..::
Nessie
::..
«Nessie!»
Jacob mi avvolse
in un abbraccio da orso che avrebbe spezzato la schiena a Rocky Balboa,
poi mi
scostò da sé e sorrise. Aveva un sorriso
bellissimo, un sorriso che gli
illuminava tutto il viso e faceva risplendere i suoi meravigliosi occhi
neri
come l’onice. «Sei arrivata presto, oggi. Avanti,
vieni!»
Mi
aveva intercettato
subito al limitare del bosco, per cui dovemmo camminare per un
po’ prima di
raggiungere La Push. La cosa non mi dispiacque per niente:
l’aria era intrisa
dei profumi intensi e vellutati della primavera e le lame di luce che
spiovevano dai rami dardeggiavano tra le ombre come splendenti serpenti
dorati.
Le guardai per qualche istante, ammirata (la mia vista
straordinariamente fine
mi permetteva di scorgere ogni granello di polline fluttuante tra di
esse) ma
poi il mio sguardo venne attirato nuovamente e irresistibilmente dalla
magnetica presenza di Jacob. Pareva un qualche dio inca della natura,
oppure
una di quelle splendide creature irlandesi che adescavano le fanciulle
con il
loro fascino soprannaturale.
«Allora,
come stanno
Melanie e Dawn?» chiese distrattamente il giovane
attraversando una piccola
radura.
Le
solite chiacchiere
vuote e banali di sempre, ma a me bastava ascoltare il suono della sua
voce
bassa e un po’ rauca per sentirmi meglio.
«Mel
è tesissima per la
sua Battaglia delle Band» risposi. «Non vuole farsi
vedere nervosa, ma si
capisce che è lì lì per dare in
escandescenze. Dawn invece sta bene, e ora si
sta tuffando in una nuova iniziativa ambientale…»
«Ovvero?»
«Ha
convinto il preside a
piazzare per tutta la scuola cestini diversi per la raccolta
differenziata.»
Jacob
ridacchiò. «Raccolta
differenziata, eh? Peccato, però, l’operazione
“Adottate una Balena” era molto
meno banale.»
Ma
nel suo punzecchiare
c’era un che di affettuoso, e io sospettavo che Jacob
nutrisse una specie di
furtivo rispetto per Dawn: chi, meglio di un licantropo indiano di La
Push,
poteva comprendere il suo desiderio di proteggere l’ambiente?
Ormai,
tra i tronchi degli
alberi, si scorgevano i tetti delle capanne di La Push; uscimmo dal
bosco e ci
dirigemmo verso la casa di Jacob, un po’ scostata rispetto
alla via principale.
Era semplice, come le altre casupole, ma trovavo pittoresca la sua aria
un po’
selvatica.
«Ehi,
Renesmee!» ruggì gioviale
Billy, il padre di Jacob, vedendomi entrare accanto al figlio.
«Cara bambina!
Come stai?»
Era
in sedia a rotelle a
causa di un tragico incidente avvenuto molti anni prima, nel quale lui
aveva
subito danni permanenti alla spina dorsale mentre sua moglie era
rimasta uccisa.
La sua vista mi impietosiva, ma cercavo di cancellare la compassione
dal mio
sguardo: sapevo che l’avrebbe offeso più di
qualunque insulto.
«Bene!»
dissi in tono
allegro. «E tu, Billy, tutto okay?»
«Non
c’è male, non c’è
male…»
«Non
c’è male!» Risi. «Sei
il super capo megagalattico di La Push e dici che non
c’è male!»
Billy
raggrinzì la faccia
in un lieve sorriso. «Non sono esattamente il capo
megagalattico, Renesmee,
solo uno dei Cinque Anziani.»
Lo
disse con noncuranza,
ma nella sua voce risuonava una nota di fierezza: era chiaramente
orgoglioso
del risultato ottenuto. Ero sollevata che avesse qualcosa a tenerlo
occupato,
temevo che la solitudine potesse indurlo a pensare troppo ai brutti
ricordi del
passato.
«Basta
chiacchiere»
intervenne Jacob, cingendomi la vita con un braccio.
«È maleducazione far
aspettare gli ospiti affamati.»
Sospinse
il padre fino al
piccolo tavolo e mi fece cenno di sedermi. Con un certo divertimento
pensai che
qualcuno (leggere Woody
Randall) si sarebbe scandalizzato
e non poco se lo avesse visto in quel momento; in tutta
probabilità uno come
Randall mi avrebbe galantemente spostato la sedia dal tavolo per poi
riavvicinarla quando mi ci fosse seduta. Sapevo di piacere a Randall
– impossibile
non notare come mi fissava – ma non sopportavo la sua aria
superba e altezzosa,
come se fosse stato il padrone dell’universo e ogni cosa gli
fosse dovuta. Il
mio Jake, con la sua naturale franchezza, era un uomo molto migliore di
lui. Forse
era questo che mi piaceva, di Jacob: riusciva a farmi sentire amata e
protetta
per quello che ero, con naturalezza.
Lo
guardai adorante mentre
annunciava «Buon appetito!» e portava in tavola
un’abbondante portata di
agnello alla Biriani. Era un bravo cuoco, e questo mi stupiva: di rado
i
ragazzi si davano alle arti culinarie.
Assaggiai
un boccone: il sapore
era speziato e piacevolmente pungente e scaldava con leggerezza lo
stomaco. Era
una sensazione molto gradevole, intensificata dal condimento di chutney piccante.
«Accidenti,
Jake» dissi «è
eccezionale!»
«Congratulazioni,
Jacob.»
Anche Billy si leccava i baffi soddisfatto. «Devo ammettere
che hai quasi
raggiunto il livello della maestra… però sono
spiacente, non hai ancora il
tocco magico di Sue Clearwater.»
«Imparerò»
sogghignò Jacob,
poi si voltò verso di me. «A proposito di
Sue… Nessie, Charlie te l’ha detto?»
Alzai
gli occhi su di lui,
sorpresa. «Cosa c’entra il nonno?»
Jacob
e Billy si
scambiarono un’occhiata complice.
«Sembra
proprio che
intendano sposarsi» ridacchiò Billy.
Rimasi
di sasso, e il
boccone quasi mi andò di traverso. «Cosa!? Ma
sono…»
«Sì,
non sono più
giovanissimi» ammise Billy. «Ma sono stanchi di
essere soli, e io sono convinto
che insieme saranno felici.»
Charlie
Swan e Sue
Clearwater.
Charlie
e Sue.
Marito
e moglie.
A
un tratto un pensiero mi
fulminò: o cavoli amari, e ora come lo dicevo a Dawn che il
suo migliore amico
era diventato il suo mezzo-cugino?
..:: Dawn
::..
«Cosa
faccio, Dawn? Cosa
posso fare?»
L’espressione
dipinta sul
viso di Seth Clearwater era di genuina disperazione, e io mi sentivo
più
inutile che mai: non avevo la più pallida idea di come
aiutarlo.
Io
e lui eravamo seduti
sotto la vecchia pensilina di Clover Meadow, uno dei quartieri ovest di
Forks:
non c’era mai nessuno, se non qualche sporadico vecchietto,
per cui era
diventato il nostro luogo segreto per confidarci l’un
l’altro.
Il
suo problema era mia
sorella Melanie: lui l’adorava (per uno strano processo che i
licantropi chiamavano
‘imprinting’) ma Melanie non aveva occhi che per la
musica. Bisognava dire che
era difficile dire chi fosse più attraente tra lei e Nessie:
Nessie aveva un
aspetto semplice e angelico che incantava la maggior parte degli
esponenti di
sesso maschile, ma altrettanto successo aveva la fredda e
irraggiungibile Melanie
con la sua aria dura e un po’ ribelle.
Il
punto era che Melanie
odiava le moine e la svenevolezza, e della poetica venerazione di Seth
non
sapeva che farsene.
«Non
saprei, Seth» dissi,
guardandolo intenerita. «Offrirle quel mazzo di rose
è stata un’idea carina, ma
lo sai com’è fatta…»
Bella
e spinosa, come una
rosa. Forse Seth ci aveva azzeccato, dopotutto.
«Ora lo so che detesta la
sdolcinatezza» sospirò lui. «Lei
è così
diversa dalle altre…»
«È
molto bella.»
«No,
non è solo per la
bellezza, ma per com’è dentro:
ti
attira e al contempo ti respinge. Ha un fascino micidiale e una carisma
stratosferica.»
Fascino
e carisma... due
cose che a me erano estranee.
Seth
dovette accorgersi
del mio scoramento, perché s’affrettò
ad aggiungere: «Ovviamente anche tu sei
molto carina, Dawn, non preoccuparti…»
Sì,
ero carina, ma in
confronto a Nessie e a Mel ero molto più banale. Quando loro
passavano per la
via, tutte le teste si giravano a fissarle con un misto di stupore e
ammirazione; quando passavo io, c’era chi mi gettava qualche
occhiata distratta,
ma le persone davvero interessate a me erano piuttosto poche. Non era
una
questione solo fisica: Nessie era gentile e cordiale e Melanie era
forte e
accattivante, e la gente era affascinata da loro.
E
io? Chi ero io?
Ero
Dawn Cullen, ero la
fondatrice del club di protezione ambientale Green Shield, ero la
cosiddetta
hippy della Forks High School. La mia popolarità a scuola
era abbastanza limitata,
e non avevo veri amici, a parte Seth, che però abitava a La
Push.
«Hai
già pensato a chi
invitare per il Ballo di fine anno?»
La
voce di Seth mi
sintonizzò di nuovo sul pianeta Terra. Sbattei le palpebre e
lo guardai, un po’
smarrita.
«Scusa?»
«Il
Ballo di fine anno»
ripeté Seth.
«Oh…
be’… ecco… in realtà
non so se ci andrò» farfugliai. «Non so
ballare molto bene…»
Altro
punto a mio sfavore:
avevo ereditato lo scarso equilibrio della mamma. Ero una sciagura a
giocare a
pallavolo, figuriamoci ad accompagnare una danza! Il pensiero di
inciampare qua
e là e diventare lo zimbello di tutti non mi stuzzicava per
niente.
«Non
te la cavi male,
invece» considerò ottimisticamente Seth.
«E poi mi sembrava che Williams avesse
un debole per te… Potresti invitare lui, no?»
«Scott
Williams?» … ehm…
no, Seth non aveva afferrato il problema… «Ci
penserò» mentii. «E tu?»
La
Forks High School e la
scuola di La Push avevano siglato una specie di patto di fratellanza, e
per le
grandi celebrazioni si riunivano a Forks.
«Be’…»
Seth abbassò lo sguardo
sulla strada, decisamente bisognosa di una bella lastricata, e tacque
per
qualche riflessivo istante. «Va bene che è
tradizione che siano le ragazze a
invitare i ragazzi, ma… Pensavo di chiedere a Melanie se le
andasse di venire
con me…»
Ah.
Melanie.
«L’imprinting
mi sta soffocando»
sussurrò Seth. «Ti giuro,
Dawn,
vorrei tanto poterla ignorare… ma è come se le
altre non esistessero, come se
mi aggirassi in un mondo di oscurità e lei fosse
l’unica luce.»
Seth,
dolce e poetico
Seth. Mel era troppo rude per te, ma non riuscivi a spezzare il suo
sortilegio.
Povero amico mio, stregato dal fascino maledetto della mia stessa
sorella.
«Magari
accetterà» lo
esortai, poco convinta. «Lei adora la musica,
dopotutto…»
Sorrise
mestamente. «Già,
potrei provare…»
Rimanemmo
in silenzio sotto
la pensilina, a guardare le nuvole grigie e gravide di pioggia che
s’accavallavano
in cielo come onde di cenere. Cupezza e grigiore: questa era Forks, una
minuscola
cittadina nordamericana infelicemente isolata dal resto del mondo. E
sotto
quella patetica pensilina c’eravamo noi, un licantropo dal
cuore spezzato e
un’ombrosa mezzavampira, entrambi alle prese con problemi
così stupidi e
ordinari, irrazionalmente amici in una secolare guerra interrazziale.
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Che
ne pensate? Vi piace?
Era da un po’ che la
covavo, come idea…