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Autore: May90    25/01/2009    5 recensioni
[Fiction a due voci] [Ben lontana dalla vicenda originale] [La mia prima fanfiction...^_^]
Capitolo 19 "Feelings And Desires" =
"Prese un altro sorso di vino e, una volta riappoggiato il bicchiere sul tavolo, si mise a giocare passando con finta non curanza l’indice smaltato di rosso sul bordo del calice. Un’altra scena di repertorio, ma sempre molto efficace, dovevo ammetterlo. - Fai bene a parlare di gatti. – riprese, senza mutare l’espressione rilassata, ma fissando intensamente quel gesto che fingeva essere spontaneo – In quanto felini, hanno molti istinti feroci insiti in loro e un innato desiderio di scoprire le cose di persona. Non si tirano mai indietro. Quando hanno uno scopo, poi, diventano implacabili. - - Quindi l’avresti presa come una sfida? Non voleva esserlo in ogni caso. – scrollai le spalle – Strano, comunque. Credevo che i gatti fossero soprattutto animali nobili, eleganti, amanti del benessere e della tranquillità. Non questi grandi avventurieri. – - Quando sono allo stato selvatico, finiscono per essere più simili alle tigri che ai cagnetti domestici. A meno che tu non mi stia paragonando ad un innocuo barboncino. – e alzò gli occhi affilati come lame sul mio volto. - Tu invece ti stai paragonando ad una tigre…? – commentai con una smorfia dubbiosa – E soprattutto, in che modo dovresti sembrare così selvatica? Vivi in una ricca dimora, partecipi spesso a serate mondane, hai sempre una perfetta manicure… -"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tyki Mikk
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10

Carmen and Tosca


“Chi desia è posseduto: a quel che ama s’è venduto.”
(Iacopone da Todi)






Era bello essere Carmen, ma altrettanto difficile.

Se avessi dovuto trovare il modo di descriverla, avrei detto semplicemente che Carmen era una donna libera. Libera di essere ciò che voleva, di vivere come voleva, di credere e pensare ciò che voleva. Forse per questo autorizzata anche ad essere un po’ crudele, un po’ folle, un po’ ardente, un po’ gitana, un po’ vagabonda, un po’ un’estranea del mondo…
Ma perché solo “un po’”? Probabilmente anche più di quanto lo sarei stata io in qualunque circostanza.
Io non potevo essere così, non era la mia natura.
E la colpa non era certo del sangue dei Noah, che anzi forse avrebbe gioito e mi avrebbe presa per mano nel trasformarmi in una donna fatta di sola passione, che passa da un uomo all’altro senza la minima cura, reietta della società, violenta, piena di sé.
Allora era semplicemente perché quella libertà le permetteva di fare ed essere tutto ciò che desiderava…
Le invidiavo enormemente quell’onestà nell’esprimere chiaramente i suoi sentimenti, le sue decisioni, i suoi pensieri più nascosti. Non aveva nulla da nascondere, nulla da temere e poteva esibire ogni tensione del suo animo.
Retino diceva sempre che io ero estremamente sincera, ma non poteva vedermi nell’ambiente di menzogna in cui mi ero inserita con le mie mani. Un luogo in cui potevo essere felice solo se scordavo della mia identità e mi lasciavo trasportare dal clima e…dal sangue.
Altrimenti, quando percepivo la mia diversità o ricordavo il mio dovere morale, dovevo fingere, velare, nascondere, simulare perché nessuno oltre a me sapesse ciò che nascondeva il mio cuore…
Non tutti i miei parenti, comunque, ci cascavano…
Road sapeva e vedeva più di ogni altro. A volte, pensavo, ancora più del Conte. E rispondeva al mio atteggiamento forzatamente cordiale con sguardi e parole che nascondevano la minaccia. Mi era ostile e sentivo che avrebbe fatto qualunque cosa per cacciarmi. Forse non per uccidermi, non sarebbe arrivata a tanto. Ma quando guardava me, nel suo sguardo non c’era la tenera e affettuosa malizia che riservava a tutti i nostri famigliari, ma solo la crudele attitudine dell’odio più oscuro.
A differenza del Conte, che sembrava non sperare altro che la mia conversione, prova definitiva della sua onnipotenza, quella bambina provava solo il desiderio che lasciassi il suo territorio, fossi o meno una Noah non aveva importanza…

Carmen non ero io, in nessuno modo. Lei non mi rappresentava.
Nell’interpretarla, però, semplicemente mi calavo in lei come l’acqua versata in una bottiglia: priva di forma assumevo semplicemente quel contorno di libero peccato…
Forse anche questo era un effetto del mio essere Noah. Non potevo che nutrire questa impressione e provarne timore.
L’amore di quell’ardente sigaraia era sincero, su questo non ponevo dubbi. Ma lo trovavo davvero troppo leggero, superficiale, evanescente. Lei non avrebbe rinunciato a nulla, neanche per affetto. Perdere la libertà per lei significava svendere la sua anima.
Ecco perché alla fine José la uccise, folle per il suo rifiuto di tornare ad amarsi, folle di passione e gelosia.

Ancora più di questa troppo generica e vaga definizione di “libertà”, quella che desideravo sul serio era la capacità di amare senza preoccupazioni, senza dubbi o paure.
Perché io nonostante tutto quello che avevo fatto, in fondo avevo ancora paura di amare Tyki. Non per mie strane remore mentali, ma perché sapevo di agire da ingenua e sognatrice.
Forse mi sbagliavo, ma allora credevo che Tyki non potesse in alcun modo essere come José, passionale, geloso, possessivo fino alla follia.
Lui era indipendente, pieno di atteggiamenti esteriori perché nessuno potesse neanche tentare di sfiorare la sua interiorità, oscuro, misterioso, disinteressato, distante in ogni sua parola o gesto, come se nulla potesse turbarlo o interessarlo davvero.
Eppure in un contrato quasi irrazionale, non riuscivo a considerarlo un misogino o un solitario.
La sua essenza era composta di incontenibile passionalità. Forse desiderava di uno o più amori solo passeggeri, fatti di istanti e attimi destinati a bruciare in un battito di ciglia. Ma sembrava che emanasse lo sprezzo di quell’amore sentimentale e duraturo che tante donne sperano in segreto, anche se alla fine si lasciano attrarre dagli uomini in cerca di semplici avventure della notte. Non riuscivo a leggere che questo in quell’aria sicura e spavalda, quello sguardo a tratti penetrante e superbo, quell’eleganza sfatta della camicia semi-sbottonata e l’aria un po’ dandy e un po’ bohemien con la quale fumava lentamente e intensamente.
Ecco, se c’era qualcuno che capiva e condivideva lo spirito di Carmen era certo lui…
Quindi come al solito dovevo ammettere che ogni mio gesto, ogni mio pensiero, ogni pulsione del mio animo era immancabilmente rivolta a lui, nel bene o nel male.

- E’ una tragedia, Victoire! – sbraitò Dallas Johnson, aprendo senza la minima cura la porta del mio camerino, che sbatté addirittura contro la parete.
- Guarda che NULLA davvero è peggio delle cattive maniere! Quante volte ti ho già detto che devi bussare prima di entrare nella camera di una donna!? – puntualizzai subito. Lo scatto di fastidio fu molto utile per aiutare la spazzola a sciogliere un nodo tra i miei capelli, anche se mi feci un po’ male e rivolsi una smorfia di fastidio al mio riflesso nello specchio.
- Si si, lo so! – rispose senza prestare la minima attenzione al mio rimprovero.
Stava per ricominciare a parlare quando lo fermai ancora, fissandolo nella sua immagine riflessa:
- Insomma, Dallas! Che razza di maniere sono!? E se mi stessi cambiando!?  -
- In quel caso avrei fatto e visto la cosa migliore del mondo… - rispose, sorridendo.
Alzai gli occhi al cielo: - Dovrò ricordarmi di chiudere il camerino a chiave, d’ora in poi… -
- Però, Victoire! E’ successa una cosa gravissima! – riprese ancora, con un impeto che gli faceva scivolare i capelli biondicci sugli occhi – Devi venire immediatamente! -
Solo allora mi accorsi che al di là degli scherzi il ragazzo sembrava davvero preoccupato.

Quando arrivai nel magazzino strapieno e in una suggestiva penombra, vidi il panico più incredibile riflesso negli occhi di tutti i presenti.
- Cosa succede…? – chiesi, incerta e a mia volta preoccupata.
- Victoire, mia cara! – esclamò subito Retino, come sempre pieno di sussiego – E’ un disastro! – e prese uno degli appendini del guardaroba.
Vi era appeso un abito da uomo. Il problema era che per la nostra rappresentazione avrebbe dovuto essere una divisa spagnola, ma sembrava piuttosto un abito elegante di foggia italiana o francese con uno stravagante ed esageratamente grande bavero bianco.
- Ma questi sono i costumi…? – chiesi ingenuamente.
- No, infatti! Hanno sbagliato a spedirceli dal Teatro di Mosca! Questi sono i costumi della “Tosca”!- rispose l’impresario, asciugandosi il sudore nervoso dalla fronte con un fazzoletto.
- E non fanno in tempo a mandarcene degli altri, giusto? – chiesi, nel disperato tentativo di mantenere almeno io la calma.
- Assolutamente no, mia cara! Da Mosca la strada è ben lunga e poi il costo di una nuova spedizione ci distruggerebbe il bilancio! Non possiamo permettercelo! – l’uomo cominciò a camminare in circolo con l’aria di chi vorrebbe sprofondare nell’abisso più nero – In più, come se non bastasse, pagheremo la penale se non verranno utilizzate le attrezzature russe! Ho firmato una sponsorizzazione! Oh, cielo! – e con un gesto estremamente teatrale crollò su una sedia.
- Vi sentite bene? – chiesi, inginocchiandomi vicino a lui. L’anziano padrone sembrava rischiare un collasso ed era bianco come un cadavere.
- Si, io sto bene. Non è questo il problema! Oh no, oh no! Che disastro per la compagnia… - continuava a ripetere scuotendo la testa.
- Ma, signore, non si può semplicemente preparare la “Tosca”? La prima è tra due settimane! Il tempo c’è… - dissi, con calma, cercando di trasmettere un po’ di coraggio a Retino.
Lui per un attimo sembrò illuminarsi, poi scosse la testa e crollò nuovamente sullo schienale: - Oh no. Abbiamo già mandato a stampare i cartelloni… -
- Se si chiama subito la casa editrice andrà bene. -
- La penale, Victoire, la penale… -
- Se ci sarà una penale la pagherò io! – esclamai, convinta, appoggiandomi una mano sul petto.
- No, davvero, non posso chiedervi questo… -
- Ha ragione, Victoire. – disse Dallas, poggiando una mano sulla mia spalla, ma sorrise: – Faremo una colletta tra tutti e tireremo su il denaro. Giusto? – chiese ai presenti, che annuirono subito.
- Ma le prove… - sospirò ancora l’impresario, triste.
- Su due settimane, signore, ce la faremo senz’altro! Basterà un po’ di impegno in più, ma credo proprio che nessuno si tirerà indietro! –
- Victoire, in due settimane posso riorganizzare il coro, fare le prove per le comparse, ma non preparare le esibizioni dei solisti… Il signor Dallas ha già interpretato Cavaradossi, nella sua precedente compagnia… Per voi è la prima volta con Tosca… Non è un compito semplice e non posso dedicarvi quanto tempo vi servirebbe… -
Lanciai un’occhiata al tenore, che annuì, ma con estrema modestia. Era già molto famoso prima di unirsi alla nostra compagnia, sia per le sue doti canore, sia per la sua sfacciataggine da donnaiolo. Eppure quando si trattava di lavoro era davvero responsabile ed efficiente.
In realtà Retino aveva ragione. Se Dallas se la sarebbe cavata con qualche prova supplementare, io dovevo preparare dal nulla una nuova interpretazione e non avevo certo abbastanza esperienza da impiegare così poco tempo quanto ne avevamo.
- Signor Retino, se io mi esercitassi a casa? Del resto all’inizio mi basta lo spartito e la musica. Poi dovrei solo presentarmi per qualche prova sul palco, ma avrei già pronto il personaggio e non sarebbe necessario far perdere tempo a tutti. -
L’impresario a queste parole aveva ripreso colore e un atteggiamento più tranquillo. Si lisciò i baffi scrutandomi serissimo, poi sorrise e infine annuì.
- Allora va bene! Vi voglio tutti attivi e al massimo della forma! Abbiamo un tempo limite per mettere in campo un’opera del tutto diversa da quella che abbiamo preparato in questo mese! -
Balzò in piedi come se fosse ringiovanito di trent’anni in un colpo e prese ad arringare ancora più arditamente tutti gli addetti: - E’ un’impresa titanica! Ma se noi non fossimo titani non lavoreremmo al cospetto di Melpomene, la nostra gloriosa Musa! Vi chiedo sforzo e fatica per rendere onore alla nostra arte, signori miei! Nulla è più eroico di una compagnia teatrale che sfrutta ogni sua energia più residua per il suo grande orgoglio e dovere! Siate orgogliosi di chi siete e di che mestiere fate! Tutti, musicisti, cantanti, coristi, costumisti, scenografi, direttori di palcoscenico e magazzinieri, siete parte onorevole di questo nostro enorme progetto e proprio per questo bisogna che agiamo come un corpo solo per gestire questa crisi, da cui possiamo e dobbiamo uscire vincitori! –
- Si! – il coro festoso si alzò spontaneamente dai presenti.
Io sorridevo allegra. Sentire parlare il padrone con tanta passione era inebriante.
- Il percorso geografico – continuò l’anziano gestore, sempre più agguerrito – è vasto ed estraniante, me ne rendo conto: stiamo passando dalla Spagna dei masnadieri, alla Roma dei papi e degli artisti! Tuttavia, non sarà questo a fermarci! I teatranti sono cittadini del mondo! Sappiamo chi siamo ma anche chi dobbiamo essere! Quindi, preparatevi a ricevere ciascuno i vostri primi compiti! – puntò il dito verso un giovane magazziniere – Randal Webster, nostro grande amico dal Paese del sommo Shakespeare, voi siete incaricato di andare immediatamente alla casa editrice a fermare la stampa e ad ordinare un cambio di locandina: al Teatro “Racine” di Nantes si rappresenta “La Tosca”! -
Si levarono spontaneamente altre grida di giubilo e tutti avevano già smesso di pensare alla fatica che avrebbero dovuto sostenere.

- Pensi davvero di farcela, Victoire? Preparare il personaggio di Tosca da sola non è una passeggiata. Cantare è il meno, ormai dovresti saperlo. Potrei darti una mano, se vuoi. -
Dallas mi stava seguendo per il corridoio senza alcun tipo di ritegno. Snocciolava quelle frasi galanti mettendo solo brevi pause come se si aspettasse una mia risposta, che chiaramente non avevo intenzione di concedergli. Arrivata alla fine alla porta del mio camerino fui costretta a dargli retta e mi voltai.
La sua offerta era sincera perché per ragioni di professionalità desiderava davvero che la rappresentazione andasse al meglio. Ma nonostante questo l’espressione sorniona dei suoi smunti occhi azzurri, quell’aria compunta con la quale si scostava i capelli biondi dal viso e il petto gonfio d’orgoglio facevano presupporre ragioni ben diverse. E chiaramente queste sue idee non mi interessavano per nulla.
Per un attimo mi passarono per la mente diversi momenti in cui avevo visto Tyki elegantemente provocatorio, ma mi resi subito conto della netta differenza tra i due: in lui il fascino e lo stile di approccio erano più studiati e quindi fini e gradevoli, mentre l’americano era decisamente troppo spudorato, pomposo, insistente e, di conseguenza, indecente. Riusciva ad innervosirmi da morire.  
- Tranquillo, Dallas, me la caverò benissimo. – risposi, cercando di restare cordiale, anche se non vedevo l’ora di togliermelo dai piedi.
- Da sola!? Insomma, avrai bisogno di qualcuno che ti segua e ti aiuti… - e insistendo assumeva sempre più l’aria della provola. Tanto che mi veniva quasi da ridere, nonostante tutto.
- Ho già chi lo farà. Non hai bisogno di scomodarti. –
- Non sarà per caso il tuo tanto famoso quanto sconosciuto fidanzato… - commentò con un sorriso che dire malizioso era troppo poco. L’aggettivo “malevolo” si adattava di più.
- Esatto! – risposi, prontissima, sorridendo sfacciatamente.
Ad essere onesta, quando avevo pensato che qualcuno avrebbe potuto e voluto aiutarmi con le prove, purtroppo mi era venuto in mente il Conte… Forza di inerzia, immagino… Con mio sommo rammarico, sarei finita a cantare con quell’essere bizzarro al pianoforte… Il pensiero non mi piaceva.
Tuttavia, ero quasi certa di aver capito alla cena di qualche tempo prima che anche Tyki sapeva suonare… Era una prospettiva imbarazzante, ma molto più gratificante… Anche se del tutto improbabile…
Quindi alla fine quella risposta decisa era più una menzogna che altro. Per fortuna, comunque, Dallas non aveva intuito né mi conosceva abbastanza da capire quando mentivo.
Sbuffò, insoddisfatto: - Vorrei proprio vederlo questo tale… -
Alzai gli occhi al cielo: - Me l’hai già detto. E poi comunque non sono affari tuoi. Se vuoi parlare di questa tua solita, insopportabile polemica, faccio che entrare in camerino e mollarti qui! –
- Insomma, Victoire… Un inesperto piuttosto che aiutarti può portarti fuori strada… Io invece, che conosco bene il personaggio oltre che le arie, posso aiutarti certo molto di più… -
Stava cambiando tecnica, ora era quasi implorante.
Comunque non mi sarei certo commossa per quelle due moine.
- Sai perché Retino non ha avuto alcun dubbio quando gli ho detto che avrei preparato da sola la mia Tosca? – gli sorrisi candidamente – Perché io SONO Tosca. Quindi smettila di tormentarmi, d’accordo? –
Rimase basito e ne approfittai per aprire la porta e infilarmi nella stanza: - Ah, quindi non ci vedremo per un po’. Probabilmente fino alle ultime prove del prossimo-prossimo mercoledì… Ciao! – e gli richiusi la porta in faccia.

Passare da Carmen a Tosca in fondo era un sollievo.
Lei era un personaggio davvero romantico e tenero, una donna piena di illusioni, speranze insoddisfatte e scelte dolorose. Una persona onesta, tanto da fidarsi anche della promessa di un suo nemico e tanto ardita da ucciderlo con le sue mani. Una donna gelosa, ma razionale, forte, anche se troppo innamorata da fare la scelta più giusta e coraggiosa.
Quindi sentivo di assomigliare molto di più alla cantante che alla sigaraia, non c’erano dubbi.
Per riflesso, Cavaradossi doveva essere lui. Ma in cosa? L’unica vera somiglianza era l’intemperanza interiore, quell’ardore rivoluzionario che animava il pittore pontificio… Troppo poco…
Ma sapevo che sarei riuscita a sentirmi davvero coinvolta dalla vicenda. Perché nella mia mente il barone Scarpia era diventato subito il Conte.
Un uomo disposto a tutto per prendere possesso di Tosca, per attirarla a sé. Fino alla disposizione del ricatto crudele con posta in gioco la vita del suo amato. Un malvagio che fin dall’inizio gioca crudelmente con i sentimenti della ragazza, convincendola di volerla aiutare quando invece predispone tutto per l’inganno finale, il più odioso, il più nero.
Il finale mi chiudeva il cuore. Scarpia aveva promesso a Tosca di salvare il suo amato in cambio del suo corpo. Le armi sarebbero state caricate a salve, Cavaradossi si sarebbe salvato. Lei cedette, ma al momento del suo pagamento ebbe abbastanza volontà da uccidere il malvagio…
La giovane illusa credeva nonostante tutto nella buona fede del suo ricattatore e si vide invece morire di fronte ai suoi occhi l’uomo amato. Affranta, sola, distrutta decise per il suicido.
Troppo crudele. Troppo ingiusto. Troppo parallelo al reale…
Anche il capo aveva agito così. La merce di scambio non era tanto la mia anima quanto quella della persona a cui tenevo. E infondo anche il piano era un po’ lo stesso. La morte come la definitiva sottomissione al sangue dei Noah. Prima avrebbe fatto cadere lui, poi immancabilmente sarei crollata anch’io, proprio come Tosca si buttò da Castel Sant’Angelo…
Questa era la sua idea… Non glielo avrei permesso… Non sapevo come, ma sarei stata più attenta e meno ingenua di Tosca… A qualunque costo…

- Buon pomeriggio, famiglia. – esclamai entrando nella sala di casa.
- Oh, guarda chi si vede… - commentò Debit rivolgendomi un cenno della mano.
Fui davvero felice che non avesse in mano al solito la sua pistola dorata. Vedermela puntare addosso non mi metteva molto a mio agio.
- Oh, già, Vivy! Così presto… Ih-ih-ih!!! – fece subito eco il gemello, “accartocciato” su una sedia in una posizione che io avrei considerato scomodissima.
- Già. E’ che ci sono stati di nuovo guai a teatro… - risposi sedendomi su una poltrona di velluto nero.
- Ma non mi dire… -
- Lo dici sempre… Ih-ih! –
Sospirai: - Ma questa volta, è grave davvero… -
Da svogliati e distratti, entrambi si voltarono di scatto verso di me e mi si pararono davanti, prendendomi letteralmente d’assedio:
- Niente rappresentazione!?!? – chiesero, con un entusiasmo che mi fece sorridere.
- Beh, niente “Carmen”… - risposi, lasciando appositamente una pausa più lunga del necessario.
Chissà da dove veniva tutta quella mia voglia di scherzare…
- Oh, be’… Che vuoi farci, Vivy…? Capita, no… - riprese Debit, rinfrancato, fingendo di nuovo assoluto disinteresse e sedendosi ancora sulla sua sedia imbottita, scompostamente.
E Jusdero gli si affiancò subito, con lo stesso atteggiamento soave, anche se con quella risata un po’ stridula: - Vero, vero… Succede, succede… Ih-ih… -
Si scambiarono uno sguardo complice e presero a ridere di gusto, visibilmente sollevati.
- Ma… - al che entrambi sgranarono gli occhi – Non significa che non faremo nulla… Devo preparare un’altra opera… -
- VIVY!!!! – sbraitarono, angosciati – NON DIRAI SUL SERIO!!! –
- Be’ si… Vi prego, però, non fate quelle facce… - aggrottai le sopraciglia.
D’accordo, li avevo stuzzicati, ma erano davvero anche troppo drammatici…
- Oh no!!! Il Conte ci vorrà portare ancora a teatro!!! -
- No, il teatro no!!! – e, probabilmente per lo shock, invece della classica risatina, Jusdero interpretò un magnifico lamento greco.
Pensai di rassicurarli sul fatto che il capo probabilmente, viste le voci di dissenso che aveva ricevuto il giorno prima, non si sarebbe più illuso di portarli a vedermi. Tuttavia avevo ormai capito che quando i gemelli arrivavano a quei livelli di panico c’era poco da fare. Si sarebbero calmati solo di fronte a qualche grave distrazione. E speravo di non procurare loro qualcosa di simile o ne temevo i risultati.
- A proposito di lui… Avete per caso idea di dove sia il Conte? -
- Nello studio, credo. – rispose Debit, improvvisamente calmo, prima di tornare altrettanto repentinamente a lamentarsi a voce altissima.
- Grazie… - risposi e mi avviai verso la porta.
Poi mi venne in mente una cosa veramente stupida… Al solito…
- E Tyki? Dov’è? – chiesi ancora e questa volta mi sforzai di essere ancora più controllata e neutra.
- AH-AH!!! – esclamarono entrambi, distraendosi subito dalla loro occupazione e correndo di nuovo entusiasti nella mia direzione. Pessimo segno.
- Perché lo vuoi sapere!? Ih-ih!!! Ih! –
Rimasi per un momento sconcertata dal sentir parlare Jusdero prima del fratello, verso il quale per istinto mi ero rivolta subito.
- No, nulla di particolare… Dovevo chiedergli una cosa… - risposi vaga e ancora stranita.
Mi fissarono, i visi truccati segnati dalla curiosità, poi si strinsero semplicemente nelle spalle:
- Affari vostri. Meglio non mettersi tra i fidanzatini, no, fratello? -
- Si-si! “Tra… “ –
- “…moglie…” –
- “…e…” –
- “…marito…” –
- “…non…” –
- “…mettere…” –
- … Eh… Cosa…? Ih-ih-ih!!! –
- Ma si, Jusdero… - lo interruppe l’altro, sicuro - …Non mettere… la… il… Cosa accidenti era!?!? –
Sospirai, scuotendo la testa: - “…il dito.” –
- Già, ecco, appunto!!! – esclamarono all’unisono.
- Ma non vi sembra un po’ prestino per questi proverbi…? – commentai, spazientita.
Chiaramente non mi stavano neanche ascoltando.
Per quel giorno ne avevo davvero abbastanza di gente che parlava invece di ascoltare…
- Comunque, è chiuso in camera a dormire. Questa mattina Road e Lulubell lo hanno trascinato a fare spese. -
- Ah… -
Dopo una cosa simile, dubitavo fosse in forma o quantomeno di buon umore…
- Però Lulubell lo mette il dito… Vero…? – rise Debit, estraendo alla fine la sua preziosa pistola, che da come brillava sembrava lucidata di fresco.
Sgranai gli occhi: - In che senso…? –
- Ma si, ma si! Oggi era davvero spettacolare! Ih-ih! – aggiunse il gemello, cominciando anche lui a passarsi la pistola da una mano all’atra.
- Cosa significa questa storia? –
Non mi piacevano le malelingue, ma quelle frasi misteriose mi inquietavano e mi lasciavano un retrogusto fastidioso.
- L’hai mai vista elegante!? Oggi è tornata con un vestito verde! Addosso! -
- E quindi…? – chiesi, perplessa – Non è un bene che vesta femminile, finalmente…? -
- E proprio dopo una sua strana e non programmata uscita…? In compagnia di quel tiratissimo di Tyki…? Fossi in te, comincerei a preoccuparmi, Vivy… -
- Ma… - tentai di ribattere, poi me ne pentii e per poco arrivai anche a mordermi la lingua per non parlare.
Chiacchiere, stupide chiacchiere. Non mi importava di cose simili. E poi i gemelli erano dei gran chiacchieroni e non sempre a proposito.
- Ho capito, tranquilli. Ora vado dal Conte, però. A dopo. – risposi, sbrigativa, uscendo dalla sala.

- Ottimo, Vivy! Veramente ottimo! -
Sapevo che il Conte avrebbe risposto così, con tutto quello spensierato entusiasmo.
Niente frasi tipo: “Non ho tempo, cara… Però puoi sempre chiedere al secondo musicista migliore della casa…”, oppure un più malizioso “Eppure sono sicuro che preferisci un altro pianista… Vado a chiamarlo…”.
Troppo tardi mi ricordai che in presenza del capo dovevo evitare di pensare, troppo intensamente almeno. Però lui non reagì in alcun modo:
- Vieni con me! Cominciamo subito! –  

Mi portò, quasi saltellando, in una stanza che non avevo mai visto. Pareti nerissime su cui erano appesi solo specchi con cornici spesse ed elaborate. Un paio di mobili di legno colorato di tonalità shocking carichi di carte, libri e cianfrusaglie di vario e discutibile gusto. Infine, al centro della camera, un grandissimo pianoforte a coda, scuro e lucido, di foggia moderna, che occupava mezza stanza.
- Come mai qui? – chiesi – Credevo saremmo andati nella sala del pianoforte d’oro… -
Il Conte si voltò nel massimo splendore del suo ghigno giocondo:
- Eh no… Quello è un pianoforte speciale che posso toccare solo io e che ha delle virtù particolari! Non ci posso suonare tutta la musica che voglio, ma solo quella “necessaria”! La musica di quello strumento ha dei poteri molto importanti per noi! -
- Davvero…? – dissi, sperando che continuasse a spiegare.
- Già! Quindi dobbiamo esercitarci qui! – rispose, assestandosi comodamente sulla panchetta di fronte alla tastiera. Mi chiesi come facesse a reggerlo, ma non mi stupii che miracolosamente non si fosse sbriciolata sotto il suo imponente peso.
Comunque aveva iniziato a fare finta di nulla. Non era interessato a continuare quella discussione e tantomeno con me…
- Non avete bisogno dello spartito, Conte? -
- Per nulla, Vivy! Io mi ricordo tutte le opere a memoria! – rispose, più che mai divertito – Però su quel mobile laggiù deve esserci un libretto con il testo e qualche indicazione di tonalità! –
- Ah, grazie. – risposi, andando subito a cercare in quegli scaffali polverosi.
- L’hai trovato!? –
- Si. – e passai una mano su una copertina grigia, che dopo quel gesto, liberata dalla polvere, si rivelò essere bianca.
- Bene, allora, all’opera! – esclamò sogghignando.

Le prove con il Conte si rivelavano meno dannose e antipatiche di quanto credevo. Certo, la sua presenza mi metteva comunque in difficoltà e per questo non riuscivo a calarmi davvero nel personaggio. Collaboravano poi alla tensione i suoi tentacoli che scorrevano velocissimi, pieni di virtuosismi, sui tasti e mi facevano in effetti un po’ impressione. Quindi mi riuscivo a dedicare solo al canto, a renderlo il più possibile corretto e dosato. Alla fine di ogni aria, il capo si scioglieva in mille complimenti, anche talmente pazzeschi da darmi parecchio fastidio… Ma a parte questi elementi negativi, non stava andando male…

Solo che alla fine della quinta aria, si udirono degli applausi leggeri e moderati.
- Molto bene… -
Era appoggiato mollemente allo stipite della porta, che non mi ero neanche accorta che fosse stata aperta. Un sorrisetto furbo sul volto, tipico di quell’orgoglio infido che accompagna chi stupisce con un’entrata ad effetto e inaspettata. Le cicatrici coperte dai capelli scompigliati con una strana grazia sulla fronte. Gli occhi gialli ancora un po’ assonnati, ma attenti, che ci scrutavano. E si, l’immancabile camicia bianca aperta per un paio di bottoni dal colletto, anche se al contrario accuratamente infilata nei pantaloni neri.
Dopo lo stupore e lo spavento iniziale, non potei che sorridere, imbarazzata:
- Grazie mille, Tyki… Dormito bene? -
- Si, finalmente. Ora mi sento meglio… - rispose accompagnando il commento con un plastico stiracchiamento.
- Ti abbiamo svegliato, Tyki-pon!? – chiese il Conte, con innata carineria.
- A dir la verità, si. Però non è stato un brutto risveglio. – sorrise, cordiale.
Che davvero non fossero parole leggere e bugiarde? Nonostante l’apparenza formale, non sembrava che fingesse. Allora erano complimenti sinceri… Probabilmente stavo arrossendo…e sentivo di non potermelo permettere…
- Oh, bene! Quindi ti piace l’opera!? – esclamò il Conte, sempre più arzillo.
Aggrottò le sopraciglia: - Non esageriamo. Non è che la conosca abbastanza da dire una cosa simile. Però ammetto che ha qualcosa di interessante… -
- E’ già molto! Vero, Vivy!? -
- Assolutamente. – risposi – Meglio di certo delle reazioni dei gemelli… -
- Perché…? – mi chiese il ragazzo, già ridendo.
- Be’, poco fa hanno fatto di nuovo una scena incredibile, quando hanno saputo della nuova rappresentazione… - sorrisi, comprensiva.
- Che maleducati! – si intromise il Conte, con fervore – I Jusdebit non dovrebbero fare così! –
Tyki si lasciò andare ad una risata maliziosa: - Mi immagino la scena…! Che deficienti…! –
- Ma Tyki-pon!!!! -
- Su, Conte! Sono bambini alla fine! Non fate il fiscale! – e scrollò le spalle – Tanto non credo che Vivy si sia offesa! –
- Proprio no. Ognuno ha i suoi gusti… -
- Allora, d’accordo! – poi si voltò verso di me – Comunque, Vivy, temo di doverti lasciare…! Ho alcuni impegni importanti…! Ti posso lasciare con Tyki!? –
- …Io…? – chiese lui, puntandosi addosso l’indice, confuso.
- Si! Vivy deve continuare a provare per la rappresentazione che avrà luogo tra due settimane! Vero che suonerai tu al posto mio!? – chiese il Conte, alzandosi dalla panchetta con un bizzarro saltello.
Si vedeva distintamente che stava gongolando per come andavano le cose. Mi chiesi quale fosse esattamente il suo piano, ma alla fine mi accontentai di prendere atto che per una volta la sua idea coincideva con la mia speranza. Forse non era un bene. Comunque, nonostante lo desiderassi, stavo già diventando molto nervosa…
- Se mi ritenete all’altezza… - disse con un’aria ancora un po’ incerta.
- Si, certo! Suoni piuttosto bene, Tyki! Basterà andare a cercare gli spartiti! Dovrebbero essere anche quelli lì in mezzo! – e indicò ancora la vasta libreria.
- Be’, allora Vivy…? Per te va bene? – e un sorriso ironico gli comparve sul viso a quella domanda.
- Si, nessun problema… -
Anche se il problema c’era eccome perché mi sentivo addosso un’emozione e un panico non indifferente.

- Umph… - bofonchiò, fissando dubbioso i tasti del pianoforte.
- Qualche problema? – chiesi guardandolo in quello strano atteggiamento.
Si voltò con un’espressione di sufficienza: - Non credo. Penso che l’istinto del musicista mi verrà con le note davanti… - poi tornò a scrutare lo strumento e aggiunse a voce più bassa - Per ora questa alternanza bianca e nera mi è sconosciuta… -
- Com’è possibile? – domandai, mentre continuavo a spostare libri e tonnellate di polvere in cerca degli spartiti.
- Credo sia un misterioso potere Noah… - rispose, indifferente.
- In effetti mi sembrava strano che avessi imparato volontariamente a suonare! Quindi tu sei capace di usare il pianoforte d’oro, dato che possiedi questa capacità innata? –
- No. Quella è una prerogativa del Conte. In realtà è solo perché è il nostro “suonatore” che sa suonare ogni diversa musica desidera.. -
- Continuo a non capire… - risposi.
Ma Tyki non aveva voglia di spiegarmi: - Lascia perdere, Vivy… Il punto è che il Conte è in ogni caso molto più bravo di me con il pianoforte, quindi ti devi accontentare di un musicista piuttosto mediocre. -
- Figurati se è un problema… L’importante è che suoni le note giuste… - risi.
- Allora qual è il problema…? – mi chiese all’improvviso.
- Problema…? – dissi, cercando di restare indifferente, anche se due libri parecchio pesanti mi stavano per cadere di mano.
- Vivy… Lo sai che mi accorgo quando menti… Anche se non so perché… Ti ho chiesto se c’erano problemi e hai detto di no, ma con un’aria del tutto stranita. Quindi? –
Si vedeva che ero in difficoltà!? Malissimo… Tanto più che lui amava sempre un sacco approfittare dei miei momenti di confusione…
- Niente, Tyki… Non ho alcun problema, davvero… - risposi, continuando ad evitare di guardarlo con la scusa della ricerca negli scaffali zeppi.
- Sicura? – con un tono insinuatore.
- Trovati! – esclamai cambiando provvidenzialmente discorso e mi voltai per soffiare via parte della sporcizia dall’insieme di fogli.
Non mi ero accorta che lui si era avvicinato e finii per mandargli tutta quella polvere addosso come una nuvola.
- Ah! In faccia, Vivy!? – con tono un po’ irritato.
- Oddio! Scusami! – dissi, forse anche più allarmata del necessario.
Sorrise, gentile: - Sto scherzando! Non mi hai fatto niente! – ma si sfregava insistentemente gli occhi.
- Ti ho mandato la polvere negli occhi! Che stupida! Aspetta! Vieni a sederti! –
- Non preoccuparti! Non sto morendo! Stai tranquilla! – ma si lasciò condurre fino al sedile del pianoforte.
Rideva allegramente, anche se gli occhi gli lacrimavano. Probabilmente per la scena, che ripensandoci era stata davvero demenziale…
- Ok, adesso cerca di tenere gli occhi aperti…! – gli chiesi.
Lui annuì, un sorriso divertito impresso sulle labbra.
Mi accostai al suo viso e soffiai piano su quegli occhi spalancati a forza.
- Come va ora? – chiesi, preoccupata.
Sbatté un paio di volte le palpebre e poi mi guardò:
- Molto meglio. –
Solo che poi avvenne qualcosa che non mi aspettavo. Il suo sorriso mutò e divenne stranamente aperto e sincero: - Non dovresti preoccuparti così tanto per cose così stupide, Vivy… Non l’hai fatto apposta… - e poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, mi prese la mano e se la portò alla bocca.
Ecco. Probabilmente avevo assunto un rossore tutt’altro che lieve, a giudicare anche dalla frequenza dei battiti del mio cuore, ma non potevo evitarlo. Oltretutto, mi ero anche appena accorta che il mio viso era rimasto pericolosamente vicino al suo…
Ma che pericolo c’era? Perché mi preoccupavo? Cosa c’era di male? Non era uno sconosciuto con il quale una cosa simile sarebbe stata impudente o maleducata…
Bastava un momento. Non serviva molto altro.
Perché anche quella breve distanza non poteva annullarsi e basta? Perché nonostante quella vicinanza, lui aveva pensato istintivamente alla mia mano e non alla mia bocca…?
Io non ero abbastanza coraggiosa da farmi avanti. Provavo troppa paura di sbagliare. Di mostrarmi una donna facile, che lui potesse usare e buttare via. Di essere troppo diretta e rompere quel misterioso equilibrio che stavamo costruendo. Di vedere quei miei sentimenti, quel mio desiderio di averlo vicino, sfruttati o peggio ancora rifiutati da lui. O trasformati in armi per farmi annullare dal Conte.
Ma stava già succedendo in realtà. Io soprattutto in quel momento ero Tosca, che avrebbe venduto se stessa per avere l’uomo che amava…
Tyki aveva già lasciato la mia mano, ma restava fermo, improvvisamente serio, a ricambiare il mio sguardo e basta. Avrei fatto di tutto per sapere cosa stava pensando.
Per quanto mi riguardava, i miei occhi sembravano non saziarsi mai di vederlo da così vicino e non facevano che attraversare e riattraversare tutti i tratti del suo volto. Avrei voluto abbracciarlo forte, poi prendere quel viso tra le mani e baciare quelle labbra con tutto quel sentimento assurdo che provavo.
Ma non ero Carmen. Non ne avevo la forza né la libertà…
E in un attimo tutto cambiò ancora.
Tyki distolse lo sguardo, prese in mano gli spartiti e disse, con una calma innaturale:
- Però ora è meglio se cominciamo o non finiremo mai… -

Il mio cuore batté due volte più veloce della norma per tutto il tempo delle prove. Ormai non ne avevo più il controllo.
Eppure cantai meglio di sempre e mai fui così felice di aver dato il meglio di me. Tyki suonava con calma, senza sbagliare neanche una nota, proprio come gli avevo chiesto per scherzo. Era concentratissimo e, anche se non si lanciava negli strani virtuosismi del Conte, il suo modo di suonare era fluido e rilassato. Perfetto…
- Secondo me, vai già benissimo così. – commentò sinceramente quando finimmo.
- Sei gentile, ma non posso accontentarmi. Senza prove in teatro tranne gli ultimi giorni devo continuare a darmi da fare… -
- Certo, capisco. -
Mi feci coraggio e chiesi, probabilmente con maggiore timidezza del necessario: - Senti, Tyki… Potresti suonare per me anche domani…? – presi fiato e aggiunsi – Quando puoi, non appena hai tempo… E non sei obbligato… Però finché resti a casa… Mi farebbe piacere… -
Mi guardò assolutamente neutrale, come a studiarmi, e infine rispose, con un sorriso ironico: - Se non verrò obbligato ad altre misteriose commissioni, non ci sono problemi. –
Gli sorrisi di rimando e poi uscimmo insieme dalla stanza.

Riusciva addirittura a rendermi una ragazzina timida e timorosa. Mi chiedevo se tra tutte queste sue strane abilità non ci fosse per caso ancora quella di voler bene come un essere umano…







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Salve a tutti!
Eccomi con un capitolo (un po' lunghino, in effetti) narrato da Vivy, anche lei presa da strani contrasti, guidati in questo caso da due famosissime figure femminili del mondo operistico...
Tra l'altro ho trovato delle citazioni molto azzeccate per tutti i capitoli come questa del caro Iacopone... Appena avrò un po' di tempo, le aggiungerò sotto a tutti i titoli precedenti... XD
Mi dispiace un po' di non aver ricevuto commenti riguardo il capitolo scorso, ma ho visto di aver avuto quasi 90 visite e questo mi gratifica molto di più... Grazie infinite a tutti coloro che hanno letto e spero continueranno a farlo!!!

Rispondo anche ad una recensione lasciata su un altro capitolo:
Tyki Mikk = caspita! Vedersi recensire da un nickname simile fa davvero uno strano effetto... O_O Ti ringrazio moltissimo per i complimenti generosissimi! Cerco di fare del mio meglio per trattare Tyki con i guanti di velluto (ogni gioco di parole è assolutamente voluto... ^_^)! Si, in effetti quel capitolo è uno dei più apprezzati e condivido che è uno di quelli che ho scritto meglio... Grazie mille davvero! Non sono riuscita a capire se hai letto anche i capitoli seguenti (lo spero), in ogni caso spero arriverai fino qui a leggere questi ringraziamenti! XD

  
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