Walking Dead Requiem
Nelle orecchie di John
c'era ancora l'eco orribile del rumore di muscoli lacerati da una
dentatura forte e vigorosa. Gli sembrava di non riuscire a percepire
altro suono possibile o esistente, vicino o lontano che fosse. Tutto
era ridotto ad una masticazione che lo disgustava nel profondo.
Gli occhi, invece, erano
ben attivi. Riusciva a vedere il mondo che lo circondava, ma come in
un film muto, la cui colonna sonora era quella mandibola che si
serrava su un polpaccio magro e allenato. Riusciva a vedere Mycroft
mentre cadeva a terra per schivare una di quelle cose immonde
e maleodoranti. Fu in grado anche di distinguere un imbestialito
Lestrade che si avventava contro di
loro con un ardore che di rado gli aveva notato.
Ma John non stava affatto
considerando tutto ciò, se non come lo sfondo di una scena ben più
raccapricciante. Quello era un preludio che, per certi versi, se
fosse stato in grado di pensare in maniera ampia, chiara e lucida,
avrebbe definito perfino eroico, l'anteprima avvincente di un orrore
che aveva ben poco della determinazione dei suoi compagni di squadra
e amici.
«Sherlock» disse con
semplicità, non accorgendosi nemmeno che la voce gli era uscita
fuori come un rantolìo confuso e impastato. Anche le sue corde
vocali gli ricordavano che l'uomo che aveva chiamato Sherlock non
c'era più, ma era qualcosa di diverso, molto diverso.
In risposta, ricevette
solo un gorgoglìo tremendo, una parola cavernosa e senza senso.
Si sentì morire. Il
ringhio da basso gli fece accapponare la pelle e desiderò di non
averlo sentito affatto. Tuttavia, rimase cosciente sulla situazione,
preferendo aggrapparsi a quel suono piuttosto che al suo coraggio
sfiorito per avere la forza di ascoltare di nuovo quel morso, quella
bocca di morto vivente che si chiudeva stretta attorno alla gamba di
Sherlock – del suo Sherlock.
«Mi senti?» chiese,
abbozzando un sorriso sul volto pallido e provato dalla stanchezza,
dal dolore.
Sherlock aveva un'aria
così assente che John percepì distintamente la sensazione di una
morsa dentro di sé che lo stritolava a poco a poco, di pari passo
con la comprensione che, lenta, si faceva strada nella sua mente.
«Sherlock, ti prego»
implorò, questa volta a voce più alta, cercando di convincersi che
quella parola abnorme fosse dovuta ad un mancato ascolto della
domanda. Sherlock si limitò a mettersi in piedi sulle gambe incerte.
A dire il vero, tutta la sua figura alta e slanciata era
completamente instabile, tanto che il dottore ebbe l'impulso di
gettarsi in avanti e offrirgli il suo corpo come appoggio sicuramente
più saldo dell'aria.
«No!» gridò
Greg poco distante da lui, ben conscio delle intenzioni di John. «Non
c'è più niente da fare. Devi ucciderlo»
Solo allora egli ricordò
di avere la presa ben salda su una pistola e dello scopo per cui era
lì. Quando ebbe recepito bene le parole di Lestrade, gli mancò
l'aria ed indietreggiò appena sotto il gravoso peso della
consapevolezza.
«C-cosa? I-io... cosa?»,
ma il poliziotto non era lì per ripetergli quanto detto: era troppo
preso dal decapitare uno di quei mostri che aveva tentato di
azzannarlo.
John tornò a guardare il
detective con ansia, pietà, tristezza. Ucciderlo? Era questo che si
mostrava necessario ai suoi occhi? Avrebbe dovuto davvero
assassinare lui? No, non avrebbe mai potuto farlo. Ucciderlo
era fuori questione. Quello che aveva davanti era Sherlock Holmes,
mai gli avrebbe fatto del male, nemmeno così.
«Sherlock, ti prego,
parla»
La voce gli uscì
incrinata e non provò più a trattenere le lacrime che premevano per
uscire allo scoperto. Tirò su con il naso, passandosi una mano
sporca di polvere e sangue sulla guancia per asciugare il pianto, ma
fu vano. L'altro, invece, avanzò lento, gli occhi inespressivi che
non guardavano John, ma solo un uomo qualsiasi che fosse
commestibile.
«Per favore, torna da
me» disse ancora il dottore, lasciandosi sfuggire un singulto. Ma
già intravedeva che il suo consulente investigativo non sarebbe
tornato da lui. Lo sapeva perché aveva già visto morire altre
persone e trasformarsi in quegli esseri e poi morire di nuovo per
mano di chi, impotente e disgraziato, era rimasto a guardare.
Sherlock era morto una
sola volta, e John si chiedeva disperatamente perché dovesse essere
lui a dargli il colpo di grazia. Il pensiero gli fece sgorgare altre
lacrime che gli appannarono la vista.
«Merda, John, spara!»
strillò Greg in preda al panico e al rancore. L'altro lo ignorò,
troppo impegnato a pensare se una parte di quel mostro ricordasse di
essere stato l'uomo più brillante del mondo intero. Forse, in quel
suo palazzo mentale Sherlock viveva ancora ed era pienamente
consapevole che non sarebbe potuto tornare, anzi, era costretto ad
osservare, inerme e silenzioso, quello che era diventato, obbligato a
non avere un cervello che percepisse ogni cosa e non solo gli istinti
bestiali dell'uomo.
John fu scosso da un
brivido prima che un altro singhiozzo lo sconvolgesse tutto. Se davvero
la coscienza del detective manteneva ancora salda la sua identità,
Sherlock stava solo desiderando di farla finita il più presto
possibile. Non avrebbe mai sopportato la condanna di non poter più
mostrare agli altri il suo sapere, il suo sarcasmo, la sua aria di
sufficienza, il suo sguardo magnetico e penetrante e le sue capacità
deduttive. Senza un caso su cui riflettere, Sherlock aveva fatto
sapere molte volte a John che si sentiva morire di noia. Senza un
cervello con cui riflettere, invece, Sherlock si sarebbe
lasciato morire per la disperazione di essere un alienato non
all'interno della società, ma del suo stesso corpo; avrebbe creato
una ghigliottina o qualcosa di ancor più teatrale in un angolino del
suo palazzo e si sarebbe definitivamente suicidato.
John smise di reprimere
gli ennesimi spasmi dovuti al pianto: era una battaglia persa in
partenza.
-
Sherlock si guarda la
gamba con orrore mentre con la mano spara un colpo al petto del
bastardo che l'ha morso. Si contorce su se stesso, cercando di non
mostrarsi troppo addolorato, ma John lo conosce bene e sa che sta
provando una sensazione lancinante.
«Sherlock!» grida
angosciato, accasciandosi a terra vicino a lui. «Oddio» dice
esaminando la ferita cercando di non toccarla eccessivamente.
«John» L'uomo è già
agonizzante, troppo spossato e denutrito per resistere a lungo.
«Dobbiamo chiamare
aiuto, devo portarti dentro e provare a fare qualcosa, capisci?»
John parla velocemente, con l'ansia di chi sa che ha poco tempo. «Il veleno si diffonderà presto!»
«Abbiamo già
tentato, John. Non funziona. Non-»
Come
fa a mantenere la calma?, pensa il dottore, ma non si
lascia trasportare dalla logica per trovare una risposta.
«Riproveremo ad
amputare l'arto, Sherlock!» riferisce, provando già ad issarlo. «Ti
giuro che-»
Sherlock lo zittisce
con una mano premuta sul braccio. «Ascoltami» La presa è così
lieve che l'interlocutore ha pietà di lui.
«No, devo fare
qualcosa» È quasi una preghiera. Gli sta chiedendo il permesso di
tentare il tutto per tutto, ma da come la voce gli è uscita fuori si
aspetta già una risposta più che negativa.
«Non puoi. Devi
sopravvivere, John»
«Anche tu»
«Non dire
sciocchezze!», e John si sente gelare, deglutisce a vuoto e ha un
fremito che sicuramente Sherlock nota, ma non menziona: continua a
parlare, la voce più bassa e affaticata. «E devi fare ciò che è
necessario, John»
Il dottore è confuso,
non capisce di che cosa stia parlando e per quale motivo l'uomo tenti
di aumentare la stretta sul suo braccio. Tutto ciò a cui riesce a
dare un senso è: devo salvare
Sherlock Holmes.
«Rimani sveglio,
parla, continua a parlare, d'accordo?» si raccomanda, stringendogli
la mano. Ma Sherlock lo fissa e basta, lo guarda approfonditamente e
non parla. John lo vede trattenere il dolore dai lineamenti del
volto, ma non cede: continua a scrutarlo, come a volerlo studiare.
Muove veloce le iridi, segue una linea che John non crede di
possedere sul volto.
«Parla, Sherlock,
cazzo!» strilla isterico, ma nemmeno Mycroft e Gregory stanno cercando
di farlo rimanere in vita: i due si preoccupano ormai dei morti
viventi che stanno avanzando verso il penitenziario.
«Era solo un
assaggio, maledizione» soffia Lestrade, infatti, ammiccando verso la
già presente carneficina di mostri che giacciono inanimati ai loro
piedi.
«A quanto pare»
commenta Mycroft, dando uno sguardo veloce al fratello. Si preparano
già ad imbracciare le armi.
«John» rantola
Sherlock prima di mollare improvvisamente il braccio del dottore e
fare segno ai due dietro di lui di allontanarlo. Mentre questi
obbediscono e Watson si sente trascinare via, il ferito cerca di
esalare distintamente: «Devi fare quello che è necessario, John»
Poi Sherlock reclina
il capo e si abbandona tra la polvere.
Tutto quello che esce
dalla bocca di John è un urlo disperato che copre anche il ringhiare
dei mostri in avvicinamento.
-
Quell'essere fece un
altro passo verso di lui, accorciando le distanze in maniera forse
drastica.
Con il cuore pesante, il
dottore cercò un maggiore equilibrio sul terreno irregolare per
alzare entrambe le braccia all'altezza del petto, dritte di fronte a
sé, la pistola sorretta a due mani.
Ciò che restava di
Sherlock non parve accorgersi del movimento.
Per te. Io devo
salvarti.
John prese la mira.
Intendevi questo
con il tuo stupido: devi fare ciò che è necessario? Vero?
«Ti
amo»
Fece fuoco.
Il corpo di Sherlock
lanciò un ringhio terrificante. Poi, senza emozioni ulteriori, si
lasciò cadere nella polvere, così come John raggiunse il terreno in
ginocchio, un tonfo sordo a rimarcarlo.
Nelle orecchie, ora,
l'eco del morso non esisteva più.
C'era solo un opprimente
silenzio.
FINE
Angolo dell'Autrice:
Salve!
Questa OS – nata per
essere una Flash – è dovuta al semplice desiderio di cercare un
prompt e alla scoperta di RP Generators, il quale, con questi due
personaggi, mi ha suggerito la situazione presentata qui: Sherlock è
stato morso da uno zombie e John deve metterlo al tappeto. Un po' di
sano angst non fa mai male, no? Visto che si doveva parlare di
zombie, ho deciso di prendere in prestito lo scenario di “The
Walking Dead” (che non è necessario conoscere per leggere la
storia) - con anche le caratteristiche sparse dei non morti che ho
avuto modo di menzionare per necessità -, di cui, principalmente,
cito il penitenziario, che è una delle varie ambientazioni per le
disavventure dei disgraziati sopravvissuti alla mutazione. Non ne
vado pazza, ho letto solo un po' di numeri del fumetto, ma mi sono
sentita in vena di dare un tributo a questa serie. Non aggiungo altre
precisazioni su questo accenno di cross-over per evitare di fare uno
spoiler a chi fosse interessato alla lettura del fumetto/visione
della serie TV.
Il titolo, invece, nasce
dall'unione di “The Walking Dead” (ovviamente) e
dall'operazione Zero Requiem di “Code Geass” (anche qui non
spiego niente, perché vi farei uno spoiler grosso come una casa su
questo manga/anime stupendo!).
Ringrazio calorosamente
tutti coloro che vorranno passare di qui a leggere questa death!fic
nata da un pomeriggio di estrema disperazione per la mancanza di
ispirazione! Grazie!
Un bacione a tutti e alla
prossima!
Julie_Julia