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Autore: Gora_DC    30/07/2015    3 recensioni
Avete mai pensato a come sarebbe stato il seguito della quinta stagione? A cosa sarebbe successo dopo l'annullamento del matrimonio? Che cosa è successo a Justin e Brian dopo il trasferimento??? Ecco cosa ha partorito la mia mente.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Brian Kinney, Justin Taylor, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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19:45  19/07/2010
 
Il nodo alla cravatta stretto.
 
I capelli minuziosamente sistemati.
 
Passò le mani per lisciare la camicia bianca che aveva appena indossato e sospira.
 
Era pronto. Era deciso. Era nato per quello e lui lo sapeva, ne era certo.
 
La camera in cui si trova era decisamente luminosa, elegante e molto ben curata. Non a caso aveva scelto il migliore hotel dello Stato per poter esaudire questo sogno. Il sogno di una vita, quello per cui aveva lasciato tutto e tutti, quello per cui aveva lottato fin da piccolo, che gli aveva permesso di raggiungere il successo. E ora era lì, a guardarsi davanti allo specchio più grande e lussuoso che avesse mai visto e a ripetersi che era pronto, che poteva farcela, che era arrivato il momento di prendere in mano la sua vita. Sì, in precedenza aveva sbagliato, aveva consentito agli altri di dirgli cosa fare, si era fatto plasmare e aveva permesso, con tante belle parole, di farsi dire cosa era giusto e cosa era sbagliato. Ma ora era arrivata l’ora di smetterla, era il momento di scegliere per se stesso, della sua vita e della sua felicità.
 
Ed era lì, a curare ogni minimo dettaglio di quella che sarebbe stata la giornata più importante della sua vita, quella che aspettava da praticamente sempre e che avrebbe impedito a chiunque di rovinare.
 
“Sono pronto.”
 
Continuava a ripetersi allo specchio, mentre cercava di ignorare il trambusto di chi eseguiva i suoi ordini al piano di sotto. Ma era impossibile, di là c’erano i suoi migliori amici, erano quelli che lo avevano visto crescere, maturare, sbagliare, amare e spezzarsi, ora erano lì a fare tutto quello che aveva chiesto loro. Perché nessuno gli avrebbe negato aiuto, nessuno sarebbe stato capace di dirgli “no”, non amici come loro, non persone che ci sono sempre state, quelli che se c’era qualcosa di sbagliato nelle tue scelte te lo dicevano dritto in faccia, quelli che non si erano mai preoccupati di sentimentalismi se ciò che stavi facendo fosse stato sbagliato.
 
E quando si era ritrovato nel cuore della notte a chiamare Michael e a spiegargli che aveva avuto un’illuminazione, che la sua vita non era quella che in realtà voleva, che era arrivato il momento di dire basta e girare finalmente quelle carte che per troppo tempo erano state coperte, che aveva bisogno di sentirsi realizzato, completo, bastò una parola per passare tutte la notte a parlarne, a fare piani e progettare ogni singolo momento di quello che sarebbe stato l’evento dell’anno.
 
Da quel giorno erano passati esattamente tre mesi, undici giorni e dieci ore.
 
 
***
09:05 30/08/2005
 
“Hai preso tutto?”
 
“Si.”
 
“A che ora parte l’aereo?”
 
“Alle dieci.” Justin era fermo davanti la porta, con tutti i suoi vestiti in due grosse valige di Prada, l’ultimo regalo di Brian. “Brian…”
 
“No Justin… Non una parola!”
 
E come era successo per due intere settimane da quando era stato annullato il matrimonio, Brian azzittiva Justin. Di tutto era concesso parlare tranne di quello. Era stato lui a dire a Justin di inseguire i suoi sogni, di diventare qualcuno, a spingerlo verso i soldi e la fama, ma era come se per un momento, per un attimo solo avesse sperato che Justin restasse, che decidesse di lottare ancora per lui.
 
Era come se Brian Kinney quel matrimonio lo voleva davvero, ma neanche sotto tortura avrebbe avuto le palle di ammetterlo.
 
“Tra un po’ devo essere anche io in ufficio, forse è il caso…”
 
Si conoscevano da cinque anni, forse per qualcuno poteva sembrare niente, ma per Justin era un tempo veramente lungo, soprattutto dacché la sua vera vita era iniziata a diciassette anni al suo fianco, e da allora aveva imparato a comprenderne i silenzi, era in grado di capire cosa ci fosse sotto ogni singola parola. Avrebbe voluto urlare in quel momento, dimostrargli che nessun riccone e false promesse gli avrebbero impedito di continuare ad amarlo. Eppure, ora, si trovava sul ciglio di quella porta, senza sapere cosa ne sarebbe stato di lui, senza sapere quando l’avrebbe rivisto, se l’avrebbe rivisto. La sua vita era diventata un punto interrogativo e tutto quello che non avrebbe voluto fare era mettere un punto alla sua storia con Brian. Ci avevano messo cinque anni per arrivare a dove erano, cinque anni di lascia e prendi, di corse contro il tempo, ricorrendosi a vicenda.
 
C’erano stati momenti in cui Brian aveva sbagliato.
 
C’erano stati momenti in cui Justin aveva sbagliato.
 
Ma ora, ora erano in quel punto della vita dove tutto era perfetto, avevano la salute, una bella casa, progetti per il futuro e amore.
 
Ed era come riviverlo ancora e ancora.
 
Quella corsa, quell’abbraccio che sapeva di fuliggine, quel bacio che aveva il sapore di cenere, di paura e spavento ma anche di felicità e quelle parole, sussurrate, ripetute e poi urlate: “Ti amo!” e quello che sembrava un incubo ad occhi aperti, si era magicamente trasformato in un sogno, in quello più bello, da dove non ci si vuole più svegliare.
 
E poi la favola era continuata per giorni, settimane.
 
Come un uragano.
 
Come un nuovo inizio.
 
Brian che gli chiedeva di sposarlo, che lo ripeteva, che non accettava un no, che comprava casa per dimostrarlo, che vendeva il loft per fargli dire “sì”, che cercava in tutti i modi di rendere Justin, il suo amato Justin, felice.
 
Era stato proprio quest’ultimo a dire a sua madre che l’amore non era scendere a compromessi o sarebbero stati solo sacrifici, ma doveva essere un piacere, un andare l’uno incontro all’altro. Aveva lasciato Brian per questo. Aveva preferito affittarsi un tugurio piuttosto che costringere Brian a cambiare lo stile di vita che tanto amava. Aveva preferito lasciarlo libero piuttosto che costringerlo alla solita routine familiare che tanto detestava.
E quando tutto sembrava essere perduto, finito, ecco che l’uragano Kinney si era avventato nuovamente sulla sua vita per rivoluzionarla, proprio come cinque anni prima, e, proprio come allora, per esaudire i suoi sogni.
 
Voleva sposarlo(,). Per quanto assurda e pazzesca potesse sembrare la cosa era vero.
 
Ma poi era arrivata la mostra di Lindsay e il successo che ne era conseguito, e quella meravigliosa nuvola in cui erano andati a vivere si era del tutto spostata facendoli cadere nel vuoto.
 
C’era stato un momento in cui Justin aveva sperato che il sogno perfetto che stava vivendo fosse vero, ma bastò un soffio per farlo scomparire e risvegliarsi.
 
E come nei peggiori incubi era di nuovo lì, sul ciglio di quella porta a dire “addio” alla persona che aveva sempre amato, che nonostante tutto non aveva mai smesso di essere il suo tutto e che, comunque sarebbero andate le cose, sarebbe stata una parte importante della sua vita.
 
“Niente promesse, niente telefonate, niente email.”
 
Era stato fin troppo chiaro Brian, quello era l’ultimo giorno in cui avrebbe fatto parte della sua vita. Non ci sarebbe più stato quel futuro tanto atteso, ma solo due futuri separati, destinati a scorrere paralleli senza più incrociarsi.
 
Era solo tempo e il tempo non si può controllare.
 
Se era destino che un giorno si sarebbero rivisti, sarebbe successo.
 
Non ci furono baci, non ci furono lacrime o addii.
 
Ci fu solo Justin che aprì per l’ultima volta la porta di quella che per la prima volta aveva sentito veramente come casa, che gli aveva regalato amore, protezione, rifugio, e andò via.
 
 
***
20:10 19/07/2010
 
Mai in vita sua aveva visto uno sguardo tanto fiero e deciso sul suo volto.
 
Lindsay era appena passata per avvisare che di sotto era tutto pronto, ogni cosa era al suo posto e poteva star tranquillo.
 
E in fondo lui era tranquillo. Non aveva occhiaie, la sua pelle era liscia e riposata, era sereno e non sapeva neanche dove fosse finita l’ansia degli ultimi giorni.
 
Un lieve bussare alla porta gli fece perdere un battito. “Ecco sarà successo qualcosa” pensò prima di urlare “avanti!”
 
“Posso?”
 
“Ben!” Tirò un sospiro di sollievo prima di continuare “Vieni entra!”
 
“Wow sei uno spettacolo!!!”
 
“Grazie…” Disse avvicinando il viso per salutarlo con un bacio sulla guancia. “Sono felice che tu sia (sei) riuscito a venire.”
 
“Non me lo sarei perso per nulla al mondo! A proposito ho lasciato Hunter di sotto, ti fa i suoi migliori auguri.”
 
Ben era rimasto come sempre, una persona gioiosa e di cuore. I segni del tempo non erano stati molto cattivi con lui, a parte qualche ruga intorno agli occhi, restava davvero uno di quegli uomini che guardi per strada e non puoi fare a meno di pensare “è bellissimo.” Sempre attento alla forma fisica e alla sua salute era riuscito a vivere con Michael serenamente negli ultimi cinque anni. Hunter, loro figlio ormai a tutti gli effetti, era andato appena a convivere con la sua nuova compagna. Da quanto sostenevano i suoi genitori, era più che certo che fosse etero. E per quanto la cosa poteva sembrare strana, le cose tra nella loro famiglia non erano cambiate poi molto e se aveva bisogno di qualche consiglio, diciamo “femminile”, correva a chiedere a suo nonno, il detective Carl Horvath.
 
“Grazie davvero, mi fa piacere ci sia anche lui. Hai notizie di Michael?”
 
A quella domanda non poté fare a meno di abbassare lo sguardo, il solo pensiero che l’amico potesse fallire gli faceva fermare il cuore. Quella era la sua unica possibilità, l’ultima chance per vincere e tutto era nelle sue mani.
 
“Tranquillo, sta arrivando.”
 
Il sorriso che comparve sul suo volto fu tanto grande quanto spontaneo. Ce l’aveva fatta. Per una volta nella vita i suoi sogni sarebbero divenuti realtà. O almeno gli piaceva crederlo.
 
Fu nell’attimo in cui Ben chiuse la porta alle sue spalle, con la promessa di rivedersi più tardi, che lui tornò a guardarsi allo specchio. L’ansia che non riusciva più a trovare, era praticamente esplosa.
 
C’era. Stava per succedere davvero.
 
Aveva paura? Da morire.
 
Era deciso? Sempre di più.
 
 
***
22:30  19/08/2006
 
Un anno.
 
Un anno che viveva da solo in quella villa enorme.
 
Un anno che viveva la sua vita senza un vero obiettivo.
 
Un anno da quando Justin era andato via.
 
Brian Kinney che mai e poi mai si era preoccupato del futuro, ora al solo pensiero gli tremavano le gambe.
 
La sua vita non era più quella di prima e ne aveva avuto la conferma nell’ultimo anno. Per quanto cercasse di andare avanti, di lottare con tutte le sue forze per lasciare le cose così come erano, di continuare ad essere quello che era sempre stato, più si rendeva conto che niente sarebbe stato più lo stesso.
 
Lindsay e Mel erano andate via da qualche settimana. Avevano approfittato delle ferie dal lavoro per portare Gas e Jenny Rebecca dai propri papà. Anche se non era stato capace di ammetterlo, rivedere suo figlio così cresciuto e felice lo aveva ferito. Gas aveva solo sei anni eppure era un bambino educato e solare, in molte situazioni si era sentito orgoglioso di lui, anche se consapevole che il merito non fosse suo. Da quando si erano trasferite Mel e Lindsay era andato due volte a trovarle. Due sole volte. Troppo lavoro, continuava a ripetere, ma spesso era semplicemente troppo giù di corda per andare a trovare la famigliola felice. Forse perché in fondo ci aveva sperato anche lui, aveva sognato per un attimo che tutte quelle assurdità sul matrimonio, sulla famiglia, sull’avere dei figli potesse valere anche per lui, farlo sentire completo.
 
Eppure lo sapeva.
 
Quante notti si era ripetuto che era inutile, lui non credeva in quello che non esisteva, che mai nella sua vita aveva visto possibile. Erano gli etero a credere nella felicità della famiglia, erano gli etero, troppo puritani, dal volere mogli e figli perché incapaci di stare da soli, convinti che legarsi ad una persona per tutta la vita li avrebbe fatti sentire realizzati. Erano stati loro a decidere che arriva un momento della vita in cui devi legarti a qualcuno per sempre, per poi divorziare, dividere ogni cosa o addirittura continuare a mantenere l’altro laddove ci si rende conto di essere incompatibili, o semplicemente perché qualcuno di più giovane o sicuramente più bravo a scopare arriva a rovinare tutto.
 
Lui non credeva nel matrimonio. E come si può credere in qualcosa che non aveva mai visto?
 
I suoi genitori non erano proprio stati l’esempio di amore o di una sacra famiglia, anzi tutt’altro. Erano stati insieme fino alla morte di suo padre solo per le persone, tutto quello che facevano era per paura del giudizio degli altri. Un padre alcolizzato e violento e una madre devota a Dio. E a rovinare tutto, poi, ci aveva pensato lui con il suo coming out. Lo sfacelo della famiglia. Da quanto sosteneva sua madre, oltre a morire bruciato vivo all’inferno, non meritava neanche di essere amato e allora come poteva qualcuno, che non aveva mai conosciuto cosa significasse essere amato, anche solo pensare di essere capace a donarlo agli altri?
 
Eppure lo desiderava, aveva capito, anche se forse troppo tardi, che quello strano formicolio alla pancia, che quel batticuore accelerato ogni volta che Justin gli era vicino era amore. Non era più riuscito a nasconderlo, aveva bisogno di dirglielo, urlarlo se fosse stato necessario. Aveva creduto che sarebbe bastato dire ad alta voce, urlare al mondo intero quelle due parole, che tanto faticava a pronunciare, per tenerlo legato a sé per sempre. Ma arriva un momento in cui bisogna aprire gli occhi e rendersi conto che l’amore non sempre è la cosa più importante.
 
Justin diceva di amarlo, eppure era andato via.
 
E per quanto Brian non si sentisse in colpa di averlo spinto ad inseguire i suoi sogni, per quanto gli avesse ripetuto che cercarsi sarebbe stato inutile una volta prese due strade così diverse, gli mancava.
 
Aveva atteso una telefonata per l’intera giornata, aveva controllato e ricontrollato il cellulare, aveva guardato le email, la segreteria, addirittura nella cassetta postale. Niente. Neanche un misero “ciao, come va?”
 
E lui ci aveva sperato. Dopotutto era un anno al loro non-matrimonio, era passato giusto un anno dal giorno che avevano deciso di sposarsi prima di annullare le nozze.
 
Non riusciva a dimenticare il sorriso di Justin quando annunciò la notizia.
 
Non lo amava abbastanza?
 
Forse in certi casi l’amore non conta. In certi casi i sogni vengono prima.
 
Eppure lui una telefonata se l’aspettava.
 
Tornerò” gli aveva detto la sera prima di partire.
 
Non lo aveva mai fatto.
 
Brian si sedette sul suo enorme divano nero e si rigirò per l’ennesima volta il cellulare tra le mani. Guardò quel numero, quel semplice filo rosso che ancora lo teneva legato a lui. Sarebbe bastato premere quel tasto verde e avrebbe potuto risentire ancora una volta la sua voce. La sua dolce e meravigliosa voce.
 
Eppure questo non era Brian Kinney.
 
Così un urlo e un gesto di rabbia incontrollato scaraventò il cellulare contro la libreria di legno massello che decorava la sala. Nello scontro il cellulare si aprì in mille pezzi prima ancora di cadere sul pavimento.
 
Era andato distrutto.
 
Come almeno gli altri tre nell’ultimo anno.
 
Ma nella collisione il cellulare aveva portato con sé una piccola scatolina di pelle rossa, che nel cadere ne aveva rovesciato il contenuto.
 
“Non li hai restituiti!”
 
La voce di Justin risuonò nella sua mente quando si chinò per raccoglierli.
 
Due anelli d’oro, due fedi, due simboli che li avrebbero uniti, quelle che avrebbero dimostrato a tutti che entrambi appartenevano a qualcuno. Erano ancora lì, tra le mani di un Brian, che non riuscì più a trattenersi mentre una lacrima, scappata dal suo controllo, gli rigò il volto.
 
 
***
20:35 25/12/2006
 
A Natale tutti tornano a casa per le festività, a Natale si sta con la famiglia, si festeggia con chi si ama e ci si scambia i regali con chi si reputa importante.
 
Brian ci aveva messo davvero tanto tempo per scegliere il regalo più bello, quello che lo avrebbe fatto sorridere ma anche illuminare gli occhi, quello che aveva cercato ovunque non appena aveva saputo che lui sarebbe stato lì.
 
Lo aveva scoperto qualche settimana prima. Stava cenando a casa Brukcner-Novotny, Brian era stato invitato per il compleanno di Ben, insieme a Debbie e Carl. Michael stava servendo il dolce, quando chiese quali erano i programmi per Natale e Debbie era stata così spontanea nel dire che avrebbe organizzato il cenone a casa sua, che avrebbe voluto  tutti lì e che ci sarebbe stata anche Jennifer. E lui.
 
E ora era sulla soglia di quella che era stata una casa per lui, sempre pronto ad accoglierlo, un porto sicuro dove da ragazzino amava rifugiarsi. Solo che di quel ragazzino ne era rimasto ben poco, adesso era un uomo. Un uomo finito. Il tempo gli stava portando via ogni residuo di giovinezza, lo aveva lasciato solo e senza più un reale scopo. Perché in fondo tutto ciò che desiderava era solo sentirsi qualcuno.
 
Mai come in quell’occasione aveva avuto paura di aprire quella porta.
 
E se fosse cambiato?
 
Se lo avesse guardato con occhi diversi?
 
Se nel frattempo avesse trovato qualcun altro?
 
Nulla sarebbe stato più doloroso che rivederlo, dopo così tanto tempo, abbracciato a qualcuno che non fosse lui. Ma Brian amava il rischio e anche quella sera aveva deciso che per Justin ne sarebbe valsa la pena.
Suonare il campanello lo fece agitare, sentì qualcuno, forse Hunter, urlare “E’ arrivato Brian, finalmente possiamo mangiare” e quando si ritrovò ad entrare tutto si aspettò di vedere tranne quello.
 
Si sedette al suo posto, dopo aver nascosto per bene il regalo sotto l’albero addobbato nel soggiorno, e mangiò senza più dire una parola.
 
“Brian… Non c’è l’ha fatta.” Sussurrò Jennifer all’orecchio di Brian, in un momento di confusione tale che nessuno li avrebbe ascoltati.
 
Brian si voltò verso la donna, ancora bella come la ricordava, e abbozzo un sorriso. Era strano come Jennifer era sempre stata capace di capirli. All’inizio sembrava non avrebbe mai accettato il loro rapporto e poi invece aveva imparato a capirli, a stargli vicino e ad essere un sostegno per entrambi. Era una buona mamma.
 
Il problema era cosa risponderle? Non era stato mai di tante parole, così semplicemente annuì e tornò a mangiare la pietanza nel suo piatto, iniziando a pensare cosa avesse trattenuto Justin. Le opzioni erano così tante che non pensò minimamente a cosa potesse essere successo davvero.
 
 
***
00:18 26/12/2006
 
Bussare a quella porta con energia tale da volerla sfondare. Stava mettendo tutta la rabbia che aveva in corpo quasi dal desiderare di buttarla giù.
 
Non era stata colpa sua. Lui voleva esserci. Aveva aspettato quel giorno da troppo tempo, un intero anno era passato e non aveva desiderato altro che poterlo rivedere. Ma poi era finito nelle grinfie del signor Montgomery, colui che lo stava portando in alto. Si era appena lasciato dalla moglie, le sue figlie avrebbero passato le feste con i rispettivi compagni e a Justin era toccato subirsi ore di piagnistei prima di spiegargli della sua cena in famiglia a Pittsburgh e della prenotazione del volo.
 
“E dove credi di andare con questo tempo? I voli saranno tutti annullati” gli aveva risposto, dopo l’ennesimo lamento.
 
Solo in quel momento Justin si era affacciato alla finestra e si era reso conto del tempo. Nevicava. Grossi e numerosi fiocchi di neve stavano imbiancando la città. Preso dalla disperazione, corse a prendere la valigia, salutò il suo mentore e lo pregò di stare lontano da balconi e finestre e che lo avrebbe sostenuto una volta tornato, per poi scappare via. Fu difficilissimo trovare un taxi disposto a portarlo all’aeroporto.
 
Arrivò comunque in ritardo e quando il suo volo fu cancellato, si maledisse mentalmente per essere stato così stupido da non accorgersene prima. Quella sarebbe stata la sua occasione per dimostrare a tutti che non si era dimenticato di loro, che anche se stava avendo un rilevante successo nella grande mela non significava che aveva messo da parte le sue origini. Che aveva messo da parte lui.
 
Glielo aveva promesso. Sarebbe tornato. Sarebbe stato di nuovo lì, quando il suo nome iniziava ad essere conosciuto, quando Justin Taylor stava per diventare qualcuno. Aveva tenuto fede alla promessa, niente email, niente chiamate, niente di niente, solo impegno e devozione, solo lavoro e fatica per tornare vittorioso tra le sue braccia.
 
Era per questo che non si era dato per vinto, aveva cercato un qualsiasi aereo che partisse per una qualsiasi località vicino Pittsburgh e dopo quasi due ore era riuscito a partire, nonostante il brutto tempo, nonostante sarebbe arrivato in piena notte.
 
E ora era lì, a bussare come un forsennato a quella porta che si era aperta anni prima per accoglierlo quando la sua famiglia gli aveva voltato le spalle, che era rimasta aperta anche quando aveva sbagliato a chiudersela alle spalle, pensando di trovare qualcosa di migliore al di fuori e che mai aveva trovato chiusa ogni volta che fosse tornato.
 
Il problema è che ad aprire non fu chi si aspettava di trovare.
 
“Cosa vuoi moccioso? È quasi l’una di notte e non ho chiamato nessuno per scopare stasera.”
 
Un ragazzo, all’incirca trent’anni, moro, capelli lunghi fin sopra alle spalle, piuttosto assonnato e di cattivo umore gli si era passato davanti.
 
“Tu non sei Brian.”
 
“Chi cazzo è Brian? Senti se sei il fidanzatino di quello che mi sono fatto prima non è un problema mio, se ne è andato più o meno un’ora fa.”
 
Justin lo guardò interdetto prima di scuotere la testa. “No, cerco Brian! Il proprietario del loft!”
 
“Senti moccioso sono io il proprietario ora e di chi ci abitava prima non ne so niente e neanche mi interessa, ok? Questo Brian non è qui, questa non è casa sua, ora posso tornarmene a dormire?”
 
E senza aspettare risposta gli chiuse la porta in faccia.
 
Justin rimase una manciata di minuti a guardare quella porta chiusa, prima di rendersi conto di cosa ciò significasse.
 
Se Brian era andato avanti, forse, era arrivato il momento che anche lui chiudesse quella porta.
 
 
***
21:05  09/01/2008
 
“Justin sei pronto? È il tuo momento!”
 
“Certo signor Montgomery, arrivo tra un attimo.”
 
Ce l’aveva fatta. Era arrivato all’apice del successo. Aveva sudato per arrivarci, aveva lottato con le unghie e con i denti, aveva dipinto di giorno e di notte pur di soddisfare ogni cliente. E ora gli bastava affacciarsi dal balcone di quello che era uno degli stabili più rinomati di New York per vedere la pubblicità della sua mostra.
 
Sì, una mostra tutta sua. L’artista Justin Taylor ora era conosciuto in tutta New York.
 
Era il suo debutto, il giorno più importante della sua vita, dopo che quello che credeva lo sarebbe stato era saltato.
 
Doveva essere felice, doveva sorridere. Eppure si guardava allo specchio e nulla.
 
Senza alcun dubbio era orgoglioso di ciò che era riuscito a crearsi con le sue sole mani, era fiero di essere finalmente riuscito da solo a diventare qualcuno, era onorato di essere lì quella sera, ma era come se mancasse qualcosa, qualcuno.
 
“Sei ancora qui? Devi sbrigarti, ti stanno per annunciare!” Esclamò un giovane moretto con un sorriso luminoso dipinto sul volto.
 
Justin sorrise di rimando.
 
“Sei agitato?” chiese il ragazzo, che dopo un’occhiata fugace al corridoio entrò nella stanza dell’artista e si avvicinò a lui.
 
“Abbastanza.” Annuì Justin.
 
“Questo, vedrai ti calmerà.” E avvicinandosi con passo svelto e deciso, portò una mano alla nuca del ragazzo e fece incontrare le loro labbra.
 
Justin ci mise un po’ prima di rispondere al bacio e come ogni volta dovette ricordare a se stesso che era il suo ragazzo quello che stava baciando.
 
Chris era un ragazzo davvero carino, lo aveva conosciuto tre mesi prima quando lo aveva intervistato per un giornale locale, si era appena laureato e quello era il suo primo articolo. Justin non ci aveva messo due minuti a portarselo a letto e da allora era nata una sorta di storia. Lui era diventato un’ombra per Justin e quest’ultimo si sforzava di farselo andare bene. Naturalmente non era Chris il problema, il problema erano i suoi capelli del colore sbagliato, i suoi occhi della profondità sbagliata, le sue labbra della morbidezza sbagliata, il suo pene… Ma ogni volta che Justin provava ad allontanarlo, sentiva l’impulso di dargli un’altra possibilità, una chance per fargli dimenticare quel passato lasciato alle spalle, ma che continuava a bramare di notte e a sognare di giorno.
 
E se pensava che con il tempo le cose sarebbero andate meglio… Beh si sbagliava di grosso.
 
Quando aveva realizzato che il matrimonio avrebbe del tutto snaturato Brian, aveva preferito rinunciare piuttosto che perderlo completamente, ma così facendo l’aveva perso comunque.
 
Non c’era giorno (che passava) che Justin non sperava in una telefonata, in un email o in una semplice lettera.
 
Lui d’altro canto ci aveva provato a scrivergli, decine e decine di lettere mai spedite. Tra quelle si era perso il suo invito, quello per il suo debutto, per la mostra a suo nome.
 
Cosa avrebbe dimostrato invitarlo? Che stava avendo successo anche senza di lui? Che era riuscito ad andare avanti? Che adesso era in grado di gestire la sua vita? Che aveva un ragazzo?
 
Nulla gli sembrava giusto.
 
Era solo dolore gratuito che preferiva non infliggergli.
 
Sempre se non l’avesse già dimenticato, dopotutto era di Brian Kinney che si stava parlando, no?
 
Justin allontanò Chris dalle sue labbra e sorrise. “Scendo subito, sistemo le ultime cose qui.”
 
Aspettò che Chris chiudesse la porta dietro di sé, prima di cercare il numero sulla sua rubrica, fissare ancora e ancora quel numero di telefono e poi decidere di spegnere tutto e godersi la sua vita.
 
In fondo glielo aveva chiesto lui, no?
 
 
***
20:40 19/07/2010
 
C’era quasi, mancava solo qualche minuto e lo avrebbero avvisato che era tutto pronto, che poteva scendere e godersi quel momento che tanto desiderava eppure in quel momento aveva capito di aver paura, che dopotutto non era stata una grande idea, perché non aveva neanche pensato in un solo momento ad un fiasco.
 
Aveva bisogno di acqua, improvvisamente la stanza era diventata troppo piccola e iniziava a sentire caldo e faceva fatica a respirare.
 
Solo quando dell’aria fresca gli arrivò sul viso si rese conto di non essere solo.
 
“Sei pallido… Qualche ripensamento?”
 
“Io…” Balbettò non sapendo cosa dire.
 
“Hai paura. Credo sia normale.”
 
“Cosa ne puoi sapere tu?”
 
“No hai ragione, forse non lo so. Ma ti assicuro che lo posso immaginare, dopotutto ho visto moltissime persone nella tua situazione.”
 
“Cosa si fa in questi casi?”
 
“Fai un respiro profondo e ricorda a te stesso i motivi che ti hanno spinto a questa scelta.”
 
“Io… Non ne ho idea.”
 
“Si che lo sai. Avanti. Michael è arrivato, stiamo tutti ai nostri posti. È il caso che tu ti dia da fare e se manderai tutto a puttane per la paura di fallire giuro su Dio che ti rispedisco a casa a calci in culo!”
 
Un sorriso spontaneo comparve sul volto di entrambi e con uno slancio si lanciò sulla donna. “Grazie Debbie.”
 
“Non ringraziarmi, è l’ora di muovere il culo.”
 
E così come era arrivata, era andata via.
 
L’aveva sempre amata per questo. Era la donna più forte e saggia che conoscesse, nella sua vita anche lei aveva commesso tanti errori, ma era sempre stata capace di prenderne atto, imparare e rialzarsi più forte di prima. Il suo sorriso era una fonte di forza per chiunque ne avesse (di) bisogno e la sua casa era una protezione per qualsiasi persona chiedesse rifugio. Non la si poteva non amare, anche se a volte facevi fatica a ricordartene, arrivava sempre il momento per perdonarla e apprezzarla per la mamma meravigliosa che era. Perche in fondo era un po’ la mamma di tutti.
 
Si riguardò un’ultima volta allo specchio, sorrise, annuì e si alzò. Si sistemò la giacca sulle spalle, ne lisciò il tessuto sotto le mani e fece un respiro profondo, proprio come le aveva detto la cara e vecchia amica.
 
Era stato un attimo ma poi tutti i motivi che lo spingevano a scendere quelle scale erano tornati lì, chiari e nitidi nella sua mente.
 
Era pronto!
 
 
***
09:15 23/07/2009
 
Stava camminando per strada, aveva deciso che aveva bisogno di roba nuova, voleva a tutti i costi fare shopping, svagarsi un po’ e togliersi quel macigno enorme che aveva sullo stomaco. Aveva lo sguardo rivolto su una vetrina quando qualcosa attirò la sua attenzione. Dietro il riflesso della sua immagine, scorse una figura familiare, un qualcuno sempre presente nei suoi sogni di notte e che ritrovava nello sguardo di ogni persona che incrociava di giorno, il protagonista indiscusso dei suoi dipinti, quel qualcuno che aveva costantemente nella mente a ripetergli di non mollare, di andare avanti, di dimenticarlo.
 
Si voltò di scatto, lo guardò, lo fissò come per accertarsi che fosse veramente lui, e abbozzò un sorriso.
 
Era lui.
 
Era lì.
 
Così corse, gli corse incontro, gli si buttò tra le braccia, senza dire una parola. Non serviva a nessuno dei due.
 
Brian era lì. Lo strinse, ne sentì il profumo, si lasciò inebriare dalla sensazione di essere finalmente al posto giusto.
 
Ma nessuno dei due disse niente.
 
Era stato un caso? Nessuno dei due seppe dare risposta.
 
Entrambi sapevano solo che non esisteva posto dove avrebbero voluto stare, se non nelle braccia dell’altro.
Justin vide la sua libertà, la sua voglia di evadere, di scappare con lui, lesse nel suo sguardo il desiderio di portarlo via, con sé.
 
Brian lo prese per mano e lui lo seguì ciecamente, lo face salire per le scale di un rinomato albergo e entrarono nella camera che aveva prenotato.
 
Non ci fu bisogno di parlare, Brian si avventò sulle sue labbra e iniziò a spogliarlo, a venerare il suo corpo, facendogli provare quelle sensazioni meravigliose che non credeva avrebbe mai più provato. Justin si ritrovò a fare lo stesso, spogliandolo con calma, con dedizione e tutto l’amore che provava. Anche se aveva il desiderio di muoversi, di farsi prendere lì senza tante cerimonie, sentiva il bisogno di fare le cose con calma, di assaporare ogni singolo istante. I baci si estesero su tutto il corpo, i brividi provocati da essi fecero subito scoprire le erezioni pulsanti di entrambi, e fu un attimo. Quello che Justin aveva voluto da praticamente il momento in cui aveva messo piedi fuori quella che considerava casa, era finalmente tornato ad essere suo.
 
Il desiderio diventò realtà, i baci si tramutarono in spinte e la camera si riempì di ansimi.
 
Stava per venire, sentì quel formicolio nel basso ventre, ed è proprio quando lesse nei suoi occhi, i suoi meravigliosi occhi, la stessa sensazione che non riuscì più a trattenersi.
 
Un gemito e spalancò gli occhi.
 
Il cuore gli batté forte nel petto mentre si rendeva conto di quello che era appena successo, di nuovo. Incredulo deglutì, improvvisamente si sentì sporco, sbagliato, voltandosi dall’altra parte del letto e trovando lui.
 
Dormiva così sereno e innocente, sotto un certo punto di vista lo vedeva puro.
 
Allungò la mano e gli accarezzò la fronte, spostando una lieve ciocca di capelli che gli era caduta sul viso. Dormiva sereno e immaginò se stesso, un piccolo Justin adolescente, alla sua prima volta, spaventato ma allo stesso tempo eccitato e deciso, a dormire tra quelle lenzuola preziose e profumate che sapevano di loro, di lui.
 
Rivide se stesso nei suoi lineamenti dolci, nella sua voglia di amare, nella sua passione.
 
E non poteva fargli questo, non poteva ingannarlo così.
 
Perché lui non era Brian, era solo un sogno, lo stesso che faceva da praticamente sempre e che non gli permetteva di andare avanti, di amare la persona che dormiva accanto a lui in quel momento.
 
Le cose con Chris andavano bene, se per bene valeva non vedersi quasi mai e il semplice dormire insieme quando capitava. Era ormai un anno che avevano una sorta di relazione fissa. Era successo una sera, più o meno sei mesi prima, Chris lo aveva invitato a cena e gli aveva detto di dover parlare. Justin temeva si fosse reso conto del suo atteggiamento diverso, scostante e parecchio silenzioso delle ultime settimane, si era preparato mentalmente a lasciarlo andare, a smettere di tenerlo legato a sé senza un motivo apparente.
 
E quando si era deciso che fosse la cosa giusta da fare, anche se ormai era abituato alla sua presenza e un po’ gli dispiaceva, Chris lo sorprese.
 
“Justin” gli prese la mano mentre aspettavano il dessert, dopo una cena davvero gustosa in uno dei migliori ristoranti di New York e gli sorrise, “io credo sia arrivato il momento di portare una svolta nella nostra vita, vuoi venire a vivere con me?”
 
Justin rimase a bocca aperta, mentre pensava “ecco quello che ho sempre sognato, un ragazzo attento, premuroso, che non stia con me per soldi, fama o che non mi lascerebbe per una qualsiasi sciocchezza, che cerca una relazione matura e voglia costruirsi un futuro, qualcosa di concreto, magari con dei figli e delle certezze” eppure non lo sentiva, non sentiva quel batticuore, quella felicità o emozioni che provi quando ricevi una proposta simile. Nulla, il suo cuore non aveva perso un battito, non era accelerato, non provava niente.
 
Ma per uno strano scherzo del destino, per un riflesso incondizionato e chissà per quale altro assurdo motivo, si ritrovò ad annuire.
 
Forse in fondo lo voleva, lo desiderava, continuava a sperare di poter dimenticare il passato e andare avanti.
 
E ci aveva provato.
 
A distanza di mesi, però, era di nuovo lì a chiedersi che senso avesse la sua vita. L’unico amore era per la sua arte, era il voler a tutti i costi eccellere, ma guardando ogni singolo lavoro che aveva creato era come un ombra scura aleggiasse in ognuno di loro, come se niente avesse un vero valore, come se tutto gli ricordasse ancora lui.
 
Così capì che era arrivata l’ora di smetterla di prendersi in giro, di prendere in giro chi in quel sentimento ci credeva, perché magari non era troppo tardi per lui, perché, in fondo, Chris non meritava una relazione senza amore, forse non meritava neanche un cuore spezzato, ma Justin non poteva salvarlo da quello. Ci aveva provato eppure aveva fallito.
 
Nel suo cuore non c’era posto per altro.
 
Così un’ora dopo, con le valige pronte, un macigno sul cuore e una lettera sul tavolo da pranzo con la promessa di rivedersi per almeno spiegargli le sue motivazioni, Justin andò via con la speranza di capire come trovare una soluzione al casino che era diventata la sua vita.
 
 
***
21:03 19/07/2010
 
“Michael! Michael!”
 
Buio, tutto quello che guardava intorno a sé era praticamente al buio. Aveva paura di fare un passo in avanti o uno indietro. Michael per uno strano scherzo era riuscito a bendarlo e subito dopo lo aveva portato dentro qualcosa, non sapeva bene cosa, ma era convinto di aver salito dei gradini. E ora, dopo avergli tolto la benda dagli occhi, si era ritrovato da solo al buio.
 
Michael gli aveva sussurrato di aspettare lì ma era tutto così stupido. Non era il suo compleanno, non era niente per cui c’era bisogno di festeggiare o un motivo qualsiasi per fargli prendere un colpo, erano cresciuti per quelle cose.
 
Non sapeva cosa pensare, odiava non sapere!
 
“Michael!” Urlò di nuovo.
 
Al terzo urlo un bagliore, una luce fortissima, dall’alto illumina una figura che non riusciva a capire di chi fosse, facendo fatica a mantenere gli occhi aperti.
 
Il faro di luce seguì la figura che procedeva verso di lui e poi come un flashback rivisse la stessa scena.
 
Il Babylon, le luci, il caos. Eppure lui, nella sua totale bellezza avanzava a passo deciso, proprio come ora. Guardandolo, divorandolo letteralmente con lo sguardo, mentre piano si avvicinava.
 
Era cresciuto, non aveva più i lineamenti da adolescente, adesso era un uomo, adulto, bello, perfetto.
 
Ma ancora non capiva.
 
Era una visione o era davvero lui?
 
Fu quando gli fu davanti, luminoso come un raggio di sole, che ne ebbe la certezza.
 
Era reale.
 
Alzò la mano per sfiorargli il viso e al contatto lui sorrise.
 
“Brian.” Sospirò Justin.
 
Era come se in quel momento entrambi avessero ripreso a respirare, era come se fossero tornati in vita.
 
“Cosa…” Brian non ebbe tempo di spiccicare parola che Justin lo interruppe.
 
 “Cinque anni. Sono passati esattamente cinque anni da quando mi hai detto di andare a New York e diventare qualcuno. Sono passati cinque anni e tutto quello che ho fatto è stato impegnarmi per esaudire questo sogno. E per quanto mi sia sforzato Brian, ti giuro che ci ho messo tutto me stesso per andare avanti, per lottare e farmi una vita tutta mia, ma era come se mi mancasse qualcosa, come se qualsiasi sacrificio o sforzo io facessi non riuscissi a riempire il vuoto che avevi lasciato nella mia vita. E so che adesso riderai di me, mi considererai patetico o un illuso a tornare dopo tutto questo tempo, eppure non sono mai stato tanto certo in vita mia di volere qualcosa quanto desidero passare il resto della mia vita accanto a te. Ne abbiamo passate tante ma sono pronto, è arrivato il momento. Cinque anni fa, scherzando, tu lo hai proposto a me e oggi io sono qui davanti a te a chiederti la stessa cosa. Ma bada bene Brian Kinney, non mi inginocchierò ai tuoi piedi per pregarti di diventare mio marito, è roba da etero quello, ma sono qui davanti a te, a guardarti negli occhi, a chiederti di continuare insieme, ad andare avanti sostenendoci l’uno con l’altro. Brian vuoi sposarmi?”
 
Brian rimase immobile, incredulo a cosa avessero appena ascoltato le sue orecchie. Non riusciva a credere che Justin fosse tornato davvero per vivere il resto della sua vita con lui. Eppure qualcosa lo bloccava, un peso sullo stomaco non gli permetteva di rispondere. Era come se a quelle parole fosse diventato muto, faticava addirittura a respirare.
 
Aveva aspettato tanto quel momento, quando Justin sarebbe tornato. Neanche ci sperava più, ma inconsciamente credeva che prima o poi avrebbe mantenuto la sua promessa.
 
Abbozzò un sorriso e annuì.
 
A quel sussurrato “sì”, Justin si avventò sulle labbra del suo uomo e le luci della sala si illuminarono, svelando cosa si celasse dietro a quel buio pesto.
 
Tutti, tutta la comunità gay di Pittsburgh, i loro amici più stretti, Debby, Carl, Ben, Michael e Hunter, Emmett, Ted e Blake, Lindsay e Mel, erano tutti lì ad applaudire.
 
“Cosa diavolo…?” Chiese Brian, spaventato dal frastuono degli applausi.
 
“Se avessi accettato, non era il caso di farmi scappare lo scapolo d’oro, quindi ho, diciamo, organizzato anche il matrimonio.”
 
La risata emessa da Brian fece sorridere tutti, nessuno lo aveva sentito ridere così di gusto da quando Justin se ne era andato, e anche se dietro a quel ridere Brian cercò di nascondere le lacrime, per la prima volta dopo anni si sentì finalmente felice.
                                                                                                                             
                                                                                                                                                                                                                                                                                               
NOTE DELL’AUTRICE:
 
Salve, che dirvi? Spero che la storia vi sia piaciuta, che vi ha coinvolto e emozionato come mi sono emozionata io nello scriverla. Ci ho messo tutto l’amore e la forza possibile per portarla a termine e spero davvero di cuore che vi abbia lasciato qualcosa.
 
Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione!!!
 
 
 
  
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