Raccontami di te
Alice… cosa fai per vivere?
Sai cosa sono gli
idol?
Si, perché?
Niente… Lascia perdere…
Come vuoi tu. Che fai per vivere?
Recito
Sei un’attrice?
Wow!
Si… un’attrice… a
tempo pieno…
Il mio nome è Yumiko Shiratori , sono una idol. Sono nata e vissuta in una
stazione orbitante sino all’età di sedici anni quando, credendo di realizzare
un sogno, divenni ciò che sono. Un
volto su ogni prodotto, un testimonial del
consumismo, una bambolina sexy che canta su un palco banalità di sconcertante
superficialità, una puttana per menager, registi e
persone altolocate. Sotto un vestito da scolaretta giapponese, dietro una maschera di
lolita tutta la merda di questa società. La
mia famiglia è stata tagliata fuori dalla mia vita, da
coloro che mi hanno reso ciò che sono e che devo essere: una idol.
Ogni uno o due anni un volto diverso e dunque presto verrà
il mio turno di scomparire. Di notte quanto arrivo a casa, dopo che menager e colleghi hanno abusato a turno di me e del mio
stramaledetto corpo mi fermo a guardarmi allo specchio poi mi trascino in bagno
e vomito. Vorrei vomitare l’anima, lo spirito, la vita, ma l’unico risultato è piangere per quelle poche ore di pace.
La mia vita è girare di città in città a cantare per
sconosciuti che mi adorano e farmi sbattera da vecchi
bavosi tutti intenti a riversare la propria frustrazione sul mio corpo
colpevole. Ormai è una abitudine, non riesco a fare
altro che arrendermi al tocco delle loro mani… ma verrà il giorno in questo
vuoto che mi anima scomparirà ed io potrò tornare ad essere Yumiko
Shiratori.
Eh quanto hai
iniziato a recitare?
Presto… intorno
ai 15 anni… poi non ho più potuto farne a meno…
Ti ammiro! Hai
una grande passione! E rara
di questi tempi!
No… nessuna
passione… si tratta di sopravvivenza…
La mia vita
è iniziata nell’Aprile del 2035 nella stazione orbitale di Ninsei.
Quella sera suonai nel solito locale trendy gremito
di fans, poi me ne andai in
camerino.
Puntualmente
arrivò il mio menager ad eseguire la sua solita
routine.
Mi cinse la
vita con le sue grasse mani e iniziò a sbottonarmi la camicetta. Mi sentivo
come una mosca inerte sulla tela di un ragno.
Mi irrigidii.
Per la
prima volta non recitavo… non simulavo accondiscendenza e non mi sforzavo di essere seducente nel farmi sbattere dal ragno. Non
apprezzò questa freddezza e irato mi tirò uno schiaffo facendomi capitolare a
terra. La guancia non mi faceva nemmeno male, non sentivo
che l’odore di polvere della moquette del camerino. Ancora più eccitato si
sistemò sopra di me per umiliarmi secondo il copione. Alzò la mia gonna, si
slacciò i pantaloni e il sangue mi si gelò. Le mie vuote orbite fissavano
quella bestia, che animalescamente mi chiavava sul
pavimento, riflessa allo specchio e poi vidi sotto di lui un volto attonito,
pallido e freddo. Quel volto si deformò in una smorfia di abissale
tristezza, calde lacrime solcarono quel viso e poi quel involucro indifeso e
svestito che giaceva sul pavimento prese vita ed in un convulso scatto d’odio e
rabbia calciò quel grosso animale nelle palle. Afferrò il primo oggetto che
trovò sul tavolo e massacrò di colpi quel sudicio porco degno di ogni sofferenza.
Mi ripresi
che ero davanti allo specchio con la camicetta aperta sotto la quale si intravedevano i miei seni sodi e la gonna strappata via
nella febbrile eccitazione di quel ammasso di carne che giaceva a terra
rantolante. Mi guardai ed in quella figura mi riconobbi. Orrore e disgusto di
ciò che ero e sono stata. Le forbici sporche cadono
dalle mie mani e sfioro quella fredda raffigurazione di una ragazza a cui hanno cercato chirurgicamente di asportare l’anima. Quella
ragazza piangeva e dovevo salvarla. Mi vestii, raccolsi la forza di quel
riflesso e mi allontanai da quella stanza senza dare
nell’occhio. Raggiunsi il parcheggio e mi infilai
nella prima AV che trovai: un piccolo furgone che mi racchiuse in una cassa.