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Autore: Delirious Rose    28/07/2015    4 recensioni
Sbatté le palpebre un paio di volte e poi aggiunse, forse più a se stesso: “Non sapevo che tu fossi una Podestaria. Questo cambia molte cose.”
Lei lo guardò confusa, come se stesse parlando una lingua che suonava familiare ma che non riusciva a capire. “Pode-che?”
“Magus, strega o qualsiasi altro termine comune per indicare una persona iscritta nel Registro: Podestarius – o Podestaria, al femminile – è il termine più corretto.”

Virginia Bergman è una ragazza come tante: le piacciono i dolci di sua madre, la Matematica e, come il 15% della popolazione, ha dei poteri che considera come un'accessorio fuori moda. Tuttavia, quando al suo penultimo anno di scuola una supplente mette in pericolo la sua media, IContiNonTornano l'aiuterà a superare le sue difficoltà: chi si cela dietro questo username, un geek grassoccio e brufoloso o... un ragioniere azzurro? E di certo ignora ciò che questo incontro porterà nella sua semplice vita.
Svegliati, bambina, e guardati dall'Uomo dalle Mille Vite.
{Nuova versione estesa de "RPN"}
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
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Podestaria

 

 

Capitolo 16

 

Non era veramente un sogno, quanto un ricordo, un’istantanea del viaggio in Lapponia che i Bergman avevano fatto anni prima. All’epoca, suo padre aveva detto a Virginia che loro sarebbero andati a trovare Babbo Natale, quello vero, non uno dei suoi imitatori che si vedevano nei grandi magazzini dai primi di dicembre. Solamente al suo ultimo anno delle elementari, Mr. Bergman aveva confessato a sua figlia che quel viaggio non era altro che la realizzazione del desiderio della bisnonna di vedere un’ultima volta la terra in cui era nata.

Nel sogno, Virginia aveva quattro anni e Radvna era ancora viva.

I loro sguardi erano rivolti a Nord, la mano piccola e paffuta in quella ossuta e grinzosa: se gli occhi di Radvna erano lì dove la taiga lasciava il posto alla tundra, la Virginia – bambina aveva il naso all’insù, gli occhi pieni di meraviglia e di aurora boreale. La bisnonna le parlava nella sua lingua natia – parole il cui significato era stato dimenticato da troppo tempo dalla Virginia – ragazza ma che la Virginia – bambina comprendeva perfettamente, parole rubate da una folata di vento gelido che sputò la neve in faccia alla Virginia-bambina, la quale sollevò le braccia per proteggersi il viso.

Quando riaprì gli occhi nel Sogno, la Virginia-ragazza era in un nero uniforme e senza odore, in cui Tempo e Spazio non esistevano. Era vestita di nebbia e i suoi capelli, lunghi come erano stati prima di incontrare Liam, fluttuavano d’oro e di rame come mossi da una brezza leggera o immersi in acque profonde e la sua pelle aveva un colorito eburneo, quasi splendesse di luce propria. L’aria fremette impercettibilmente, e Virginia intravide una creatura avvicinarsi: da principio sembrava una farfalla che volava languida in quel non-luogo, unica nota di colore in quel piatto grigiore, ma quando Virginia porse la mano per offrirle un dito su cui posarsi, trattenne un grido di terrore. Se le ali erano di farfalla, il corpo era di ragno dalle zampe lunghe e sottili, nero come pece. La creatura non doveva essere malevola, poiché si limitò a svolazzare attorno a lei: si fermò a qualche passo da lei, e al terzo battito d’ali, riprese a volteggiare in volute sempre più alte. Virginia non poté fare a meno di seguirla con lo sguardo, verso l’unica fonte di luce presente in quel non-luogo – era come vedere un flebile sole o una luna splendente attraverso la superficie mutevole dell’oceano o di un lago d’alta montagna.

Svegliati, mia piccola Renna, e guardati dall’Uomo dalle Mille Vite, echeggiò una voce famigliare che Virginia non riconobbe.

 

 

 

Quando Virginia si ritrovò faccia a faccia con il proprio riflesso, ebbe l’impressione che ci fosse qualcosa di diverso. Si esaminò il volto con attenzione, alla ricerca di un foruncolo deturpante o di un allargamento della sua couperose: il suo incarnato non era diverso dal giorno precedente – chiaro e impossibile da far abbronzare senza diventare di un imbarazzante rosso aragosta – così come non erano diversi i suoi occhi – tondi e color nocciola come quelli di sua madre, ombreggiate da ciglia lunghe, folte e chiare. Anche la sua bocca era la stessa, né troppo sottile né troppo turgida, con un arco di cupido abbastanza marcato e il labbro inferiore un po’ più pronunciato rispetto a quello superiore. Evitò di contare le lentiggini sul naso, ci aveva già provato quando aveva undici anni e i conti non le erano mai tornati – comunque non pensava che un paio di efelidi in meno o in più avrebbe fatto una gran differenza. Controllò la fronte, gli zigomi, le guance… e poi avvampò notando il succhiotto appena sotto l’orecchio sinistro, dove la giugulare s’inseriva fra la mascella e il collo.

Dovrai dirgli di smetterla di farti certe cose, Vir’. Almeno non in punti così evidenti.

Virginia applicò del correttore sul segno, ponderando l’eventualità di nasconderlo ulteriormente con i capelli. Avvampò di nuovo al ricordo del bacio, di come in pochi istanti il loro abbraccio si fosse fatto tanto intimo che per un istante Virginia aveva creduto che lo avrebbero fatto proprio lì, sotto il portico e con solo la porta d’ingresso a separarli dai suoi genitori – desiderò scavare una fossa ben profonda in cui seppellirsi quando si rese conto che d’essersi sentita alquanto intrigata dalla prospettiva. Scosse la testa con forza per allontanare quel pensiero e finì di prepararsi: terminò di truccarsi, asciugò rapidamente le radici dei capelli e indossò l’uniforme scolastica – non era neanche sicura del perché, per una volta, avesse optato per la gonna invece dei soliti pantaloni – quindi controllò un’ultima volta che tutti i libri necessari e i quaderni fossero nello zaino e scese in cucina.

Suo padre e Finn avevano già fatto colazione, per cui a Virginia non restò  che mangiare da sola le sue uova strapazzate con bacon, del porridge con frutta cotta e miele e un paio di toast burro e Marmite, mentre sua madre preparava gli ingredienti per la cena. La pendola che scoccava le otto fu il segnale che le spinse a salutare Mr. Bergman e Finn e partire, chi per andare a scuola, chi per incontrare alcuni fornitori.

Il tragitto fino alla Langlane fu tranquillo e Virginia fu grata che sua madre non avesse pronunciato il nome di Biagio, nonostante stesse chiaramente morendo dalla voglia di saperne di più in proposito. Virginia sospirò, ripensando a come si era vergognata quando sua madre aveva insistito così tanto perchè Biagio restasse a pranzo, ma ancor di più ripensando a tutte le frecciatine e le occhiate – maliziose o arrabbiate – che i suoi genitori e Ines le avevano lanciato per il resto della serata. Perfino Leonor aveva fatto la sua parte, canticchiando e gongolando come quando i suoi genitori l’avevano portata a Eurodisney l’estate precedente per incontrare i suoi eroi preferiti. Le labbra di Virginia si incurvarono in un piccolo sorriso ripensando alla conversazione fra Biagio e Leonor che aveva origliato senza volerlo.

Tu sei un principe, vero?

Ma devi promettermi di non dirlo a nessuno.”

E tu dovrai fargli presente di non mettere strane idee in testa a Nonô. Pensò Virginia slacciando la cintura di sicurezza e baciando la guancia di sua madre.

“A che ora devo portarvi la torta?” le chiese Mrs. Bergman mentre Virginia chiudeva la portella dell’auto.

Virginia frugò lo zaino e prese la sua agenda, controllando gli orari delle lezioni. “Ho Matematica Avanzata subito dopo la pausa pranzo. Hai fatto attenzione a tenerla lontano dalle altre, vero? Mr. Jackson è intollerante al --”

“Certo che sono stata attenta, Vir’: ho a cuore la salute dei miei clienti,” rispose Mrs. Bergman alzando gli occhi, per poi rivolgerle un sorriso. “E avete avuto una bella idea, a voler festeggiare il suo ritorno a scuola.”

Virginia le mandò un bacio volante e agitò la mano, seguendo brevemente l’auto di sua madre uscire dal parcheggio della scuola. Raggiunse l’ingresso della scuola, scambiando saluti con i compagni: nonostante non avesse lezione prima delle nove, aveva preferito aspettare in aula la lezione di Francese piuttosto che andare con sua madre dai fornitori. Mentre Virginia si spostava per lasciar passare un alcuni studenti, sentì il proprio cellulare suonare: aggrottò le sopracciglia nel riconoscere il numero di Biagio, chiedendosi perché la contattava a quell’ora insolita. Masticò l’interno delle guance, poi il cellulare squillò di nuovo: Virginia sentì un’onda di acidità nello stomaco, accompagnato dal retrogusto amarognolo della bile in fondo alla gola, e aprì il messaggio stizzita, decisa a fargli presente che in quel momento lei era a scuola e non voleva essere disturbata.

[ Appena ti è possibile potresti chiamare mio fratello? È a casa con un brutto raffreddore e ha bisogno di farsi tirar su di morale. L ]
[ Ah, il nostro numero di fisso è *********. L ]

Virginia sentì il proprio fastidio scemare leggermente, complice il contenuto del messaggio. Si chiese se dovesse usare l’ora libera per chiamare subito Biagio, oppure se fosse più saggio aspettare la pausa pranzo: non voleva sembrare fredda nei suoi confronti, ma non voleva neanche ricadere in pessime vecchie abitudini.

Approfittane per mettere subito le cose in chiaro, Vir’. Le suggerì la voce della coscienza, un consiglio troppo sensato per non essere seguito.

Osservò alcuni studenti che indugiavano ancora nel corridoio, e si rifugiò presso una finestra aperta sul cortile e, sedutasi sul davanzale, premette il pulsante verde. La linea era libera e, proprio quando si aspettava il messaggio della segreteria telefonica, sentì rispondere.

“Pronto?” Era una voce femminile, dolce e remota – non Linda, ma qualcuno di più maturo.

Sentendosi all’improvviso imbarazzata, Virginia si schiarì la voce. “Ehm, buongiorno. Mi scusi se disturbo, ma ho ricevuto un messaggio da parte di Linda e…” Trasalì e si schiaffeggiò la fronte, rendendosi conto della propria mancanza di buone maniere. “Sono, Virginia, Virginia Berg--”

“Ah!” la interruppe la donna, e quando riprese a parlare Virginia poteva vedere il sorriso su un volto scevro di lineamenti. “Io sono Isolde, la madre di Biagio e Linda, piacere di... parlarti, anche se avrei preferito incontrarti di persona.”

Virginia boccheggiò, ancor più imbarazzata. “A-ehm, il piacere è mio, Mrs. Tricano.”

“A dire il vero, è Miss Tricano.” La voce di Isolde aveva assunto una velatura nostalgica, appena percettibile, e un leggerissimo tremolio, prima di riprendere frizzante come quella di Linda. “Non so se Biagio è sveglio, ti spiace attendere un po’?”

Virginia fece per rispondere che avrebbe richiamato dopo pranzo, ma Isolde doveva aver già allontanato il cordless dal proprio orecchio. Virginia sentì dei passi, un bussare leggero, un breve scambio di battute che rese il suo volto coordinato al maglioncino bordeaux dell’uniforme – È la tua promessa! – Mamma, non ti ci mettere anche tu per favore!

 “Buongiorno, Virginia.” La voce di Biagio era nasale e alterata dal raffreddore, ma sembrava felice di sentirla.

“Ciao. Ho un’ora di buca e ho pensato di chiamarti,” disse Virginia, trovandosi all’improvviso a corto di parole – come Biagio, a giudicare dal suo silenzio prolungato.

“Come stai?” si chiesero infine all’unisono, scoppiando poi a ridere.

Virginia si appoggiò contro lo stipite della finestra, osservando alcuni studenti rintanarsi nei locali scolastici non appena una pioggerella leggera iniziò a scendere. “Io sto bene, tu piuttosto. Linda mi ha mandato un messaggio dicendomi che eri malato,” mormorò dopo un po’, la voce tinta di senso di colpa.

Biagio rise leggermente. “È solo un raffreddore, nulla che un po’ di riposo non possa risolvere.”

“E del Lemsip,” s’intromise la voce di Isolde, seccata. “Ecco, bevilo tutto e prendi la prossima dose non prima delle dodici e un quarto. E togli il pigiama così ti spalmo di Vicks.”

Virginia non seppe se dovesse arrossire al pensiero di un Biagio senza maglia – anche se non sapeva se dovesse immaginarlo mingherlino come Eugene oppure muscoloso come Bob – o ridere al pensiero di sua madre che lo trattava come se fosse ancora un bambino – nella sua mente si formò l’immagine di una Linda adulta e più autoritaria.

“Mamma, se non ti spiace sono al telefono.” La voce di Biagio era soffocata, come se avesse coperto il microfono con qualcosa, e Virginia lo immaginò alzare gli occhi.

Ci fu un sonoro sbuffo. “Tu continua la tua telefonata e lasciami fare il mio lavoro.”

“Da quando fra le mansioni di un chirurgo c’è quella di applicare del balsamo canforato o di essere così chioccia?”

“Biagio!” L’esasperazione nella voce di Isolde era palese.

Ci fu il rumore di uno schiaffo e una risata che si trasformò in dei colpi di tosse.

“Scusa per l’interruzione, Virginia. In ogni caso, grazie per la telefonata,” riprese Biagio, lentamente.

Virginia masticò il labbro inferiore, sentendo una punta di rimorso. “Scusami, è colpa mia se ieri hai preso freddo…” ammise a voce bassa.

“Dovrei dirti che non è colpa tua, ma sarebbe solo una mezza bugia,” ridacchiò Biagio, poi sospirò. “Credo che il colpo di grazia me lo abbia dato tuo fratello Robert, ieri pomeriggio.”

Rimasero in silenzio per un po’, interrotto da un fatto di Isolde seguito dal rumore di una porta che si chiudeva.

“Volevi dirmi qualcosa, Virginia?” mormorò Biagio con uno starnuto.

Virginia si morse l’interno delle guance, chiedendosi come introdurre l’argomento. Poi prese un respiro profondo ed esordì: “Vorrei mettere alcune cose in chiaro.” Aspettò una risposta di Biagio che non arrivò. Respirò profondamente e poi sputò. “Non rinfacciarmi mai più qualunque cosa tu creda di fare per me.”

Ci fu un lungo silenzio, poi Biagio chiese: “Ho detto qualcosa che ti ha… ferita, nevvero?”

“So che eri in buona fede e per questa volta lascio correre.” Per un attimo si chiese se quello non fosse stato un errore, ma preferì non rimuginarci sopra troppo. “Non rinuncerò a uscire con i miei amici per farti piacere.”

“Perché dovrei chiederti una cosa simile?” La sincerità nel tono di Biagio era così evidente che Virginia avrebbe potuta toccarla. “Non capisco perché si debba ridurre la propria vita sociale al solo partner, inoltre considero il voler trascorrere ogni istante di veglia insieme una mancanza di fiducia e rispetto. Tu hai i tuoi amici ed io i miei: ci saranno volte che saremo in compagnia degli uni o degli altri, e altre in cui ci sarà solo un noi due.” Biagio tacque per un po’, poi aggiunse: “Facciamo così: manteniamo tutti gli impegni che abbiamo già preso e decideremo come e quando vederci in base a quelli. Desideri che ti mandi i miei orari del prossimo trimestre, in modo da avere una visibilità sui miei impegni?”

Virginia deglutì il vuoto, perché tutto si sarebbe aspettata tranne una risposta del genere. "Non... non è necessario," disse infine. “Non chiedermi di cambiare, di vestirmi o pettinarmi in un certo modo.”

 “Mi spiace, Virginia, ma se tu indossassi un bikini striminzito durante una tempesta artica, credo che chiunque ti consiglierebbe di mettere qualcosa di più caldo.” La voce di Biagio era leggera e frizzante, come se quella conversazione non fosse altro che uno scherzo. “E se ti volessi diversa, non pensi sarebbe stato più conveniente scegliere un’altra ragazza?”

Le labbra di Virginia tremolarono in un piccolo sorriso. Anche quella risposta era stata inattesa – sperata – e volle rispondere che forse aveva ragione, tuttavia la sola cosa che riuscì a dire fu: “Non azzardarti a chiedermi di mettere da parte la scuola.”

Biagio non rispose subito.

Questa è una sciocchezza, Virginia.” La voce di Biagio si era fatta un sibilo di frustra. “Dovrei impedirti di inseguire i tuoi sogni? Proprio io che ho dovuto rinunciare ai miei?”

“Forse ti sembrerà una sciocchezza, ma non hai idea di quanto possa essere importante per me!” Ringhiò Virginia a sua volta, un singhiozzo ribelle le fuggì dalla gola alla fine della frase.

Sentì Biagio sospirare – non sapeva se per rabbia o altro – e poi lo sentì aggiungere: “Vorrei ricordarti che ci siamo incontrati perché mi ero offerto di darti ripetizioni. Oppure questa non è una garanzia sufficiente che, al contrario, sarò sempre lì per aiutarti?”

Virginia mormorò un flebile , accompagnandolo con un cenno del capo che Biagio non poteva vedere.

“"Un’ultima cosa.” Virginia strinse di più il cellulare alla guancia con entrambe le mani e provò a deglutire il nodo che le stringeva la gola. Provò a parlare una, due, tre volte e quando ci riuscì non fu che un singhiozzo balbettante. “No-non chiamarmi, mai e poi mai, p--” Prese un respirò più profondo, cercando di estirpare quella parola dalla gola come se fosse un'erbaccia. “Piccola. Fallo e ti darò in pasto a Bob,” aggiunse dopo un istante di silenzio, più per rassicurare se stessa che per minacciare Biagio, con una nuova fermezza nella voce.

Biagio rimase in silenzio e Virginia si volle prendere a schiaffi per non aver atteso la sera per chiamarlo via Skype: non potendo vedere la sua reazione, non sapeva come interpretare quel silenzio prolungato. Biagio si era offeso, arrabbiato, oppure cercava di interpretare le sue ragioni che l’avevano spinta a fargli una tale richiesta? Per una frazione di secondo, Virginia fu tentata di spiegargli il perché solo per rendersi conto che non aveva ancora il distacco necessario per affrontare quei ricordi senza crollare. Lo sentì sospirare, di confusione oppure decisione.

“Non amo i nomignoli.” La voce di Biagio era scevra di emozioni, come se stesse enunciando una teoria scientifica di pubblico dominio. “È davvero così importante per te?”

Il di Virginia fu flebile, appena udibile. Biagio sospirò ancora una volta – Virginia lo immaginò lisciarsi una ciocca come soleva fare quando rifletteva su qualcosa. Quando infine parlò, la voce di Biagio aveva la ieratica solennità del sacerdote di un culto dimenticato.

“Te lo giuro sullo Stige. Te lo giuro sulla Spada, la Bacchetta, la Coppa e la Moneta.”

Se all’inizio lei aveva avuto l’impressione che lui si stesse prendendo gioco di lei, qualcosa nella voce di Biagio assicurò Virginia della sua serietà. Mormorò un grazie ancora più flebile, accompagnato da un singhiozzo liberatorio, e non disse altro. Anche Biagio rimase in silenzio – tutto quello che Virginia poteva sentire, era il soffio ritmico del suo respiro.

“Virginia, va tutto bene?” Biagio le chiese.

“Non mi chiedi perché?” rispose lei, cercando di riprendere il controllo della sua voce e sembrare meno patetica.

“Immagino che tu abbia le tue ragioni: non sei tenuta a dirmele se non vuoi.”

Virginia si lisciò distrattamente le pieghe della gonna, ricambiando brevemente il saluto di un compagno di classe. “E tu? Non hai niente da… chiarire?” deglutì infine.

“Nulla che non possa aspettare: tu hai lezione e io sento il Lemsic fare effetto, parlerei solo a vanvera,” ribatté lui, sopprimendo uno sbadiglio. Poi aggiunse: “A che ora posso chiamarti stasera?”

Virginia rifletté un attimo prima di rispondere: “Apri Skype per le nove, d’accordo?”

“D’accordo.”

“Ciao, allora.”

“Abbi una piacevole giornata.” Biagio non riagganciò. “Virginia?”

“Sì?” chiese lei a sua volta, scendendo dal davanzale e sistemando lo zaino sulla spalla.

“Mi manchi,” mormorò infine Biagio, chiudendo la telefonata prima che lei potesse rispondere a quell’ultima frase.

Virginia sbatté le palpebre un paio di volte, fissando il proprio cellulare: in un certo senso, si sentiva sollevata di non aver dovuto rispondere, le parole ti amo si erano affacciate sulle sue labbra un istante troppo tardi ed era riuscita a riacciuffarlo prima di pronunciarlo. In un certo senso si sentiva sollevata dal non aver sentito Biagio pronunciarle, né poco prima né il giorno precedente. Virginia deglutì il vuoto accarezzandosi leggermente il ventre, risentendo di nuovo succhi gastrici e bile in fondo alla gola quando, involontariamente, il suo pensiero tornò a tutte le volte che Liam le aveva dette, quelle due parole.

Virginia guardò l’ora sullo schermo del proprio cellulare: la telefonata le aveva preso più tempo di quanto sembrasse e non le restava abbastanza per studiare un po’ in biblioteca, quindi decise di raggiungere l’aula di Francese e attendere in corridoio l’inizio della lezione. Sorrise fra sé al pensiero di rivedere Biagio quella sera – arrossì d’imbarazzo nell’immaginare sua madre trattarlo come un bambino di cinque anni.

“Ciao Vir’!” Sharon agitò la mano per salutarla e poi le fece cenno di raggiungerla. “Vieni, Gene ci sta leggendo le carte!”

Virginia sbuffò e roteò gli occhi, ma sorrise nel vedere Eugene accoccolato per terra, con le carte da poker allineate davanti a lui, un ridicolo foulard dalla fantasia astratta annodato sotto il mento e una torcia tascabile a illuminargli il viso da sotto dandogli un’aria ridicolmente lugubre. Gli mancava solo un grosso naso aquilino ornato di verruche e dei cerchi alle orecchie per sembrare una vecchia cartomante.

“Sotto a chi tocca!” disse Eugene, nella sua miglior imitazione di una gitana.

 “Io!” rise Louis, sedendosi per terra mentre Eugene mescolava le carte. “Riuscirò a convincere i miei a…”

“Tutto ok Vir’?” chiese Sharon, osservando il suo profilo.

“Sì, perché?” chiese Virginia a sua volta, spostando meccanicamente una ciocca dietro l’orecchio.

“È che mi sembri--” Sharon corrugò la fronte, poi si inumidì un dito con la lingua e le strofinò il collo.

“Ma che…” balbettò Virginia, cercando di allontanarla.

Gli occhi di Sharon si illuminarono di malizia, mentre le sue labbra si allargarono in un sorriso da Stregatto. “È quello che penso che sia?”

“Non capisco di cosa parli,” borbottò Virginia, fingendo innocenza quando una mezza idea ce l’aveva.

“Parlo di questo: so riconoscere un succhiotto quando lo vedo,” rispose picchiettando un dito sul collo. Poi aggiunse, il suo sorriso ancora più largo: “E così ci siamo fatte il ragazzo…”

“Sharon, per favore --”

“Chi si è fatta il ragazzo?” chiese la voce incuriosita di Chantal, la quale trotterellava verso di loro.

Sharon indicò con un gesto plateale Virginia, la quale alzò gli occhi. “La qui presente Miss I-Libri-Prima-Di-Tutto! Guarda tu stessa, Chantie.” Scosse la testa e sospirò. “Mi chiedo se sia un morso d’amore o di un vampiro...”

Chantal schioccò la lingua deliziata, lanciando un’occhiata che fece rabbrividire Virginia. “Un vampiro, dici? Sai, posso immaginarlo: alto, riccioluto, con le fossette sulle guance, bassista in una cover band…”

Virginia alzò gli occhi esasperata e sbuffò: “Io non sto con Testa di Broccolo.”

Davvero?” ribatté Chantal, incrociando le braccia sul petto e inarcando un sopracciglio. “Vi abbiamo visti, sai? Tu e Matt, mano nella mano, mentre vi baciavate sotto i fuochi di Capodanno… era così ro-oh-mantico! Audrey ed io ci chiedevamo quando ce lo avresti detto.”

“Chantal…” iniziò Virginia, ma l’altra sembrava non averla sentita.

“Ehi, Gene, perché non ci dici qualcosa a proposito di Vir’ e Matt?” cinguettò Chantal, prendendo a braccetto Virginia e tirandola verso Eugene, il quale le fissò con gli occhi sgranati per la sorpresa.

“Hai un ragazzo?” chiese Eugene con circospezione.

“Ho fatto una cazzata, vero?” chiese Virginia a sua volta, intuendo quello che Eugene volesse dirle ma che non osava pronunciare, non davanti ai loro compagni.

Eugene sospirò seriamente, restituendo il foulard a una compagna di classe e raccogliendo le proprie carte. “Non conosco questo Matt per risponderti.”

Virginia fece per rispondere, ma la campanella suonò, annunciando la fine della prima ora di lezione. Nel trambusto di studenti che uscivano ed entravano nell’aula, Virginia perse d’occhio Eugene e, quando lo rivide, mimò con le labbra dopo ti spiego tutto mentre si sedeva accanto a Chantal, la quale stava mormorando qualcosa nell’orecchio di Audrey fin da quando questa era arrivata dalla classe di Arti Applicate.

Virginia si concentrò su Madame Bossuet, prendendo appunti e ponendo una o due domande pertinenti: buona parte della lezione si era svolta normalmente e nessuno si era comportato in modo tale da giustificare la gomitata al fianco che le diede Chantal. Virginia la guardò corrugando la fronte e scuotendo la testa, chiedendole con lo sguardo cosa volesse: in risposta, Chantal le passò un foglio e Audrey si chinò in avanti, entrambe con un sorriso da Stregatto. Sul foglio di quaderno erano stati schizzati una donnina in pan di zenzero e un broccolo impegnati a baciarsi circondati da cuoricini, fiorellini e farfalline svolazzanti. Chantal le diede un’altra gomitata, poi si abbracciò e protese le labbra come per baciare qualcuno; Audrey, invece, le mostrò i pollici in approvazione.

Virginia roteò gli occhi e, presa la sua matita, scrisse: non sto con Broccolo. Le sue amiche la guardarono poco convinte e lei aggiunse: sto con Biagio.

 “Cosa?!” esclamò Chantal, incredula.

Madame Bossuet si schiarì la voce: “Je vous rappelle que ceci est une lésons de Français, Chantal. Si vous aviez une question, je vous prie de la poser.”

Chantal boccheggiò come un pesce fuor d’acqua, avvampando per la vergogna mentre alcuni studenti ridevano. “N-no, madame…” balbettò infine, lanciando un’occhiata omicida a Virginia.

La lezione riprese e dopo qualche minuto, Audrey passò un altro schizzo a Virginia – lei e Biagio in sella a un grasso unicorno strabico che cavalcavano verso il tramonto, lasciando dietro di loro una scia cuoricini, fiorellini e farfalline svolazzanti. Virginia sospirò, cercando di non arrossire: tuttavia, non riuscì a trattenere più di tanto un sorriso. Sbatté le palpebre.

Per un attimo, le sembrò che una farfalla si fosse mossa.

Virginia corrugò la fronte, si stropicciò gli occhi e fissò nuovamente lo schizzo, chinandosi appena per osservarlo più da vicino. Un paio di farfalle disegnate mossero leggermente le loro ali. Virginia si guardò intorno alla ricerca di una spiegazione razionale – forse era un mero gioco di luci e ombre – ma non c’era nulla di anormale nell’aula, anche se l’aria aveva lo stesso odore dopo un temporale. Con gli occhi sgranati di fascinazione, Virginia vide le farfalle sbattere le loro ali di carta e grafite, mentre una a una si staccavano dal foglio per svolazzare davanti a lei. Virginia deglutì saliva dal sapore metallico mentre, con trepidazione, allungò un indice per toccarle.

Quando il suo indice sfiorò una farfalla, Virginia fu investita da una deflagrazione di grafite.

 

L’inutileangolo dell’autrice

 

Note
Je vous rappelle que ceci est une lésons de Français, Chantal. Si vous aviez une question, je vous prie de la poser: Ti ricordo che questa è una lezione di Francese, Chantal. Se hai una domanda da fare, falla.
 


E niente. Da oggi pomeriggio non avrò una connessione causa trasloco e non so quando la riavrò, soprattutto considerato le vacanze che si accavalleranno: la mia speranza è di essermi portata avanti con la storia come si deve durante il mese di agosto – sogna, bambina, sogna… Ragion per cui lo stile di questo capitolo è minimalista - il tempo non è sufficiente per dedicarmi all'HTML come sempre, ma rimedierò appena possibile.

La versione inglese di Podestaria partecipa ai Wattys Awards 2015, per cui, se siete iscritti anche su Wattpad e volete che Virginia e Biagio abbino una chance in più di vincere, vi invito caldissimamente a votare la loro storia! Infatti, uno dei fattori che peseranno maggiormente nella scelta delle storie vincitrici sono proprio le statistiche (intese come numero di letture complete, voti e suppongo anche commenti), per cui il vostro sostegno è essenziale!

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, aiutatemi a farla crescere perché è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

   
 
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