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Autore: Rebecca_lily    30/07/2015    5 recensioni
“Puoi stare a casa mia per tutto il tempo di cui hai bisogno, se desideri”- disse Abel guardandola negli occhi...
La mia storia ha inizio quando Georgie incontra di nuovo Abel, dopo aver lasciato Lowell da Elise, e vuole esplorare il rapporto tra i due 'fratelli' nel periodo in cui cercano di salvare Arthur dalle grinfie del Duca Dangering. In particolare questa storia intende approfondire sia la lenta presa di coscienza di Georgie del suo amore per il suo ex-fratello sia il carattere di Abel come viene reso per buona parte del testo originale, ovvero del manga. Nella mia storia, Abel non vive dal sig. Allen e i due non affrontano immediatamente la questione del ritorno in Australia.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abel Butman, Georgie Gerald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Come promesso, il nuovo capitolo…
 
 “Crudele è il conflitto tra fratelli”
Aristotele
 
Quando il dottore bussò alla porta della stanza del Conte Gerard, Fritz stava ancora ripensando a ciò che sua figlia gli aveva confessato alcuni giorni addietro: Georgie aspettava un bambino e presto sarebbe diventato nonno. La notizia era stata per lui un fulmine a ciel sereno, nonostante ciò il Conte aveva cercato di essere il più solido possibile per aiutare sua figlia a superare quel delicato momento: non era tanto, infatti, la gravidanza a preoccupare Georgie, anzi di quella la ragazza sembrava più che felice, quanto che Abel non avesse ancora ripreso conoscenza. E da quel giorno il Conte pregava dentro se stesso con ancora più ardore che Abel si risvegliasse, non soltanto per vivere la sua vita accanto a Georgie, quanto per avere la fortuna – che lui non aveva avuto – di veder crescere il loro bambino.
Il bussare alla porta riscosse Fritz dai suoi pensieri. Altri pensieri però gli vennero dal colloquio con il dottore. Mentre da un lato, infatti, migliori sembravano essere finalmente le notizie riguardanti Abel, negative erano quelle legate a suo fratello Arthur. Il dottore non riusciva a capacitarsi dell’inspiegabile e così repentino peggioramento del ragazzo. Ipotizzò che qualche evento fosse occorso di cui loro non erano al corrente. Il Conte Gerard disse che gli avrebbe fatto visita per parlare con lui non appena fosse cessato l’effetto del sedativo somministratogli. Rasserenato, il dottore si accomiatò.
Come promesso, di lì a poche ore il Conte si recò nella stanza di Arthur.
“Dov’è mio fratello?” – fu la prima domanda che il ragazzo gli rivolse quando si trovarono faccia a faccia. Il Conte vide che il ragazzo era più stravolto del solito e una strana espressione aleggiava sul suo volto. La sua voce era molto fredda.
Immaginando che il suo peggioramento fosse stato determinato dall’apprendere fortuitamente notizie sullo stato del fratello, Fritz non volle farlo preoccupare ulteriormente, per cui gli raccontò che il fratello era stato ferito durante il suo salvataggio, senza riferire dell’effettiva gravità della situazione.
“Un eroe” – pensò Arthur – “Ora è anche un eroe…”. L’espressione di Arthur sembrò al Conte impenetrabile, molto diversa da quella mite, ma forte a cui il ragazzo lo aveva abituato. Dopodichè Arthur chiese dove, di preciso, si trovasse Abel in quel momento. Chiese anche dove fosse Georgie. Quest’ultima domanda suonò molto strana all’orecchio del padre della ragazza.
Con pazienza, il Conte si trattenne per diverso tempo nella stanza nel tentativo di far parlare con Arthur, ma i risultati furono purtroppo molto scarsi. Si congedò allora da lui, non senza avergli prima somministrato altri sedativi, come da ordine del medico.
Quella notte lentamente Abel aprì gli occhi. Non capiva dove si trovava. Sentiva la testa vuota e il corpo dolorante. Provò ad alzarsi, ma un fortissimo dolore all’addome lo fermò. Si distese nuovamente sul letto e a poco a poco ricordò il salvataggio di Arthur nel fiume e la lotta con Irwin. Si domandò per prima cosa se Georgie stesse bene e si guardò attorno per cercarla. Distinse allora una figura accanto al letto e vide nella tenue luce della stanza due occhi azzurri che lo fissavano gelidi. “Arthur?” – disse Abel – “Arthur sei tu?” Arthur restò immobile e non rispose. Abel provò di nuovo a tirarsi su e, con grande difficoltà, ce la fece. Il volto gli si illuminò: “Oh Arthur, fratello mio, sei salvo!” – disse con gioia.
La risposta di Arthur fu molto dura: “Vuoi forse che ti ringrazi per questo?”. Abel non capì bene che cosa Arthur intendesse dire, ma rispose ugualmente: “No, certo che no, sei mio fratello non voglio che tu mi ringrazi”. “Bene, perché non lo farò” – disse Arthur con un insolito tono aspro – “Non ti ringrazierò certo per aver distrutto la nostra famiglia e la mia vita. E neanche per esserti preso Georgie. Sei contento ora, Abel?”.
Abel trasalì, che cosa stava dicendo Arthur? Perché era così arrabbiato con lui? Provò a parlare di nuovo con il fratello: “Arthur, fratello mio…”, ma non riuscì a finire la frase perché Arthur lo gelò dicendogli: “Non chiamarmi più Arthur: io per te Abel ormai sono solo Cain!”. E, dopo aver proferito queste agghiaccianti parole, si incamminò verso la porta.
Per Abel fu come essere pugnalato una seconda volta e stavolta dal suo adorato fratello per cui era stato pronto a sacrificare la vita. “Che stai dicendo Arthur?” – gli chiese allibito Abel mentre, facendosi forza, scese dal letto per seguirlo. Il dolore acuto all’addome e la debolezza lo costrinsero però ad appoggiarsi al muro per non cadere. “Arthur, aspetta…” – continuò Abel nel tentativo di fermare il fratello.
Nel frattempo Georgie, che era distesa nel suo letto in una stanza vicina a quella di Abel, non riusciva a prendere sonno. Si sentiva in colpa per non essere con lui, solo che aveva un tale bisogno di dormire, ed Emma e Joy avevano insistito così tanto perché si riposasse… Tutto ad un tratto sentì dei rumori nel silenzio della notte e una voce familiare che invocava il nome di Arthur. Abel? Possibile che Abel si fosse risvegliato dopo tutti questi giorni e che Arthur si trovasse con lui? Georgie non perse tempo e, con il cuore in gola, scese dal letto e corse verso la camera di Abel. Quando arrivò, trovò suo padre in piedi davanti alla porta socchiusa della stanza. Il padre fece cenno a Georgie di non entrare. La ragazza lo guardò stupita, ma accettò senza discutere il suo consiglio.
“Ti ho detto che non devi più chiamarmi così” – urlò freddo Arthur, squadrando il fratello da capo a piedi. E anche se l’Abel che si trovava davanti a lui era più magro del solito e visibilmente sofferente, Arthur si rese conto che la bellezza ombrosa del fratello non ne risultava minimamente scalfita.
Il ragazzo scosse la testa con rabbia: Abel avrebbe potuto avere tutte le donne del mondo, perché si era preso proprio quella che anche lui amava? Perché, dopo che aveva egoisticamente abbandonato la sua casa e la sua famiglia, Abel era stato ricompensato dall’amore di Georgie? E poi, come era riuscito a sedurla? Con i suoi occhi blu e la sua voce profonda? Chissà che cosa aveva architettato per portarla via da Lowell! Chissà come doveva esserle stato addosso per farla cedere! Perché Abel era sempre stato possessivo e, fin da piccolo, aveva pensato che Georgie fosse di sua proprietà e non aveva mai lasciato spazio a nessuno, soprattutto a lui! Perfino il giorno in cui, rischiando la sua stessa vita, aveva salvato Georgie dal fiume, Abel con il suo arrivo gli aveva rubato la scena. La sua sola presenza lo aveva sempre oscurato! E ora che Georgie aveva davvero scelto lui, il solo pensiero della ragazza tra le braccia del fratello lo faceva letteralmente esplodere.
Con queste parole che rimbombavano assordantemente nella sua testa, e che silenziavano del tutto quelle che suo fratello stava pronunciando in quel momento, Arthur si gettò contro Abel, spingendolo violentemente contro il muro al quale era appoggiato. Ad Abel mancò il fiato per il colpo.
Georgie sentì il forte rumore e si preoccupò, sarebbe voluta entrare a sedare il litigio, ma suo padre la fermò nuovamente: “Devono chiarire tra loro, figliola e poi Abel sa quello che fa”. Georgie non ne era poi così convinta, conosceva Abel da sempre e sapeva che tendeva ad approfittare di se stesso, per cui era molto preoccupata.
In realtà in quel momento Abel era semplicemente esterrefatto: non avrebbe mai pensato che Arthur gli si sarebbe scagliato contro con una tale violenza, non perché non lo avesse mai fatto in vita sua, era già successo quando avevano litigato quel maledetto giorno in Australia, quanto perché questa volta lui era ferito e a fatica riusciva a reggersi sulle gambe. E invece, incurante del suo stato, Arthur - in preda ad una rabbia allucinata - dopo essersi avventato sul fratello, continuò a tenerlo schiacciato contro il muro, gridandogli contro tutto il rancore accumulato negli anni: “E’ colpa tua se la nostra famiglia è stata distrutta. E’ colpa tua se la mamma è morta…”. Nel profondo di sé Abel si sentiva da sempre responsabile per ciò che era accaduto ad Arthur e per la morte di sua madre, perciò accettò lo sfogo del fratello senza reagire, come a espiare una colpa. Serrò la mascella cercando di ignorare il dolore all’addome, che era stato reso ancora più intenso dal colpo che aveva appena ricevuto, e ascoltò senza fiatare la lunga e urlata litania di accuse.
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Abel restò in silenzio, con il capo abbassato e il volto contratto, fino a quando Arthur non iniziò a parlare di Georgie: “E’ colpa tua e del tuo egoismo se Georgie è fuggita, se Georgie ha lasciato il suo grande amore, se Georgie ora è … ora è addirittura …”. Arthur non riusciva a toccare l’argomento della gravidanza della ragazza, ma espresse tutto il sommo disprezzo che in quel momento nutriva per il fratello con lo sguardo.
Fu allora che, raccolte le poche forze che aveva, Abel afferrò Arthur per i polsi e con voce calma, ma molto dura, gli disse: “Non è una colpa l’aver sempre amato la donna che presto diventerà mia moglie”. Arthur distolse lo sguardo in segno di sdegno. Abel lo incalzò: “I tuoi sogni non sono mai stati i miei sogni, Arthur. Hai ragione quando dici che non ce la facevo più a vivere nell’inganno, ma non sono stato io a rivelare a Georgie la sua vera identità”.
“Non lo hai fatto perché ti ho fermato io, ricordi? Litigammo, proprio come ora. Hai smesso di essere mio fratello quel giorno, lo sai”. – disse Arthur con aria di sfida.
“Sono andato al porto quella sera Arthur, non da Georgie. Andai al porto per provare nuovamente a dimenticarla e non mi perdonerò mai per non essere stato accanto a lei in un momento così difficile” – disse Abel, sforzandosi di continuare a parlare, nonostante il dolore lancinante proveniente dalla profonda ferita nel suo addome. “E’ colpa tua se la mamma l’ha cacciata di casa. L’ha cacciata per allontanarla da te, la mamma è morta per colpa tua …”- continuò ad attaccarlo duramente Arthur. “La mamma non aveva alcun diritto di intromettersi. Ero un uomo Arthur, non un ragazzino, avrei cercato comunque e dovunque la donna che amo. L’unica persona che aveva il potere di allontanarmi da sé era Georgie” – gli rispose Abel risoluto.
Georgie non aveva mai sentito Abel parlare di queste cose: non si era mai aperto con lei. Inoltre, la ragazza non si immaginava neanche lontanamente la pressione a cui lui era stato sottoposto nel corso degli anni. Ricordò in quel momento un episodio che le era parso molto strano, ma al quale aveva dato poco peso all’epoca: quando Abel era tornato dal suo giro attorno al mondo e lei era andata a prenderlo, Arthur si era precipitato a cercarli, come non avesse avuto piacere a lasciarli da soli. Ricordò anche che, quando i due ragazzi si erano incontrati, si erano salutati freddamente: non un abbraccio, non una fraterna pacca sulle spalle.
Georgie sapeva, infine, che Abel e Arthur avevano litigato per colpa sua, glielo aveva sbattuto in faccia mamma Mary quella maledetta notte, ma non pensava che fossero arrivati a quel punto con le parole e, con commozione, la ragazza pensò che, nonostante tutto, Abel era stato pronto ad immolarsi per Arthur. Georgie amò ancora di più il suo futuro marito, amò la sua maturità e la sua generosità.
Qualcosa cominciò ad incrinarsi in Arthur, che lasciò la presa sul fratello, e indietreggiò. La voce di Abel gli risuonava nelle orecchie ed era una voce che continuava a ripetergli: “Non è colpa tua se sei stato catturato dai Dangering. Non è colpa tua se hai dovuto sopportare tutti quei soprusi. Sei stato forte, sei stato coraggioso a resistere, ma ora devi andare avanti. Devi costruire, non rimpiangere, Arthur. Noi tutti dobbiamo andare avanti e ti saremo accanto”. Arthur sentì le gambe iniziare a tremargli, così si inginocchiò e iniziò a prendere a pugni il pavimento. “C’è una ragazza bella e brava di là che ti ama profondamente, - continuò imperterrito Abel - ti è stata accanto nel momenti più difficili e ha anche lasciato la sua famiglia per te. Sei proprio sicuro che ti sia indifferente?”.
Per Arthur fu un momento di spaesamento: Maria? Possibile che Maria avesse lasciato la sua famiglia per lui? Il ragazzo sentì un groppo alla gola, che cominciò a sciogliersi, trasformandosi in un pianto liberatorio.
Il sudore freddo prese a colare dalle tempie di Abel, mentre il dolore all’addome si faceva insopportabile, nonostante ciò il ragazzo strinse i denti e si inginocchiò accanto al fratello. Arthur sentì il blocco di rabbia andare in frantumi. Sollevò allora gli occhi e guardò il volto del fratello, così adulto e così provato e in esso vi rintracciò molti dei tratti che erano stati del loro amato padre. “Grazie Abel” – disse infine Arthur con la dolce e soave voce di un tempo, poi abbracciò il fratello. Abel sorrise affaticato, ricambiando l’abbraccio.
In quel momento, la porta si spalancò ed entrò Georgie trafelata e preoccupata, ma, vedendo i due ragazzi abbracciati, si calmò. Abel alzò il volto e i loro sguardi si incrociarono carichi di emozione. Anche Arthur si girò verso la sorella e si accorse dell’amore con cui lei guardava Abel e finalmente capì che non c’era spazio alcuno tra loro due e che probabilmente non ce ne era mai stato. Sciolse così Abel dall’abbraccio, lasciandolo libero di raggiungerla e lo aiutò ad alzarsi.
Una volta in piedi, Abel – anche se stremato e barcollante – aprì le braccia e Georgie volò letteralmente da lui: non le sembrava vero, infatti, di essere nuovamente stretta in un suo abbraccio. Abel la accolse, posando il capo sui suoi capelli. Georgie cominciò a singhiozzare: “Oh, Abel! Ho avuto così paura di perderti!”. “Non piangere tesoro, sono qui” – le disse teneramente Abel, accarezzadole la schiena.
Poco a poco Georgie si calmò, alzò il volto per guardarlo e, nonostante tutto ciò che c’era stato tra loro, arrossì nel vedere i profondi occhi blu del ragazzo che la fissavano, occhi che aveva temuto di non rivedere mai più. Si fece coraggio e, alzandosi sulla punta di piedi, andò a cercare le labbra del ragazzo per un bacio dolce e quasi fraterno. I due rimasero stretti in un abbraccio commosso, fino a quando Georgie non si staccò delicatamente da Abel e, posando una mano di lui sul suo grembo, gli disse con infinito amore: “Torniamo a casa Abel, tu, io e il nostro bambino…”.
Abel, sopraffatto dallo stupore e dall’emozione, balbettò: “Un bambino… Georgie? … Il nostro bambino?”. Georgie gli sorrise annuendo.
La commozione (assieme alla sofferenza fisica e alla grande stanchezza emotiva) ebbero la meglio su di lui così Abel, stringendo forte al petto la sua Georgie, iniziò a piangere sommessamente: un pianto di gioia, un pianto di liberazione, un pianto – finalmente – di condivisione. Era felice come poche volte lo era stato in vita sua: Georgie lo amava ed aspettava un figlio da lui. E poi erano salvi, erano tutti salvi! Non avrebbe potuto desiderare niente di più! Anche Georgie piangeva felice tenendo il ragazzo stretto a sé, come a non volersi staccare da lui mai più. Tra le lacrime Abel sorrise e, accarezzando delicatamente il ventre della fanciulla, le disse: “Sì, amore mio, torniamo a casa”. Poi, volgendo il capo verso il fratello, aggiunse: “Torniamo tutti a casa”. Un ancora scosso Arthur, confortato dalla solida stretta del Conte sulla sua spalla, annuì, seguito dallo stesso Gerard.
  
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