Í una copia dell’innocenza di dio Í
terza notte
L’Ordine Oscuro sembrava una chiesa.
Non ne aveva viste molte, a dir la verità. Ma da
bambina immaginava la loro struttura imponente e buia – senza saperlo, stava
immaginando anche la Sede dell’Ordine Oscuro. Trattenne il respiro, ascoltando
il rumore dei propri passi che si allontanavano da quelli del resto del gruppo.
Lentamente, il silenzio avvolgeva lei e il Supervisore come una coperta fredda.
Non era un posto accogliente. Guardandosi intorno, non riusciva davvero a
capire come facessero tutti a chiamarla «Home».
La luce fioca e arancione delle candele
illuminavano i mattoni grigi dei muri e le porte di metallo.
Si fermò, indicando una crepa che si estendeva a
raggiera poco più avanti, tutta l’area era recintata da striscioni gialli che
esortavano a stare lontani. Sembrava ci fosse stato un combattimento e qualcosa
di veramente pesante si fosse schiantato contro quel muro. «Cos’è successo a
questa parete?» domandò, curiosa. Nonostante volesse sapere quale fosse stato
l’incidente procurato a quel povero muro, non riusciva a sentire quel posto
come suo e, in tutta sincerità, non pensava si sarebbe ambientata in fretta.
«Oh! L’incidente di Komurin
II… sarà Enea Fowler a
rispondere a tutto, più tardi» le rispose Komui,
accennando un sorriso, «Di solito la mia adorata Lenalee
fa fare il giro di visita ai nuovi membri dell’Ordine, ma considerando le sue
condizioni e…» sembrò bloccarsi per un momento,
«L’importanza del caso, è meglio attuare la procedura di identificazione
dell’Innocence».
Sentì la mano del Supervisore sfiorarle la
schiena in un gesto rassicurante, anche se il suo modo di parlare era
evidentemente teso. Da quello che aveva potuto sapere da Allen e Lavi, Komui Lee era una persona tutt’altro che seria e
responsabile – allora perché si comportava in modo così
professionale con lei?
«Per proteggere la tua identità ti abbiamo
registrato come Hellionor Paarick»
continuò poi, «Ci sono persone che ancora si ricordano di Takahashi
e―».
«Ho capito, Supervisore» sentenziò lei,
aumentando il passo nonostante non sapesse esattamente dove andare, «Non c’è
bisogno che mi spieghi cose che so già».
«Grazie per la comprensione» disse, sospirando
di sollievo. Si guardò attorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno nei
paraggi, «Di solito è una procedura veloce. Hebraska
è molto brava in questo. Ma considerando la situazione…» strinse le labbra in
una smorfia, «Spero che non ti succeda niente» confessò poi.
Hellionor aveva notato come il Supervisore cercava di non usare la parola
«esperimento» – come se l’idea che comportava quella parola gli facesse
ribrezzo o, peggio ancora, paura. Gli occhi di Komui,
dietro alla montatura sottile degli occhiali, erano tristi – in qualche modo Hellionor si sentì colpevole. «Ho la pellaccia, io» gli
sorrise, battendosi sul petto, all’altezza del cuore. Non era andata a bussare
alla porta dell’Ordine Oscuro per vedere altre persone giù di morale per colpa
sua.
«Non ne dubito» sorrise lui, indicandole le
scale che dovevano scendere.
* * *
La pedana piramidale iniziò a scendere, mentre Hellionor si lasciava alle spalle la sezione scientifica,
sprofondando nel buio.
«Devi stare tranquilla» la rassicurò, «Da Hebraska ci sono passati tutti gli esorcisti, è molto
gentile» continuò, tenendo gli occhi fissi sui cinque uomini che sembravano
sospesi nel nulla, seduti sulle loro poltrone rosse – non diedero un minimo
cenno di benvenuto o qualcos’altro. Sembravano davvero scortesi, oltre che
apatici.
«Non guardali così» la riproverò Komui, mentre la pedana rallentava fino a fermarsi, «sono i
Comandanti Supremi».
Hellionor sospirò, coprendosi gli occhi con una mano. Aveva appena fatto la
sua prima figuraccia. Scosse la testa, massaggiandosi le tempie, cercando nel
suo ridotto vocabolario qualcosa che potesse vagamente essere simile a delle
scuse, ma prima che potesse solamente schiudere le labbra per scusarsi per la
sua insubordinazione, sentì la mancanza di qualcosa di solido
sotto i propri piedi. Riaprì gli occhi e la luce l’accecò per un momento. Quando
mise a fuoco, vide Komui sotto di lei e qualcosa
simile a dei tentacoli avvolgerla, tenendola sospesa.
«Innocence…» era una
voce soffusa, come quella di un ricordo.
Mani minuscole si avvicinarono a lei,
sfiorandole le braccia, risalendo lungo le spalle. Hellionor
si pietrificò. Che doveva fare? Trattenne il respiro, tenendo gli occhi puntati
su Komui, fermo sulla pedana. Sembrava preoccupato e
la cosa non l’aiutava.
«Innocence…» ripeté.
Si guardò attorno e notò l’essere a cui appartenevano quelle braccia. Il volto
di donna era privo di ogni emozione e le sue labbra non facevano altro che
sillabare la stessa parola. Innocence.
Chiuse gli occhi, cercando di darsi una calmata.
Appoggiò le mani sulle braccia che la reggevano, contando i propri respiri. Nel
buio, riusciva ad immaginare quella voce come una ninna-nanna. Qualcosa
all’altezza del petto le scaldò la pelle, prima di attraversarle i vestiti ed
intrufolarsi dentro di lei. Fu un attimo, come se avesse ricevuto un forte
pugno all’altezza del petto che le impedisse di respirare.
«Hebraska?» la voce di
Komui, nonostante non fosse diretta a lei, le provocò
sollievo, «Allora?» continuò.
«È molto debole, ma riesco a sentirla…» iniziò.
C’era qualcosa, nel modo in cui parlava, che faceva sentire a disagio Hellionor. Un’altra fitta al petto la costrinse a chiudere
gli occhi e concentrarsi sul dolore, cercando di domarlo, «Nel suo corpo c’è…
qualcosa che assomiglia all’Innocence, oltre al
frammento in sé, Komui» continuò poi. La stretta di Hebraska stava cominciando a sembrare debole e affettuosa,
come l’abbraccio di una madre. «Che cos’è?» domandò poi al Supervisore.
Komui rimase qualche secondo in silenzio – non c’era alcun rumore nella
stanza. Era la prima volta che Hellionor sentiva
tutta quella quiete. Avvertiva, dentro di sé, il battito del proprio cuore:
quel tu-tum che aveva sentito
molte volte sul petto di altre persone. Se si concentrava, riusciva ad avvertire
anche quell’altro suono che gli faceva da eco, una sorta di punta metallica che
picchiava contro un cristallo. Lo aveva sempre ignorato. Cercava di non
pensarci, di fare finta che dentro di lei non ci fosse niente di sbagliato o
fuori posto. Ma nel silenzio di un posto come quello, ignorarlo era
impossibile. Ad ogni battito Hellionor aveva
l’impressione che quella punta metallica crepasse il proprio cuore che, ora
come ora, le sembrava fatto di vetro. Non si sarebbe stupita se fosse stato
davvero così.
«È un falso» il verdetto di Hebraska
arrivò come una pugnalata, e il dolore divenne più forte, «Qualcosa che cerca
di copiare le caratteristiche dell’Innocence, ma non
potrà mai».
«Non si può fare una copia dell’Innocenza di
Dio», era una voce nuova ad intromettersi. Veniva dall’alto, come una sentenza
divina, «È blasfemia».
La sensazione di torpore lasciò lentamente Hellionor, mentre lei rientrava in pieno possesso delle sue
capacità e il dolore scompariva piano, dissolvendosi lungo i propri arti, fino
alle punte delle dita.
Il volto di Hebraska,
offuscato dalle lacrime sospese sulle ciglia di Hellionor,
si avvicinò a lei, appoggiando la fronte sulla sua. La ragazza chiuse gli
occhi, sentendo le ciglia liberarsi dal peso di quelle gocce d’acqua e l’umido
segnarle le guancie, cadendo poi nel vuoto. Schiuse le labbra screpolate,
muovendo le dita delle mani per capire se avesse ripreso consapevolezza di quel
corpo che le sembrava così lontano.
«Cinquantadue per cento…» disse, rimanendo poi
in silenzio, accompagnando il suo corpo sulla pedana.
Hellionor barcollò, afferrando la ringhiera in ferro. Non sapeva più
cos’aspettarsi e, francamente, non aveva compreso il perché di questa ispezione
da parte di Hebraska: non aveva detto più di quello
che lei aveva raccontato a Komui o di quello che
c’era scritto nei fascicoli che aveva consegnato alla scientifica.
«È una percentuale bassa» continuò Hebraska.
Komui si avvicinò a Hellionor, sfiorandole
nuovamente la schiena con una carezza, «Tutto il supporto della finta Innocence aiuta il suo corpo a reggere il peso di quella
vera, suppongo» disse, guardando la ragazza, «Tu sai come funziona il tuo corpo?».
Hellionor si schiarì al voce, cercando di raddrizzare la schiena, «So solo
che c’è qualcosa dentro me che fa funzionare l’Innocence»
borbottò.
«Komui» lo chiamò Hebraska, «Non è un’Apostola di
Dio» continuò. Quelle parole la ferirono molto più di quanto immaginasse, «La
quantità di Innocence all’interno del suo corpo è
veramente minima, non credo che sia saggio…».
Il volto di Komui si
contrasse in una smorfia. I suoi occhi si soffermarono ancora su di lei poi si
rivolsero ai Comandanti Supremi, «Voi che dite?».
«Siamo in presenza di un’Innocence
artificiale, costruita con dei frammenti rubati all’Ordine vent’anni fa». Hellionor si appoggiò al parapetto mettendo una mano sul proprio
cuore, come se questo potesse aiutarlo a calmarsi, «Nonostante il progetto per
creare Apostoli di Dio fosse stato cancellato tempo fa, alla porta dell’Ordine
Oscuro si presenta un esperimento riuscito».
Fallimentare si corresse
mentalmente Hellionor, ricordando le parole di Komui qualche giorno prima.
«Considerando che la ragazza è sopravissuta fino
ad ora, si potrebbe supporre che riesca a convivere con l’Innocence
senza che si danneggino a vicenda».
«Questo non è sicuro…»
continuo Komui a bassa voce, nessuno sembrò dargli
ascolto.
«Avviseremo l’Ufficio Centrale della questione,
nel frattempo, come già deciso da lei stesso, Supervisore, la ragazza farà
parte del corpo degli Esorcisti in favore della volontà divina».
Komui sospirò. Da quello che Hellionor era
riuscita a capire, l’avevano accettata all’interno dell’Ordine anche se lei non
era esattamente… in regola. Tuttavia, l’atteggiamento di Komui
non era quello di una persona soddisfatta. Si avvicinò a lei, tendendole la
mano, «Benvenuta all’Ordine Oscuro, Hellionor» disse,
sforzando un sorriso.
Quella titubanza le dava l’impressione di
essersi cacciata in un grosso guaio. Ricambiò la stretta, tentando anche lei un
sorriso, «La ringrazio infinitamente, Supervisore» mormorò, sincera. Nonostante
sembrava che fosse finita in una faccenda più grossa di lei, si sentiva
comunque felice di essere entrata all’Ordine.
Non importava se la falsa Innocence
l’avrebbe distrutta dall’interno. Non aveva niente da perdere, e non aveva
intenzione di legarsi a qualcosa o qualcuno. Sapeva che le rimaneva poco da
vivere e non aveva intenzione di trascorrere la sua vita con le mani in mano.
Se poteva ricavare qualcosa di buono dagli
errori di suo padre, tanto valeva provarci.
La pedana risalì, mentre la luce che circondava Hebraska si affievoliva lentamente. Hellionor
provò a lasciare le brutte esperienze lì, con i cinque tipi strambi e quella
specie di lumaca gigante. Ma non ci riuscì. Si guardò le mani e quella linea
della vita decorata da tagli chiusi da poco. Sospirò, sentendo l’aria
scompigliarle i capelli, proprio come il sangue si infiltrava nelle pieghe
delle sue mani. I cattivi pensieri erano sempre con lei, cuciti sulla sua
pelle.
* * *
Enea sospirò con le braccia incrociate al petto,
poggiato ad una delle pareti. Avrebbe preferito fare altro piuttosto che da
guida turistica alla nuova arrivata, ma il modo in cui Komui
l’aveva letteralmente pregato, ribandendo circa un miliardo di volte che la
sua Lenalee non avrebbe potuto
farlo, lo aveva convinto ad accettare solo per il mero desiderio di farlo stare
zitto.
Il suono dei passi sulle scale lo costrinse a
staccarsi dal muro, giusto in tempo per vedere la nuova esorcista fare gli
ultimi tre gradini, «Tu devi essere Hellionor» le
disse, più per cortesia che per altro, e poi le tese la mano, invitandola a
stringerla – prima avrebbero iniziato, prima avrebbero finito, non era tanto
difficile.
Hellionor si sforzò di sorridere prima di ricambiare la stretta, si sentiva
ancora un po’ in subbuglio per quello che era successo qualche attimo prima,
«Tu invece devi essere Enea Fiore».
«Fowler» la corresse
lui, e lei si sentì una completa imbecille. Era diventata un membro ufficiale
dell’Ordine e aveva già fatto due figuracce, probabilmente entro sera sarebbe arrivata
ad una quota esorbitante.
«Ah, è Fowler!»
affermò cercando di sdrammatizzare, «Mi sembrava che “Fiore” fosse un cognome
un po’… imbarazzante» ammise, e poi sorrise di nuovo alzando la testa per
guardarlo negli occhi. Probabilmente era più grande di lei, o forse era solo
troppo alto e fuori misura.
Il ragazzo evitò di rispondere alla sua
affermazione, si limitò a darle le spalle e a invitarla a seguirlo. Non dava
l’idea di essere di buon umore, ma almeno non sembrava un imbecille come Allen
e Lavi. Era quello che più si avvicinava alla sua immagine di esorcista: una
persona seria che fa il suo lavoro con
dedizione, senza correre in mezzo alla neve e inciampare nei suoi stessi
piedi.
Lo affiancò tenendo il passo, guardandosi
attorno mentre attraversavano il grande ingresso e si accingevano a prendere le
scale, domandandosi perché non avessero costruito un ascensore anche lì.
«Qui c’è la caffetteria» parlò stancamente Enea,
l’aria gli scompigliava i capelli biondo cenere, tenuti in ordine da una
piccola coda dietro la nuca, «Il capo chef si chiama Jerry, cucina qualsiasi
cosa tu possa immaginare» le spiegò, girandosi a guardarla per controllare che
lei lo stesse seguendo.
Hellionor sbirciò dentro la porta, esaminando i finder
seduti ai tavoli, intenti a chiacchierare e mangiare. Lo stomaco le brontolava
terribilmente, risvegliato dall’aroma di spezie che riempiva tutta la sala.
Cibo e alloggio gratis! esultò
interiormente, non poteva andarle meglio.
«Quando abbiamo finito il giro puoi tornarci» le
comunicò, come se fosse riuscito a sentire il borbottio della sua pancia vuota.
Era la prima cosa amichevole che diceva da quando si erano presentati, segno
che forse avrebbe potuto instaurare una misera conversazione senza che lui la
ignorasse o le rispondesse con quel tono decisamente seccato.
Provò di nuovo a sorridergli salendo un'altra
rampa di scale, sistemandosi i lunghi capelli sciolti sulla spalla, «Da quanto
tempo sei nell’Ordine?» gli chiese spezzando il silenzio, interrotto soltanto
dal suono dei loro passi sui vecchi scalini in pietra. Ricordava che durante il
viaggio Lavi le aveva detto che la Sede Centrale aveva quasi cent’anni, e
questo significava che un sacco di esorcisti erano passati di lì prima di lei,
per quei gradini. Un mucchio di scienziati, di uomini pronti a sacrificare la
loro vita in nome di un Dio che non si faceva nemmeno vedere, e suo padre.
Anche lui era stato lì.
Enea infilò una mano in tasca, estraendo una
piccola tabacchiera decorata con motivi floreali, «Undici anni» le rispose,
infilandosi fra le labbra una sigaretta. Nel momento in cui il fiammifero ne
accese la punta, un odore pungente le impregnò le narici, riportandola indietro
nel tempo per una manciata di secondi. Ricordava quel profumo, si spandeva nei
corridoi dell’Orfanotrofio, impregnando la tappezzeria.
«Sono qui da quando ho dodici anni» le spiegò,
riportandola con i piedi per terra, «Questa è la Sala Allenamento» cambiò
bruscamente argomento, mostrandole un ampio spazio colonnato, «È divisa su tre
piani, puoi venirci quando ti pare» continuò a parlare, ed Hellionor
pensò che quello era il discorso più lungo che avesse fatto. Stava facendo progressi,
ora della fine del giro probabilmente sarebbe riuscito a fare un discorso!
«E se per caso dovessi venire qui e trovare un
ragazzo dai capelli lunghi e scuri che sembra una ragazza, stagli lontana di
almeno sei metri» suggerì senza particolari pretese, accompagnandola di nuovo
fuori, «Oppure tiragli un peso in testa, se ci riesci» le sembrò di vederlo
sorridere, ma forse era solo una smorfia.
«Chiunque sia non ti sta simpatico, ho capito»
gli disse mentre continuavano a salire, ed Enea aspirò una boccata, lasciando
poi che il fumo gli uscisse dalle narici. Il fatto che le avesse detto che era
lì da undici anni, da quando ne aveva dodici, significava che ora ne aveva
ventitré. Non riusciva ad immaginare che cosa volesse dire passare così tanto
tempo nello stesso posto, che cosa si potesse provare ad avere un posto dove
poter sempre tornare.
Forse era per questo che la chiamavano “Home”,
Lavi le aveva detto che – come lei – molti esorcisti non avevano una casa,
prima di entrare all’Ordine, e di certo dopo undici anni di permanenza nello
stesso luogo si inizia un po’ a mettere radici.
Casa…
magari un giorno lo sarebbe diventata anche per lei.
«Qui ci sono i bagni» le indicò con un cenno
della mano, senza sprecarsi più di tanto a spiegarle i dettagli, «Ma hai un
bagno personale anche nella tua stanza» aggiunse, senza nemmeno fermarsi per
farglieli vedere.
Stava quasi diventando seccante, se era irritato
perché era stato costretto ad accompagnarla, di certo non era colpa sua.
«E perché ci sono dei bagni comuni se ognuno ha
un bagno personale?» domandò confusa, le sembrava poco logico.
Enea sospirò, «Prima non c’erano, li ha fatti
costruire il Supervisore» le rispose, entrando in un corridoio pieno di porte
con un enorme lampadario al centro, «Per socializzare, così
ha detto» le spiegò, e all’improvviso le venne in mente che voleva chiedere che
cosa fosse successo al muro distrutto che aveva visto durante la sua discesa
con Komui, ma Enea le impedì anche solo di aprire
bocca.
«Questo è il piano dell’infermeria» disse,
abbassando subito dopo il tono della voce in maniera quasi drastica, come se
stesse cercando di non farsi sentire, «La Capo Infermiera è una donna terribile»
mormorò continuando a fumare, «Ti auguro di non conoscerla» sembrava quasi
divertito, ma Hellionor non riusciva a capire da
cosa.
Stava insinuando che secondo lui l’avrebbe
conosciuta presto?
Che pezzo di stronzo!
«Non può essere così male» replicò, sistemandosi
il maglione logoro che aveva indosso, ed Enea scoppiò a ridere, accompagnandola
ai piani superiori. «Ne riparleremo fra qualche tempo» si limitò a dirle, e poi
rimase in silenzio fino a quando non entrarono nell’ennesimo corridoio. Le
sembrava tutto dannatamente uguale, non aveva idea di come facesse ad
orientarsi lì dentro.
«Questi sono i piani con le stanze, molte sono
vuote, oppure i proprietari sono lontani per delle missioni e non tornano a
casa da anni, quindi sono comunque vuote» disse, accostandosi ad una porta, «E
questa è la tua stanza, il giro è finito, e noi ci vediamo» aggiunse
sbrigativo, aprendole la porta. «Ah! Komui ha detto
che passeranno a prenderti le misure per l’uniforme» le comunicò infine
facendole l’occhiolino, lasciandola sola nella sua nuova stanza.
† Note
d’Autrici; do you wanna see
my Mugen?
Lo so, abbiamo detto che saremmo tornate dopo due settimana
dal primo capitolo ma (ahi noi!) eccoci qua. Dovete sapere che oggi è il
compleanno di Hellionor, e per festeggiarlo abbiamo
deciso di pubblicare questo capitolo. ♥
Vorremo fare alcuni chiarimenti:
― Nel manga, ci troviamo più o meno alla 30esima notte,
quando Komui, Bookman e Lenalee sono tornati all’Ordine (con Hellionor,
in MDC) e Allen e Lavi sono a fare la missione di Crowley.
Cercheremo di seguire il più possibile gli eventi dell’anime (non del manga,
dato che l’anime ci dà molto più spazio temporale) e inseriremo dove necessario
degli archi temporali più lunghi di quelli che la Hoshino
ci fa intuire. In questo modo dovremmo riuscire a sviluppare meglio le interazioni tra i personaggi, rendendole più
credibili.
― La storia di Hellionor è stata creata
durante l’arco dell’Arca, e per certi versi può ricordare molto alcune cose che
vengono descritte/scoperte in seguito al livello 4. Non si tratta di una “scopiazzatura”
del materiale canon della mangaka,
semplicemente qualcosa che è stato creato prima di sapere altre informazioni.
In tutti i casi, abbiamo cercato di adattare tutto in modo che fosse credibile
e coerente con tutto il mondo di D.Gray-man.
― È arrivato Enea!
/ Bisogna fare una festa, perché noi lo amiamo tanto e quindi dovrete farlo
anche voi. Non possiamo dire più di tanto, ma speriamo che la sua presenza
(anche futura) sia piacevole – insomma, speriamo che riusciate a capirlo. Il
motivo per cui Enea non fa molte (nessuna) considerazione sulla stella di Hellionor è, semplicemente, perché il POV del paragrafo era
della ragazza, e abbiamo pensato che fosse più utile tenere il suo punto di
vista durante il giro dell’Ordine, altrimenti si sarebbe ridotto ad un elenco
di posti che lui conosce già da una vita. Sappiamo che la scelta di fare il
giro dell’Ordine è stata rischiosa, dato che il lettore la conosce già, ma sono
in questi dialoghi e momenti (che si potrebbero definire «inutili») in cui si
conosce meglio un personaggio. Inoltre, dopo la prima parte del capitolo più “pesante”,
ci voleva un po’ di leggerezza ;)
― La storia dei bagni in comune costruiti da Komui per «socializzare» è un’informazione rilasciata dalla
Hoshino nel fan book Gray Ark, dove ha pubblicato
anche la piantina dell’Ordine a cui abbiamo fatto riferimento.
Stavolta torneremo davvero tra due settimane (quindi verso
il 31 luglio).
Grazie per aver letto, per aver recensito e per aver messo
tra le preferite/seguite/ricordate ♥ Risponderemo alle recensioni appena possibile! ;)
papavero radioattivo