Anime & Manga > D.Gray Man
Segui la storia  |       
Autore: papavero radioattivo    31/07/2015    0 recensioni
«Questo non è un gioco, ragazzina» la ammonì il vecchio, e lei alzò lo sguardo, allargando il sorriso.
«So benissimo che non è un gioco» gli rispose, piano, come se si fosse improvvisamente ricordata della ragazza che dormiva nel letto lì vicino e non volesse svegliarla, «Non è mai stato un gioco, per me».
Abbassò gli occhi sul fascicolo, leggendo alcune parole che ormai erano impresse nella sua mente con il fuoco: innocence artificiale, vittoria, compatibilità, esorcisti… le sembravano solo parti di una favola, una storiella impossibile.

Ci sono storie che non vengono mai raccontate. Le si nasconde sotto il cuscino come se fossero un segreto troppo importante da rivelare.
Hellionor si presenta davanti all’Ordine Oscuro con nient’altro se non un vecchio fascicolo, pronta a mettersi al servizio di un Dio che non conosce pur di dare un significato alla propria vita e a se stessa. Lì dentro conoscerà persone che hanno fatto la storia e persone che, per qualche motivo, sono state dimenticate e sono sparite senza lasciare traccia.
|| OC: Hellionor Paarick; Enea Fowler; Arachne Ingram ♦ Lavi/Tyki; altre coppie ||
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Nuovo personaggio, Rabi/Lavi, Un po' tutti, Yu Kanda | Coppie: Tyki/Rabi
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

Í donare la vita Í

tredicesima notte

 

 

 

 

 

 

«Cazzo», Enea strinse il parapetto fra le dita mentre gli ultimi resti del pranzo abbandonava per sempre il suo stomaco.

Il battello era in viaggio da otto ore, e lui non aveva fatto altro se non vomitare da quando era partito.

Sospirò inspirando profondamente, scostandosi indietro i pochi ciuffi che gli ricadevano scomposti sul viso mentre Hellionor si stiracchiava con la valigia in mano, preparandosi ad attraccare.

«Sai, non è poi così male viaggiare per mare» commentò mentre lui chiudeva gli occhi, lasciando che l’aria gli accarezzasse il viso. Non capiva come fosse passata da “Non ho mai preso una nave in vita mia” a “Secondo te è possibile che questa nave affondi?” per poi ormeggiare a Liverpool e prendere il battello per Balbriggan, scoprendo la bellezza, a dire di Enea inesistente, dello stare in mezzo al mare, ondeggiando avanti e indietro.

«Parla per te, ti prego» brontolò qualche attimo prima che un altro conato gli schiudesse le labbra, domandandosi perché quell’imbecille di Komui avesse scelto proprio lui per accompagnare Hellionor nella sua prima missione.

La ragazza sorrise, poggiandosi al parapetto accanto a lui, di schiena, «Ti hanno mandato qui per dimagrire, suppongo» scherzò, riferendosi al fatto che era dalla Francia che vomitava, facendo eccezione della notte che avevano trascorso in Inghilterra, prima di partire nuovamente.

«Fanculo» fu l’unica cosa che riuscì a mormorarle mentre un fischio coprì le sue parole, annunciando che stavano per attraccare.

Rimase fermò lì, immobile, lo sguardo rivolto all’acqua mentre il battello si fermava, e quando Hellionor lo chiamò gridando un «Muoviti!» inspirò profondamente, preparandosi a fare i sette metri che lo separavano dalla passerella.

Gli girava la testa, e sapeva che la nausea ci avrebbe messo un po’ a passare, ma doveva assolutamente poggiare i piedi su qualcosa di stabile, quindi strisciò fino al molo con la valigia in mano, in mezzo al via vai di marinai e barche.

Si guardò attorno cercando il Finder che avrebbe dovuto accompagnarli a Slane, dove era stata evidenziata un’attività soprannaturale che Komui non si era degnato di spiegargli nei dettagli. «Il bestiame del posto sparisce misteriosamente» si era limitato a dirgli, «I contadini pensano che sia opera del diavolo» e poi Reever era passato a portagli una serie di documenti, il Supervisore aveva iniziato a fingere di parlare al telefono, e il tutto si era trasformato in un teatrino tragicomico a cui Enea aveva preferito non assistere.

«Dobbiamo cercare Rebecca» si impegnò a parlare senza vomitare, poggiandosi ad un traliccio il legno, «Così magari ci dicono che cosa sta succedendo in questo posto», non era sicuro di riuscire a camminare, non ancora almeno, aveva delle vertigini terribili.

Hellionor faceva dondolare la valigia avanti indietro, «Chi è Rebecca?» chiese alzando lo sguardo verso di lui – ogni volta che la guardava non riusciva a non fissare il pentacolo che le sporcava la guancia. Gli succedeva anche con la Mammoletta, era una cosa che non riusciva a controllare.

«Lei è Rebecca» spiegò Enea, mentre una donna dai capelli neri gli veniva incontro nell’uniforme da Finder.

«Signori Esorcisti» li salutò con un sorriso, ed Enea recuperò la valigia, mentre Hellionor si domandava che cosa avesse spinto una donna tanto giovane a unirsi all’Ordine Oscuro. A morire. Era una cosa che non riusciva a concepire, i Finder non erano esorcisti, non erano stati scelti, nessuno li aveva appositamente creati o plasmati per combattere in quella guerra, eppure ce n’erano tantissimi.

«Ciao Rebecca» il tono di Enea le fece intuire che probabilmente già si conoscevano, «Lei è Hellionor» aggiunse poi, indicandola con un cenno del capo, «È appena arrivata» il modo in cui doveva sempre sottolinearlo la infastidiva.

Nuova arrivata. Suonava come “Fai schifo, ma non è colpa tua, è perché sei nuova”.

«Sì, sono nuova» gli fece il verso guardandolo male, «Piacere di conoscerti, Rebecca».

La donna le sorrise chinando il capo, «Anche per me è un piacere, Il Supervisore mi ha già spiegato tutto» disse, come a volerla rassicurare, e poi si  guardò attorno, «Ma adesso venite, se non partiamo subito arriveremo a notte fonda!» affermò incominciando a incamminarsi, assicurandosi che loro la stessero seguendo.

Le piccole stradine attraversavano i prati e i campi di un verde brillante che lei non aveva mai visto, era come camminare in mezzo ad un mare di fondi di bottiglia, rilucevano al sole, scintillanti, mentre Enea accanto a lei sembrava mantenere l’equilibrio a stento.

Forse era per colpa del viaggio, probabilmente vomitare così tanto non gli aveva fatto tanto bene.

«Entro sei ore saremo al villaggio» Rebecca aveva la voce di una madre, Hellionor riusciva a pensare solo a questo ogni volta che lei apriva bocca. Era così che se la ricordava: affettuosa e dolce. «Le pecore stanno sparendo ad una velocità impressionante, e i cani da pastore pure» spiegò continuando a camminare, «Gli allevatori sono disperati, pensano che sia opera del diavolo» aggiunse, ed Enea finalmente si decise a dire qualcosa.

«Forse non hanno tutti i torti» commentò, e Rebecca ricambiò il suo sguardo, tornando poi a parlare.

«Pensano che il demonio sia racchiuso in una pecora nera, un pover’uomo l’ha trovata vicino al fiume e l’ha accolta nel suo gregge, da quella notte sono iniziate le misteriose sparizioni. Il suo branco è stato il primo a scomparire, e la pecora nera continua ad aggirarsi in quel villagio», era quasi inquietante sentirla raccontare quelle cose, ma almeno era stata più esaustiva del Supervisore.

 

* * *

 

Camminavano da più di quattro ore, ormai. Hellionor sospirò, sciogliendosi i capelli mentre faceva dondolare la valigia nella mancina, iniziando poi a canticchiare.

«Perché l’Innocence dovrebbe uccidere delle pecore?» domandò, cercando di instaurare una conversazione con qualcuno, dato che erano caduti nel silenzio più totale. Enea non sembrava ancora disposto a parlarle, forse stava ancora male per il mal di mare… o forse se l’era presa per le battute e le frecciatine che gli aveva lanciato durante il tragitto. Senza contare le domande che gli aveva fatto con una frequenza piuttosto assillante. Aumentò il passo, affiancando Rebecca.

«Tu cosa dici?» le chiese, allungandosi verso di lei, come per palesarsi.

Osservò la donna guardare verso il cielo, macchiato qua e là da soffici nuvole grigiastre, presagio di pioggia, «Beh, non saprei» iniziò, raccogliendo i capelli neri all’interno del cappuccio, «L’Innocence si manifesta in un sacco di forme» continuò, girandosi verso Hellionor, «Dovrebbero averti dato un fascicolo sulle missioni precedentemente svolte, no? Qualcosa per farti prendere confidenza con questi fenomeni e l’Innocence…».

Hellionor annuì, sentendosi rossa in viso, «Certo, certo! Ma ero così stanca ultimamente che non l’ho proprio aperto…», ridacchiò, grattandosi la nuca. Non ricordava nemmeno dove li avesse lanciati, quei fascicoli. Rallentò, fino ad andare in coda al gruppo, vergognandosi della propria ignoranza in materia, e della propria ignoranza in generale. Non era il momento di lamentarsi, però. Si schiarì la gola, raddrizzando la schiena per cercare  di riprendere un certo contegno. Non voleva pensare a Rebecca che tornava all’Ordine e raccontava di quella «povera sbadata nuova esorcista» che non faceva altro che fare domande stupide.

«Enea» disse, chiamando il compagno. Enea, solo ora si rendeva conto di quanto fosse musicale il suo nome. Aveva qualcosa nella cadenza delle lettere che le ricordava il portoghese – era felice di poterlo sentire uscire dalle proprie labbra. Non aspettò nemmeno un segno d’assenso da parte del ragazzo che decise di proseguire con la sua domanda, «Quante missioni hai fatto da quanto sei all’Ordine?».

Le sembrava di aver chiesto qualcosa di vagamente intelligente. Era sicura di non aver ricevuto nessun documento riguardo agli esorcisti dell’Ordine Oscuro e, nonostante fossero in viaggio da una vita, Enea non aveva parlato più di tanto di se stesso. Aumentò il passo per affiancarlo e lo osservò mentre la squadrava come se fosse un gattino randagio sporco di resina e terra. Prima che lui potesse risponderle, una goccia di pioggia le finì sul naso, facendola storcere le labbra.

«Più avanti c’è Drogheda» informò Rebecca, riparandosi ulteriormente sotto il cappuccio, «È a qualche chilometro da Slane, ma l’Ordine ha prenotato tre stanze in una locanda nel caso ci dovessimo fermare» informò.

«Aumentiamo il passo, allora» sentenziò Enea, lasciando la domanda di Hellionor senza risposta.

 

* * *

 

Hellionor si sfregò i capelli nell’asciugamano, pettinandoli poi con le dita. Non aveva molta voglia di sciogliere tutti i nodi, anche se sapeva che lasciarli là era la cosa più sbagliata da fare in quel momento. Si fece forza, sedendosi sul letto, afferrando le ciocche una per una e facendole passare tra i denti larghi del legno intagliato.

Era la sua prima missione e aveva preso un acquazzone da paura. Se non si raffreddava era un miracolo. Ricordava gli insulti di Enea in un inglese esageratamente stretto che lei non riuscì a capire – quei suoni sembravano messi in un ordine casuale e la facevano sorridere anche in quel momento.

Doveva abituarsi a tutto quel lusso. Di certo non si aspettava di entrare in una città sconosciuta e trovare una stanza tutta sua munita anche di vasca che, in meno di mezz’ora, era già piena di acqua calda e sapone.

Finì di pettinarsi, stendendosi poi sul letto morbido e caldo, giocando con le punte rovinate dei suoi capelli. Da quando era lì, aveva già visto un po’ di persone con il suo stesso colore dei capelli e le stesse lentiggini sul collo, naso e spalle. Tuttavia non riusciva a sentirsi a casa, e la cosa la frustrava un po’. Sua madre era irlandese, certo, ma lei di irlandese non aveva nulla se non la pelle inclina alle scottature e quei capelli color carota.

Si girò a pancia in giù, abbracciando uno dei due cuscini, affondando la testa su quello che non aveva arpionato. C’era una sensazione strana che le stringeva il petto, un dolore come di mancanza. Un vuoto che non riusciva né a colmare né a spiegarsi.

Aveva avuto quello che voleva: entrare nell’Ordine Oscuro, con il più nobile dei titoli… era un’esorcista! Ma non poteva non pensare al volto di Komui quando parlava con lei, così lontano dai racconti che Lavi aveva condiviso con lei, o da quello che aveva sentito dal telefono con Enea durante tutto il tragitto. Non era pentita della sua scelta, ma iniziava a pensare che, forse, avrebbe dovuto rifletterci di più.

«Beh, ormai è fatta» si consolò, mettendosi a sedere. Infilò le scarpe comode e si pettinò i capelli umidi all’indietro, aprendo poi la porta. Rebecca l’aveva avvisata di scendere per un pasto caldo davanti al fuoco appena era pronta, e lei di certo non se lo sarebbe fatto scappare.

Inoltre, aveva assolutamente voglia di scoprire qualcosa in più su Enea. All’orfanotrofio, i pranzi e le cene erano i momenti della condivisione: ognuno raccontava qualcosa sulla propria giornata e se c’era un problema, insieme si cercava una soluzione.

Scese le scale senza fare rumore, arrivando ad una piccola saletta composta da divanetti scuri e un grande camino acceso. Enea stava seduto su una poltrona e mangiava qualcosa da una ciotola fumante.

Non sapeva perché, ma aveva l’impressione che lui avesse molto da dire.

Hellionor si sedette davanti ad Enea, sistemandosi la maglia, «Che cosa hai preso?» gli chiese mentre lui immergeva il cucchiaio nel liquido di un tenue arancio, alzando poi lo sguardo verso di lei.

«Zuppa di carote» le rispose semplicemente, riprendendo poi a mangiare mentre l’uomo della Locanda che li aveva accolti si avvicinava a lei, portandole la sua zuppa di rapa e maiale. Lo ringraziò con un sorriso prendendo il piatto fra le mani, ancora disorientata da tutte queste premure che le riservavano. Incominciò a mangiare, osservando con la coda dell’occhio l’uomo che attizzava il fuoco nel camino.

Era la cena più buona che avesse mangiato fuori dalle mura dell’Ordine, di questo ne era certa. Non apprezzava particolarmente il silenzio che la stava accompagnando, però,  motivo per cui si schiarì la voce e poi decise di intavolare una conversazione.

«Non mi hai detto quante missioni hai fatto» disse, tenendo il cucchiaio sospeso a mezz’aria. Questa volta non poteva ignorarla, c’erano solo loro due in quella stanza.

Enea la guardò per una manciata di secondi, «Non ne ho idea» era sincero, oramai era passato così tanto tempo che aveva perso il conto, c’erano missioni che nemmeno si ricordava, e altre che per un motivo o per un altro gli erano rimaste impresse nella mente.

Guardò la ragazza annuire piano e portarsi la zuppa alle labbra, cercò di immaginarsi perché fosse lì, se aveva abbandonato la sua famiglia, o se l’Innocence le aveva appena dato un tetto sulla testa e una vita nuova, esattamente come aveva fatto con lui.

Ci fu un attimo di silenzio, Hellionor si sistemò meglio sul tessuto scuro della poltrona, e poi gli sorrise «E come ci sei arrivato all’Ordine?», era una domanda che non sopportava, ogni volta ripensava a quella notte, a quei corpi che diventano polvere, e a quell’uomo arrivato all’improvviso che gli aveva offerto di seguirlo, di dare un senso alla sua vita. Inspirò profondamente, poggiando il piatto sul tavolino in legno che li separava, «Sono stato trovato dal Generale Winters» non c’era molto da spiegare, l’Innocence aveva reagito alla sua presenza, si era semplicemente trovato al momento giusto nel posto giusto, «Tu?» domandò poi, convinto che non gli importasse davvero, «Ti hanno trovata la Mammoletta e il Bookman, no?».

La domanda la fece esitare, lo vide dal modo in cui il cucchiaio tremò appena fra le sue dita, bloccandosi a qualche centimetro dalle sue labbra, «Veramente sono stata io a trovare loro» gli rispose, bevendo poi la zuppa. «Alla fine sapevo di avere l’Innocence, sapevo dell’esistenza degli esorcisti, e sapevo che avrei dovuto cercarli» continuò, e la posata tintinnò contro la ceramica, «Ci ho messo degli anni, ma ce l’ho fatta!» e sorrise.

Non aveva una famiglia. Nessuno si sarebbe mai volontariamente unito all’Ordine se ne avesse avuta una. Nessuno avrebbe mai parlato in quel modo se avesse avuto una casa da rimpiangere, una madre e un padre.

«Congratulazioni» borbottò infilandosi una mano in tasca, estraendo la tabacchiera per accendersi una sigaretta, sfiorare le iniziali incise sul bordo della scatoletta  riuscivano sempre a farlo tornare bambino per una manciata di secondi, inginocchiato sul tappeto della grande biblioteca.

Hellionor gli fece il verso, esattamente come aveva fatto per la maggior parte del viaggio, e poi si infilò il cucchiaio in bocca, osservandolo mentre avvicinava il fiammifero alla cicca.

«Non mi hai nemmeno chiesto se mi dà fastidio il fatto che mi fumassi vicino» gli disse, e lui aspirò una boccata, soffiando il fumo lontano.

«Nemmeno tu mi hai chiesto se mi dava fastidio che mangiassi carne davanti al mio naso» ribatté lui, spostando lo sguardo verso le fiamme del camino. L’aveva quasi rivalutata, si stava quasi dicendo che non era poi una persona così cattiva. Certo, vagamente insopportabile dato il suo pessimo senso dell’umorismo, ma non si poteva avere tutto dalla vita e lui lo sapeva bene.

«E poi non ti sei lamentato quando sono arrivata con la mia buonissima zuppa di maiale» borbottò lei, finendo la sua ciotola, appoggiandola poi sul tavolino, liberandosi le braccia e incrociandole al petto, «E comunque, anche se non ti importa, non mi dà fastidio che fumi davanti a me, grazie per l’interessamento, Fiore» gli disse, più acida del solito.

Enea sospirò, un po’ troppo melodrammaticamente per i gusti di Hellionor. In ogni caso, anche lei avrebbe fatto in quel modo. «È Fowler» chiarì.

«Lo so, Fiore» continuo l’altra. Respirando a fondo prima di alzarsi, «Vado a dormire, prima di rovinare la giornata a Vostra Eccellenza il Conte Fiore» disse plateare, prima di fare un profondo inchino.

«Si può sapere che problemi hai tu?», evidentemente, Enea era sull’orlo di un esaurimento nervoso. Forse lavorava troppo… aveva bisogno di una vacanza!

«Sei tu quello che non riesce a socializzare, Enea» disse lei, sorridendogli, prima di fare dietrofront e ritornare verso camera propria, ringraziando i locandieri per la cena.   

 

* * *

 

Considerato i giorni che aveva passato a camminare, le due ore e mezza che la separavano da Slane non le sembravano così drammatiche. D’accordo: Enea sembrava ancora essere arrabbiato con lei per aver urtato la sua sensibilità con la sua zuppa di rape e maiale.

«Non gli piace la carne» le spiegò Rebecca, «Credo che gli dia fastidio anche il suo odore. Ma il pesce lo mangia…» informò, osservando le spalle dell’esorcista, dritte e larghe, come se fosse sempre all’erta e pronto all’azione.

«A tutti piace il pesce!» rispose l’altra, sorridendo. «Ma secondo te mi odia?» domandò poi, a voce più bassa. Più lo guardava, più si rendeva conto di non averlo visto durante la sua festa di benvenuto. Un po’  le dispiaceva, a dire il vero – le avevano raccontato che «Mammoletta» era il soprannome che un certo Yu Kanda aveva dato ad Allen… se lo usava anche lui, forse era amico di Kanda. E se Kanda era così scontroso come lo descrivevano, allora davvero non riusciva a spiegarsi il perché lei non andasse bene per entrare nella sfera privatissima del Conte Fiore. Un po’ cinica lo era anche lei, no?

Rebecca sorrise, spostandosi i capelli su una spalla, «No, no» la rassicurò con un mezzo sorriso, «È molto serio e concentrato durante il lavoro, tutto qui».

«Capito…» borbottò, ritornando in silenzio. Non riusciva a capire come Enea potesse essere sempre così teso, come potesse dedicare tutta la sua vita e tutta la sua persona per una causa che, forse, era già persa in partenza. Tuttavia, anche lei era lì – e come lui aveva donato la sua esistenza all’Ordine Oscuro.

Non è un gioco. La voce del vecchio Bookman le ritornava in testa come una preghiera, un’avvertenza. Forse stava dimenticando qualcosa di estremamente importante di tutto quel puzzle di cui lei faceva parte. Alzò gli occhi al cielo, sotto allo strato di nuvole, la distesa azzurra era ancora uguale a quella che vedeva in Portogallo. Rimaneva immutato negli anni mentre loro crescevano e morivano, esattamente come i fiori.

Pensò a Dio. A come restava sempre uguale mentre loro – le sue creature – continuavano a morire, afflosciandosi a terra senza più vita. Tutti quei soldati di Dio sarebbero spariti senza lasciare traccia del loro cammino e la pioggia avrebbe lavato via il loro sangue. Forse era per questo che Enea era così serio: sapeva che sarebbe morto, un giorno, e che in nome di quella morte gloriosa aveva rinunciato ad una famiglia, alle feste, alla bella vita e all’amore. Sorrise, spostandosi un ciuffo di capelli dal viso, osservando ancora quelle spalle dritte avanzare verso l’ennesimo campo di battaglia.

Lei non era come lui. Non era pronta a morire per qualcosa che, forse, nemmeno esisteva. Eppure sapeva che la sua vita sarebbe stata assorbita dalla terra, il suo corpo bruciato e la sua persona dimenticata. Si era imposta di andare avanti verso quella strada con un mezzo sorriso e quel dolore nel suo cuore di vetro che si mangiava ogni cosa, lentamente.

 

* * *

 

«Allora ci vediamo all’alba» Hellionor provò ad alzare gli angoli delle labbra, tentando una smorfia amichevole. Enea, dal canto suo, le aveva risposto con un mezzo sorriso stanco e un «buonanotte» biascicato con la sigaretta in bocca.

Le cose sembravano migliorate. Hellionor entrò in stanza, chiudendosi la porta alle spalle con un sospiro. Fare il giro del villaggio e chiedere ai suoi abitanti della sparizione delle pecore era stato più difficile del previsto. Solo un pastore aveva avuto il buon cuore di parlare con loro e spiegare la situazione… in tutti i casi non avevano scoperto niente di più di quello che sapevano già, e la cosa li aveva demoralizzati.

In quel caso, non rimaneva che andare per i pascoli e cercare l’Innocence. Si tolse la casacca della divisa, tirandosi le maniche della maglia fino ai gomiti. Seduta vicino al camino, riusciva a vedere le cicatrici che le decoravano le braccia e le mani tingersi di un dorato prezioso, in contrasto con il pallido della sua pelle.

Era la parte della sua vita che odiava di più. Sospirò, afferrando dal piccolo borsello attaccato alla cintura la versione ridotta di un pugnale, grande quando una lama da barbiere. Non avrebbe mai voluto fare una cosa del genere davanti ad Enea o Rebecca – in realtà, non avrebbe voluto fare una cosa del genere davanti a nessuno.

La mano le tremava ancora, oscillava di qualche millimetro a destra e a sinistra fino a quando la punta del ferro non le sfiorava la linea della vita, incidendola e colorandola di rosso. Il sangue caldo si infiltrava in tutte le pieghe della sua mano e le sfiorava la pelle come la carezza premurosa di un fantasma.

Si concentrò, ascoltando il suo cuore battere più velocemente e quella punta di ferro martellare. Era un brivido freddo che le attraversava il braccio e raggiungeva la punta delle due dita. Il cremisi si cristallizzò lentamente in piccoli diamanti rossi che, sotto gli occhi stanchi e le palpebre socchiuse di lei, si fondevano. Si sentiva stanca per il viaggio e per la ricerche, desiderò il letto con tutta sé stessa mentre il suo sangue prendeva vita tra le sue dita.

Si fasciò la mano mentre la ferita iniziava a bruciare e farle male. Con la destra, appoggiò la lancia vicino al muro, osservandone il bastone liscio e levigato, quasi lucido, fatto con il proprio sangue.

Si stese sul letto e chiuse gli occhi.

Bisognava donare la vita all’Ordine Oscuro.

Lei donava il suo stesso sangue.

 

* * *

 

Enea si tolse la casacca dell’uniforme sedendosi sul letto, osservando la sua Innocence abbandonata sul comodino. I due occhi gialli, incastonati poco sopra il manico delle due sciabole gemelle, sembravano fissarlo, chiedendo di essere liberati.

Sospirò, stendendosi, cercando di capire che diavolo stesse succedendo in quel posto carico di superstizioni stupide, dove il loro arrivo era bastato per far sì che la gente si richiudesse nelle loro case. Chiuse gli occhi, gli spifferi d’aria s’infiltravano da qualche parte, accarezzandogli il viso e le braccia scoperte dalla maglia nera che indossava.

Aveva bisogno di dormire, lui come Hellionor, e ripartire da capo il mattino dopo, con calma, cercando di estrapolare gentilmente altre informazioni utili.

D’un tratto un guaito squarciò il silenzio che lo avvolgeva: i cani abbaiavano e ringhiavano mentre i belati del gregge gli facevano da sottofondo, attenuandosi velocemente.

Si vestì in fretta, recuperò le sue armi e spalancò la finestra, deciso ad uscire da lì il più in fretta possibile.

Ma quando atterrò nel fango, davanti all’entrata della locanda, non c’era più niente. Solo il silenzio.

 

 

 

 


 

Note d’Autrici; do you wanna see my Mugen?

 

Insomma, a Hellionor tocca la sua prima missione.

Abbiamo deciso di portarla in Irlanda con Enea, facendole attraversare tre città (il porto, Drogheda e poi Slane) in compagnia del Conte Fiore, in modo da poter parlare abbastanza di entrambi, dato che sono due dei tre OC di questa storia. E… beh, non abbiamo molto altro da dire.

Già nel capitolo precedente abbiamo chiarito alcune cose su questa storia, ovvero che è stata scritta e ideata prima che si venissero a conoscenza di “cose” come, in questo caso particolare, l’Innocence Cristallo. In tutti i casi, ci sono delle peculiarità che rendono l’Innocence di Hellionor diversa dalla forma cristallo che si percepiranno nel corso della storia.

Ricordiamo che tredicesima notte fa riferimento al tempo che Hellionor sta passando all’Ordine e non è la numerazione del capitolo, non siamo impazzite.

Ci risentiamo per il 14 agosto e ringraziamo chiunque stia seguendo la storia in segreto

E buon compleanno Marian~

     papavero radioattivo




   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > D.Gray Man / Vai alla pagina dell'autore: papavero radioattivo