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Autore: King_Peter    29/07/2015    9 recensioni
{ Interattiva | Tremate, tremate, i mezzosangue sono tornati! | Storia completa }
Il Tartaro ha inghiottito tutti.
Innocenti si sono smarriti, peccatori sono affogati, dannati si sono perduti.
Gli dei si sono indeboliti, consumati dalla loro smania di potere, prede indifese della tanto ambita vendetta dei loro nemici.
Il mondo è sulla soglia di una nuova grande guerra e, dopo la sconfitta di Madre Terra, i semidei, sia romani che greci, dovranno affrontare una minaccia ben più grande di Gea, una minaccia che segnerà la loro vittoria.
O la loro fine.
♦ ♦ ♦
Dal testo: Sangue, Corpo, Cuore.
Le parole di Elena acquisivano finalmente un senso, mentre Lion assisteva riluttante a quel rito macabro ed antico come la terra stessa: serviva il sangue di un figlio degli Inferi, il corpo di qualcuno che era andato spontaneamente verso il proprio destino ed, infine, il battito di un cuore puro che potesse riportare sui suoi passi anche la morte.
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Ade, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio, Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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14. Autodistruzione
Sol omnibus lucet.
 

Lion si toccò il punto in cui una volta c'era stato il suo cuore.
Aprì gli occhi, di scatto, sbattendo più volte le palpebre per via della luce accecante del luogo in cui si trovava. Aveva addosso una sottile tonaca nera, smanicata, che gli copriva il corpo fino alle ginocchia ed era a piedi nudi.
Non sentiva più il peso dell'anello di oro imperiale al dito, quello consueto del cappello sulla testa e non più il bruciore del simbolo di suo padre alla base dell'avambraccio.
Era morto?
Se così fosse stato, dove si trovava se gli Inferi erano stati distrutti? Mosse un passo dietro l'altro, constatando che il pavimento sotto di lui era piacevolmente fresco.
Si guardò le braccia, da cui erano scomparse ogni ferita e cicatrice che si era procurato nella sua vita da semidio. E lo stesso si poteva dire delle gambe e del petto, dove non c'era traccia di Tartaro che aveva estratto il suo cuore.
Vagabondò un po' in quel luogo misterioso, non vedendo nessuna linea dell'orizzonte, ma solo bianco intorno a lui, come se fosse intrappolato in una dimensione eterna ed eterea.
« C'è nessuno? » chiamò, ottenendo come risposta solo l'eco della propria voce, prima che una figura alta e slanciata apparisse alle sue spalle, i capelli scuri come i suoi, una corona di ossa sulla sua testa, gli occhi neri che brillavano di orgoglio.
Indossava una tunica nera come quella di Lion, ma aveva una spilla d'oro appuntata sulla spalla e calzava dei sandali di cuoio marrone, alla maniera dei gladiatori, che salivano fino al ginocchio.
« Impossibile. » sussurrò Lion, portandosi le mani alla bocca, capendo di trovarsi di fronte a suo padre, « Tu sei morto. »
Per quanto fosse felice di vederlo, se c'era suo padre ad accoglierlo dopo che un dio malvagio e corrotto gli aveva strappato il cuore, voleva dire che le cose dovevano essersi messe male.
Plutone gli sorrise in maniera benevola, muovendosi incontro a lui e abbracciandolo: fu una cosa che non aveva mai fatto, considerato anche che si era fatto vivo solo due o tre volte nella sua vita.
Per un attimo, Lion ne fu spiazzato, poi si lasciò andare all'abbraccio, cingendo le spalle di suo padre con le braccia e affondando il naso nel tessuto pregiato della sua tunica, cercando di cogliere un suo odore. La sottile ombra di barba era ispida e spigolosa, i suoi capelli erano più corti di quanto Lion avesse immaginato mentre la corona di ossa scintillava sulla sua testa, mani e piedi intrecciati assieme a gioielli e pietre preziose.
« Figlio mio, Lion, sono così orgoglioso per quello che hai fatto. » disse lui, la voce atemporale come quella di tutti gli dei, « Io e tua madre scegliemmo bene il tuo nome, quando nascesti. Sei davvero un piccolo leone, figlio mio. Non ho mai conosciuto nessuno con la tua stessa fibra morale. »
Lion avvampò, visto che non aveva mai ricevuto dei complimenti da suo padre. Come dicevano giù al Campo Giove, i complimenti vanno fatti solo se meritati e non solo per compiacere le persone delle loro azioni.
« Io ... io non so cosa dire. » confessò Lion, osservando i lineamenti di suo padre, la linea interessante dei suoi occhi, come quella delle statue antiche, « Non ho fatto niente. »
Plutone scosse la testa e la corona di ossa seguì il suo movimento. Lo invitò a seguirlo e camminarono fianco a fianco, verso il nulla più lontano.
« Dove siamo? » gli chiese subito Lion, la voce leggermente insicura per via del tono da adottare con un dio, perché Plutone era un dio prima che suo padre. Lui si scrollò le spalle.
« Ovunque e da nessuna parte. » fu la sua risposta sibillina, mentre i suoi sandali di cuoio aderivano perfettamente al pavimento scintillante sotto di loro, « La vera domanda che dovresti porti è: perché io sono qui? »
Lion lo guardò, confuso.
« Atena mi ha detto che eri morto. » ricordò Lion, gesticolando mentre parlava, « Distrutto, sparso nelle profondità del Tartaro, se ancora esiste. »
Plutone abbozzò un sorriso enigmatico, guardando dritto davanti a sé, come se stesse aspettando qualcosa. Lion puntò il suo sguardo nella stessa direzione e lo abbassò subito, quando suo padre tornò a guardarlo, fermandosi.
« Ed era vero. » sostenne, « Però la carneficina che si sta compiendo nel cimitero Lafayette e la distruzione di Tartaro mi hanno fornito l'energia necessaria a rimettere assieme i miei pezzi. »
Lion scosse la testa, cercando di assimilare la notizia.
« Aspetta un attimo, hai detto che Tartaro è stato distrutto? » chiese, come se non ci credesse. Suo padre annuì, sorridendogli in maniera fiera, con gli occhi scuri che gli si illuminarono di orgoglio.
« Sei stato molto coraggioso a legare a tua vita a quella del dio più temibile che sia mai stato visto in circolazione. » spiegò lui, con una nota di divertimento nella sua voce, « Usare il tuo sangue per far fare al tuo amico figlio di Ecate un incantesimo di vincolo. Un colpo da maestro. »
Lion ancora non ci credeva.
Si sventolò con una mano, come per allontanare il calore che aveva colto il suo corpo, mentre respirava più velocemente e si accorse ben presto che c'era qualcosa che non andava.
« No. » sussurrò, attirando lo sguardo pensieroso e adesso triste di Plutone, gli angoli della tua bocca piegati in una smorfia di dolore.
Il petto di Lion non si alzava né si abbassava, il suo cuore non batteva più, non sentiva più il ritmo del tamburo che lo aveva ancorato alla vita. Boccheggiò, come se cercasse aria.
« Sono ... sono ... »
Plutone annuì, tetro.
« Morto? » chiese retoricamente suo padre, « Si, Tartaro ti ha strappato il cuore dal petto, Lion. Ti ha ucciso nel peggiore dei modi. Appena la tua anima è discesa qui, lui ha iniziato a autodistruggersi. » gli spiegò, indicando il luogo che li circondava come il nuovo biglietto da visita degli Inferi.
« Non potrò tornare, vero? » domandò Lion, muovendosi verso suo padre che, nel frattempo, aveva ricominciato a camminare, « Non potrò più camminare di nuovo sulla terra come un essere qualunque? » continuò, afferrando Plutone per un braccio, un anello d'oro imperiale che gli cingeva il bicipite, sotto la tunica scura.
« Puoi farlo, invece. » rispose, accedendo una scintilla di speranza nel cuore vuoto di Lion, « Ma non è così semplice come pensi. » lo avvertì subito, guardandolo dritto negli occhi e a Lion formicolò la pelle.
« E come? » chiese, ansioso di conoscere la proposta di suo padre, « Dimmelo padre, ti prego. Ho lasciato tutti i miei amici a combattere una guerra che non era la loro. Se c'è una strada, io la percorrerò. »
Plutone lo osservò con fare pensieroso, come se stesse analizzando i calcoli di una battaglia, poi annuì, mentre la sua corona d'ossa scintillava di una luce più abbagliante di quella naturale che li circondava.
« In questo momento sei solo un semidio morto su un altare, senza cuore. » cominciò suo padre, avvicinandosi a lui lentamente, « Sei morto, anche se il tuo amico Zheng sta cercando di svegliarti con la negromanzia. Non ci riuscirà, il tuo corpo è stato corrotto dall'oscurità di Tartaro. »
« Quindi? » chiese impaziente Lion, accorgendosi subito dopo della sua maleducazione per aver fermato suo padre, « Scusa. »
Plutone abbozzò un sorriso storto, lo stesso di Lion.
« C'è un solo modo di tornare sulla terra, figlio mio. » disse il dio della morte, gli occhi scuri ed enigmatici, mentre Lion lo osservava senza fiato,  « Io e gli dei dell'Olimpo intendiamo concedertela viste le tue grandi imprese. »
« Ovvero? »
Plutone lo guardò dritto negli occhi e Lion capì che non scherzava.
« La divinità. » gli annunciò, come se la cosa lo rendesse orgoglioso, « Mi servirai come luogotenente fino alla fine dei tempi, figlio mio, dio del coraggio. »
Lion rimase a bocca aperta, come se gli avessero dato un pugno nello stomaco, non riuscendo a credere che gli dei volessero davvero renderlo uno di loro. Da una parte voleva rifiutare, visto che non sarebbe stato giusto nei confronti dei suoi amici, ma dall'altra voleva tornare da Caelie, combattere con lei nella battaglia e vivere finalmente una lunga vita assieme.
« E i miei amici? » chiese Lion, la voce incrinata per la confusione che albergava nella sua testa, « Loro saranno mortali, vero? »
Plutone annuì.
« Gli dei non possono dare a tutti la grazia che ti è stata concessa. » spiegò, facendo una smorfia triste, « Ma intende premiarli con doni di lunga longevità. Avranno una vita lunga quasi quanto la tua, così come i figli dei loro figli. E i figli dei loro figli. Senza contare che la tua Caelie vivrà per sempre, essendo l'ancora. » continuò, guardandosi poi intorno come se stesse controllando un orologio.
« Il tempo sta per scadere, figlio mio. » gli disse Plutone, mettendogli le sue mani antiche sulle spalle, « Che cosa hai deciso? » chiese, aspettando la risposta di Lion.
Lui lo guardò, inspirando come se gli mancasse l'aria, poi annuì, continuando a sostenere il suo sguardo. Plutone imbastì un sorriso, dandogli una pacca sulla spalla e congratulandosi con lui in maniera burbera.
« Torna alla vita, figlio mio. » gli disse, toccandogli il volto e Lion sentì avvamparsi, come se una fiamma si stesse diffondendo dentro di lui, « E porta con te tutta la rabbia dell'Olimpo. »
 
Lion si svegliò ispirando a pieni polmoni.
Con sua grande sorpresa, le ferite si erano rimarginate e lo squarcio sul suo petto sembrava non essere mai esistito, anche se il suo cuore non batteva. Le stelle su di lui brillavano più che mai, mentre la luna sorrideva benevola, illuminando la carneficina che si stava consumando nel cimitero.
I romani e i greci stavano cooperando assieme contro i fantasmi di Piritoo, mentre i morti di di Zheng si erano scagliati contro le due streghe, le quali combattevano assennatamente, all'ultimo sangue. Lion, grazie alla sua nuova vista potenziata da dio, riuscì a distinguere le figure di Castiel e Cassie che combattevano spalla contro spalla, menando fendenti ed affondi contro i fantasmi un po' troppo corporei, vide anche Robin correre ed armare gli arcieri, la frusta di Hic guizzare tra le ombre, la spada di Charlie accanto a quella di Federica, ancora viva per fortuna.
Le corde erano sciolte ed in pezzi sui gradini di marmo che salivano sull'altare su cui era disteso, mentre il corpo di Alexis aveva lasciato un'impronta nera su essi, l'ultima traccia della presenza di Tartaro sulla terra. Il cuore scarlatto di Lion era stato poggiato accanto alla sua mano destra, mentre alla sua sinistra una figura minuta di affollava a piangere lacrime amare.
Caelie.
« Lion, Lion. » continuava a ripetere, « Sei andato via senza nemmeno salutarmi. »
« Beh, posso farlo adesso se vuoi. » le sussurrò piano. Lei alzò la testa di scatto, i suoi capelli castani che seguirono il movimento del capo, mentre i suoi occhi azzurri ancoravano quelli scuri di Lion e piangevano di gioia.
Prima che potesse dirgli qualcosa, Lion scese dall'altare, la tirò verso di sé e la baciò, scompigliandole i capelli con le sue dita di una mano e sfiorandole il viso con le dita dell'altra, facendole dimenticare tutta la tristezza e il dolore che aveva provato quando lui era morto.
Era stupefatta.
« Com ... come hai fatto a tornare? » gli chiese, non appena lui la lasciò andare, indicando il freddo cuore sull'altare, « Tartaro te lo ha tirato dal petto, ho sentito la carne strapparsi. »
Lion improvvisò un sorriso storto.
« È una lunga storia, ma adesso non abbiamo tempo. » si affrettò a dire, recuperando il suo anello di oro imperiale e facendolo scattare per rivelare il suo forcone scintillante, « Abbiamo una battaglia di combattere. » la spronò e, tenendosi la mano, di gettarono nella mischia.
Lion menava colpi a destra e a manca, colpendo spiriti e fantasmi, l'adrenalina che scorreva a mille nelle sue vene, facendolo sentire più vivo che mai. Doveva ancora abituarsi al vuoto che sentiva dentro il petto, ma gli sembrò di essere tornato alla normalità mentre affettava uno dei guerrieri d'ombra di Tartaro.
Incrociò lo sguardo sorpreso di Zheng a cui rispose con un sorriso, mentre lui spariva tra il clangore delle armi. Parò l'attacco di uno spirito con le due punte del forcone, infilzandone due di loro assieme.
Si staccò momentaneamente da Caelie per atterrare un guerriero d'ombra e farlo uccidere da un colpo di spada di Castiel, il volto macchiato di nero e di zolfo. Casse richiamò il potere del cielo, friggendo con i fulmini buona parte dell'orda di nemici che affollavano il cimitero.
Però, per quanto i romani e i greci combattessero accanitamente, il loro morale era fiacco e presto sarebbero caduti, se Lion non avesse fatto qualcosa. La voce si suo padre gli risuonò nelle orecchie, chiara come l'acqua di fonte.
« Mi servirai come luogotenente fino alla fine dei tempi, figlio mio, dio del coraggio. »
Urlò, un urlo che più che umano sembrò ferino, quasi il ruggito di un leone.
Il suono era così forte che scosse le pareti delle tombe, facendo tintinnare gli ossari, mentre alcuni degli spiriti di Piritoo scomparivano da sé, impauriti dall'aura di morte e di coraggio che permeava dall'urlo di Lion. I romani e i greci sembrarono riprendersi, i loro cuori più leggeri e speranzosi di vincere la battaglia e tornare a casa, i loro colpi più netti e precisi, la fatica scomparsa.
« COMBATTETE FRATELLI MIEI! » li incitò, sovrastando il rumore della battaglia con la sua voce, « COMBATTETE AFFINCHÈ GLI DEI NOSTRI PADRI CI SIANO DEBITORI! »
I romani e i greci risposero con un grido di guerra, affiancato da quello roco e sporco dei morti rianimati dalla negromanzia. Uno di loro, senza braccio, sfrecciò accanto a Lion per infilzare uno spirito di Piritoo, brandendo una delle sue ossa come arma.
Doveva cercare le streghe, visto che erano loro a tenere assieme quell'esercito di spiriti con i loro poteri.
Sentì un dolore acuto proprio al centro del petto, là dove una volta c'era il suo cuore, mentre la battaglia si fermava accanto a lui, gli sguardi terrorizzati di Cassie e Castiel, gli occhi sgranati di Zheng, lo sconcerto sui volti di Alec e Wolf.
Lion sputò un grumo di sangue dorato che scintillò alla luce della luna, mentre dalla ferita andava scorrendo icore degli dei al posto del normale sangue. Il volto di Lion era una maschera di paura e di stupore.
« Impossibile, tu sei un ... » prese a dire, interrotta dalla risata divertita di Lion quando sfilò il coltello dal petto, brandendolo con la mano libera.
« Un dio? » chiese, retoricamente, mentre tutti lo ascoltavano, « Esattamente! » continuò, scagliando il coltello contro lo spirito di Piritoo che si stava scagliando verso di lui per proteggere la sua padrona. La lama di bronzo celeste si fermò a mezz'aria, esattamente sulla coscia del re spettro che stava ululando di dolore.
« Immundus spiritus. » sibilò disgustato, alzando una mano verso di lui. Piritoo urlò di dolore, prima di contorcersi e sparire nel terreno, portando con sé i suoi spiriti, le fiamme estinte dalla sua schiena come gesto di vergogna.
Lilith lo guardò, mentre i suoi occhi si scurivano e cercavano di scavare nel cuore di Lion, riportando a galla i suoi fantasmi. Lui ridacchiò, afferrando la ragazza per un braccio e stringendola forte.
« Non ho più un cuore, mia bella. » le sussurrò, affondandole poi il suo forcone all'altezza dei polmoni, vendicando Serena, « Sai, scateni fantasie proibite nei ragazzi, Lilith. » le disse lui, sorreggendola mentre lei si lasciava accasciare a terra, « Spero che gli Inferi siano di tuo gusto, mi assicurerò personalmente che mio padre ti giudichi in maniera esemplare. »
Lei afferrò il suo braccio, guardando oltre di lui il corpo senza vita di Nives, disteso poco più in là, uccisa dalla frusta di Hic. Il suo petto si alzava ed abbassava, mentre il suo viso si colorava di rosso e lei sputava sangue, macchiando la maglietta già abbastanza sporca di Lion.
Cercò di artigliare l'aria in cerca di una scappatoia alla morte, quando il suo braccio cadde finalmente a terra, tra l'esultanza generale. Un grido di vittoria si alzò dai greci e i romani, mentre i morti di Zheng tornavano alle loro tombe, tra carne in decomposizione e ossa rotte.
Era finita, avevano vinto.
 

La sala del consiglio degli dei era quanto di più bello Lion avesse mai visto.
Gli dei, rigorosamente nella loro tenuta più formale, erano seduti sui loro alti troni, disposti a semicerchio in un ambiente ampio sormontato da un'enorme cupola di marmo rosato. Capitelli e colonne corinzie adornavano le pareti, a metà tra l'arte greca e quella romana, mentre Lion sentiva lo sguardo di tutti gli dei addosso.
Riconobbe Zeus, il signore del cielo, la tunica e i sandali greci, sua moglie Era al fianco, i capelli raccolti a treccia, presiedendo l'assembla a cui partecipavano le schiere dei loro figli.
Lion riconobbe Atena che gli sorrideva complice sul suo trono, Apollo, il dio del sole, dai biondi capelli, oppure Ermes, il messaggero, con il suo caduceo in mano. C'erano persino Eris, Nemesi e Giano, i quali avevano ottenuto un trono dopo la battaglia di Manhattan grazie a Percy Jackson, il figlio del dio del mare.
Poseidone lo guardava incuriosito, come se gli avesse letto nel pensiero, giocherellando con l'asta del suo tridente, mentre Dioniso spiluccava pigramente alcuni acini d'uva maturi.
Non avevano dato loro nemmeno il tempo di esultare.
Erano stati teletrasportati sull'Olimpo in fretta e furia non appena la battaglia era finita ed Afrodite, passandogli accanto, aveva dato loro una magica ripulita, rendendoli presentabili per essere ammessi all'assemblea degli dei. La dea dell'amore gli strizzò l'occhio in maniera complice, entrando nella sala e crescendo fino a diventare alta sei metri e sedere sul suo trono ornato di piume di cigno.
Solo suo padre si era presentato nel suo aspetto romano e sembrava così fuori posto in mezzo a tutti quegli dei nella loro forma greca, ma a lui non sembrava importare. I suoi occhi scuri scintillarono come due diamanti, mentre gli veniva incontro, assumendo dimensioni umane.
Gli diede una pacca sulla spalla e Lion si trattenne dallo abbracciarlo, visto che erano in presenza di tutti gli altri dei. Per quanto Lion si sentisse diverso, era pur sempre uno di loro, non era il caso di farli arrabbiare proprio adesso.
« Mio figlio, Lion Davis, ha salvato l'Olimpo! » annunciò, la voce profonda, guardando gli dei uno ad uno, indugiando su suo fratello Zeus, « Diventerà il mio luogotenente, il dio del coraggio. Qualcuno è contrario? »
Ares guardò Lion con i suoi occhi rossi, ardenti come due carboni, affilando la punta di un coltello che attaccò alla cintura, seguito da un'occhiata penetrante da parte della regina dei cieli.
« A lui e i suoi amici va la nostra riconoscenza. » disse Zeus, lo sguardo nero e tempestoso come quello di Cassie quando era arrabbiata, « Senza di loro adesso non saremmo qui a festeggiare! »
Nella sala si levò un applauso.
« Sia benedetto questo giorno, il giorno in cui Tartaro è stato sconfitto! » esclamò Zeus con voce tonante, mentre tuoni e fulmini sancivano la nomina ufficiale di Lion, « Che sia fatta festa! »
Plutone gli sorrise e tornò al suo trono, mentre nella sala scoppiavano coriandoli e trombette da stadio, senza ombra di dubbio opera di Ermes. Lion sorrise quando Caelie gli fu accanto per prendergli la mano, gli occhi più luminosi di una stella.
« Adesso staremo in pace. » disse lei, tirando su col naso, « Almeno per un po', no? » chiese, mentre Lion osservava l'intraprendenza di Alec e Wolf per baciarsi davanti agli dei, l'aria intorno a loro che diventava man mano più rovente. Così come anche per Cassie, la quale, sotto gli occhi di suo padre, si era gettata su Castiel e lo aveva inchiodato al muro, baciandolo appassionatamente.
« Si stanno baciando tutti! » esclamò Lion, sorridendo, vedendo finalmente la luce alla fine del tunnel. Charlie e Federica si erano appartati per lasciarsi andare, mentre solo Zheng e Hic rimanevano soli, intenti a parlare di chissà cosa assieme a Robin e Hivy, un'altra amica di Lion che aveva combattuto con lui nella Terza Coorte.
Chissà, magari sarebbero nate nuove coppie.
Romani e Greci si abbracciarono, cominciando a danzare al ritmo della musica delle nove Muse, le quali spostarono progressivamente la festa dalla sala del consiglio fino alle strade della cittadella dell'Olimpo.
« Ne vuoi uno anche tu? » domandò, una punta di divertimento nella voce, mettendogli le braccia sulle spalle e sorridendogli in maniera maliziosa, mentre Lion osservava il profilo di New York sotto di loro.
« Beh, me lo sono meritato, no? » chiese, prima che Caelie gli desse un pugno sul braccio e lo zittisse baciandolo, poggiando le sue labbra sulle sue.
E fu il bacio più appassionato di tutti i tempi.



Notes: il motto latino significa "E il sole splende (su) tutti."



 
  
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