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Autore: gufostorm    30/07/2015    0 recensioni
Era un sabato sera di una calda estate. La notte sprizzava vita ovunque, la musica che riempiva l'aria. Ero uscita con i miei amici per divertirmi, ma in un secondo li avevo persi di vista.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un sabato sera di una calda estate. La notte sprizzava vita ovunque, la musica che riempiva l'aria. Ero uscita con i miei amici per divertirmi, ma in un secondo li avevo persi di vista.
Capita.
Continuavo a cercarli tra la folla, tra quei corpi sudati che si muovevano, che si sfregavano, tra quell'energia palpabile che mi circondava, poi una chioma grigia attirò la mia attenzione. Senza rendermene conto la segui, incuriosita da quei capelli bianchi e quella carnagione pallida, da quell’aurea di antichità che sembrava circondarlo; i miei occhi lo seguivano e i miei piedi gli stavano dietro.
Improvvisamente mi ritrovai sola, lontano da tutto, lontano dalla gente, lontano dalla musica, dalla loro energia, dalla loro vita; il buio ed il silenzio mi circondavano.
Qualcuno mi afferrò da dietro.
Provai ad urlare, ma non ci riuscii.
Provai a liberarmi da quella presa ferrea, ma era tutto inutile.
 Sentii delle mani accarezzarmi il collo. Rabbrividii.
Una voce sensuale e cupa che mi sussurrava di stare tranquilla, di non preoccuparmi, mentre i sensi lentamente mi abbandonavano. L’ultima cosa che percepii fu un dolore lacerante al collo, poi più nulla.
*
Quando riaprii gli occhi una luce mi accecò.
<< Sono morta? >>
Certo era una domanda stupida: respiravo, parlavo, sentivo qualcosa di duro contro il mio corpo…ero viva, no?
<< Beh, in un certo senso… >>
Mi alzai di scatto, impaurita da quella voce senza volto. Da quel tono piatto, privo di emozioni, ma dispiaciuto allo stesso tempo.
<< Calmati, IO non ti farò del male. Ora sei al sicuro. Sdraiati. >>
Una mano mi accarezzò la fronte.
Quel tocco così gentile mi fece calmare e mi sdraiai, respirando lentamente.
Mi ci volle qualche minuto di silenzio per far mente locale; ricordavo chiaramente il dolore lacerante al collo, il respiro affannato, i battiti del cuore in aumento, ma ora tutto sembrava così lontano, come se fosse successo tutto secoli fa, come se tutto fosse stato solo nella mia mente.
Poi, improvvisamente, mi resi conto del silenzio che c'era.
Non intorno a me, non in quella stanza cupa che non conoscevo, il silenzio era dentro di me.
Chiusi gli occhi e mi concentrai alla ricerca di quel suono così familiare, quel suono che ci doveva essere, anche fievole, ma DOVEVA pur esserci.
Non lo trovai.
Il panico si impadronì di me. Scattai seduta, il respiro in aumento, la testa che iniziava a girarmi. Era tutto normale, tranne la sua assenza.
Una chioma viola mi balzò davanti, prendendomi la testa fra le sue mani grandi e gentili. Due occhi di un verde intenso catturarono i miei, poi la sua voce mi stordì. Era così bassa, soave, penetrante; mi ripeteva sempre le stesse parole, in continuazione: << Non ascoltare il silenzio, ma la mancanza di questo >>
Inizialmente non capii: come potevo ignorare quel silenzio così anormale?
Passarono diversi minuti. Quegli occhi verdi non avevano smesso di catturare i miei, quelle parole che continuava a sussurrarmi lasciarono lentamente posto a nuovi suoni, nuovi rumori, alcuni dei quali non avevo mai sentito.
Era questa la mancanza di silenzio a cui si riferiva?
E poi ecco qualcosa di simile a quel suono che cercavo, a quel suono che mi mancava. Ma era più lieve, più leggero, più soffice.
<< Lo senti vero? È il battito d'ali di una farfalla. Ora seguilo con il respiro, chiudi gli occhi e seguilo. >>
Feci come mi aveva detto, seguii quel lieve battito d'ali e il mio respiro si calmò, poi riaprii gli occhi.
<< Va meglio, no? >>
Rimasi in silenzio. Ancora concentrata su quel suono che mai avrei pensato di poter udire; su quel suono che mai avrei dovuto dire.
<< Mi chiamo David. >>
Restai ancora in silenzio, come se aspettassi qualcos'altro da quella sua voce così profonda e delicata.
<< Ok, sò cosa stai inconsciamente aspettando, sò cosa vuol dire sentire quel silenzio dentro, quel senso di vuoto, di malinconia, quella sensazione che ti manchi qualcosa di fondamentale, ma che hai sempre dato per scontato; ci sono passato anche io. >>
Mi fissò per qualche secondo, aspettando una mia reazione, ma ero paralizzata, incapace di muovermi, incapace di staccare i miei occhi dai suoi.
Continuò: << L'altra sera ti è successo qualcosa che pensavi impossibile, come tutti gli altri, ma che purtroppo accade troppo spesso. Quel ragazzo che hai seguito, fin dentro il bosco, non era umano. >>
Non riuscii a muovere neanche un muscolo. Prima non riesco a sentire quel battito normale che avrei dovuto sentire, poi per calmarmi uso il battito d’ali di una farfalla, e ora mi viene a dire che ieri sera mi ero messa a seguire qualcuno che nemmeno era umano?
Ciò non è reale; è impossibile che lo sia, no?
Rimasi in silenzio, ma sembrava che lui non riuscisse a continuare; inspirai profondamente, cercando di trovare il coraggio e le forze per muovermi, decidendo di stare a quel gioco assurdo.
<< Non era umano? Ma… >>
<< Vampiro. >>
Rimasi sconcertata.
Un vampiro? Davvero pensava che credessi ad una stupidaggine del genere? Come poteva pensare che potessi essere così stupida da farlo? Era davvero troppo, ne avevo abbastanza. Ma che razza di scherzo era questo?
Evidentemente la mia espressione aveva fatto trapelare i miei pensieri, perché sembrò capire tutto ciò che mi ronzava in testa.
<< Non pretendo che tu mi creda, sò che non sei stupida, ma non ti sto prendendo in giro. Questo non è uno scherzo. >>
Sospirò e tornò a guardarmi negli occhi, quel verde brillante che si faceva sempre più luminoso, spegnendosi lentamente mentre continuava a parlare.
<< Alla fine mi crederai; è impossibile non farlo. >>
Fece un attimo di pausa, poi riprese con la sua storia così inverosimile. Mi raccontò di come questo “vampiro” mi avesse stregata, di come mi avesse catturata e di come si nutrì del mio sangue. Mi disse che lui arrivò troppo tardi per impedirgli di mordermi e che aveva combattuto con lui, finendo per ucciderlo, per potermi salvare, anche se il mio destino non sarebbe cambiato di molto.
<< ...Ormai ti aveva già quasi completamente prosciugata, il tuo destino era segnato: di fronte a te c'era solo la morte eterna, l’oblio, un posto immerso nel buio, in cui la vita sarebbe stata solo un ricordo. Quindi cosa cambiava lasciarti morire così o farti morire facendoti rinascere? L’unica differenza tra le due è che almeno con la seconda poi rivedere la luce del Sole. Quindi presi qualche goccia del suo sangue ancora caldo e te le feci bere, sperando che non fosse davvero troppo tardi per farti ritornare. >>
Rimasi sconvolta da quelle parole. Non poteva essere vero, nulla di ciò che mi aveva raccontato poteva essere successo veramente.
<< Non mi credi ancora, eh? >>
Mi guardava con una debole luce di delusione nello sguardo, che mi fece sentire quasi in colpa.
<< E come potrei scusa? >>
La voce mi tremava leggermente; solo la più piccola e remota possibilità che ciò che mi aveva detto potesse essere vero mi spaventava terribilmente.
<< Allora ascolta di nuovo il silenzio e dimmi, non manca qualcosa, qualcosa che ci sarebbe stato se tutto ciò non fosse successo? >>
Nella sua voce sentivo disperazione e dolore, un dolore che iniziai a sentire anch'io dentro di me, perché sapevo già a cosa si riferiva, sapevo di che silenzio stava parlando; quel suono che disperatamente cercavo qualche minuto prima, quel suono che avrebbe confermato la normalità di tutto, quel suono la cui assenza confermava la verità delle sue parole.
Non sentivo più il suo battito, le vene che pulsavano, o anche il suo calore che avevo sempre dato per scontato. Mi sentivo vuota; ERO vuota.
Poi eccole, piccole gocce che scendevano lentamente lungo il mio viso, poi iniziarono i singhiozzi ed ecco in fine la completa realizzazione della verità: quella non ero più io, non ero più qualcuno di vivo, qualcuno di normale; ero morta e poi rinata, non ero più umana, ora ero un mostro, un essere senza anima, costretto a vivere per l’eternità, costretta a dover cibarmi di sangue umano per l’umanità.
Un vampiro…ecco in cosa mi aveva trasformato il ragazzo dai capelli viola e dagli occhi verdi, in una creatura che avrebbe detto addio ai suoi cari e ad una vita normale, una creatura che avrebbe detto addio a tutti i suoi sogni.
*
David, aveva detto di chiamarsi così mi pare, mi si avvicinò lentamente, tendendo le sue mani verso di me, poi mi abbracciò, accarezzandomi dolcemente la testa.
Il suo respiro sulla pelle, la sua voce che sussurrava parole di conforto.
Restammo abbracciati per quelle che mi sembrarono ore, poi lentamente le lacrime finirono ed i singhiozzi si attenuarono, lasciando posto solo alla disperazione.
<< Perché, perché mi hai fatto questo, perché non mi hai lasciato lì in attesa di morire? >>
<< Avresti preferito rinunciare a tutto? Alla possibilità di vivere, di rivedere la tua famiglia, i tuoi amici, di rivedere un altro tramonto in più? >>
No.
Non avrei rinunciato mai e poi mai a quella possibilità, se in quel momento sapevo che poteva esserci. Abbassai lo sguardo, cercando di ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di uscire di nuovo.
<< Immaginavo, e sai perché? Perché neanche io l'avrei fatto, se avessi saputo che c'era la possibilità che accadesse e sai un'altra cosa? Ringrazio ogni giorno chi me la concessa. >>
Quelle parole mi colpirono come una sventata di un vento gelido.
<< Non capisco. Cosa vuoi dire che ringrazi ogni giorno chi te l'ha data? Non dirmi che anche tu... >>
Non riuscii a terminare la frase.
<< Sì. Mi hanno trasformato anni fa. Da allora cerco di impedire che altri vengano trasformati... >>
Sbattei per qualche secondo le palpebre, confusa. Non capivo, ci provavo, ma non ci riuscivo. Prima dice di essere grato di essere stato trasformato, poi che non vuole che ad altre persone succeda la stessa cosa; che senso aveva?
Poi capii: all’inizio l’idea di rivedere i tuoi amici, la tua famiglia è stupenda, ma la loro vita continua, la tua no, la tua rimane imprigionata al momento in qui sei rinato. Non crescerai, non invecchierai; niente capelli grigi, niente pancia gonfia perché occupata da una piccola creatura che cresce dentro di te, continui spostamenti, nessun posto fisso, amicizie che svaniscono, persone che ti lasciano per sempre…
In un istante mi passò davanti la mia futura vita, quelle azioni che avrei dovuto ripetere per l’eternità.
Mi alzai in piedi e, lentamente, mi avvicinai a lui, ora seduto dall'altro lato della stanza. Poi lo abbracciai. Non c’era un motivo in particolare, ma sentivo di volerlo stringere a me, poi, dolcemente, lo ringraziai per avermi regalato altri piccoli istanti di felicità insieme a chi volevo bene, anche se sapevo che quei momenti sarebbero stati fugaci e che li avrei rimpianti per l’eternità.
Mi alzai e mi guardai attorno. Era il momento di finirla con questi rimuginamenti, era il momento di iniziare a conoscermi di nuovo, a conoscere la mia nuova me.
Ormai quel che era fatto era fatto, che senso aveva continuare a pensarci?
Osservai il riflesso allo specchio. A prima vista non sembravo cambiata, ma quella era solo un’illusione data da un’occhiata fugace. La pelle più chiara, la muscolatura più tonica, la postura più rigida…e poi gli occhi, quelli non erano più gli occhi di un nocciola chiaro che ero abituata a vedere. Quel nocciola così scontato che non l’avevo mai osservato per davvero ora era quasi argento e lo sguardo ora non sembrava più così dolce. Ma forse ad una vista normale tutto ciò sarebbe passato inosservato, ma di certo il resto no. Credo che a nessuno sarebbero passati inosservati i miei vestiti lacerati, le ferite che mi segnavano tutto il corpo, il sangue rappreso e soprattutto la cicatrice di quel morso che mi aveva condannato ad un’esistenza in bilico.
Poi mi accorsi che David stava fissando il mio riflesso allo specchio con occhi spenti.
<< Forse mi servirebbe una doccia… >>
<< Forse. >>
<< E forse anche dei vestiti nuovi. >>
<< Forse. >>
Mi girai, il suo sguardo che si faceva sempre più cupo ad ogni istante che passava.
<< Mi dispiace… >>
Abbassai leggermente lo sguardo, sbuffando leggermente: odiavo le persone che non facevano altro che scusarsi. Certo, lui aveva un buon motivo per chiedere scusa, ma in quel momento le sue scuse erano l’ultima cosa di cui avevo bisogno: stavo cercando di accettare la cosa, di comportarmi il più normalmente possibile, e avevo bisogno che lui facesse lo stesso.
Continuai a fissarlo, le braccia incrociate al petto, lo sguardo ora alto e fermo.
<< Ti ho fatto diventare qualcosa di orribile, mi dispiace. È solo che in quel momento ho pensato solo a come farti respirare ancora, a come farti vedere di nuovo il sole, la luna, l’erba…mi dispiace. >>
Quelle parole fecero addolcire la mia postura. Lentamente sciolsi le braccia, camminando verso lui, poi gli accarezzai la guancia, sollevandogli leggermente il viso.
<< Non ti devi dispiacere. Mi hai dato la possibilità di vedere un’ultima volta la mia famiglia, di chiedere scusa alle persone che ho fatto soffrire quindi non ti dispiacere. >>
Lo accarezzai di nuovo, poi mi voltai, cercando di non piangere di nuovo, cercando di nascondere la mia voce tremante…
<< Ed ora, dov’è la mia borsa? >>
<< Nel bosco, dove ieri… >>
Silenzio. Non finì quella frase, e io gliene fui grata.
<< Bene, allora dov’è il bagno? Ho veramente bisogno di una doccia. E intanto tu potresti andare a recuperare le mie cose, che ne dici? E se, dico se, magari riesci a trovarmi anche dei vestiti puliti e, magari, non lacerati come se un orso ci avesse giocato, sarebbe perfetto. >>
Mi stiracchiai, anche se non ne sentivo il bisogno, ma era la forza dell’abitudine. Poi entrai nella porta che mi aveva indicato quando gli chiesi dove era il bagno. La stanza era piccola e semplice, normale e questo era tutto quello di cui avevo bisogno: qualcosa di normale.
Aprii l’acqua della vasca e aspettai che si riempì, poi mi ci immersi e respirai lentamente chiudendo gli occhi e rivivendo i primi momenti di questa nuova mia vita.
E adesso che avrei fatto? Certo sarei voluta andare dalla mia famiglia, dai miei amici, ma sentivo che non potevo, non ora, non da sola, non senza conoscere i rischi a cui li ponevo.
Quando uscii dal bagno trovai David sdraiato sul letto.
<< Finalmente ce l’hai fatta a uscire! >>
Sollevò leggermente il busto poggiandosi sugli avanbracci, sorridendomi leggermente. Lo fissai, non tanto perché non poteva lamentarsi di niente, dato che ero rimasta in bagno una mezz’oretta circa, ma perché era completamente diverso da come lo avevo lasciato. I suoi occhi erano lucidi, scintillanti, pieni di vita, il viso pulito, i capelli ancora più arruffati, se era possibile, i vestiti erano nuovi, puliti; dove aveva trovato il tempo di cambiarsi?
<< Vuoi rimanere così o prima o poi vorresti vestirti?? >>
<< E cosa mi metto scusa? Non mi sembra che tu sia uscito. L’unica cosa che hai fatto è stato darti una sistemata. >>
<< Questi? – indicò gli abiti puliti, tornando poi a guardarmi – li ho presi tornavo dal bosco, insieme a qualcosa per te. Dovrebbe andarti bene, è sulla sedia. >>
Guardai la sedia, dove ora c’era un fagottino verde e la mia amata borsa.
<< Bene, sbrigati. >>
Continuò a guardarmi, immobile, come se fosse in attesa di qualcosa. Poi finalmente aggiunse qualcosa sul fatto che avrebbe provato a pettinarsi, e scomparse dietro la porta del bagno.
Mi avvicinai velocemente alla sedia, poi srotolai il fagotto e analizzai il contenuto: un completino intimo, un paio di jeans, una canottiera, una felpa e anche un paio di scarpe. Controllai le taglie di ogni cosa. Era tutto perfetto. Ma code l’ha trovato il tempo di prendere tutto?
Trovai la risposta a quella domanda quando iniziai a vestirmi: non era cambiato solo l’udito o la vista, ma anche la velocità dei miei movimenti.
<< Come look ti si addice; comodo e affascinante. >>
Mi girai. David era appoggiato allo specchio. Da quanto era lì?
<< Sì, non è male. È il mio stile ideale. >>
Mi guardai allo specchio. Quei vestiti erano perfetti: primo rispettavano veramente il mio stile, poi nascondevano gran parte dei tagli che avevo su tutto il corpo. Sistemai i capelli in modo da nascondere la cicatrice sul collo e poi tornai con lo sguardo su David che mi fissava.
<< Ed ora, che si fa? >>
<< Come, non volevi andare dalla tua famiglia, dai tuoi amici? >>
<< Ma… >>
Andai in panico. Non potevo andarci, non ora, non così.
<< Ma? >>
<< E se gli facessi qualcosa? >>
Per la prima volta lo sentii ridere di gusto. Ma in quel momento non c’era niente da ridere!
<< Tranquilla, non gli farai niente. >>
<< Sicuro? >>
<< Sicuro. Fidati di me, ok? >>
Si avviò verso l’unica porta che non avevo mai varcato, almeno non cosciente, la aprii e aspettò che passai, poi se la chiuse alle spalle.
<< E ora si corre! >>
Mi afferrò per un braccio e si lanciò in avanti, con i miei piedi che lo seguivano. Gli alberi ci sfrecciavano a fianco, il vento ci scompigliava i capelli.
Era magnifico.
Mi sentivo libera, senza niente a impedirmi di correre, senza niente a trattenermi.
Iniziai a ridere senza accorgermene poi, quando finalmente mi ero lasciata completamente andare, ci fermammo.
Niente fiatone, niente pulsazioni accelerate, soltanto voglia di correre ancora.
Ma eravamo troppo vicini a quella parte del mondo che, al contrario di noi, era considerata normale.
David allentò la presa sul mio braccio e mi si mise di fronte, i suoi occhi che sondavano ogni centimetro di pelle che avevo lasciato scoperto poi, sistemandomi il cappuccio in modo da nascondere ancora meglio i segni del morso mi passò un paio di occhiali da sole, che misi subito.
<< La versione ufficiale è che ieri sera, mentre cercavi i tuoi amici, ti sei allontanata troppo e sei caduta in un piccolo fosso. Io ti ho trovata mentre stavo tornando a casa, e ho aspettato che ti risvegliassi. Hai tuoi amici ho mandato un messaggio dicendo che stavi meglio e che ti avrei portato a casa io non appena ti fossi ripresa del tutto. >>
Non male come storia. Poteva andare; breve, coincisa e semplice, in più cadere in un fosso era molto da me.
<< Ne hai di fantasia, eh? >>
<< Sai ho molto tempo libero e mi stavo annoiando mentre aspettavo che qualcuno uscisse. >>
Sorrise, poi mi prese per mano e insieme uscimmo da quel bosco, ritrovandoci sulla strada. Procedemmo per qualche minuto avanti, poi svoltammo a destra, nel vicolo di una casa.
<< Benvenuta a casa mia! >>
<< Come casa tua? E quella nel bosco cosa era? >>
<< Non avrai pensato che io abitassi là?! Quella è una baita che uso quando vado a caccia. Comunque aspetta un attimo qui che prendo la macchina. >>
Mi lasciò lì, davanti alla porta di casa sua, una villetta di legno, molto stile baita, e si avviò verso il garage, per poi uscirne a bordo di una Chevrolet corvette nera. Rimasi letteralmente a bocca aperta.
<< Dai Sali! >>
Mi avvicinai lentamente, accarezzando il fianco di quella macchina che avevo così sognato di avere e poi salii.
<< Bella vero? >>
<< Bella?! È stupenda! Me la regali? >>
<< Forse, vedremo… >>
<< Stai scherzando, vero?! >>
Doveva per forza scherzando. Insomma nessuno regala a qualcuno che conosce da neanche mezza giornata una macchina da 46.800 €.
<< Perché dovrei scherzare? >>
<< Ma sai quanto costa?! >>
<>
Mi ripresi dall’emozione di essere su quella macchina e lo guidai fino a davanti casa mia.
<< Fa uno strano effetto essere morta, rinascere e tornarsene tranquillamente a casa. >>
<< Già, ci sono passato. Comunque ora scendi, e ricorda la versione che ti ho dato. Ah! Se inizi a sentirti agitata, se senti che il “sangue inizia a ribollirti”, allontanati con qualche scusa, ok?>>
Così mi preoccupava e lui lo intuì.
<< Tranquilla, non ti lascio sola. >>
Scese dalla macchina, poi mi venne ad aprile lo sportello, mi si avvicinò e mi disse di appoggiarmi a lui, fingendo di zoppicare, in modo da rendere ancora più reale quella bugia inventata per coprire la mia anormalità.
Neanche arrivammo davanti alla porta di ingresso che già mia madre mi si era gettata addosso, riempiendomi di domande. Era il genere di madre che ti tratterrà come un bambino anche a 60 anni.
Cercai di allontanarla, ma più ci provavo e più lei mi stringeva a sé. Poi persi il controllo, per un secondo. Il battito del suo cuore mi riempì le orecchie, il suo profumo riempì il mio naso, i miei occhi si concentrarono su quel lieve pulsare della vena sul collo. Poi qualcuno mi allontanò dalla fonte della mia improvvisa sete.
<< Magari è meglio se la facciamo un attimo sedere, poi le spiego tutto. >>
Mia madre annuì, poi ci precedette in casa. David mi prese sottobraccio, sussurrandomi di chiudere gli occhi, di concentrarmi su altri suoni, su altri odori, sussurrandomi di calmarmi.
Gli dovevo un grasso favore: mi aveva fatto rinascere, mi aveva dato la possibilità di salutare a chi più tenevo e ora aveva salvato anche mia madre.
Ci dirigemmo verso il salotto e io mi accasciai sulla poltrona più vicina alla porta, sulla poltrona più lontana da mia madre, che intanto aveva riunito il resto della famiglia, i quali sembravano sollevati di rivedermi. Fu allora che pensai a come avrebbero reagito se invece di me a casa sarebbe arrivata una pattuglia, per dirgli che purtroppo la loro unica figlia femmina, la loro più piccola bambina, era morta, forse a causa di un animale.
Quel pensiero mi riempì gli occhi di lacrime, che dovetti impedire di far cadere.
Mentre ero concentrata a non scoppiare a piangere, David spiegò la versione che aveva ingegnato.
<< Grazie di averla aiutata, grazie veramente. >>
Mia madre si era alzata e ora stava abbracciando David, ringraziandola di continuo.
<< Che ne dici di rimanere a cena ragazzo? >>
<< Grazie, ma ho gusti molto particolari e poi non vorrei disturbare. >>
Come attore era veramente bravo, c’era da dirlo.
<< Non ti preoccupare e poi in qualche modo ci dovremmo pur sdebitare, no? >>
Mio padre gli diede delle pacche sulla spalla, poi mi si avvicino e mi accarezzò la testa.
<< Sempre tra le nuvole, eh? >>
Gli sorrisi, poi uscì e andò in cucina, insieme a mia madre.
<< Allora vado a spostare la macchina, scusate. >>
<< Puoi anche lasciarla sul passo, non penso che dia fastidio. >>
<< Ah, ok. Però tanto devo ugualmente andare a prendere un paio di cose. >>
Si voltò, mi sorrise e uscì.
<< Giovy era veramente preoccupato sai? >>
Lo dovevo immaginare: dopotutto ero uscita con i miei amici e poi ero scomparsa, era logico che erano preoccupati, era logico che lui lo era e purtroppo lo sarebbe stato ancora per molto.
<< Immagino, ma è anche colpa sua che se ne è andato senza accorgersi che ero con lui, quindi che si preoccupi pure. >>
<< Non mi dire che vuoi rompere con lui per capello viola! >>
Mio fratello era sempre il solito. Giungeva sempre a conclusioni sbagliate, ma questa volta era inevitabile: come avrebbe potuto capire il perché delle mie azioni?
<< Primo, io non rompo con nessuno, dato che non ci stavo neanche insieme e siamo solo amici; secondo, non vado dietro a “capello viola”. Cioè, mi ha salvato, quindi gli sono grata, niente di più. >>
<< Certo piccolina, certo. Comunque stai bene, vero? >>
<< Sì, sto bene, tutto ok! >>
Gli sorrisi. Detestavo mentire così tanto: prima la storia di come mi ero fatta male, ora che stavo bene…quante bugie avrei ancora dovuto dire? Ma sapevo che ne avrei dette ancora e ancora, pur di star lì con la mia famiglia.
<< Tom? >>
<< Arriverà per cena. Era andato da Giulia un attimo, sai come è fatto, no? >>
Mi sarebbero mancati: mia madre apprensiva, mio padre sempre ottimista i mie fratelli, uno dedito al lavoro, l’altro alla ragazza.
<< Non sarebbe meglio se ti sdraiassi? >>
David era tornato, silenzioso come sempre.
<< No, tranquillo, sto molto meglio, grazie. >>
Mi voltai verso di lui e sorrisi, poi lo sentii. Un lieve odore di ferro, un lieve battito che si affievoliva sempre più.
<< Vado un attimo di sopra. >>
Poi persi il buon senso e mi arresi a quel dolce richiamo.
Lentamente mi alzai poi, quando fui sicura di non essere vista, tranne che da David, salii al secondo piano e mi fiondai in camera mia. All’inizio non vidi la fonte di quel richiamo. Questo perché non era come mi aspettavo.
Mi avvicinai alla scrivania per vedere meglio, ma non cambiò nulla: non c’era qualcuno o qualcosa, c’era solo una sacca di sangue, con una farfalla vicino e un biglietto.
“Non aspettarti altro per ora. Meglio che ti abitui poco per volta a sfamarti. Ora fai il pieno, altrimenti sarà difficile mangiare cibo normale. David”
Sorrisi, poi aprii leggermente quella busta e mi dissetai, attenta a non lasciare tracce di quell’abominio.
Per un istante mi circondò il nulla: i suoni erano spariti, gli odori erano inesistenti: tutto il mio mondo era concentrato in quella sacca di sangue.
Poi mi ripresi.
Pulii tutto, mi specchiai e poi scesi di sotto, in salotto.
Tom era tornato.
<< Ohi scapezzata! Ma si po’ sapere che combini?? Non puoi far preoccupare così le persone no? Comunque tutto bene? >>
Mi si avvicino è mi strinse leggermente a se. Mi irrigidii, in attesa della perdita di autocontrollo, ma niente. Restai lucida. Guardai David e capii del perché di quel sangue in camera: era per calmare la mia sete, era per poter stare tranquillamente con la gente a cui tenevo, era per tornare, anche se per un istante, alla normalità che non avrei più avuto.
<< Ho visto come ti sei preoccupato per me, e Giulia ti ha consolato, vero? >>
Feci l’offesa, mi allontanai da lui e mi sedetti su una poltrona.
<< E allora, qualche problema se mi ha consolato? Almeno qualcuno che mi consola io ce l’ho. >>
<< E chi ti dice che lei non e l’abbia? >>
Quella frase mi stupì. Guardai David, gli occhi sgranati.
<< Quindi qualcuno c’è! Vai sorellina, era ora! >>
<< Ehi!! >>
Mi voltai verso mio fratello, pronta a rispondere in qualche modo, ma mia madre mi fermò, annunciandoci che la cena era pronta.
<< Capello viola, tu intanto vai, a questa la porto oltre io. >>
David si avviò verso la cucina come mio fratello gli aveva detto, lasciandomi sola con lui.
Guardai Tom negli occhi, capendo subito che voleva parlarmi di qualcosa da solo.
<< Allora, tra te e quel capello viola c’è stato qualcosa? >>
Lo sussurrò appena, a pochi centimetri dal mio orecchio, ma sapevo che non ero stata l’unica a sentirlo. Comunque non risposi, lo guardai di sottecchi, ed aspettai che aggiungesse qualcos’altro.
<< Non dico che non approvo, cioè non posso dirtelo io, ma stai attenta, ok? Non farci preoccupare ancora così, o almeno inventati una scusa migliore. >>
Dicendo ciò mi scompigliò i capelli e si avviò in cucina.
Mi ci volle qualche secondo prima di riprendermi. Ma che avevano i miei fratelli? Daniele pensava che mi ci volevo mettere insieme, Tom che ci avevo già fatto qualcosa. Ma ho una famiglia di perversi?
Quando arrivai in cucina erano già tutti seduti e io mi misi nell’unico posto rimasto: tra David, per fortuna, e Tom. Mia madre iniziò a servire la carne, mentre iniziavano le chiacchiere.
<< Allora David, è tua quella Corvette? >>
<< Già, bella vero? >>
<< Ti è costata molto, immagino? Quanto tempo c’hai messo a comprarla? >>
<< Poco. Sono un avvocato. Ho uno mio studio nella città qui vicino che mi rende abbastanza. >>
La sera continuò così, tra una domanda e l’altra. Tom che chiedeva delle sue ragazze, Daniele dei consigli per il suo lavoro, e mio padre e mia madre gli fecero il terzo grado, neanche fosse sospettato di omicidio. Poi arrivò il momento che David partisse. Io finsi di essere stanza, e di voler andare a dormire, lui invece disse che domani aveva una causa importante e che doveva andare a finire di prepararsi per il caso. Poi, prima di partire, mi sussurrò di aprirgli la finestra, di mettermi qualcosa di scuro e di aspettarlo. Feci come mi aveva detto, ma l’attesa era inaspettatamente lunga e noiosa. Presi un libro a caso nella libreria e iniziai a sfogliarlo. L’avevo già letto centinaia di volte, ma mai in cinque minuti, e mai mi era capitato di ricordarmi ogni minima cosa.
Mi affacciai alla finestra, sperando di vedere un’ombra sottile dell’oscurità, aspettando di sentire i suoi passi, il suo respiro, la sua voce, ma niente, non era ancora arrivato.
 Lessi ancora due libri prima che riuscissi a sentirlo e, prima ancora che arrivassi alla finestra lui mi era già accanto.
<< Scusa per il ritardo, ma c’era traffico per strada. >>
Si avvicinò al letto, alzò le coperte e ci infilò sotto quello che mi sembrò un manichino, chiedendomi il perché di quel gesto, e soprattutto dove avesse trovato quel coso. Poi mi prese per mano e mi accompagnò fino alla finestra.
<< Ora si salta giù! >>
Fece in tempo a dirlo che già eravamo in aria, e un secondo dopo atterrammo leggeri dietro casa mia.
<< Eccitante, vero? È meglio della corsa, no? >>
Ero sconcertata. Quello non era stato un saltino qualunque, era stato di quattro metri! Ma aveva ragione, era molto meglio della corsa: la sensazione di vuoto, di essere sospeso in aria. Volevo rifarlo, volevo saltare ancora, da più in alto, da più lontano. Più ci pensavo più l’adrenalina cresceva.
<< Ora vieni. >>
 
 
*
 
 
Da quel giorno non passa istante che non stia insieme a lui. È il mio sostegno ed io sono diventata il suo.
Era un sabato sera di una calda estate. La notte sprizzava vita ovunque, la musica che riempiva l'aria. Ero uscita con i miei amici per divertirmi, ma in un secondo li avevo persi di vista.
Capita.
Continuavo a cercarli tra la folla, tra quei corpi sudati che si muovevano, che si sfregavano, tra quell'energia palpabile che mi circondava, poi una chioma grigia attirò la mia attenzione. Senza rendermene conto la segui, incuriosita da quei capelli bianchi e quella carnagione pallida, da quell’aurea di antichità che sembrava circondarlo; i miei occhi lo seguivano e i miei piedi gli stavano dietro.
Improvvisamente mi ritrovai sola, lontano da tutto, lontano dalla gente, lontano dalla musica, dalla loro energia, dalla loro vita; il buio ed il silenzio mi circondavano.
Qualcuno mi afferrò da dietro.
Provai ad urlare, ma non ci riuscii.
Provai a liberarmi da quella presa ferrea, ma era tutto inutile.
 Sentii delle mani accarezzarmi il collo. Rabbrividii.
Una voce sensuale e cupa che mi sussurrava di stare tranquilla, di non preoccuparmi, mentre i sensi lentamente mi abbandonavano. L’ultima cosa che percepii fu un dolore lacerante al collo, poi più nulla.
*
Quando riaprii gli occhi una luce mi accecò.
<< Sono morta? >>
Certo era una domanda stupida: respiravo, parlavo, sentivo qualcosa di duro contro il mio corpo…ero viva, no?
<< Beh, in un certo senso… >>
Mi alzai di scatto, impaurita da quella voce senza volto. Da quel tono piatto, privo di emozioni, ma dispiaciuto allo stesso tempo.
<< Calmati, IO non ti farò del male. Ora sei al sicuro. Sdraiati. >>
Una mano mi accarezzò la fronte.
Quel tocco così gentile mi fece calmare e mi sdraiai, respirando lentamente.
Mi ci volle qualche minuto di silenzio per far mente locale; ricordavo chiaramente il dolore lacerante al collo, il respiro affannato, i battiti del cuore in aumento, ma ora tutto sembrava così lontano, come se fosse successo tutto secoli fa, come se tutto fosse stato solo nella mia mente.
Poi, improvvisamente, mi resi conto del silenzio che c'era.
Non intorno a me, non in quella stanza cupa che non conoscevo, il silenzio era dentro di me.
Chiusi gli occhi e mi concentrai alla ricerca di quel suono così familiare, quel suono che ci doveva essere, anche fievole, ma DOVEVA pur esserci.
Non lo trovai.
Il panico si impadronì di me. Scattai seduta, il respiro in aumento, la testa che iniziava a girarmi. Era tutto normale, tranne la sua assenza.
Una chioma viola mi balzò davanti, prendendomi la testa fra le sue mani grandi e gentili. Due occhi di un verde intenso catturarono i miei, poi la sua voce mi stordì. Era così bassa, soave, penetrante; mi ripeteva sempre le stesse parole, in continuazione: << Non ascoltare il silenzio, ma la mancanza di questo >>
Inizialmente non capii: come potevo ignorare quel silenzio così anormale?
Passarono diversi minuti. Quegli occhi verdi non avevano smesso di catturare i miei, quelle parole che continuava a sussurrarmi lasciarono lentamente posto a nuovi suoni, nuovi rumori, alcuni dei quali non avevo mai sentito.
Era questa la mancanza di silenzio a cui si riferiva?
E poi ecco qualcosa di simile a quel suono che cercavo, a quel suono che mi mancava. Ma era più lieve, più leggero, più soffice.
<< Lo senti vero? È il battito d'ali di una farfalla. Ora seguilo con il respiro, chiudi gli occhi e seguilo. >>
Feci come mi aveva detto, seguii quel lieve battito d'ali e il mio respiro si calmò, poi riaprii gli occhi.
<< Va meglio, no? >>
Rimasi in silenzio. Ancora concentrata su quel suono che mai avrei pensato di poter udire; su quel suono che mai avrei dovuto dire.
<< Mi chiamo David. >>
Restai ancora in silenzio, come se aspettassi qualcos'altro da quella sua voce così profonda e delicata.
<< Ok, sò cosa stai inconsciamente aspettando, sò cosa vuol dire sentire quel silenzio dentro, quel senso di vuoto, di malinconia, quella sensazione che ti manchi qualcosa di fondamentale, ma che hai sempre dato per scontato; ci sono passato anche io. >>
Mi fissò per qualche secondo, aspettando una mia reazione, ma ero paralizzata, incapace di muovermi, incapace di staccare i miei occhi dai suoi.
Continuò: << L'altra sera ti è successo qualcosa che pensavi impossibile, come tutti gli altri, ma che purtroppo accade troppo spesso. Quel ragazzo che hai seguito, fin dentro il bosco, non era umano. >>
Non riuscii a muovere neanche un muscolo. Prima non riesco a sentire quel battito normale che avrei dovuto sentire, poi per calmarmi uso il battito d’ali di una farfalla, e ora mi viene a dire che ieri sera mi ero messa a seguire qualcuno che nemmeno era umano?
Ciò non è reale; è impossibile che lo sia, no?
Rimasi in silenzio, ma sembrava che lui non riuscisse a continuare; inspirai profondamente, cercando di trovare il coraggio e le forze per muovermi, decidendo di stare a quel gioco assurdo.
<< Non era umano? Ma… >>
<< Vampiro. >>
Rimasi sconcertata.
Un vampiro? Davvero pensava che credessi ad una stupidaggine del genere? Come poteva pensare che potessi essere così stupida da farlo? Era davvero troppo, ne avevo abbastanza. Ma che razza di scherzo era questo?
Evidentemente la mia espressione aveva fatto trapelare i miei pensieri, perché sembrò capire tutto ciò che mi ronzava in testa.
<< Non pretendo che tu mi creda, sò che non sei stupida, ma non ti sto prendendo in giro. Questo non è uno scherzo. >>
Sospirò e tornò a guardarmi negli occhi, quel verde brillante che si faceva sempre più luminoso, spegnendosi lentamente mentre continuava a parlare.
<< Alla fine mi crederai; è impossibile non farlo. >>
Fece un attimo di pausa, poi riprese con la sua storia così inverosimile. Mi raccontò di come questo “vampiro” mi avesse stregata, di come mi avesse catturata e di come si nutrì del mio sangue. Mi disse che lui arrivò troppo tardi per impedirgli di mordermi e che aveva combattuto con lui, finendo per ucciderlo, per potermi salvare, anche se il mio destino non sarebbe cambiato di molto.
<< ...Ormai ti aveva già quasi completamente prosciugata, il tuo destino era segnato: di fronte a te c'era solo la morte eterna, l’oblio, un posto immerso nel buio, in cui la vita sarebbe stata solo un ricordo. Quindi cosa cambiava lasciarti morire così o farti morire facendoti rinascere? L’unica differenza tra le due è che almeno con la seconda poi rivedere la luce del Sole. Quindi presi qualche goccia del suo sangue ancora caldo e te le feci bere, sperando che non fosse davvero troppo tardi per farti ritornare. >>
Rimasi sconvolta da quelle parole. Non poteva essere vero, nulla di ciò che mi aveva raccontato poteva essere successo veramente.
<< Non mi credi ancora, eh? >>
Mi guardava con una debole luce di delusione nello sguardo, che mi fece sentire quasi in colpa.
<< E come potrei scusa? >>
La voce mi tremava leggermente; solo la più piccola e remota possibilità che ciò che mi aveva detto potesse essere vero mi spaventava terribilmente.
<< Allora ascolta di nuovo il silenzio e dimmi, non manca qualcosa, qualcosa che ci sarebbe stato se tutto ciò non fosse successo? >>
Nella sua voce sentivo disperazione e dolore, un dolore che iniziai a sentire anch'io dentro di me, perché sapevo già a cosa si riferiva, sapevo di che silenzio stava parlando; quel suono che disperatamente cercavo qualche minuto prima, quel suono che avrebbe confermato la normalità di tutto, quel suono la cui assenza confermava la verità delle sue parole.
Non sentivo più il suo battito, le vene che pulsavano, o anche il suo calore che avevo sempre dato per scontato. Mi sentivo vuota; ERO vuota.
Poi eccole, piccole gocce che scendevano lentamente lungo il mio viso, poi iniziarono i singhiozzi ed ecco in fine la completa realizzazione della verità: quella non ero più io, non ero più qualcuno di vivo, qualcuno di normale; ero morta e poi rinata, non ero più umana, ora ero un mostro, un essere senza anima, costretto a vivere per l’eternità, costretta a dover cibarmi di sangue umano per l’umanità.
Un vampiro…ecco in cosa mi aveva trasformato il ragazzo dai capelli viola e dagli occhi verdi, in una creatura che avrebbe detto addio ai suoi cari e ad una vita normale, una creatura che avrebbe detto addio a tutti i suoi sogni.
*
David, aveva detto di chiamarsi così mi pare, mi si avvicinò lentamente, tendendo le sue mani verso di me, poi mi abbracciò, accarezzandomi dolcemente la testa.
Il suo respiro sulla pelle, la sua voce che sussurrava parole di conforto.
Restammo abbracciati per quelle che mi sembrarono ore, poi lentamente le lacrime finirono ed i singhiozzi si attenuarono, lasciando posto solo alla disperazione.
<< Perché, perché mi hai fatto questo, perché non mi hai lasciato lì in attesa di morire? >>
<< Avresti preferito rinunciare a tutto? Alla possibilità di vivere, di rivedere la tua famiglia, i tuoi amici, di rivedere un altro tramonto in più? >>
No.
Non avrei rinunciato mai e poi mai a quella possibilità, se in quel momento sapevo che poteva esserci. Abbassai lo sguardo, cercando di ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di uscire di nuovo.
<< Immaginavo, e sai perché? Perché neanche io l'avrei fatto, se avessi saputo che c'era la possibilità che accadesse e sai un'altra cosa? Ringrazio ogni giorno chi me la concessa. >>
Quelle parole mi colpirono come una sventata di un vento gelido.
<< Non capisco. Cosa vuoi dire che ringrazi ogni giorno chi te l'ha data? Non dirmi che anche tu... >>
Non riuscii a terminare la frase.
<< Sì. Mi hanno trasformato anni fa. Da allora cerco di impedire che altri vengano trasformati... >>
Sbattei per qualche secondo le palpebre, confusa. Non capivo, ci provavo, ma non ci riuscivo. Prima dice di essere grato di essere stato trasformato, poi che non vuole che ad altre persone succeda la stessa cosa; che senso aveva?
Poi capii: all’inizio l’idea di rivedere i tuoi amici, la tua famiglia è stupenda, ma la loro vita continua, la tua no, la tua rimane imprigionata al momento in qui sei rinato. Non crescerai, non invecchierai; niente capelli grigi, niente pancia gonfia perché occupata da una piccola creatura che cresce dentro di te, continui spostamenti, nessun posto fisso, amicizie che svaniscono, persone che ti lasciano per sempre…
In un istante mi passò davanti la mia futura vita, quelle azioni che avrei dovuto ripetere per l’eternità.
Mi alzai in piedi e, lentamente, mi avvicinai a lui, ora seduto dall'altro lato della stanza. Poi lo abbracciai. Non c’era un motivo in particolare, ma sentivo di volerlo stringere a me, poi, dolcemente, lo ringraziai per avermi regalato altri piccoli istanti di felicità insieme a chi volevo bene, anche se sapevo che quei momenti sarebbero stati fugaci e che li avrei rimpianti per l’eternità.
Mi alzai e mi guardai attorno. Era il momento di finirla con questi rimuginamenti, era il momento di iniziare a conoscermi di nuovo, a conoscere la mia nuova me.
Ormai quel che era fatto era fatto, che senso aveva continuare a pensarci?
Osservai il riflesso allo specchio. A prima vista non sembravo cambiata, ma quella era solo un’illusione data da un’occhiata fugace. La pelle più chiara, la muscolatura più tonica, la postura più rigida…e poi gli occhi, quelli non erano più gli occhi di un nocciola chiaro che ero abituata a vedere. Quel nocciola così scontato che non l’avevo mai osservato per davvero ora era quasi argento e lo sguardo ora non sembrava più così dolce. Ma forse ad una vista normale tutto ciò sarebbe passato inosservato, ma di certo il resto no. Credo che a nessuno sarebbero passati inosservati i miei vestiti lacerati, le ferite che mi segnavano tutto il corpo, il sangue rappreso e soprattutto la cicatrice di quel morso che mi aveva condannato ad un’esistenza in bilico.
Poi mi accorsi che David stava fissando il mio riflesso allo specchio con occhi spenti.
<< Forse mi servirebbe una doccia… >>
<< Forse. >>
<< E forse anche dei vestiti nuovi. >>
<< Forse. >>
Mi girai, il suo sguardo che si faceva sempre più cupo ad ogni istante che passava.
<< Mi dispiace… >>
Abbassai leggermente lo sguardo, sbuffando leggermente: odiavo le persone che non facevano altro che scusarsi. Certo, lui aveva un buon motivo per chiedere scusa, ma in quel momento le sue scuse erano l’ultima cosa di cui avevo bisogno: stavo cercando di accettare la cosa, di comportarmi il più normalmente possibile, e avevo bisogno che lui facesse lo stesso.
Continuai a fissarlo, le braccia incrociate al petto, lo sguardo ora alto e fermo.
<< Ti ho fatto diventare qualcosa di orribile, mi dispiace. È solo che in quel momento ho pensato solo a come farti respirare ancora, a come farti vedere di nuovo il sole, la luna, l’erba…mi dispiace. >>
Quelle parole fecero addolcire la mia postura. Lentamente sciolsi le braccia, camminando verso lui, poi gli accarezzai la guancia, sollevandogli leggermente il viso.
<< Non ti devi dispiacere. Mi hai dato la possibilità di vedere un’ultima volta la mia famiglia, di chiedere scusa alle persone che ho fatto soffrire quindi non ti dispiacere. >>
Lo accarezzai di nuovo, poi mi voltai, cercando di non piangere di nuovo, cercando di nascondere la mia voce tremante…
<< Ed ora, dov’è la mia borsa? >>
<< Nel bosco, dove ieri… >>
Silenzio. Non finì quella frase, e io gliene fui grata.
<< Bene, allora dov’è il bagno? Ho veramente bisogno di una doccia. E intanto tu potresti andare a recuperare le mie cose, che ne dici? E se, dico se, magari riesci a trovarmi anche dei vestiti puliti e, magari, non lacerati come se un orso ci avesse giocato, sarebbe perfetto. >>
Mi stiracchiai, anche se non ne sentivo il bisogno, ma era la forza dell’abitudine. Poi entrai nella porta che mi aveva indicato quando gli chiesi dove era il bagno. La stanza era piccola e semplice, normale e questo era tutto quello di cui avevo bisogno: qualcosa di normale.
Aprii l’acqua della vasca e aspettai che si riempì, poi mi ci immersi e respirai lentamente chiudendo gli occhi e rivivendo i primi momenti di questa nuova mia vita.
E adesso che avrei fatto? Certo sarei voluta andare dalla mia famiglia, dai miei amici, ma sentivo che non potevo, non ora, non da sola, non senza conoscere i rischi a cui li ponevo.
Quando uscii dal bagno trovai David sdraiato sul letto.
<< Finalmente ce l’hai fatta a uscire! >>
Sollevò leggermente il busto poggiandosi sugli avanbracci, sorridendomi leggermente. Lo fissai, non tanto perché non poteva lamentarsi di niente, dato che ero rimasta in bagno una mezz’oretta circa, ma perché era completamente diverso da come lo avevo lasciato. I suoi occhi erano lucidi, scintillanti, pieni di vita, il viso pulito, i capelli ancora più arruffati, se era possibile, i vestiti erano nuovi, puliti; dove aveva trovato il tempo di cambiarsi?
<< Vuoi rimanere così o prima o poi vorresti vestirti?? >>
<< E cosa mi metto scusa? Non mi sembra che tu sia uscito. L’unica cosa che hai fatto è stato darti una sistemata. >>
<< Questi? – indicò gli abiti puliti, tornando poi a guardarmi – li ho presi tornavo dal bosco, insieme a qualcosa per te. Dovrebbe andarti bene, è sulla sedia. >>
Guardai la sedia, dove ora c’era un fagottino verde e la mia amata borsa.
<< Bene, sbrigati. >>
Continuò a guardarmi, immobile, come se fosse in attesa di qualcosa. Poi finalmente aggiunse qualcosa sul fatto che avrebbe provato a pettinarsi, e scomparse dietro la porta del bagno.
Mi avvicinai velocemente alla sedia, poi srotolai il fagotto e analizzai il contenuto: un completino intimo, un paio di jeans, una canottiera, una felpa e anche un paio di scarpe. Controllai le taglie di ogni cosa. Era tutto perfetto. Ma code l’ha trovato il tempo di prendere tutto?
Trovai la risposta a quella domanda quando iniziai a vestirmi: non era cambiato solo l’udito o la vista, ma anche la velocità dei miei movimenti.
<< Come look ti si addice; comodo e affascinante. >>
Mi girai. David era appoggiato allo specchio. Da quanto era lì?
<< Sì, non è male. È il mio stile ideale. >>
Mi guardai allo specchio. Quei vestiti erano perfetti: primo rispettavano veramente il mio stile, poi nascondevano gran parte dei tagli che avevo su tutto il corpo. Sistemai i capelli in modo da nascondere la cicatrice sul collo e poi tornai con lo sguardo su David che mi fissava.
<< Ed ora, che si fa? >>
<< Come, non volevi andare dalla tua famiglia, dai tuoi amici? >>
<< Ma… >>
Andai in panico. Non potevo andarci, non ora, non così.
<< Ma? >>
<< E se gli facessi qualcosa? >>
Per la prima volta lo sentii ridere di gusto. Ma in quel momento non c’era niente da ridere!
<< Tranquilla, non gli farai niente. >>
<< Sicuro? >>
<< Sicuro. Fidati di me, ok? >>
Si avviò verso l’unica porta che non avevo mai varcato, almeno non cosciente, la aprii e aspettò che passai, poi se la chiuse alle spalle.
<< E ora si corre! >>
Mi afferrò per un braccio e si lanciò in avanti, con i miei piedi che lo seguivano. Gli alberi ci sfrecciavano a fianco, il vento ci scompigliava i capelli.
Era magnifico.
Mi sentivo libera, senza niente a impedirmi di correre, senza niente a trattenermi.
Iniziai a ridere senza accorgermene poi, quando finalmente mi ero lasciata completamente andare, ci fermammo.
Niente fiatone, niente pulsazioni accelerate, soltanto voglia di correre ancora.
Ma eravamo troppo vicini a quella parte del mondo che, al contrario di noi, era considerata normale.
David allentò la presa sul mio braccio e mi si mise di fronte, i suoi occhi che sondavano ogni centimetro di pelle che avevo lasciato scoperto poi, sistemandomi il cappuccio in modo da nascondere ancora meglio i segni del morso mi passò un paio di occhiali da sole, che misi subito.
<< La versione ufficiale è che ieri sera, mentre cercavi i tuoi amici, ti sei allontanata troppo e sei caduta in un piccolo fosso. Io ti ho trovata mentre stavo tornando a casa, e ho aspettato che ti risvegliassi. Hai tuoi amici ho mandato un messaggio dicendo che stavi meglio e che ti avrei portato a casa io non appena ti fossi ripresa del tutto. >>
Non male come storia. Poteva andare; breve, coincisa e semplice, in più cadere in un fosso era molto da me.
<< Ne hai di fantasia, eh? >>
<< Sai ho molto tempo libero e mi stavo annoiando mentre aspettavo che qualcuno uscisse. >>
Sorrise, poi mi prese per mano e insieme uscimmo da quel bosco, ritrovandoci sulla strada. Procedemmo per qualche minuto avanti, poi svoltammo a destra, nel vicolo di una casa.
<< Benvenuta a casa mia! >>
<< Come casa tua? E quella nel bosco cosa era? >>
<< Non avrai pensato che io abitassi là?! Quella è una baita che uso quando vado a caccia. Comunque aspetta un attimo qui che prendo la macchina. >>
Mi lasciò lì, davanti alla porta di casa sua, una villetta di legno, molto stile baita, e si avviò verso il garage, per poi uscirne a bordo di una Chevrolet corvette nera. Rimasi letteralmente a bocca aperta.
<< Dai Sali! >>
Mi avvicinai lentamente, accarezzando il fianco di quella macchina che avevo così sognato di avere e poi salii.
<< Bella vero? >>
<< Bella?! È stupenda! Me la regali? >>
<< Forse, vedremo… >>
<< Stai scherzando, vero?! >>
Doveva per forza scherzando. Insomma nessuno regala a qualcuno che conosce da neanche mezza giornata una macchina da 46.800 €.
<< Perché dovrei scherzare? >>
<< Ma sai quanto costa?! >>
<>
Mi ripresi dall’emozione di essere su quella macchina e lo guidai fino a davanti casa mia.
<< Fa uno strano effetto essere morta, rinascere e tornarsene tranquillamente a casa. >>
<< Già, ci sono passato. Comunque ora scendi, e ricorda la versione che ti ho dato. Ah! Se inizi a sentirti agitata, se senti che il “sangue inizia a ribollirti”, allontanati con qualche scusa, ok?>>
Così mi preoccupava e lui lo intuì.
<< Tranquilla, non ti lascio sola. >>
Scese dalla macchina, poi mi venne ad aprile lo sportello, mi si avvicinò e mi disse di appoggiarmi a lui, fingendo di zoppicare, in modo da rendere ancora più reale quella bugia inventata per coprire la mia anormalità.
Neanche arrivammo davanti alla porta di ingresso che già mia madre mi si era gettata addosso, riempiendomi di domande. Era il genere di madre che ti tratterrà come un bambino anche a 60 anni.
Cercai di allontanarla, ma più ci provavo e più lei mi stringeva a sé. Poi persi il controllo, per un secondo. Il battito del suo cuore mi riempì le orecchie, il suo profumo riempì il mio naso, i miei occhi si concentrarono su quel lieve pulsare della vena sul collo. Poi qualcuno mi allontanò dalla fonte della mia improvvisa sete.
<< Magari è meglio se la facciamo un attimo sedere, poi le spiego tutto. >>
Mia madre annuì, poi ci precedette in casa. David mi prese sottobraccio, sussurrandomi di chiudere gli occhi, di concentrarmi su altri suoni, su altri odori, sussurrandomi di calmarmi.
Gli dovevo un grasso favore: mi aveva fatto rinascere, mi aveva dato la possibilità di salutare a chi più tenevo e ora aveva salvato anche mia madre.
Ci dirigemmo verso il salotto e io mi accasciai sulla poltrona più vicina alla porta, sulla poltrona più lontana da mia madre, che intanto aveva riunito il resto della famiglia, i quali sembravano sollevati di rivedermi. Fu allora che pensai a come avrebbero reagito se invece di me a casa sarebbe arrivata una pattuglia, per dirgli che purtroppo la loro unica figlia femmina, la loro più piccola bambina, era morta, forse a causa di un animale.
Quel pensiero mi riempì gli occhi di lacrime, che dovetti impedire di far cadere.
Mentre ero concentrata a non scoppiare a piangere, David spiegò la versione che aveva ingegnato.
<< Grazie di averla aiutata, grazie veramente. >>
Mia madre si era alzata e ora stava abbracciando David, ringraziandola di continuo.
<< Che ne dici di rimanere a cena ragazzo? >>
<< Grazie, ma ho gusti molto particolari e poi non vorrei disturbare. >>
Come attore era veramente bravo, c’era da dirlo.
<< Non ti preoccupare e poi in qualche modo ci dovremmo pur sdebitare, no? >>
Mio padre gli diede delle pacche sulla spalla, poi mi si avvicino e mi accarezzò la testa.
<< Sempre tra le nuvole, eh? >>
Gli sorrisi, poi uscì e andò in cucina, insieme a mia madre.
<< Allora vado a spostare la macchina, scusate. >>
<< Puoi anche lasciarla sul passo, non penso che dia fastidio. >>
<< Ah, ok. Però tanto devo ugualmente andare a prendere un paio di cose. >>
Si voltò, mi sorrise e uscì.
<< Giovy era veramente preoccupato sai? >>
Lo dovevo immaginare: dopotutto ero uscita con i miei amici e poi ero scomparsa, era logico che erano preoccupati, era logico che lui lo era e purtroppo lo sarebbe stato ancora per molto.
<< Immagino, ma è anche colpa sua che se ne è andato senza accorgersi che ero con lui, quindi che si preoccupi pure. >>
<< Non mi dire che vuoi rompere con lui per capello viola! >>
Mio fratello era sempre il solito. Giungeva sempre a conclusioni sbagliate, ma questa volta era inevitabile: come avrebbe potuto capire il perché delle mie azioni?
<< Primo, io non rompo con nessuno, dato che non ci stavo neanche insieme e siamo solo amici; secondo, non vado dietro a “capello viola”. Cioè, mi ha salvato, quindi gli sono grata, niente di più. >>
<< Certo piccolina, certo. Comunque stai bene, vero? >>
<< Sì, sto bene, tutto ok! >>
Gli sorrisi. Detestavo mentire così tanto: prima la storia di come mi ero fatta male, ora che stavo bene…quante bugie avrei ancora dovuto dire? Ma sapevo che ne avrei dette ancora e ancora, pur di star lì con la mia famiglia.
<< Tom? >>
<< Arriverà per cena. Era andato da Giulia un attimo, sai come è fatto, no? >>
Mi sarebbero mancati: mia madre apprensiva, mio padre sempre ottimista i mie fratelli, uno dedito al lavoro, l’altro alla ragazza.
<< Non sarebbe meglio se ti sdraiassi? >>
David era tornato, silenzioso come sempre.
<< No, tranquillo, sto molto meglio, grazie. >>
Mi voltai verso di lui e sorrisi, poi lo sentii. Un lieve odore di ferro, un lieve battito che si affievoliva sempre più.
<< Vado un attimo di sopra. >>
Poi persi il buon senso e mi arresi a quel dolce richiamo.
Lentamente mi alzai poi, quando fui sicura di non essere vista, tranne che da David, salii al secondo piano e mi fiondai in camera mia. All’inizio non vidi la fonte di quel richiamo. Questo perché non era come mi aspettavo.
Mi avvicinai alla scrivania per vedere meglio, ma non cambiò nulla: non c’era qualcuno o qualcosa, c’era solo una sacca di sangue, con una farfalla vicino e un biglietto.
“Non aspettarti altro per ora. Meglio che ti abitui poco per volta a sfamarti. Ora fai il pieno, altrimenti sarà difficile mangiare cibo normale. David”
Sorrisi, poi aprii leggermente quella busta e mi dissetai, attenta a non lasciare tracce di quell’abominio.
Per un istante mi circondò il nulla: i suoni erano spariti, gli odori erano inesistenti: tutto il mio mondo era concentrato in quella sacca di sangue.
Poi mi ripresi.
Pulii tutto, mi specchiai e poi scesi di sotto, in salotto.
Tom era tornato.
<< Ohi scapezzata! Ma si po’ sapere che combini? Non puoi far preoccupare così le persone no? Comunque tutto bene? >>
Mi si avvicino è mi strinse leggermente a se. Mi irrigidii, in attesa della perdita di autocontrollo, ma niente. Restai lucida. Guardai David e capii del perché di quel sangue in camera: era per calmare la mia sete, era per poter stare tranquillamente con la gente a cui tenevo, era per tornare, anche se per un istante, alla normalità che non avrei più avuto.
<< Ho visto come ti sei preoccupato per me, e Giulia ti ha consolato, vero? >>
Feci l’offesa, mi allontanai da lui e mi sedetti su una poltrona.
<< E allora, qualche problema se mi ha consolato? Almeno qualcuno che mi consola io ce l’ho. >>
<< E chi ti dice che lei non e l’abbia? >>
Quella frase mi stupì. Guardai David, gli occhi sgranati.
<< Quindi qualcuno c’è! Vai sorellina, era ora! >>
<< Ehi!! >>
Mi voltai verso mio fratello, pronta a rispondere in qualche modo, ma mia madre mi fermò, annunciandoci che la cena era pronta.
<< Capello viola, tu intanto vai, a questa la porto oltre io. >>
David si avviò verso la cucina come mio fratello gli aveva detto, lasciandomi sola con lui.
Guardai Tom negli occhi, capendo subito che voleva parlarmi di qualcosa da solo.
<< Allora, tra te e quel capello viola c’è stato qualcosa? >>
Lo sussurrò appena, a pochi centimetri dal mio orecchio, ma sapevo che non ero stata l’unica a sentirlo. Comunque non risposi, lo guardai di sottecchi, ed aspettai che aggiungesse qualcos’altro.
<< Non dico che non approvo, cioè non posso dirtelo io, ma stai attenta, ok? Non farci preoccupare ancora così, o almeno inventati una scusa migliore. >>
Dicendo ciò mi scompigliò i capelli e si avviò in cucina.
Mi ci volle qualche secondo prima di riprendermi. Ma che avevano i miei fratelli? Daniele pensava che mi ci volevo mettere insieme, Tom che ci avevo già fatto qualcosa. Ma ho una famiglia di perversi?
Quando arrivai in cucina erano già tutti seduti e io mi misi nell’unico posto rimasto: tra David, per fortuna, e Tom. Mia madre iniziò a servire la carne, mentre iniziavano le chiacchiere.
<< Allora David, è tua quella Corvette? >>
<< Già, bella vero? >>
<< Ti è costata molto, immagino? Quanto tempo c’hai messo a comprarla? >>
<< Poco. Sono un avvocato. Ho uno mio studio nella città qui vicino che mi rende abbastanza. >>
La sera continuò così, tra una domanda e l’altra. Tom che chiedeva delle sue ragazze, Daniele dei consigli per il suo lavoro, e mio padre e mia madre gli fecero il terzo grado, neanche fosse sospettato di omicidio. Poi arrivò il momento che David partisse. Io finsi di essere stanza, e di voler andare a dormire, lui invece disse che domani aveva una causa importante e che doveva andare a finire di prepararsi per il caso. Poi, prima di partire, mi sussurrò di aprirgli la finestra, di mettermi qualcosa di scuro e di aspettarlo. Feci come mi aveva detto, ma l’attesa era inaspettatamente lunga e noiosa. Presi un libro a caso nella libreria e iniziai a sfogliarlo. L’avevo già letto centinaia di volte, ma mai in cinque minuti, e mai mi era capitato di ricordarmi ogni minima cosa.
Mi affacciai alla finestra, sperando di vedere un’ombra sottile dell’oscurità, aspettando di sentire i suoi passi, il suo respiro, la sua voce, ma niente, non era ancora arrivato.
 Lessi ancora due libri prima che riuscissi a sentirlo e, prima ancora che arrivassi alla finestra lui mi era già accanto.
<< Scusa per il ritardo, ma c’era traffico per strada. >>
Si avvicinò al letto, alzò le coperte e ci infilò sotto quello che mi sembrò un manichino, chiedendomi il perché di quel gesto, e soprattutto dove avesse trovato quel coso. Poi mi prese per mano e mi accompagnò fino alla finestra.
<< Ora si salta giù! >>
Fece in tempo a dirlo che già eravamo in aria, e un secondo dopo atterrammo leggeri dietro casa mia.
<< Eccitante, vero? È meglio della corsa, no? >>
Ero sconcertata. Quello non era stato un saltino qualunque, era stato di quattro metri! Ma aveva ragione, era molto meglio della corsa: la sensazione di vuoto, di essere sospeso in aria. Volevo rifarlo, volevo saltare ancora, da più in alto, da più lontano. Più ci pensavo più l’adrenalina cresceva.
<< Ora vieni. >>
 
 
*
 
 
Da quel giorno non passa istante che non stia insieme a lui. È il mio sostegno ed io sono diventata il suo.








Note: ecco cosa succede se lasci leggere un libro sui vampiri a qualcuno che ha piccoli ed innoqui problemi mentali. So che i discorsi non sono un granchè, mi sto esercitando a migliorarli, inoltre la storia è scritta un po' di fuga, quindi qualcosa che non va c'è...beh, che altro aggiungere? Magari un grazie a tutti coloro che l'hanno letta! Ora vi lascio in pace, e vado a dormire, Notte gente!
   
 
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