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Autore: Tomi Dark angel    28/07/2015    5 recensioni
STEREK.
Tratto dalla storia: "-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-La... la camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-"
Stiles Stilinski sparisce per tre anni. Per tre anni tutti lo credono morto, per tre anni di lui non si hanno notizie. Quando però riappare, non è più lo stesso. Di lui non resta che una creatura nuova, un incubo talmente orrendo che anche Beacon Hills teme di accogliere.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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“C’è un momento in ciascuna alba
In cui la luce è come sospesa,
Un istante magico dove tutto può succedere.
Un istante in cui la creazione, trattiene il respiro.”
 
Dolore. Panico. Carenza d’aria.
Derek non si è mai sentito così in vita sua. Non riesce a respirare, gli gira la testa. In un solo istante d’Inferno, la situazione si è capovolta. Lui non soffre di attacchi di panico, eppure… vedere Stiles in quel modo, toccarlo e sentirlo freddo sotto le dita, è straziante più di qualsiasi incubo mai vissuto. È come sfiorare una marionetta, una bambola bellissima e senza vita che, per quanto perfetta, apparirà in eterno gelida come il ghiaccio e lontana come solo un oggetto sa essere.
Non respira. Stiles non respira.
-Derek!-
Alle sue spalle sopraggiunge qualcuno, ma a Derek non interessa. Pur riconoscendo gli odori e il timbro della voce, non presta alcuna attenzione ai nuovi arrivati perché c’è qualcosa di più importante da fare, qualcosa di più importante a cui pensare. Stiles è tra le sue braccia, così come era pochi istanti prima, mentre lo baciava, mentre lo toccava e sospirava il suo nome.
Con quelle dita adesso gelide, Stiles gli donava la vita.
Con quei respiri adesso assenti, Stiles richiamava la sensazione del vento fresco sulla pelle.
Adesso però, è buio e Derek non vede bene. La sua luce è andata da qualche parte, qualcuno l’ha soffocata bruscamente e, per l’ennesima volta, lui non è riuscito a muovere un muscolo per impedirlo.
-Per la miseria, che è successo?- esala Valefar, inginocchiandosi al suo fianco. Fissa Stiles, corruccia le sopracciglia. Non sembra capire l’entità della situazione, non si preoccupa del fatto che il suo amico non respiri più. Insensibile? Forse.
-Valefar…- chiama Lydia con voce tremante. –…lui è… è …-
Derek non vuole pensarlo, non vuole crederci. Non così, non lui.
-Finitela di piagnucolare, per l’amor del cielo.- sorride Valefar alla fine. Dà una piccola spallata a Derek, leggero di qualsiasi preoccupazione, sereno come un bambino il suo primo giorno di vita. Non piange, non appare triste. –Sta bene.-
Sta bene.
Sta bene.
STA BENE.
Quelle parole si ripercuotono nell’animo di Derek, fin dentro la gabbia toracica, ricoprendo di improvvisa stanchezza quello scioglimento della tensione. Sta bene. Stiles sta bene. Improvvisamente, il calore torna a strisciargli addosso, lo avviluppa, lo riporta alla luce. C’è di nuovo speranza, c’è di nuovo il sole e Derek adesso può vederlo.
-Però non è qui.- afferma improvvisamente Valefar.
-Che vuoi dire?- ringhia Derek, di nuovo nervoso.
-Dumah.-
A parlare stavolta, è stata Lydia. Ha lo sguardo fisso verso l’alto, sul braccio della statua di Lucifero. Gli occhi sono sbarrati, le labbra schiuse. Non si muove, immobile come una splendida bambola di ceramica, intenta a fissare qualcosa che solo e soltanto lei sa vedere.
Dumah. Di Dumah, ce n’è una sola. O meglio, ce n’era, perché Dumah è morta e la sua anima… che fine ha fatto? Dispersa, sfracellata in milioni di particelle, distrutta come vetro frantumato. I demoni non vanno da nessuna parte, quando muoiono. L’anima è già morta, quindi all’ennesima distruzione del corpo, anche la parte più importante di esso va persa per sempre.
Eppure…
Valefar ci mette poco ad elaborare una teoria. Passando del tempo in compagnia di Stiles, ha imparato a usare il cervello nel modo più giusto, più veloce, più efficace. Comprende le situazioni al meglio delle sue capacità, elabora piani e pensieri, idee e possibilità.
Pensa.
Dumah. Lydia ha pronunciato il nome di Dumah, come se fosse lì in quel momento. Come se la vedesse. Ma non è possibile, perché Dumah è scomparsa, morta all’Inferno e da lì mai uscita.
Elabora.
Stiles è in stato catatonico e Lydia pronuncia il nome di Dumah. Non è una coincidenza, nulla lo è. Di cosa si sta parlando, allora? Della possibilità che Dumah sia ancora in circolazione, in un modo o nell’altro? All’Inferno non c’è sicuro, e in Paradiso non l’avrebbero accettata neanche sotto pagamento. Quindi? Qual è la risposta?
Ragiona.
Catatonia. Dumah. Stiles.
Stiles. Dumah. Catatonia.
C’è un collegamento, una risposta. È lì, Valefar la sente. E ha intenzione di afferrarla, in qualsiasi angolo del suo cervello si trovi. Se Stiles è morto, vuol dire che la sua anima è stata strappata dal corpo. Strappata, non distrutta. E, se Lydia ha visto veramente Dumah…
-Un ricordo.- esala Valefar all’improvviso. –Qualcuno deve aver collegato la sua psiche col passato. Stiles non respira più perché la sua anima non è qui.-
Derek lo fissa, le sopracciglia inarcate fin quasi a raggiungere l’attaccatura dei capelli. –Può accadere?-
-Mi prendi per il culo o sei serio?-
-Chi è stato a fargli questo?-
Valefar non risponde. Al contrario, fissa Lydia, che a sua volta guarda ancora la statua di Lucifero, ipnotizzata, coi grandi occhi sbarrati. Non si è mai mossa, non ha mai distolto l’attenzione, come se qualcuno le stesse parlando.
-Lydia…- sussurra Valefar, inquieto. -… è davvero lei? È… mia sorella?-
Mia sorella.
Dumah, colei che ha iniziato tutto per condurre Valefar alla libertà, alla vita vera. Ora lui ricorda il suo viso allora troppo giovane, il corpo ancora acerbo, gli occhi grandi di terrore. Sua sorella, la sua piccola e innocente sorellina.
Giocavano insieme da piccoli, e il suo sguardo era così puro, così innocente, che Valefar si convinse della sua totale indistruttibilità. Avrebbe soverchiato il mondo, affrontato le ere e la malvagità dell’uomo, ma quello sguardo sarebbe rimasto uguale, pulito come solo quello di una ragazzina sa essere. Ci credeva. Ci sperava. Ma tutto è cambiato col tempo, con l’infamia dell’umanità che crudelmente li ha divisi, rendendoli due estranei fino alla morte di Dumah stessa.
-Non lo so.- risponde Lydia con esitazione. –Non so cosa ho visto.-
-È ancora qui?- domanda Valefar con calma forzata.
-No, non credo.-
Ma ci è stata, e se il coma di Stiles è riconducibile a un gesto di Dumah… perché l’ha fatto? Perché mettere fuori gioco uno dei suoi stessi alleati del passato?
Improvvisamente, come in risposta alle domande di Valefar, Stiles esala un lungo, brusco respiro. Sbarra gli occhi, si contorce, inarca la schiena in uno scatto doloroso che quasi gli spezza la spina dorsale. Derek lo afferra con decisione, gli blocca i polsi per evitargli di farsi male e preme un ginocchio contro il suo stomaco, costringendolo ad appiattirsi al pavimento. Le ombre intorno a loro si addensano, fremono inquiete, lentamente cominciano a strisciare lungo i muri della sala. Valefar le sente respirare come bestie affamate, avide di carne e sangue, urla e ossa spezzate.
La coda di Stiles ha uno spasmo involontario che la porta ad arricciarsi, a fendere l’aria come lama letale e velocissima, precisa in ogni suo colpo. Ripiegando su se stessa, sfiora la guancia di Derek e la graffia, ma all’istante entrambe le code di Valefar la placcano. La prima fa scontrare le punte con forza disarmante, tanto che dal contatto diretto, sbucano scintille luminescenti e troppo calde che quasi ustionano Lydia e Derek; mentre la seconda la inchioda al suolo, piantando la punta destra nel terreno e incastrando tra essa e la coda vera e propria la parte bassa della lama di Stiles.
-STILES!!!-
L’urlo di Derek fende l’aria, Stiles si immobilizza. Il silenzio piomba su di loro come manto di velluto, massiccio e soffocante dopo tutto quel rumore. Le ombre cominciano a ritirarsi, la coda di Stiles si affloscia come un arto morto e allora Valefar lo libera.
Poi, lentamente, Stiles si volta e incrocia gli occhi di Derek, la piccola macchia di sangue che gli bagna ancora la guancia. Fissa ipnotizzato quelle iridi color foresta che, nel loro piccolo, ricostruiscono all’istante il mondo paradisiaco di cui Stiles ha bisogno. Riesce a sentirlo, il profumo degli alberi. Riesce a toccarla, l’erba umida di rugiada. Riesce a vederla, così verde, così brillante, come la più preziosa delle gemme. È a casa, va tutto bene.
Lentamente, allunga una mano per toccargli la guancia, laddove il sangue spicca brillante, vivo, ancora fresco di gocce sottili e ipnotiche. Stiles si sporca le dita di quel rosso intenso, ne inala l’odore… poi, dolcemente, si allunga per baciargli la ferita in via di guarigione, senza malizia, senza pretese.
-Scusami… scusami, Sour…-
Ma Derek non gli lascia il tempo di finire. Lo stringe forte a sé, cingendogli i fianchi con un braccio e affondandogli l’altra mano nei capelli. Ansima forte nel suo orecchio, come se stesse cercando di calmarsi, come se stesse lottando per non piangere, e Stiles a quel punto concepisce la paura che deve aver provato. Derek l’ha visto crollare, l’ha sentito urlare e contorcersi. Per quanto tempo l’ha chiamato? Quante volte l’ha scosso?
Stiles inspira forte il suo odore, si perde nel calore tiepido di quel corpo terreno, angelico, di creatura mistica. Il suo angelo a quattro zampe, il suo spirito guardiano.
-Sono qui.-
-Sei qui.-
Stiles si allontana appena da lui per guardarlo in viso, quando improvvisamente nota qualcosa di diverso, qualcosa di anomalo che in precedenza ha creduto di aver solo immaginato. Gli occhi di Derek. I bellissimi occhi di Derek adesso sono… diversi. Molto diversi. Ancora blu elettrico, ma… la pupilla è ellittica come quella di un rettile, come quella di un…
-E anche questa mi è nuova.-
Stiles si preme una mano sulla bocca mentre Valefar si inginocchia per guardare Derek da vicino. Inclina il capo, curioso come un bambino, ma non pare spaventato o preoccupato. Al contrario, lo guarda con interesse, e quasi sorride all’espressione corrucciata del licantropo, che non apprezza affatto la vicinanza di Valefar.
-Oddio…- esala Stiles, spaventato. -… è… opera mia?-
-No, è mia.-
-Non dici sul serio, Valefar, vero?-
-Secondo te?-
-Ma come ho fatto?! Non siamo mica in Supernatural!-
-Lenti a contatto?-
-Ma sei scemo?-
-No, sono Valefar.-
-FINITELA!!!- esclama Lydia, attirando la loro attenzione. Fissa Derek in viso, ancora stranita ma relativamente tranquilla. Studia con interesse i suoi nuovi occhi, li guarda mentre poco a poco, la pupilla si contrae, si rimodella, e lentamente… torna normale. Il blu si spegne, schiarisce in uno splendido smeraldo brillante e tutto rientra nella normalità, come se mai nulla fosse accaduto. Allucinazioni? No, perché sono in tre ad aver visto quegli occhi.
-Non capisco…- sussurra Stiles, ancora sotto shock. Si tocca una delle palpebre inferiori, come per assicurarsi che i suoi occhi siano ancora lì.
-Che diavolo state dicendo?- ringhia Derek, improvvisamente nervoso. Li guarda uno alla volta, alla ricerca di risposte, ma i volti degli altri tre sono impenetrabili. –Stiles.-
Stiles deglutisce rumorosamente, a un passo da un attacco di panico. Stringe i pugni, respira con calma forzata, e Derek capisce che sta cominciando ad agitarsi troppo. Gli stringe i fianchi con dolcezza e appoggia la fronte contro la sua, inspirando a fondo il suo profumo. Ci sono solo loro, adesso. Loro due e basta.
-I… i tuoi occhi.- esala Stiles, chiudendo gli occhi. –Sono… sono…-
-Simili a quelli di un demone.- conclude Lydia, senza scomporsi. Fissa Valefar, che cautamente si volta verso di lei e fa baluginare i brillanti occhi demoniaci. Blu elettrico. Dalla pupilla ellittica. Appaiono un po’ più chiari di quelli di Derek, ma somigliano molto ai suoi, e questo non è normale, non è… sano.
-Cosa ti ho fatto?- esala Stiles, accarezzandogli una guancia. Sembra spaventato, trema appena. Adesso, i suoi occhi sono lucidi, ma non versano lacrime.
Ricorda ancora le parole di Michael, il suo tacito avvertimento. “Non  portarlo via con te”. Stiles lo ha ignorato, ha preferito accontentare se stesso a seconda dei suoi desideri. È stato egoista, malato, e adesso Derek… che conseguenze pagherà lui? La sua anima è intatta o rischia di lacerarsi? Andrà all’Inferno? Sarà dannato per sempre a causa sua?
-Non pensarci nemmeno.- ringhia Derek, afferrandogli un polso. –Non voglio sapere precisamente cosa stai pensando, ma posso intuirlo: non ci provare, ragazzino, o ti apro la gola coi denti.-
Stiles sbatte le palpebre, tremante di dolore e paura. I suoi occhi adesso, sembrano vetro frantumato.
-Michael me lo aveva detto. Mi aveva avvertito, io…-
-Michael?!- esplode Valefar. –Quando ci hai parlato?-
Stiles apre e chiude la bocca, ma non ne esce più alcun suono. Non riesce a parlare, a stento respira. L’immagine degli occhi mutati di Derek lampeggia davanti ai suoi occhi, lo acceca, lo sbrindella in mille pezzi. Ha mutato la sua anima, il suo avvenire. Perché, questo? Perché ha scelto di prendersi tutto, di essere egoista sulla più importante delle cose?
Un suono. Lontano, sibilante, freddo e inquietante come soltanto la minaccia più grande dell’universo può produrre. Qualcosa si muove, il velo dell’Inferno freme e si contorce. Stiles e Valefar appoggiano le mani al suolo che lentamente comincia a fremere, percepibile solo e soltanto al tocco dei due demoni. La Terra sta tremando, ha paura. Qualcosa di sbagliato sta per accadere, qualcosa che Madre Natura stessa ripudia e si rifiuta di accettare.
Cielo e terra piangono terrorizzati.
Boschi e oceani si immobilizzano come prede in balia del più feroce dei predatori.
Il velo che separa vita e morte trema intimorito, scosso da una potenza ineguagliabile, animale, distruttiva. Inferno e Paradiso si risvegliano, sollevano il capo, volgendo gli occhi a un avvenimento che mai prima d’ora ha avuto modo di accadere.
Un cambiamento, una nuova possibilità. L’orologio che rintocca i secondi di lacrime e prigionia spezza la catena che ne impedisce la caduta, crolla verso il suolo e il vetro del quadrante si infrange. Le lancette cadono, rintoccano gli ultimi secondi di pace, gli ultimi istanti della vecchia era.
-Che succede?- esala Lydia.
Valefar si alza lentamente in piedi, gli occhi sbarrati e vitrei. –Stiles, no.-
Ma Stiles non si muove. Fissa il terreno come se lo vedesse per la prima volta, coi polpastrelli che aderiscono al suolo e lo sguardo inespressivo. Respira piano, con calma moderata, mentre la pelle balugina inquieta e gli illumina il volto d’oro e vermiglio. Derek riesce a vedere i suoi muscoli tendersi, la pelle aderire alle vene in rilievo, ai tendini sporgenti.
-Stiles, no.- ripete Valefar, nervoso. –Ragioniamo un attimo, non deve per forza…-
Ma Stiles sparisce all’improvviso, avvolto dalle tenebre e da queste ultime soffocato. Si lascia alle spalle qualche impronta, il suo odore e le crepe massicce che le punte delle ali hanno affondato nel terreno.
 
Li sente. Può sentire la loro presenza, il loro respiro. Sono ovunque, come parassiti germogliati dalla terra e da essa stessa coltivati. Li sente nell’acqua. Li sente nell’aria. Li sente nel terreno. Non dovrebbero essere qui, perché la loro stessa esistenza è sbagliata, e lui in questo momento non ha alcuna intenzione di sopportare altre creature del loro calibro. Del suo stesso calibro.
Ha sbagliato tutto, con Derek. Ignorando gli avvertimenti di Michael, ha scelto di rischiare l’anima del licantropo, la sua libertà, la sua vita eterna. Ha voluto ignorare i segnali, e così facendo ha lasciato che una parte del suo stesso orrore insozzasse la purezza di un’anima già danneggiata di suo.
Ha sbagliato. Ha sbagliato, e l’ha quasi ucciso. Errore, abominio.
“Volevi questo?”
Stiles cammina tra le tenebre, avanza il passo. Sente quella voce, la sente dentro la testa e nella gabbia toracica. Gli attraversa le ossa e gli organi, la mente e le membra.
“Avresti dovuto lasciare tutto a me”.
No, non avrebbe dovuto. Non avrebbe dovuto perché, nelle mani dell’Altro, Stiles non avrebbe passato quei momenti in compagnia di Derek. Non avrebbe dovuto perché, nelle mani dell’Altro, Stiles avrebbe ucciso Derek e il branco, e l’avrebbe fatto ridendo. E lui, di persone divertite dalla sofferenza altrui, ne ha conosciute troppe. Li ricorda ancora, i demoni, quando deridevano le sue sofferenze, le sue preghiere, i suoi gemiti di dolore. Ricorda tutto, ogni istante vissuto all’Inferno. Eppure, niente fa male quanto questa situazione.
Ha ferito Derek. Lui non lo sa, ma l’ha ferito. La sua anima, la parte più importante di lui… non sa cosa significhi finire all’Inferno, diventare un’anima dannata. Stiles sa bene che per nessun motivo al mondo permetterebbe a qualsiasi demone di alzare un solo artiglio su Derek, ma l’unico modo per farcela è impedirgli di giocarsi la sua stessa anima per qualcosa che gli donerebbe solo pochi attimi di felicità, prima di un’eternità sconfinata di grida e sofferenza.
Derek non lo merita. Derek non merita alcun tipo di dolore. Non merita di accecarsi alla luce del sole, non merita di scordare cosa sia il sorriso e la beatitudine della pace. Il Paradiso perderebbe il suo angelo più bello e l’Inferno guadagnerebbe l’ennesima vittima sacrificale alla quale spezzare brutalmente le ali.
“Sei così piccolo. Così giovane. Lascia che sia io a guidarti”.
Stiles crolla in ginocchio, ombra tra le ombre, anima tra le anime. Sente adesso cosa significhi essere dannati per davvero, mentre ogni cosa si sfalda e le sue colpe lo schiacciano. Ha contaminato uno splendido angelo per puro egoismo, ha lasciato che il male vero annerisse le sue ali per puro piacere carnale. Ha ceduto, come ogni essere umano. E alla fine, a pagarne le conseguenze è Derek, il suo Derek.
Dannato. Lo è davvero?
“Stiles”.
La voce raschiante, sdoppiata e da animale lo chiama dalle tenebre, ma non è insistente. Stiles la sente raramente, ma quando parla nella sua lingua gutturale da demone, non esalta un tono malvagio o aggressivo come ci si aspetterebbe. Al contrario, la voce parla con dolcezza sopraffina, la stessa tentazione che intride il peccato più languido.
-Vai via.- sbotta prima di uscire dal manto di tenebre, proprio dinanzi ai resti di casa Hale, dove il branco al completo, più Melissa e lo Sceriffo Stilinski sono radunati.
Non se l’aspettava, questo. Perché sono lì, proprio dove il pericolo è più ingente? Perché non scappano, perché non crollano in ginocchio, soverchiati dall’ammasso di tenebre? Valefar non c’è e il branco è ancora troppo inesperto per difendersi da… quello.
Appena Stiles compare, tutti si voltano. Isaac, Scott, Allison, Chris, Melissa e lo Sceriffo. La sua famiglia, la sua casa. In pericolo.
Anche loro no.
-Stiles!- esclama Scott quando lo vede, ma il giovane demone lo ignora.
Ricorda bene quel puzzo di sangue e incenso, di carne fresca e grida lancinanti. Sanno di Inferno, sanno di dannazione. E certi odori, non dovrebbero neanche lontanamente accostarsi al suo branco, perché quelle persone sono sotto la sua protezione, e Stiles non permetterà che qualcun altro si ferisca. Lo ha promesso, lo ha giurato. “Mai più” furono le sue parole, che ora si ripetono impellenti, aggressive, lancinanti nella sua testa. Mai più Alastor, mai più Dumah. Mai più vittime. Mai più Derek.
Il solo pensiero di avergli fatto del male, lo spezza, lo indebolisce. Il suo unico e più importante muro di difesa è sempre stato il licantropo, e adesso che qualcosa è cambiato, Stiles si sente a pezzi. Ogni brandello del suo ego implora pietà, ogni scintilla del suo essere si sfalda come sabbia perché senza Derek, ogni cosa decade e il futuro non esiste più, non per lui. La voce dell’Altro nella sua testa si fa più insistente, più melodiosa. Lo tenta, gli chiede di lasciarlo andare.
Stiles affianca suo padre, ben attento a non toccarlo. Sente la pelle scaldarsi, gli arti farsi incandescenti. Il fuoco covato nelle sue vene scorre liquido, eccitato, micidiale.
Ha ferito Derek. Ha sbagliato tutto. A pagarne le conseguenze, sono solo gli innocenti.
Gli occhi di Stiles scivolano sui nuovi arrivati, li scrutano con fermezza estranea al branco, che neanche Scott gli attribuisce. Quello sguardo fa paura, brucia e congela allo stesso tempo. Neanche il più temerario degli esseri viventi manterrebbe un contegno dignitoso innanzi a quella occhiata.
I due ragazzini invece, non muovono un muscolo.
Quando li ha visti all’inizio, Scott ha pensato di guardare degli escursionisti, dei fragili esseri umani avventuratisi nel bosco alla ricerca di avventure troppo pericolose per il loro calibro. Così piccoli, così innocenti a prima vista. Così umani. Avranno al massimo dodici anni. Almeno, secondo le leggi universali dell’età alle quali creature come loro non sono ammessi.
Scott ricorda bene quando da piccoli, lui e Stiles giocavano a guardare i passanti e ad additarli come vittime o assassini, a seconda del loro aspetto. Era un gioco idiota, qualcosa sul quale solo i bambini possono scherzare. Eppure, Scott ricorda bene i volti di alcune persone, i loro occhi vitrei, la pelle dall’aspetto malato e gli abiti trasandati. Assassini.
È forse per questo e grazie a quel gioco che, quando Scott ha guardati negli occhi quei ragazzini, qualcosa è scattato in lui. Non hanno l’aspetto di vittime, non sembrano normalissimi esseri umani.
Entrambi identici come gocce d’acqua, entrambi con capelli scuri, pelle olivastra e occhi color nocciola. Anche gli abiti sono uguali e respirano all’unisono, come un sol uomo. Scott non riesce a distinguere nemmeno il loro odore, il che lo porta a pensare di avere forse problemi di vista.
Stiles arriccia il naso, nervoso. Non si muove, quasi non respira, ma c’è qualcosa di sbagliato in lui, una rabbia animale che Scott non riconosce. Avverte tanta rabbia in lui, ma non è il demone ad essere furioso, no. Stavolta, la causa è Stiles. Quella furia è umana, quel gelido sibilo di nervosismo è umano. Non si sta trasformando, ma forse, quella situazione fa anche più paura per questo.
-Lontani da queste persone.- ringhia all’improvviso, pericolosamente calmo. In quel momento, alle sue spalle, compaiono Lydia, Derek… e Valefar. Tutti e tre sani, tutti e tre totalmente integri. Nessuna ferita, nessun moribondo. Stanno bene.
Derek fissa prima i nuovi arrivati, poi Stiles, che continua a dargli la schiena. Lo ignora, finge di non aver notato il suo arrivo. A dispetto di ciò tuttavia, serra i pugni e trema di rabbia rappresa, umana, devastante.
I due ragazzi lo fissano negli occhi e simultaneamente sorridono. Si muovono alla stessa maniera, uguali nelle movenze come nell’aspetto.
-Veniamo in pace.- dice il più piccolo con voce cantilenante, quasi irrisoria, ma Stiles sbuffa forte dal naso e continua a fissarlo negli occhi, sfidandolo ad avvicinarsi, a guardare anche solo per sbaglio un membro del suo branco. Scott non ha mai visto uno sguardo così gelido, così inquietante. Quegli occhi, sono gli stessi che hanno guardato in faccia Lucifero e sfidato Dio, gli stessi che hanno visto torture e sofferenze. Quegli occhi, non vanno sfidati per nessun motivo perché, negli abissi delle loro profondità, racchiudono bestie feroci e incontrollabili, antiche e distruttive.
-Andiamo, Stiles.- esordisce il più grande, alzando entrambe le mani. –Guarda, siamo dis…-
Ma Stiles sparisce in un soffio d’aria, talmente fugace e inafferrabile che Scott si chiede all’improvviso se sia stato veramente lì. Neanche col suo sguardo da licantropo Alpha lo vede muoversi. Semplicemente, Stiles diventa incorporeo per un attimo, si sfracella in particelle di purissima velocità nello stesso istante in cui i due ragazzini chinano i busti bruscamente, cadono in ginocchio e le loro facce si trovano a un centimetro dall’erba. Ringhiano entrambi, così forte che il mondo intero rabbrividisce e le ossa stesse di Scott vibrano. È un suono raccapricciante, lontano da qualsiasi verso terreno. Quelli, sono i suoni dell’Inferno.
Scott rabbrividisce impercettibilmente, gli occhi rossi e gli artigli snudati come istintiva autodifesa. Poi però, qualcosa gli stringe il polso e una presenza lo affianca, quieta e silenziosa come anima guardiana.
Isaac non lo guarda, respira piano, ma non allenta la stretta su di lui. Con placida serenità, così come ha sempre fatto, lo sostiene e silenziosamente, gli ricorda che è lì, che va tutto bene. E Scott ci crede. Rilassa i nervi, gli occhi rossi spariscono.
Quando si volta di nuovo verso i due ragazzini, vede Stiles torreggiare su di loro, le mani strette convulsamente sulle loro nuche, i muscoli delle braccia gonfi per costringere entrambi i nuovi arrivati in quelle posizioni di sottomessa vulnerabilità. Dà le spalle all’intero branco, ma di questo Scott è felice, perché non vorrebbe vederlo in viso, non adesso che la sua sola postura spaventerebbe Dio in persona, se non anche Lucifero stesso.
La figura di Stiles emana potenza, un senso di forza devastante e inarrestabile.
-Ditemi cosa volete. E badate a non mentire, perché ora come ora mi basterebbe un pensiero per decapitarvi entrambi.- sussurra Stiles con calma mortale.
Alle spalle di Scott, Melissa e lo Sceriffo trattengono il fiato. Non sono abituati a vedere Stiles in quel modo, non quando l’ultimo ricordo che hanno di lui è quello di un ragazzino troppo magro la cui unica arma di difesa è la parola. Quello non è il loro Stiles. Quella seconda versione di lui, è forte e inamovibile come una montagna, precisa e letale come uno tsunami. Eppure, nonostante tutto, Stiles continua a trasudare un bizzarro senso di umanità, come una seconda pelle che mai gli si staccherà di dosso. Minaccia, ma Scott sa che non ucciderebbe veramente quei due ragazzini, non così.
-Allora?!- sbotta Stiles, stringendo la presa sulle loro nuche. –Sto aspettando.-
Il primo ragazzino parla con voce roca, dovuta alla presa troppo accentuata sul suo collo che quasi gli stacca la testa.
-Lui… arriva! Sta arrivando!-
-Lui chi?!-
-LUCIFERO!!!-
 
“Se non ti arrampichi, non puoi cadere.
Ma vivere tutta la vita sul terreno,
Non ti darà la gioia di essere libero.”
 
Lucifero.
Lucifero.
LUCIFERO.
Il signore dell’Inferno, il padre dell’oscurità intera. Il male esiste, e possiede un volto angelico, di creatura alata spinta giù dalle nubi più pure del Paradiso. Fu Dio a crearlo, fu Dio a modificarne la forma per tramutare in mostro il suo stesso figlio adorato. Un errore, una ribellione di troppo. Stiles ricorda bene quel volto, quegli occhi, quella voce morbida di velluto. Lucifero è quanto di più bello abbia mai calcato la Terra e l’Universo, la vita e la morte. Un giudice macabro e magnifico come sole e luna assemblati in un’unica, splendida fusione.
Stiles ci ha pensato spesso. Sentire la voce di Lucifero una sola volta, cambia la vita e l’udito, il respiro e le palpitazioni. Lui la ricorda bene, quella voce. Era purissima, pulita, morbida come il più voglioso dei peccati. Inneggia alla tentazione, agli errori, all’oscurità. E adesso, quello stesso male, quella stessa voce, quello stesso volto… stanno per arrivare lì, sulla Terra, come mai è accaduto in precedenza.
Il pianeta è terra di nessuno, luogo di scontro tra fazioni. Angeli e demoni si ammazzano a vicenda e uccidono gli esseri viventi, ma mai prima d’ora uno solo dei due grandi capi ha osato abbandonare la propria postazione di sicurezza. Eternamente barricati dietro fila e fila di vittime, eternamente al sicuro e pronti solo a ordinare il massacro. Ora però, qualcosa è cambiato.
Stiles sente una fitta di panico assalirlo, il terrore cieco e lancinante divorargli le viscere. Ha sfidato Dio e Lucifero, ma non lì, sulla Terra, dove c’è il suo branco. Loro non meritano di affrontare quella battaglia, non meritano di morire per un suo errore. Dumah ha già pagato un prezzo troppo alto, ma gli altri? Stiles si sente morire al solo pensiero di perdere Derek, o di vederlo fronteggiare Lucifero in persona, come sarebbe capace di fare.
Moriranno tutti.
-No.- sibila alla fine, barcollando. –No.-
I due ragazzini lo guardano, incuriositi. Stiles molla la presa sui loro colli e indietreggia, confuso e spaventato. Ha sbagliato ancora, per l’ennesima volta è colpa sua. Sono tutti in pericolo a causa del suo colpo di testa ai danni del Creato in persona. Ancora una volta, Stiles ha agito d’istinto e ha generato danni, ma stavolta non sarà semplice arginarli perché non si tratta più di anime o demoni, no. Ormai si parla di Lucifero e della sua scelta di scendere in Terra per la prima volta a distanza di secoli. È un cambio d’equilibrio, uno spostamento violento e massacrante che non solo sballerà i piatti della bilancia, ma la distruggerà direttamente. È un gioco pericoloso, uno schianto devastante che mieterà più morte che vita. Ed è colpa di Stiles.
-Perché me lo avete detto?- esala lui, tremante di rabbia. Qualcosa gli sussurra all’orecchio, una voce suggerisce di perdere il controllo, di lasciarsi andare. È una voce insistente, viva, presente. Parla al suo cervello più e più volte, lo accarezza, lo tenta. È il peccato in persona a sussurrare, la voce del male che è in lui. Stiles non vuole ascoltarlo, ha paura, è arrabbiato. Il mondo gli crolla addosso perché ha ferito Derek, gli ha forse lacerato l’anima per puro diletto fisico. Ha amato quando non doveva, ha carezzato quando la violenza era l’unica soluzione. Lui, marcio nel profondo del suo essere, ha osato accostarsi e toccare una creatura di Dio, qualcosa di puro e inavvicinabile che mai avrebbe dovuto nemmeno guardare.
L’ha insozzato. Ha macchiato il bene. Merita l’Inferno così come non lo meritava un tempo, quando da innocente ne ha varcato le porte. Merita di gridare come qualsiasi dannato, merita di ustionarsi la lingua alla prima preghiera pronunciata e implorata, seppur a favor di bene. La sua anima si è spaccata tante e tante volte, ma mai prima d’adesso ha sanguinato tanto.
È lui l’errore, è lui la vittima sacrificale che sbilancia l’equilibrio.
I due ragazzini lo fissano, interessati. Il più giovane sorride, ed è un sorriso vivo, pericoloso ma sincero. Sul suo viso è profondamente innaturale. –Davvero non lo sai? Quanti come te in passato, si sono interessati dell’Inferno? Quanti hanno mai guardato ai dannati con benevolenza anziché con occhi di condanna? Nessuno si interessa del nostro domani, nessuno prega per noi. Noi siamo invisibili, siamo ombre. È per questo che governiamo l’oscurità: perché noi siamo buio, macabro e strisciante, sporco e invisibile agli occhi dei vivi come a quelli dei morti. Ma tu. Tu, ragazzino, non la pensi così. Tu… tu ci vedi.-
La voce del ragazzino vibra d’aspettativa e inaspettata riverenza. Lo fissa in silenzio, in attesa del gesto che cambierà ancora una volta non il mondo, ma l’universo. Qualcosa muta, e non si tratta solo delle scelte di Satana, no: c’è altro.
E infine, il miracolo accade.
Lentamente, il ragazzino poggia entrambe le ginocchia al suolo, subito imitato dal suo compagno. Fissa Stiles dal basso, prostrato come mai un demone saprebbe fare, prostrato come umile servo al cospetto del suo sovrano.
I demoni non conoscono umiltà. I demoni vivono di sangue e menzogne, di carne e violenza. L’umiltà è un tratto divino, l’umiltà dovrebbe appartenere a Dio, non a Satana. Eppure, al cospetto del sole che tramonta e delle ombre che poco a poco avanzano, due demoni si inginocchiano, prostrati al cospetto di un giovane ragazzino dall’aspetto fragile e umano. Mai prima d’ora è accaduto tale avvenimento, mai prima d’ora i demoni hanno scelto volontariamente di chinare il capo, docili come soldati addestrati, gentili come scolari dinanzi al maestro anziano.
I demoni sono bestie indomite. I demoni sono il male e quanto di più selvaggio da esso derivi. E quel male adesso, si inginocchia ai piedi di Stiles.
Ma lui non lo merita, non è giusto. C’è qualcosa di sbagliato, qualcosa di macabro e insano. Lui è un assassino, una bestia. Ha massacrato quanto di più bello la Terra abbia mai partorito, ha schiacciato sotto il tallone il bene di una creatura che di angelico, possedeva ogni cosa.
-Alzatevi.- si innervosisce lui, indietreggiando. –ADESSO!!!-
Ma i due demoni non si alzano. Al contrario, sbattono simultaneamente le palpebre e illuminano gli occhi di identiche pupille verticali, minacciose e bellissime, predatorie e mefitiche. Gli stessi occhi di Satana, gli occhi del male.
-Ci hai chiamato alle armi, Stiles.- dice un demone.
-E noi alle armi accorriamo.- completa l’altro. –Hai fatto qualcosa di neanche lontanamente immaginabile, qualcosa che la storia mai prima d’ora ha potuto registrare. Hai sfidato Lucifero, hai scelto di lottare per noi dimenticati. E noi dimenticati, a dispetto di ciò che siamo, sappiamo ricordare.-
Stiles indietreggia mentre intorno a lui, la storia si rimodella, cambia e per la prima volta, non tende a ripetersi. Il mondo intero trattiene il respiro mentre passato, presente e futuro si raccolgono lì, in quel quadretto di creature in ginocchio, prostrate, rinate.
-Hai bisogno di aiuto, e noi abbiamo bisogno di sapere che ci siamo ribellati per un motivo.- afferma il gemello più giovane. –Abbiamo sempre guardato la luce da lontano, abbiamo sempre scelto di non ricordare solo per convincerci che i ricordi della nostra vera essenza non c’erano più. Ma noi, la prova che l’umanità esiste ancora ce l’abbiamo, ed è incastrata nel terzultimo girone dell’Inferno, inchiodata al ghiaccio da una stalattite che le perfora il corpo.-
Stiles chiude gli occhi, inala lentamente per calmarsi. Sa di chi stanno parlando, sa chi all’Inferno ha pagato un prezzo troppo alto per essersi ribellata, per aver cambiato le carte in tavola. C’è un corpo, laggiù, bellissimo e stoico nella sua dolce immobilità, come statua di monito per chi come lei ha intenzione di seguire il suo esempio. Un monito che nessuno ha scelto di ignorare, un monito che si è rivoltato contro Lucifero. Un simbolo.
Dumah.
-Non voltarci le spalle, Stiles. Combattiamo insieme. Per una volta, scegli di non illuderci e dacci la possibilità di dimostrare che siamo vivi, che possiamo essere liberi.- implora il più grande. Nei suoi occhi, si riflette lo spettro della disperazione misto a quello della speranza. Speranza per un mondo diverso, speranza per l’umanità che prega di tornare a ottenere. Non guarda al Paradiso, ma alla possibilità di essere diverso, di scegliere come vivere e come morire, esattamente come tempo addietro fece Dumah. –C’era qualcuno, da qualche parte, che un tempo ci somigliava, respirava la nostra aria, aveva un passato e una famiglia. Tu ci hai promesso la possibilità di ritrovare quelle persone, di ricordare i loro nomi e le loro colpe. Hai ragione: non siamo diversi dai dannati. Un tempo eravamo come loro, un tempo eravamo loro. Dacci la possibilità di ritrovare noi stessi. Abbiamo bisogno di te. Insegnaci l’umanità.-
Preghiere, richieste. Speranza, vita. Lì, al cospetto del sole che tramonta, Stiles si sente nuovamente in procinto di sbagliare. Sa che potrebbe crollare e rinascere tutto, sa che il mondo intero dipende dalla sua scelta. La storia può essere riscritta, la storia può cambiare, e questa possibilità è nelle sue mani, così come negli occhi di chi lo guarda. Ma lui è solo un ragazzo, troppo giovane per scegliere questo, troppo giovane per mettersi al comando di vite innocenti. Moriranno tutti, e sarà colpa sua. Moriranno tutti, e lo faranno implorando il suo aiuto.
Lui dov’era quando morì Dumah? Dov’era mentre massacravano Alastor, o chiunque abbia preso il suo posto? Non vuole altre morti, non vuole sentirsi nuovamente incapace di proteggere chi in lui ci crede davvero.
-Io…- Stiles indietreggia. Sta per parlare, sta per rifiutare l’aiuto dei due demoni, insensibile alle loro preghiere così come Dio è sempre stato con lui. Volterà il capo dall’altra parte, cadrà finalmente in ginocchio e Lucifero lo vedrà spezzato ai suoi piedi come fragile marionetta senza più fili. Non può farlo, non vuole altre Dumah. C’è la sua famiglia lì, c’è il suo branco. C’è Derek. Se solo Lucifero si avvicinasse a lui, Stiles impazzirebbe molto più di quanto sia accaduto mentre era all’Inferno. Sa bene che la reale sofferenza che potrebbe patire, è quella di vederlo star male. Il suo Inferno, quello vero, trabocca dai dolori di Derek, dalle sue urla, dalle sue debolezze. Non può permetterlo. Non è così forte da potersi concedere di mettere a rischio il suo unico e più bello punto luce. Non ce la farà. Si lascerà uccidere da Lucifero, sigillerà ogni uscita dell’Inferno per impedirlo, ma lo terrà lontano da Derek.
-Io…-
-Stiles.-
Una voce. Così potente da rovesciare le montagne, così bassa da appartenere al vento stesso. Derek Hale non ha gridato, eppure alle orecchie di Stiles è come se lo avesse fatto. Lo sta chiamando, insistente come ruggito di Alpha rivolto ai membri del suo branco, e Stiles reagisce di conseguenza.
Irrigidisce le spalle, non si volta, ma ugualmente ascolta. Quella voce, annidata su ogni lettera del suo nome, ha detto mille e mille cose. Una parola è bastata, ma da sola, essa ha più significato di qualsiasi discorso.
“Non lo fare”.
“Combatti”.
“Sono con te”.
E contro il suo stesso volere, Stiles si piega perché a quella voce, lui non può dire di no. Se Derek gli chiedesse di gettarsi in una pozza d’acqua santa, lui lo farebbe. Se Derek gli chiedesse di tornare all’Inferno e rimanerci, lui lo farebbe. E anche stavolta, Stiles non manca di rispondere alla sua luce, a quanto di più importante muova i fili del suo stesso essere.
-Abalam. Agares.- chiama Stiles, e allora i due ragazzini rispondono, schiudendo simultaneamente le labbra in attesa di un responso. Ancora inginocchiati, ancora succubi del giudizio finale che deciderà infine il loro destino. Attendono una risposta, lo sviluppo di un domani che potrebbe decretare la loro morte, o la loro riscossa. Al cospetto del sole e della luna, delle stelle e del cielo, essi si piegano in quel tribunale a cielo aperto, mentre un ragazzo dal giovane aspetto decreta infine ciò che attendono.
La risposta che giunge tuttavia, stupisce ognuno di loro, sorprendente come fiore appena sbocciato davanti ai loro occhi.
Stiles non si sente un sovrano, non è un giudice. Se si elevasse più in alto degli altri, non sarebbe diverso da Satana e da Dio. Lui è solo un ragazzo. Andava a scuola, si lasciava picchiare dai ragazzi più grandi, soffriva di iperattività e di sindrome da disturbo dell’attenzione. Non è un re, né merita di esserlo. Tutto ciò che chiede di essere invece, è umano. Non domanda altro, non spera altrimenti. E se quei ragazzini, nonostante il monito severo del corpo di Dumah incatenato a uno spuntone di ghiaccio, hanno scelto di aiutarlo, allora non sono loro a doversi inchinare.
Lì, dinanzi al branco e al cospetto del mondo intero, Stiles si inginocchia. Dolcemente afferra una mano di Abalam e una di Agares, sfiorandole con tanta delicatezza che entrambi trasalgono. Quelle mani, hanno torturato milioni di dannati, tra i quali vi è anche Stiles. Lo hanno fatto a pezzi per anni e per anni hanno sbrindellato ciò  che restava della sua anima senza pietà, senza carità alcuna. Quelle mani, hanno servito il male per secoli.
-Non è a me che dovete inchinarvi.- esala Stiles dolcemente. –Non è a me che dovete ciò che state diventando. Se avete scelto di ribellarvi, il merito è vostro. Vostre sono le azioni, vostre sono le anime che scegliete di ripulire… e vostro è il merito di un aiuto che non sceglierò di rinnegare. Non inchinatevi a me, perché se la mia famiglia e colui che più della mia stessa vita amo dal profondo dell’animo saranno salvi, sarà merito di quello stesso aiuto che mi state offrendo.-
Stiles china il capo, si porta alle labbra le mani dei due demoni. Con umiltà, ne bacia i dorsi, sfregando appena le labbra contro la pelle, prostrato ai loro piedi con anziana saggezza. Con quel gesto li accetta, li accoglie, li riconosce come pari e fratelli.
-Siate i benvenuti.- sorride infine, rialzandosi. Sotto gli occhi ancora stupefatti di Abalam e Agares, sposta lo sguardo oltre, verso gli alberi.
-Combatteremo?- domanda Agares, il più giovane.
Stiles lo guarda negli occhi, lo giudica. L’ha accettato, gli sta bene che i due demoni stazionino lì, ma non ha intenzione di mettere a rischio la vita del branco, non così. Non può decidere adesso la sua prossima mossa, non quando è così instabile e l’unico pensiero che gli percuote l’animo è quello di Derek ferito, torturato o fatto a pezzi. Per colpa sua. Quegli occhi demoniaci sul viso del licantropo, Stiles li ha visti davvero e non può ignorarli.
-Riposatevi. Siete al sicuro, per ora.- decreta infine prima di voltarsi e sparire nell’ombra. Ha bisogno di tempo e quiete, si pace e silenzio. È solo un ragazzo, dopotutto, e il suo mondo rischia per l’ennesima volta di sfracellarsi in pezzi troppo piccoli per essere riassemblati.
 
Si dice spesso che sbagliare sia umano. Si commettono errori, si parla a sproposito, si compiono gesti indescrivibili dei quali spesso e volentieri ci pentiamo. Ma siamo esseri umani, e gli errori fanno parte della natura stessa dell’uomo.
Errare è umano. Ma uccidere quanto di più puro e sacro esista al mondo? Massacrare l’anima del giusto, dannarlo indissolubilmente come agnello immolato su maledetto altare di pietra mentre lui, nella sua inconsapevolezza, si affida a quanto crede sia più giusto. Nella sua convinzione, quel fragile agnello si è fatto spezzare le zampe e il collo, le costole e il setto nasale. Stiles lo ha massacrato un pezzo alla volta, lupo affamato in cerca di debole preda di cui cibarsi. E la sua preda, per quanto inconsapevole, è sempre stata Derek.
Stiles si è aggrappato a lui come cieco che invano guarda al sole senza vederlo davvero. Adesso capisce, nella sua stupidità, di averlo amato fin quasi a ucciderlo.
Una rosa non va toccata troppo spesso poiché i suoi splendidi petali sono troppo fragili e col tempo, rischia di soffocare nell’umano abbraccio dell’egoismo. Stiles è stato egoista e fino alla fine, ha scelto di uccidere un pallido, bellissimo fiore appena sbocciato.
“Hai degli occhi bellissimi”. Stiles ricorda di averglielo detto, una volta. Ha fissato lo sguardo in quelle iridi blu elettrico, ha scrutato l’anima di Derek e in quell’istante, ha imparato ad amarlo ancora di più. Amava quegli occhi, amava quello sguardo. Gli stessi che con le sue stesse mani ha rischiato di distruggere, meritando la dannazione.
Derek ha sempre avuto le sue ali. Ampie e bellissime, lucenti e piumate, come quelle d’un glorioso angelo. Stiles lo ha sempre immaginato intento a librarsi nel cielo, libero da ogni cosa, finalmente sereno e felice di esserlo. Il suo angelo, il suo Derek. E Stiles, col suo morboso amore per quelle stesse ali, le ha guardate spezzarsi.
Un dolore sordo al petto lo costringe a inginocchiarsi lì, sulle sponde dello stesso lago che ancora custodisce il corpo di Alastor. Non si è mai mosso di lì, non è cambiato nulla dall’ultima volta che Stiles lo ha seppellito. Chiunque fosse quel ragazzino, forse loro non lo sapranno mai. Resterà senza nome, deceduto nel silenzio della sua anonimità, così come accadrà a molti di loro se Lucifero scenderà in Terra.
Qualcuno si ricorderà di loro? Qualcuno racconterà di un licantropo vittima e di un demone assassino il cui amore ha condotto entrambi alla dannazione eterna?
Il suo cellulare squilla all’improvviso, spezzando la quiete della radura. Il trillo impazzito di quell’orribile scatola di metallo premuta contro la sua coscia è fastidioso e non si sentiva da un bel po’, ma Stiles si costringe a non ignorarlo. Potrebbe trattarsi di qualcosa di serio, visto che comunque ci sono altri due demoni in circolazione. Per quanto muniti di buone intenzioni, sono pur sempre figli dell’Inferno e Stiles ha scelto di andarsene semplicemente perché con loro ci è rimasto Valefar.
-Pronto?-
-Stai sbagliando tutto.-
Quella voce. L’ha chiamato per nome pochi minuti prima e l’ha fatto altre mille e mille volte in passato. Una voce roca, capace di ribaltare gli abissi dell’Inferno e l’animo stesso di Stiles. Quel timbro, il giovane demone l’ha sognato già tante e tante volte quando era vivo e altrettanto spesso vi si è aggrappato quando era all’Inferno per non impazzire. La voce del suo Paradiso, è questa.
-Derek.-
Rumori all’altro capo del telefono. Derek si sta muovendo, forse cammina avanti e indietro. Stiles sorride al pensiero dell’espressione potenzialmente corrucciata che potrebbe spiccare adesso sul suo volto. Sorride, e al contempo sta male perché lui quel viso vorrebbe baciarlo fino a spianarne le rughe di disappunto, ma non può farlo. Non deve, non è giusto.
-Stai sbagliando, ragazzino.-
-Non sai cosa ti ho fatto.-
-Sì che lo so. Ero nella tua testa, idiota, e so cosa ho visto. Tu e Michael che parlavate, e tu come al solito sei abbastanza imbecille da dargli ascolto.-
Stiles sorride mentre gli occhi si fanno lucidi di ricordi e lacrime, di dolore e schiacciante sofferenza. Si sente a pezzi, spaccato in mille e mille frammenti. Senza Derek, ogni barlume di integrità svanisce e lui respira per inerzia, ascoltando il battito di un cuore che non merita di pulsare ancora.
-La smetti di offendermi, Sourwolf?-
-No, e sai perché? Perché te lo meriti. Sei un ragazzino idiota e iperattivo che tiene conto solo delle proprie scelte, giustificando il tutto in modo del tutto sconclusionato.-
Stiles stringe i pugni. –Devo farlo, Derek! Non rischierò che tu… lascia stare. È finita e questo è ciò che conta.-
-No, non è vero.-
-Sì che lo è! E smettila di contraddirmi!-
-Finalmente capisci quanto è snervante questa cosa, ma no, non ho intenzione di lasciarti andare. Mi hai capovolto la vita come un guanto, mi hai invaso casa, mi hai costretto a passare intere notti a calmare i tuoi stramaledettissimi incubi e come gran finale, mi hai costretto a scendere all’Inferno per recuperare il tuo stupido ego capace solo di agire senza ragionare! Adesso, prenditi la responsabilità dei tuoi gesti.-
Stiles ride amaramente, l’animo a pezzi e il cuore che lentamente si sgretola. Riesce a sentirli, i fragili frammenti del suo essere che poco a poco svaniscono, si consumano, muoiono come fiori soffocati dall’inverno.
-Scusami tanto se ti ho infastidito! E scusami se ho voluto scatenare una guerra ultraplanetaria per… per… niente.-
Niente. È questa la verità, Stiles lo sa bene. Ha condannato a morte il branco per puro scatto di impulsività, lì, mentre le sue mani si sporcavano di sangue innocente e Alastor moriva tra le sue braccia. Derek ha ragione. Lui è solo uno stupido ragazzino privo di autocontrollo.
Stiles respira a fondo per impedire ai singhiozzi di rompere il discorso. Si copre gli occhi con una mano, colpevole di un peso che non riesce più a sopportare. -Pensavo di agire a fin di bene, ma mi sbagliavo. Volevo che non ci fossero più Dumah, volevo che il libero arbitrio fosse una scelta non di Dio e Satana, ma di chi al loro volere è sottoposto. Tutti meritano una seconda opportunità, così come non l’abbiamo meritata io, Valefar… Dumah.  Nessuno, nemmeno il mio peggior nemico, dovrebbe passare quello che abbiamo passato noi. Dio e Lucifero trasformano brava gente in assassini terrificanti e privi di controllo, e questo non è giusto. Gli uomini non nascono dall’oscurità. Essi sono creature grandiose, capaci di insegnare cose bellissime e sempre nuove. Io stesso imparo ogni volta che vedo un bambino accarezzare il viso di un padre che piange perché ha perso il lavoro, io stesso imparo ogni volta che un ragazzo accarezza un cane randagio e gli cede il suo panino per sfamarlo. L’uomo è questo, Derek. E l’umanità, me l’ha insegnata anche il branco. Me l’hai insegnata tu.-
Stiles singhiozza, dando sfogo a quella fragilità che lo opprime, lo schiaccia, lo ferisce più e più volte.
-Mi hai insegnato molto e io… io ti ho fatto questo… scusami. Scusami, scusami, scusami.-
Stiles singhiozza più forte, si copre la bocca con la mano per soffocare il suo stesso pianto. Non vuole che Derek ascolti i suoi lamenti, non lo merita. Per quante volte Stiles potrà chiedergli perdono, il danno ormai è fatto.
Dall’altro capo del telefono, Derek ci mette un po’ a rispondere. Ascolta per qualche minuto i pianti soffocati di Stiles, li assorbe, prega che finiscano perché mai nulla dovrebbe scatenare in lui una sofferenza tanto devastante. Quel suono, è il più orribile che Derek abbia mai ascoltato. Sa di Inferno, di paura, di rabbia. Non è Stiles a piangere, ma il mondo intero, perché dei singhiozzi tanto disperati si potrebbero attribuire a chiunque sia profondamente lacerato nel suo stesso essere.
Così piange una madre che stringe a sé il figlio morto.
Così piange un uomo che ha visto morire la sua famiglia.
Così piange un cagnolino mentre il suo padrone spira.
Così piange Stiles Stilinski e Derek avverte qualcosa rompersi nel petto ogni volta che sente un singhiozzo esplodere all’altro capo del telefono.
Ti prego, smettila di piangere.
-Finiscila di piangere, ragazzino. E togli quella mano dalla faccia.- sbotta Derek improvvisamente.
-Non sto… as… aspetta, come sai che io…-
Una mano compare accanto al suo viso, gli sfila il telefono di mano. Qualcuno alle sue spalle lo getta via, in mezzo all’erba e dolcemente fa scivolare un braccio attorno alla vita di Stiles in un tocco gentile, angelico, che all’istante blocca il suo pianto disperato. Ogni barlume di dolore sparisce, annega nella gentilezza di quel tocco troppo delicato, come di petalo che s’appoggia su fragile cristallo. Il calore di Derek sa di casa e foresta selvatica, di luna e Paradiso. Stiles lo attribuisce agli angeli, quelli veri, così come li dipinge il cristianesimo. Gentili e morbidi, puliti e caritatevoli. Derek, nella sua rudezza di licantropo imbronciato, è anche questo.
-Sourwolf, no…- sussurra Stiles mentre il corpo di Derek preme gentile contro il suo, senza forzarne il contatto o infastidirlo ulteriormente. Semplicemente, le loro anime, così come il loro essere materiale, coincidono perfettamente tra loro, incastrandosi, intrecciandosi, sfiorandosi. Sono due identiche anime gemelle partorite simultaneamente da Dio in persona, e forse da Dio stesso fatte incontrare. Ogni loro tocco è qualcosa di profondamente naturale, semplice, vivo, come se entrambi non avessero mai fatto niente nella vita.
In quel momento, mentre il respiro di Derek gli sfiora l’orecchio, Stiles pensa che entrambi sono dei relitti, creature stanche e fatte a pezzi da circostanze terribili. Tutti e due si sono visti azzoppare, spezzare un’ala, ferire. Sono piovuti dal cielo, insieme, angeli decaduti di decaduta pietà antica.
È per quella vita che Stiles combatte, per quei respiri. Lui combatte per il branco, per Derek.
-Sapevo tutto sin dall’inizio, Stiles.- sussurra Derek al suo orecchio.
-No che non lo sai. Non sai cosa si prova a… ad essere dannati.-
-Non avrò passato tre anni all’Inferno, ma ti ricordo che lì ci sono stato ugualmente. Ed ero io quello che chiedeva all’incappucciata di lasciarmi là sotto, a costo di rifiutare la beatitudine.-
Quella notizia gela il sangue nelle vene di Stiles e gli fa cedere le ginocchia. Si aggrappa al braccio di Derek per non cadere mentre l’aria scompare dai suoi polmoni, facendolo ansimare.
-Stiles, calmati.-
-COSA CAZZO AVEVI IN MENTE DI FARE?!- grida lui così forte da stupire finanche se stesso. –VOLEVI MORIRE, EH? VOLEVI LA DANNAZIONE?!-
Stiles si volta di scatto, separandosi da lui. Si sente a un passo dal mollargli un cazzotto, e non è certo del risultato che otterrebbe. Si farebbero male entrambi? Magari lui si spezzerebbe le dita e Derek la mandibola. Non è una cattiva idea, considerato che l’alternativa di Stiles è quella di ammazzarlo direttamente.
Non sopporta l’idea che Derek abbia chiesto davvero di restare lì sotto, all’Inferno, stretto a un cadavere che mai più avrebbe respirato. Dopo l’apparente morte di Stiles, Derek ha praticamente tentato il suicidio e questo Stiles non riesce a sopportarlo perché per lui, la morte non è niente: può accettarla, può abbracciarla e abbandonarsi ad essa. Va bene così, se così deve essere. Ma la dipartita di Derek Hale? No. Tutto, ma non questo. Qualsiasi sacrificio, qualsiasi prezzo da pagare, ma questo no.
Stiles è arrabbiato da morire. Il solo pensiero che Derek abbia pensato di lasciarsi andare, lo manda in bestia.
-Sei… sei un coglione! Un grandissimo, enorme, stragrande imbecille di un Sourwolf! Io non… io…-
-Stiles.-
Stiles si accorge di star piangendo solo quando Derek allunga una mano verso il suo viso e gli sfiora la guancia con riverenza delicata, soffice di nuvola evanescente. Col polpastrello, cattura la lacrima piccola e brillante di diamante, cancellandola, allontanandola dal suo essere come un brandello di dolore strappato dal suo petto. Stiles trema, spaventato, ed è durante quel momento di maggior fragilità che Derek decide di accostarsi e stringerselo al petto. Poggia il mento sul suo capo, chiude gli occhi, inspira il profumo di Stiles.
Ciò che ha tra le mani, è qualcosa di talmente fragile da apparire delicato anche al cospetto di un uccellino appena venuto al mondo. Quell’amore profondo, quell’affetto inscindibile che li lega, appare magnifico come un cigno, ma al contempo ugualmente affusolato. Può spezzarsi da un momento all’altro, ma Derek sente e capisce che questo accadrà solo e soltanto quando lui e Stiles moriranno. Insieme, perché nessuno dei due andrà avanti senza l’altro, e questo è un dato di fatto. Un albatro non vola se ha un’ala spezzata, così come un lupo non sopravvive a lungo con quattro zampe amputate. Derek vola grazie a Stiles, corre grazie a lui, vive grazie a lui. Nell’insieme, i suoi stessi respiri esalano unicamente per dare all’altro la sicurezza che Derek sia vivo, che sta bene.
-Sei ricaduto all’Inferno per colpa mia ed era mio il compito farti uscire di lì. Avevo promesso a me stesso che non me ne sarei andato senza di te e no, non l’avrei fatto in ogni caso. Ascoltami bene, ragazzino, perché non lo ripeterò una seconda volta: hai sacrificato molto in nome del branco, e in nome mio hai frantumato e ricostruito la tua stessa anima. Qualunque cosa io faccia, sarà nulla in confronto a ciò che mi hai dato tu. Conosco i rischi che corro stando al tuo fianco e va bene.-
Stiles struscia la fronte contro il suo petto mentre scuote il capo. –Derek, non posso…-
-Puoi. Professi libertà al cospetto di Dio e Satana, ma adesso non concedi a me quello stesso libero arbitrio.-
-Non posso farlo, non se c’è la tua anima di mezzo!-
Ma Derek scuote il capo e dolcemente, gli afferra il mento tra le dita per costringerlo ad incontrare il suo sguardo. Lascia che i suoi occhi mutino, lascia che il blu brillante dell’iride si tinga di quella sottile linea verticale che ormai incarna la pupilla. Occhi di demone in quelli di licantropo, essenza infernale intrisa di benessere terreno. Derek è sempre stato un ibrido, metà lupo e metà uomo. È nato così, e così gli va bene. La sua reale natura, a cominciare dal colore delle iridi, si è sempre riflessa nel suo sguardo. I suoi occhi incarnano ciò che è, ciò che sarà sempre. Adesso però, un nuovo pezzo di luce e colore si è aggiunto luminoso al suo arazzo, e quel pezzo di esistenza glielo ha donato Stiles. Derek non avrebbe mai pensato di poter accettare tanto facilmente un cambiamento tanto radicale, ma quegli occhi, quello sguardo… a costruirli è stato Stiles. Le sfaccettature migliori di Derek gli appartengono, sbocciano sane da quel ragazzino trepidante di vita e luminosità. I raggi del suo piccolo sole hanno colpito Derek, l’hanno illuminato e baciato, e alla fine il risultato è quello.
Lupo.
Uomo.
Demone?
-Stiles.- sussurra allora lui, fissandolo con occhi blu cobalto, lucenti come zaffiri, gelidi di ghiaccio cristallizzato e al contempo caldi di dolcezza infinita. –Guardami. Voglio che mi guardi davvero, coi tuoi occhi.-
E Stiles automaticamente lo accontenta, perché come al solito, a chiederglielo è Derek. Sbatte le palpebre, fa guizzare l’oro lucente delle iridi serpentine. Quello sguardo bollente, infernale, ha già vissuto mille e mille vite, mille e mille esistenze. Ha guardato il mondo nascere e morire, il sole e la luna sorgere e tramontare. Quello sguardo è vita, quello sguardo è morte. Quello, è lo sguardo di un demone vero, che inspira fiamme ed espira fumo.
Eppure, nonostante tutto, Derek non riesce a non amare quegli occhi, perché essi appartengono al suo Stiles e lui potrebbe guardarli per ore, per giorni, per anni, senza mai stancarsi. Nelle sfaccettature del suo sguardo, Derek riconosce mille e mille esperienze vissute, mille sofferenze patite e altrettanti bei momenti trascorsi. Quei momenti, quegli istanti… sono Stiles. Nel loro piccolo, hanno contribuito a far germogliare il piccolo miracolo che ha tra le braccia, un miracolo al quale Derek non potrà rinunciare.
-Baciami.- sussurra Derek all’improvviso e Stiles lo guarda stupito e totalmente impreparato. Trema appena tra le sue mani, fragile come il cuore appena nato di un passerotto. –Voglio che sia tu a farlo. Voglio che sia tu a fidarti di me. Concedimi quel libero arbitrio, Stiles: lascia che scelga la mia strada.-
-Non posso perderti.- sussurra Stiles, spaventato. Nei suoi occhi, si riflette il bagliore dell’alba e del tramonto, che morbidamente si intreccia al cielo notturno che splende nelle iridi di Derek. –Non voglio perderti. Io… io…-
Stiles inspira a fondo per calmarsi, le mani arpionate ai fianchi di Derek. Lo sguardo del demone è lucido, brillante di diamanti liquidi che, quando cominciano a colargli lungo le guance come scie benedette di benedetta acqua purificatrice, Derek non si risparmia di asciugare con piccoli baci. Stiles non merita di piangere.
-Lucifero mi ucciderà, Derek. E io non voglio andarmene col pensiero che se mi accadesse qualcosa…-
-Se Lucifero provasse a toccarti, gli spezzerei tutte le ossa del corpo, sappilo.- ringhia Derek in risposta, pur sapendo che la realizzazione di tale desiderio si tratta di mera utopia.
Lucifero arriverà, e loro cadranno combattendo. Lucifero arriverà, e loro moriranno insieme, così come è giusto che sia.
Derek lo ha capito tempo addietro, quando Stiles è ricomparso e l’ha salvato dagli artigli di Dumah.
Derek l’ha capito tempo addietro, quando ha incrociato per la prima volta quegli occhi dorati di giovane teenager.
Derek l’ha capito tempo addietro, e non potrebbe essere più felice delle sue scelte.
Morirà, ma lo farà combattendo per Stiles. Morirà, ma accadrà al suo fianco, perché è lì che resterà fino alla fine. Sole e luna, giorno e notte. Alla fine del mondo, si dice che gli astri si incontreranno in un unico, immenso abbraccio di immensità che stringerà l’universo in una nuova luce morente, che per brevi istanti illuminerà il Creato stesso di magnificenza autodistruttiva. L’ultimo singulto di vita, l’ultimo bacio che sole e luna si scambieranno. Loro moriranno così.
Stiles pare leggergli nel pensiero perché per lui, lo sguardo di Derek è limpido come acqua e puro come il cristallo. Singhiozza forte, gli occhi socchiusi, le lacrime che ormai sbocciano inarrestabili dalle iridi lucenti come punti luce.
-Derek, no.-
Ma Derek non vuole che pianga. Per quanto belle, le lacrime di Stiles sono una malattia che ammazza il suo sorriso, lo soffoca tra spine di rosa morente, e questo Derek non può permetterlo.
Lo stringe forte a sé, aderisce il corpo al suo e dolcemente torna a fissarlo.
-Baciami, Stiles. Fallo.-
E Stiles non lo delude, non lo fa mai. Semplicemente, inclina il capo e poggia le labbra sulle sue in un bacio delicato, gentile, soffice più d’impalpabile soffio di vento. Lo sfiora appena, tracciando con le mani intricati arabeschi che Derek avverte appena sulla pelle come una scia di brividi sotto la maglia. In quei tocchi, Stiles esprime se stesso e la sincera devozione che lo divora giorno dopo giorno, portandolo al cospetto di Derek come sole che s’inginocchia ai piedi della luna. Adesso, mentre Stiles lo bacia, Derek si sente quella luna, eretta e fiera dinanzi alla magnificenza prostrata del sole più bello di tutti. Il suo Stiles, la sua alba e il suo tramonto.
Improvvisamente, Derek ricambia il bacio con fare famelico, appellandosi all’amore che finalmente schiude i petali, sboccia tra sorrisi malcelati e lingue che s’intrecciano. Stiles allaccia le gambe intorno alla sua vita mentre Derek fa scorrere le mani sulla sua schiena, sotto la maglietta, laddove la storia di Stiles ripercorre la sua pelle in cicatrici intrecciate, vive e bellissime. Una mappa che costruisce un percorso, una mappa che al suo traguardo, possiede un solo ed unico nome reale e mai inciso sulla pelle: “Derek Hale”.
Dolcemente, Derek fa scivolare il viso di lato, contro la guancia di Stiles. Gli bacia lo zigomo, il lobo dell’orecchio, giù fino al collo. Traccia una nuova mappatura su quella pelle, un nuovo percorso da seguire insieme, e Stiles lo lascia fare perché si fida di Derek ed ogni parte di se stesso è affidata a lui. Inspira il suo profumo, vive di quei respiri che potrebbero essere gli ultimi, avverte gli artigli da licantropo emergere e premere sulla pelle senza ferirla. Lì, al cospetto del sole che bacia d’oro benedetto i loro corpi, anche Stiles si lascia andare.
Qualcosa sboccia dalle sue scapole, vele iridescenti talmente gloriose da costringere Derek a fermarsi un momento per osservarle come fossero la prima e l’ultima meraviglia del mondo. Quattro splendide ali più ampie dell’universo, più lucenti delle porte del Creato. Figlie di Lucifero, madri delle fiamme più brucianti, esse si tingono di uno spettro di sfumature rosse e oro, come fulcro di fiamme in movimento, vive, danzanti. Derek ne resta affascinato, le guarda spiegarsi e oscurare il sole e quando abbassa gli occhi su Stiles, vede la sua pelle splendere, le corna spiccare oscure contro il cielo, le orecchie allungarsi e farsi appuntite. Non si trasforma del tutto, ma anche in quel modo, Derek lo trova bellissimo più di qualsiasi altra cosa, come una gemma preziosa unica nel suo genere.
Torna a baciarlo con foga, toccando e mordendo        quelle labbra adesso bollenti come lava ma ugualmente morbide e bellissime. Derek rinasce ad ogni tocco, ad ogni sussurro di Stiles, ad ogni ansito di bestia e ragazzo mescolati. È un circolo vizioso, il sorgere di qualcosa che Dio e Lucifero non potranno abbattere. Il loro scudo, la loro unione. Insieme, sapranno volare fino a lassù, fino alla luna, per poi superarla e salire ancora ancora e ancora, oltre i cieli, oltre l’universo. Insieme.
-Queste potrebbero essere le nostre ultime ore di vita.- sussurra Stiles, accarezzandogli con tocco di rugiada il collo, i pettorali, giù fino all’addome contratto di muscoli lisci. –E voglio trascorrerle con te, Derek.-
Derek non se lo lascia ripetere.
Mentre Stiles avvolge entrambi con le ali calde e maestose, rinchiudendoli in un bozzolo di seta ultraterrena che neanche il più fervido dei sogni saprebbe ricostruire, Derek lo bacia ancora e ancora, ringraziando silenziosamente ad ogni tocco quella stella che stringe tra le mani, fragile e bellissima, maestosa e indistruttibile. Insieme innalzeranno al cielo ansiti e nomi sussurrati, insieme leveranno oltre il manto dell’universo sorrisi soddisfatti e respiri intrecciati di giovani innamorati che poco a poco, sull’erba di una radura un tempo sporca di sangue innocente, ripuliscono il mondo di tutto il male che l’ha sempre ricoperto.
Stiles lascerà che Derek gli accarezzi le ali mentre con timore intreccia le loro anime con spinte gentili e mai troppo esigenti e Derek lascerà che Stiles morda con irriverenza la punta acuminata del suo orecchio trasformato da licantropo mentre quella stessa creatura gli sottrae gentilmente la verginità, un pezzo dopo l’altro. Stiles gli offrirà anche quello, così come ha sempre voluto offrirgli ogni altra cosa, ogni brandello del suo essere e quando entrambi infine si abbandoneranno esausti al suolo, ansimanti ma felici, Derek saprà che in fondo, i miracoli esistono. In effetti, ne stringe uno tra le mani proprio in quel momento.
 
Derek capisce di essersi addormentato  come uno stupido solo quando qualcosa lo sveglia all’improvviso, un rumore insolito che di certo non appartiene a un animale selvatico. È troppo pesante, troppo massiccio e lui non si fida. Schiude le palpebre, non si muove: qualunque cosa ci sia nelle vicinanze, deve pensare che sia lui che Stiles sono totalmente assopiti e inermi, così da fargli abbassare la guardia. Fatto sta che Stiles, inerme lo è davvero: dorme profondamente tra le sue braccia, gli occhi serrati, il respiro lento. Non ha incubi, non più, e Derek è felice per questo perché il suo scudo è lui, e tale sarà fino alla fine. Hanno scelto insieme e insieme hanno siglato quel patto silenzioso.
-Stiles.- sussurra Derek pianissimo, pregando che il demone si svegli. Ma, come già appurato in precedenza, i miracoli di tanto in tanto accadono. Stiles muove appena il capo in un tacito cenno per segnalargli che sì, è sveglio e si è accorto dell’intruso.
Derek sta per muoversi, pronto a scattare e a snudare gli artigli quando Stiles si irrigidisce e solleva il capo di scatto, gli occhi brillanti d’oro. Non nasconde il suo stesso movimento, non cela il fatto di essere sveglio. Vederlo da vicino, con quelle iridi spalancate simili a occhi di serpe, distrae Derek, ma solo per qualche istante.
-Vestiti.- sussurra il licantropo mentre afferra i jeans di entrambi e lancia a Stiles il suo paio. Li indossano in fretta, velocissimi, gli occhi accesi di blu e oro come bestie che scrutano dappertutto.
-Non fiuto nulla.- sbotta Derek, nervoso. Ciononostante, si avvicina a Stiles e flette gli artigli mentre la sua forma di licantropo preme per uscire, ferina e aggressiva. Il solo pensiero che qualcosa minacci Stiles, spinge il suo lupo interiore ad annusare l’aria, i denti snudati e i muscoli pronti al balzo sulla preda. Nessuno toccherà Stiles. Nessuno.
-Minosse.- chiama improvvisamente Stiles, raddrizzandosi. Le corna si ritraggono nel cranio, come accartocciate su loro stesse e le zanne rientrano nella bocca, silenziose e non più affilate. La coda e le ali tuttavia, continuano ad aleggiare sulla radura e intorno al corpo del giovane demone.
Come invocato dall’oscurità stessa, dall’ombra degli alberi emerge una creatura. Massiccia, alta diversi metri, col naso schiacciato simile a quello di un facocero. Visto alla luce del sole, se possibile, Minosse è ancora più spaventoso.
I due demoni si squadrano in silenzio per qualche attimo, l’uno a debita distanza dall’altro. Da parte sua, Derek non sa nemmeno che fare: deve attaccare? Difendere Stiles? Restare immobile? Quello è il demone che ha aiutato Dumah ad aprire il varco su Beacon Hills, ma è anche colui che ha permesso loro di accedere all’Inferno in senso inverso in modo da potergli permettere di salvare Stiles. Derek non sa decidere se si tratti di un amico o un nemico, perciò si rimette al giudizio del suo demone.
Volta appena lo sguardo verso di lui e incredibilmente… Stiles sorride. Sorride così come farebbe riconoscendo un vecchio amico, sorride con quel suo sorriso da ragazzo imbranato che, accoppiato alle ali, la coda e la postura eretta, stona terribilmente con l’insieme.
-Lo sapevo che era opera tua, ragazzone!- urla Stiles all’improvviso, spaventando sia Derek che Minosse. Contro ogni aspettativa, spicca una corsa velocissima che per brevi istanti lo sfracella in un milione di particelle, facendolo sparire e poi riapparire lì, abbarbicato al corpo di Minosse, che barcolla e lo fissa coi piccoli occhi scuri, spalancati per l’inquietudine e il nervosismo. Non comprende il senso di quel gesto, non concepisce il motivo che abbia spinto Stiles a toccare uno come lui… il giudice dei morti, colui che condanna anime e che in passato condannò lo stesso Stiles a tre anni di torture inenarrabili, laceranti, nonostante la sua innocenza. Perché si abbracciano le persone? Che motivo hanno di toccarsi senza ferirsi a vicenda?
-Giovane fanciullo…-
Stiles lo lascia andare e atterra, le mani sui fianchi e un sorriso luminoso sul volto. È quello il vecchio Stiles, è quello il ragazzino che col suo solo sguardo ha rischiarato centinaia di vite e migliaia di giornate.
-Parla come mangi, Min. So che sei stato tu a mandarmi i due ragazzini demoniaci.-
Minosse esita e si gratta burberamente il mento. Odora di zolfo e incenso mescolati. –Mia fu la colpa d’aver condannato colui che mai colpa alcuna commise. Da codesto…-
-Lo so.- sorride improvvisamente Stiles, e stavolta il suo è un sorriso comprensivo, gentile, che non accusa né detesta. Il suo sorriso perdona, la mano poggiata sull’avambraccio di Minosse fa altrettanto e con dolcezza, il giovane demone fa scivolare il palmo sulle falangi pelose della creatura per poi intrecciare le dita alle sue, così ruvide, con artigli ricurvi che nel flettersi, incidono profondamente la pelle di Stiles.
Minosse non sa abbracciare. Non stringe mani, non tocca senza ferire o uccidere. Semplicemente, non conosce umanità. Nessuno gliel’ha insegnata. Eppure, quel ragazzino lo tocca senza timore, gli stringe dolcemente la mano con la sua, così piccola da coprire a stento metà del palmo di Minosse. Sembra un bambino, un giovane infante la cui innocenza si propaga come una splendida cura lungo il braccio del giudice demoniaco, verso gli arti, nelle ossa e nei muscoli.
Un miracolo. Quel ragazzino è un miracolo, e adesso Minosse ricorda la stretta al cuore che provò a distanza di secoli quando incontrò Stiles tre anni addietro, all’Inferno, e fu costretto a giudicarlo colpevole.
Quel crimine, Minosse non lo scordò mai. Per tre anni ha scelto di contorcersi nei sensi di colpa, per tre anni ha continuato a pensare che quel ragazzino era innocente, e lui lo aveva condannato senza appello. Non fu il primo immolato e non sarà l’ultimo. E questo, Minosse non può più sopportarlo. Ha scelto di reagire quando Dumah gli chiese aiuto, ha scelto di reagire quando ha aiutato Derek e i suoi ad accedere all’Inferno attraverso il varco. In quei momenti di pura ribellione, Minosse si è sentito vivo come non era da secoli e tanto è bastato per ricordargli che forse, anche lui ha ancora un barlume di umanità al centro del petto.
E non è stato l’unico a ricordarlo.
-Non sei solo, giovane fanciullo.- ringhia mentre il velo di tenebre intorno a loro vibra, vivo di presenze che mai dovrebbero calcare la Terra tutte insieme.
Il mondo trattiene il respiro, l’universo si ferma. L’acqua smette di scorrere nei ruscelli, il sole si nasconde dietro nuvole nere cariche di pioggia, la terra e gli animali interrompono il corso della vita.
Lì, al cospetto del giorno appena nato, sorge una nuova frontiera, un nuovo schieramento che mai Stiles avrebbe immaginato in vita sua.
Sagome oscure emergono dalle ombre, una alla volta, circondando Stiles e Derek, che istintivamente si stringono l’uno all’altro, pronti a difendersi a vicenda e a morire combattendo.
Grumi di tenebra vomitano nel cielo altre sagome, sputandole velocemente come pioggia che cade dalle nubi più oscure. Il mondo si oscura, coperto dai battiti insistenti di ali gigantesche, multicolori, dai riflessi cangianti e oscuri di fiamme ancora vive. I demoni sono ovunque, tanto che Stiles se ne sente sopraffatto. Avverte la presenza di ognuno di loro, ma non riesce a contarli.
Dieci, cento, mille, duemila. È un esercito, almeno la metà dell’Inferno, e sono diversissimi, di ogni etnia, come centinaia di popoli riuniti sotto un’unica bandiera.  Uomini, donne, bambini con corna e artigli, ali e code affilate. Le zampe che fendono l’aria appartengono a qualsiasi animale, a volte anche ibrido, così come gli occhi luminosi, brillanti nella semioscurità, vantano sfumature mai viste che Stiles non riconosce. Mostri strabilianti, vomitati dai più oscuri anfratti di ogni possibile incubo calcano ora la Terra, vivi e pronti a uccidere, feroci ma pronti a lottare per sopravvivere. Ogni demone, anche il più piccolo, trasuda un senso di potenza schiacciante che da solo, è capace di spezzare il mondo in due e rovesciare i cieli. Sono piccoli dèi, piccole parti di quello stesso Diavolo che da solo, corse il rischio di generare figli ribelli, vivi, che infine, a distanza di secoli, pretendono una vita e un barlume di libertà. Figli di Satana, figli delle fiamme e dell’oscurità. Figli, ma non servi.
Stiles non ha mai visto tanti demoni tutti insieme. Li vede splendere nell’oscurità, vivi di carni luminose e fiamme avviluppate come auree massicce intorno alle mani. Sono bestie, sono mostri. Eppure, sono lì per lui e nessuno lo guarda come un nemico. No, al contrario… lo fissano come un comandante. Creature che l’hanno deriso, torturato, insultato e fatto a pezzi, adesso lo squadrano con sottomissione, in attesa di qualcosa, un ordine che Stiles non sente di poter dare. Si sente piccolo e impotente, fragile e troppo giovane per essere al centro di tanta attenzione.
I demoni più vicini, quelli rimasti a terra, si avvicinano appena per squadrare meglio Stiles e Derek, che da parte sua, si è trasformato e ha snudato zanne e artigli, pronto a difendere se stesso come Stiles. Non si fida dei demoni, non si fida di coloro che con quegli stessi artigli micidiali hanno spezzato le ossa di Stiles e lacerato le sue carni.
-Io… che significa tutto questo?- esala Stiles, debolmente aggrappato al braccio di Derek.
Minosse lo guarda per qualche istante, i piccoli occhi che silenziosamente lo giudicano, così come fece tre anni addietro quando era all’Inferno. Si raddrizza, coi suoi diversi metri d’altezza lo sovrasta.
-O tu, che venisti in codesto loco di dolore, dimmi: quali son dunque le tue colpe?- ruggisce, con la coda irta di aculei che scudiscia alle sue spalle. Pronta a ghermire Stiles, pronta a uccidere se solo il suo padrone fiutasse traccia d’inganno.
Derek stringe forte la mano del compagno, lo guarda con occhi blu, dalla pupilla verticale. Non è preoccupato, perché crede in Stiles e nella risposta che darà. Non è preoccupato, perché Stiles è Stiles e Derek sa che non deluderà nessuno di loro.
-STILES!!!- urla la voce di Scott. Emerge dalle tenebre, correndo tra i demoni immobili che, al contrario di ogni aspettativa, non toccano né lui, né il branco. Insieme a loro, vi sono anche Chris Argent, lo Sceriffo, Melissa, Agares e Abalam. Tutti lo fissano, tutti attendono. Capiscono di non dover interferire, perché quello è un momento importante, il più importante di tutti.
Stiles deve decidere. Combatterà, o si prostrerà ai piedi di Lucifero per lasciarsi morire. Combatterà, o guarderà il Diavolo mentre fa a pezzi il mondo intero. Libero arbitrio, è di questo che si tratta. E i demoni che hanno scelto a loro volta glielo concedono, lasciano che scelga. Ognuno prostrato al suo cospetto, ognuno pronto a morire per una causa talmente forte da raggiungere finanche gli abissi più oscuri dell’Inferno.
Stiles ha gridato, e dopo tre anni c’è chi è riuscito ad ascoltare.
Stiles ha pregato, e dopo tre anni, a concedere il miracolo non è stato Dio, ma i servi più fedeli di Satana.
-Coraggio, figliolo.- sussurra lo Sceriffo.
-Forza, fratellino.- esala Scott, fiducioso. Annuisce quando Stiles lo guarda, si fida di lui e delle sue scelte. Al suo fianco, Lydia stringe la mano di Valefar, così come Isaac si appoggia alla spalla del suo Alpha, fedele fino all’ultimo, sincero come solo un compagno sa essere. Allison sorride, Chris annuisce e… Peter. Emerge anche lui dalle ombre, gli occhi puntati su di lui, luminosi e aggressivi così come erano quando lo conobbero.
-Facciamogliela pagare.- ringhia, e Stiles capisce che le sue parole sono rivolte a Dumah e a ciò che Lucifero le ha fatto.
Stiles glielo deve. Lo deve a tutti loro, ai loro ricordi perduti, alla loro umanità che un pezzo dopo l’altro Lucifero ha soffocato senza chiedere né pensarci. Li ha usati, li ha trasformati in assassini, molti di loro che assassini non erano. Ma qualcosa è rimasto, e una goccia d’acqua, affiancata da migliaia di altre sorelle, si è trasformata in uno tsunami.
Un gracchiare possente riscuote Stiles, costringendolo a sollevare gli occhi. Diablo lo sovrasta in volo, ombra tra le ombre, le ali enormi che sbattono con violenza per sostenere il corpo a mezz’aria. Apre gli artigli di scatto e qualcosa cade dal cielo, dritto verso il capo di Stiles, che solleva il braccio e lo afferra al volo.
Un piccolo Cubo di Rubik sporco di sangue, l’oggetto innocente che ha dato inizio a tutto. Era di Alastor, è di Alastor… e sarà anche il dado sulla griglia da gioco che Stiles non esiterà a lanciare.
-Forza, ragazzino.- sussurra Derek al suo orecchio, e allora Stiles si appoggia a lui, lascia che il licantropo gli stringa la stessa mano che sorregge il Cubo di Rubik così come fece quando glielo sfilò dalle dita poco prima di baciarlo.
Insieme, fino alla fine.
-Forza, ragazzino.- si limita a dire, e Stiles allora decide, perché Derek si fida delle sue scelte e lui non lo deluderà.
-O tu, che venisti in codesto loco di dolore, dimmi: quali son dunque le tue colpe?- ripete Minosse, avanzando di un passo verso di lui.
Stiles allora avanza e lo fronteggia, così come fece all’Inferno tre anni addietro. Rispose sinceramente allora, e nuovamente tornerà a farlo perché quella è la sua scelta, quello è il suo esercito. Quella battaglia riguarda tutti loro ormai, e Stiles lo ha capito. Combatterà col branco, guiderà i demoni verso la libertà o verso la morte, ma almeno per stavolta, li riunirà sotto un’unica bandiera, fratelli all’ultimo sangue in una guerra che forse non potranno vincere. Come disse Derek: “Lascia che scelga la mia strada”. Semplicemente, Stiles li lascia scegliere.
-Sono innocente.-
 
Agares: In demonologia Agares (o Agreas) è un duca e viene citato nella lista dei principali demoni stabilita dalla Chiesa al corpo 7 del primo concilio di Braga. Capo di trentuno legioni, egli causa terremoti, dà il dono della conoscenza delle lingue e fa danzare gli spiriti della terra. Inoltre può causare fughe e ritorni da casa.
Abalam: In DemonologiaAbalam è uno dei re infernali ed uno degli assistenti di Paimon. Il suo compito consisteva nell' occuparsi dei sacrifici che venivano offerti al suo superiore. Non vi sono rappresentazioni di questo demone e le conoscenze che esistono su di lui sono veramente.
 
Angolo dell’autrice:
Una volta, un’amica mi disse che la magia esiste davvero. Non la si vede, ma la si può percepire attraverso le piccole cose. Gesti innocenti, momenti vissuti o, più semplicemente… delle parole. Le vostre parole. La vostra magia. Riesco a sentirla ogni volta che trovo un piccolo commento, ogni volta che mi donate immeritatamente un po’ del vostro prezioso tempo per farmi sapere che ne pensate del capitolo. Questa magia muove adesso le mie mani sulla tastiera e, se voi vorrete, continuerà a farlo fino alla fine, che ormai è vicinissima. Già, ormai manca poco. Tre capitoli, se tutto va bene e, almeno per ora, ci saluteremo. Non è un male, però, perché non dimenticherò ogni vostra parola, ogni emozione che caritatevolmente avete scelto di donarmi. Questi capitoli sono vostri, questa è la vostra magia. Attraverso di essa, i personaggi che più amate sbocciano, si rimodellano e, alla fine, si inchinano al vostro cospetto poiché a voi devono ogni loro respiro. Grazie di cuore. Non smetterò mai di ringraziarvi, perché tutto ciò che leggete è scritto anche da voi. Grazie.
Elenuar Black
Even_if_it_rains
Barbara78
Allen99
_Sara92_

 
Anticipazioni:
“Voci lontane sussurrano addolorate, ricordi e incubi si risvegliano e come ombre vive cominciano a calcare la terra, una dopo l’altra. Errori, sofferenze, paure che mai nessuno è riuscito a soffocare davvero, perché l’oscurità non abbandona mai nessuno e si attacca al corpo e all’animo come un parassita, dilatandosi sempre di più, fin quasi a inghiottire ogni cosa.
La luce non è niente, la luce è insignificante. Nulla può proteggerli da un odio così scellerato.
Il male Vero è nell’aria, e Peter lo avverte sottopelle, dentro il corpo, come veleno che scorre nelle vene. La terra ne è pregna fino a stillarlo sanguigno dalle piante che poco a poco s’anneriscono, dagli animali che impazziti cominciano a ringhiare e ad azzannarsi a vicenda fino a uccidersi.”

 Tomi Dark Angel
  
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