragazzo, ogni tanto veniva il mio di migliore amico, ogni tanto il suo. Giusto per non farmi sentire come il terzo incomodo. Il suo ragazzo continuava a dire che mi vedeva bene sia con uno che con l’altro, ma io rispondevo di no, perché per me erano solo amici.
Uscimmo per tutta l’estate. Poi arrivò la fine di settembre ed io iniziai a frequentare l’università, quindi ad uscire meno, anche perché ho scelto un’università a Parma e fare la “pendolare” non mi sembrava e sembra proprio il caso.
Un giorno di novembre mi chiamò Fiorina e mi disse che lei e Federico stavano provando a stare insieme. Lì per lì fui contenta, dai, chi non lo sarebbe se due persone a cui si vuole bene trovano la felicità nello stare insieme?! Ma poi la mia gioia fu distrutta da lei che mi disse di volergli bene, ma di non provare nulla di più, che forse avrebbe “imparato ad amarlo”. Quella frase mi turbò parecchio. Non ho mai avuto fidanzati, quindi il mio giudizio forse è un po’ infantile, ma penso che se si sta con una persona lo si fa, non perché gli si vuole bene, ma perché si vuole stare con lui, punto. Penso che non si possa imparare ad amare qualcuno, se si ama lo si fa senza se e senza ma. Per chi dice che vuole imparare ad amare la storia è già scritta come un fallimento.
Lì vidi stare insieme per due settimane, poi scoppiarono e io mi trovai di nuovo in mezzo. Ricevevo messaggi da Federico in cui mi chiedeva come stava Fiorina, poi mi chiamava lei e mi chiedeva come stava lui. Per un po’ continuai a rispondere che stavano bene tutti e due ad entrambi, che stavano andando avanti, poi mi stufai e dissi sia ad uno che all’altra che se volevano sapere qualcosa dovevano chiederlo al diretto interessato.
Passarono i mesi e continuavo a uscire solo nei fine settimana, quando tornavo a casa, mentre nei giorni settimanali stavo a Parma per seguire le lezioni. Proprio in un giorno di questi decisi di aprire facebook il quale mi ricordò che due giorni prima era stato il compleanno di peluche. Mi vergognai come una matta nello scrivergli un messaggino in cui chiedevo scusa in ginocchio per essermelo dimenticata, ma a lui non importò, anzi mi disse che era normale perché ero molto impegnata. Ricordo che pensai che era un ragazzo d’oro e mi stupii del fatto che ancora non avesse trovato nessuna da rendere felice.
Appena tornai a Spezia uscimmo per “festeggiare” il suo compleanno. Andammo in un bar. Eravamo io, lui, Verena e il suo ragazzo. Ad un certo punto, durante la serata arrivò un tizio con le rose e in quel giorno Federico mi regalò una seconda rosa. Sono essiccate, ormai. Esposte entrambe nella mia stanza come un promemoria, una vicina all’altra.
A fine marzo andai in vacanza a Livigno per una settimana bianca che non mi godetti perché ero sotto esame. Durante quei sette giorni sentii parecchio Federico e un giorno, mentre ero fuori a girare per il paese con mia madre gli mandai un messaggio: “Ho appena visto un go cart e non ho potuto fare a meno di pensarti <3” la sua risposta fu quasi immediata: “Tesoro, io non ho bisogno di qualcosa per pensarti <3” Era estremamente dolce!
Tornata dalla vacanza tempo due giorni e la sera ero a Sarzana con lui, Verena e il suo ragazzo. Durante il viaggio in macchina raccontai di quel ragazzo che, quando ero su a Carosello 3000 (punto di partenza per le piste sciistiche), visto il mio cane, che portavo al guinzaglio, gli fece un complimento e poi, una volta alzato gli occhi e averli puntati nei miei, lo fece a me.
Quella sera dopo aver riaccompagnato la coppia a casa Federico mi chiese di accompagnarlo a fare benzina prima di riaccompagnarmi a casa, non che ebbi molta libertà di scelta visto che quando me lo chiese era già partito verso il benzinaio, ma io accettai comunque. Mi fece una domanda riguardante Fiorina e il suo eventuale nuovo ragazzo e quando gli risposi affermativamente gli chiesi il perché di quella domanda. Lui tentennò qualche attimo prima di dire una cosa del tipo “Ma sì, tanto è inerente anche a te”. La prese alla lunga raccontandomi di una certa Chiara che sentiva e frequentava da un po’ nonostante lei fosse fidanzata e facesse il doppio gioco, fino ad arrivare a confessarmi che in quell’ultimo periodo si era reso conto di pensare troppo e spesso a me. Mi disse anche che in macchina, mentre raccontavo la storia di Carosello 3000, gli aveva dato fastidio che qualcuno mi avesse fatto un complimento.
Quando ancora non aveva pronunciato quelle parole, ma capii dove voleva andare a parare, il cuore, invece che sentirlo battere velocemente, come si legge spesso nei libri, lo sentii sprofondare e cessare proprio di battere.
Era un colpo troppo duro per me.
Non volevo la nostra amicizia andasse a finire come quella di Fiorina.
Avrei preferito continuare a vivere nell’ignoranza.
Quella sera restammo da mezzanotte fino all’una sotto casa mia in silenzio a pensare alla brutta situazione venutasi a creare, cercando una soluzione, ma senza arrivare a nessun risultato concreto.
 
QUARTA PARTE!
Io ci credo ancora nell’amicizia tra uomo e donna. Non ho mai smesso di crederci! Sono assolutamente convinta che tra maschi e femmine possa esserci un buon rapporto senza che sfoci in amore. Eppure sono qui, con fatti che mi dimostrano il contrario.
Perché sono stata così sfortunata? Perché proprio a me? Io che di amici ne ho veramente pochi. Io che ho smesso di etichettarli come migliori. Io che non penso di meritare tutto quello che è successo, che non meritavo di perdere tutti coloro a cui volevo talmente bene da appellarli come migliori…
Io che ero convinta che lui mi volesse bene, che non mi avrebbe abbandonato.
Lui che mi aveva detto che non ero da perdere, che chi mi lasciava andare non capiva niente.
Eppure i fatti, sempre quei maledetti, mi hanno dimostrato che le sue parole erano appunto questo: solo semplici parole.
 
La mattina seguente, quando mi svegliai, trovai sul cellulare un suo messaggio in cui mi augurava il buongiorno. Ero in imbarazzo, ma penso che sia normale: chiunque scopra che il proprio migliore amico prova dell’interesse nei tuoi confronti non avrebbe saputo come comportarsi o cosa dire. Alla fine decisi di comportarmi normalmente come avevo sempre fatto, non importava che lui, forse, provasse qualcosa per me. Chiacchierammo per molto tempo e non so in quale modo arrivammo a parlare di pazzi e manicomio. Io, che mi sono sempre considerata una pazza, gli scrissi che era il nostro compito principale quello di stressare fino allo sfinimento gli altri. Per tutta risposta nel suo messaggio successivo mi diceva “Non so i pazzi, ma tu ci riesci benissimo a farmi uscire di testa!” e io mi sentii in colpa, in colpa perché non provavo lo stesso per lui.
Per un certo periodo di tempo non ci sentimmo né vedemmo per un po’, non ne ricordo il motivo, ma ad aprile c’era il compleanno del ragazzo di Verena e lei gli voleva fare la sorpresa di farci trovare tutti in un solo punto per ‘festeggiarlo’, mi misi d’accordo con Federico perché mi venisse a prendere per portarmi nel luogo prestabilito, visto che mi era stato detto di fare così.
La sera di quel giorno peluche, il quale ormai non riuscivo più a chiamare così, mi passò a prendere e in macchina sentivo l’imbarazzo nell’aria e così iniziai a straparlare del più e del meno, giusto che non creare silenzi e per riempire quei vuoti che non c’erano mai stati tra di noi. Durante quella sera un suo piccolo gesto mi fece male. Premettendo che non sono una persona che va a leggere i messaggi che ti scambi con le altre persone, perché non me ne frega assolutamente niente, e se tu vuoi farmi vedere la conversazione sei tu che me la mostri, avevo preso il suo cellulare per andare a rileggere un mio messaggio che avevo cancellato sul mio per fargli vedere che era lui che non si ricordava una cosa e non io che gliene avevo detta un’altra, ma appena vide che andavo sui messaggi mi strappò letteralmente il cellulare dalle mani. E io ci rimasi male, perché con quel gesto capii che non mi conosceva per niente.
La settimana dopo tornai a Parma e i giorni passarono come sempre.
Il 28 aprile gli scrissi io un messaggio:
“Hei ciao, com’è :)”
“Ciao, tutto bene.” Niente “tu?”; niente faccine. C’era qualcosa che non andava, forse era a lavoro.
“Ti disturbo?”
“No no, dimmi”
“Niente volevo solo sentirti un po’…”
“Allora scusa” scusa? Cosa significa?
“Perché ti scusi?” non mi arrivò risposta e io mi preoccupai perché mi aveva sempre risposto, magari anche dopo 5-6 ore, perché faceva il suo sonnellino pomeridiano che era d’obbligo.
La settimana dopo ancora non sapevo perché si era scusato. Decisi che così non si poteva andare avanti.
“Hei scusa se ti disturbo, ma è successo qualcosa? Io ti ho fatto qualcosa?” avevo bisogno di sapere.
“Scusa, è che sì, è successo qualcosa, ma tu non hai fatto nulla” mi arrabbiai con lui, sempre per messaggio perché non era possibile che mi trattasse così. Arrivai a dirgli di muoversi a capire quello che doveva capire perché quella sottospecie di Federico non mi piaceva per niente e lui mi chiese se, prima di mandarlo a quel paese, potevamo vederci di persona per chiarire.
Il 16 maggio ci vedemmo.
La prima parte dell’uscita fu normale, chiacchierammo di tutto: università, lavoro, Fiorina, Viviana, Verena… poi se ne esce dicendo che non mi vuole più vedere perché non capisce alcune cose e, forse, riuscirà a capirle non vedendomi, gli chiedo se almeno potremmo sentirci per messaggio, ma mi risponde dicendomi che se vorrò potrò scrivergli, ma che lui non mi avrebbe risposto; mi dice che lui è ancora innamorato di Fiorina, ma che ha 21 anni e vuole divertirsi e con me non può farlo perché a me ci tiene, però c’è Chiara per questo visto che di lei non gliene frega assolutamente nulla. E io in quel momento provo solo tanto ribrezzo. Cerco di fargli capire che se lui è ancora innamorato di Fiorina allora per noi non ci sono problemi e possiamo ancora vederci come se nulla fosse e scoppio in lacrime perché so che questa è l’ultima volta che lo vedrò. So che lui ormai è già convinto di sparire ed io, anche se ci provo, non posso fare nulla per fargli cambiare idea, non questa volta. Ad un certo punto ricordo la frase del suo tatuaggio e la cito: “L’inferno esiste solo per chi ne ha paura… Tu stai scappando. Tu hai paura. Questo è il tuo inferno!” e litighiamo perché solitamente è quello che si fa quando ci tieni ad una persona. Poi tutto d’un tratto, mentre ancora sto piangendo lui se ne esce con “Va beh, devo andare a prendere le birre. Ciao.”
Mi volto verso di lui e lo vedo che è in procinto di andarsene sul serio. “Non merito nemmeno un ultimo abbraccio?” provai cercando di trattenerlo ancora un po’, ma lui salì sulla sua auto e, sgommando, se ne andò lasciandomi sola sulla strada in lacrime.
 

 
QUINTA PARTE!
Oggi 2 luglio, dopo un mese e diciassette giorni di silenzio – sì ho contato i giorni –, mi è arrivato un messaggio da parte sua. Diceva solo: “ohi buongiorno”. Ma sei serio?! Dopo tutto questo tempo ti svegli dicendo solamente questo?! Stai scherzando?! Ben tre ore dopo decido di degnarlo di una risposta con un solo “buongiorno”, molto freddo. Non mi aspetto una risposta immediata, anche se forse sarebbe il caso che lo facesse visto che interessa più a lui, e faccio bene a non aspettarmela perché mi risponde dopo quattro ore scrivendo: “Scusami mi sono svegliato adesso >.< niente volevo chiederti se eri a casa per chiederti scusa, però adesso è un po’ tardino per passare ‘^^”. Ma davvero? Adesso ti sei accorto che hai fatto una cazzata? Dovevi accorgertene un secondo dopo avermi lasciata che piangevo per strada… sono tentata di scrivergli che sì, adesso è tardi non intendendo il fatto che siano le sette di sera, comunque tutti meritano di poter chiedere scusa, per cui gli rispondo che non sono a casa in questo momento, ma che se non ha impegni e soprattutto se vuole, può passare domani.
Il giorno successivo sul tardo pomeriggio lui è sotto casa mia per chiedermi scusa, in effetti mi dice solo questo oltre al fatto che si è accorto che ha fatto una stronzata. Cerco di capire se vuole o deve dirmi altro e mi sembra sia così, ma non riesco a farlo parlare così dopo un po’ dico: “Sei sicuro che tu non debba dirmi altro?” aspetto un suo cenno che non tarda ad arrivare “Bene allora adesso parlo io: per me tu sei già perdonato” – brutto cretino che non sei altro! – “però non mi fido più di te” – e vorrei anche vedere: chi mi assicura che un giorno non gli riprendano cinque minuti storti e non mi abbandona di nuovo? Non mi ferisca di nuovo? – “quindi cerca di riconquistarla questa fiducia!” mi promette che lo farà, avevo bisogno che lo facesse, e io mi fido perché voglio credere che mi voglia bene, voglio credere che non mi abbia davvero abbandonato, voglio credere in lui.
Dalla sua macchina tira fuori un regalo per me, per il mio compleanno, il ventesimo purtroppo, che sarebbe stato solo il giorno dopo: è un fiore, il terzo che mi regala, finto, di quelli giganti, è un girasole ed è bellissimo anche se ingombrante e non ho la più pallida idea di dove poterlo infilare in camera, dato che non c’è spazio. Sopra ci trovo due piccole coccinelle vere e mi auguro con tutto il cuore che quelle due mi portino fortuna perché ne ho un assoluto bisogno in questo momento.
Mi faccio promettere di nuovo che farà in modo di riconquistare la mia fiducia, poi posso salutarlo e tornare in casa.

È il 28 di luglio e Federico non si è più fatto sentire.
Perché?
È questo il modo in cui pensa di riuscire a farmi tornare a credere in lui?
Sparendo di nuovo? Abbandonandomi ancora?
Crede di star facendo la cosa migliore?
Forse sì. Forse crede che la nostra amicizia ci faccia solo male, che non sia sana.
Ed io ormai ho perso le speranze. Sono ventiquattro giorni che non lo sento, dopotutto.
Perché continuo ad aspettarmi che lui mi cerchi visto che a quanto pare non gliene frega niente?
Non sono arrabbiata con lui, sono ferita. Che forse è anche peggio.
È entrato nella mia vita come un treno e come un treno ne è uscito, portandosi via un pezzo di me che non mi restituirà, lasciandomi con un vuoto che non sono in grado di riempire.
Mi hanno suggerito di scrivergli io con una frase del tipo: “Ah beh, vedo quando ti interessa  riconquistare la mia fiducia…” ma io non voglio scriverglielo perché so che una volta mandato quel messaggio la nostra amicizia dovrebbe finire e io non voglio perché, alla fine, quella che perde sempre le persone importanti per lei e che ci sta male, sono sempre io.
Non sono io che devo farglielo notare perché dovrebbe essere un gesto spontaneo, ho bisogno di quel gesto spontaneo che lui, invece, non mi dimostra.
Perché è stupido.
Perché crede di farmi un favore.
Perché preferisce farsi del male non vedendomi, non capendo che in questo modo ferisce enormemente anche me.
Perché preferisce vivere il suo inferno da solo.
 
Capite adesso cosa intendo quando dico che per noi non ci sarà un lieto fine?
Che questa storia ancora non è finita?
Perché effettivamente questa stupidissima storia non ha una fine, è stata lasciata in stand-by.
Come uno scrittore lascia il proprio mano scritto incompiuto: il file c’è, la storia c’è, ma la parola ‘FINE’ non verrà mai scritta.
Così siamo noi: io e Federico ci siamo, la nostra storia c’è, ma il finale per noi non verrà mai scritto.
Abbiamo lasciato una virgola dove serviva mettessimo un punto.
  
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