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Autore: Chemical Lady    31/07/2015    1 recensioni
[Seguito di No Good Deed]
Passò gli occhi da una cartina all’altra, soffermandosi un istante sull’astrolabio che l’uomo davanti a lei le stava mostrando, fino ad arrivare alla pelle conciata dell’abissino.
La prese fra le mani, passandovi sopra le dita e saggiandone i rilievi, prima di alzare gli occhi in quelli di Leonardo. Il momento era giunto e lei si era preparata per quel giorno sin dalla sua nascita.
Aggirò il letto, andando verso quel piccolo scrigno che aveva sempre portato con sé, in ogni suo spostamento, quasi come se in esso vi fosse il più prezioso dei tesori.
Invero, era proprio così: Il diario di suo nonno, la chiave, il libro di Bologna e tutti i suoi appunti. Ore e ore passate a tradurre, interpretare e cercare di comprendere ciò che volevano dire.
Poi era arrivato lui, quell’artista folle dall’intelletto unico e tutto si era svelato: i pezzi di quel intricato puzzle erano finalmente disposti davanti a loro, ancora sparsi, ma pronti a rivelare la loro celata trama.
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Parte Seconda:
Le minacce sol son arme dello imminacciato.
Capitolo Settimo:
Sei sono le Case, sei le sfide.


*


I may seem crazy or painfully shy
 And these scars wouldn’t be so hidden
 If you would just look me in the eye
 I feel alone here and cold here
 Though I don’t want to die
 But the only anesthetic that makes me
feel anything kills inside
(Plumb – Cut https://www.youtube.com/watch?v=Ty0SF6jmDf8 )


 

6 Aprile 1478, Firenze
Venti giorni prima della Santa Pasqua.

 


La luce brillava attraverso le spighe di alto grano dorato, mentre la giovine riposava fra di esse, col capo rivolto verso il sole al tramonto. Doveva pian piano andar morendo, ma ancora riluceva, illuminando la sagoma di un giovane uomo che pareva danzare tra le spighe. Tre piume sporche, ma ancora lucide di colore rilucevano contro gli ultimi raggi morenti. Accarezzava lentamente la sommità dell’erba e del grano, mentre camminava lento fra di esso, come se non avesse alcuna fretta.
I suoi abiti parevano più sporchi del normale, ma la ragazza non vi prestò attenzione quando s’alzò, raggiungendolo lentamente.
“Sei sono le Case, sei le prove.” La voce del ragazzo era esattamente come la ricordava, anzi, come temeva di non riuscire a ricordarla: calda e dolce, come quella di un ragazzino. “La prima è la Casa Buia, in cui per far luce van usate torce che non devono venir consumate…. La luce è la speranza e non deve mai venir spenta. È una prova di Fiducia, perché è da essa che si genera tutto.”
Il giovane avanzò di qualche altro passo, accorgendosi che lei e il suo interlocutore stavano girando intorno ad una pietra scura, di forma circolare e con strane incisioni che ella mai aveva visto prima di allora.
Quando l’altro riprese a parlare, gli rivolse tutta la sua attenzione “La Casa dei Rasoi sarà la prima di molte dolorose. Essa rappresenta la Forza, la tempra che segnerà se il Pretendente è degno di ricevere il massimo Dono.”
La pietra parve quasi tremare sotto alle dita della mora, quando passò l’indice sopra a una delle incisioni.
Come prima, non disse nulla e fu il giovane a parlare nuovamente “La Casa Fredda e la Casa Calda offrono due tipi diversi di sfida. La prima è emblema della Tenacia che da sola va sviluppata, individualmente, come premio personale. La seconda è la Riconoscenza, poiché non dipenderà dal Pretendente il suo esito. L’aver però sfiorato la morte è il solo modo per apprezzare davvero la vita e riconoscerne il valore.”
La pietra crepitò ancora, quando il sole battè nel suo centro esatto, ed Ella fece un passo indietro.
Ma il racconto non era ancora finito. “La Casa dei Giaguari è tetra e richiede un sacrificio. In essa dimora il Coraggio di colui che è in grado di immolarsi per coloro che ama. Così come una fiera di dilania la carne, l’attesa della salvezza è lenta e dolorosa. Infine, vi è la prova finale e la più gravosa di tutte; nella Casa dei Pipistrelli, laddove anche Hunahpú ha incontrato la morte. Essa è la Decisione Finale, l’Adeguatezza del Prescelto. Una riprova della sua volontà di cavalcare le onde del Fiume del Tempo. Solo con la Fiducia, la Forza, la Tenacia, la Riconoscenza e il Coraggio, il Pretendente potrà accompagnare il Prescelto nella sua missione e rivedere il volto dei Predecessori.”
Un forte vento si levò, piegando le spighe di grano. La giovane afferrò le piume che il giovane portava sopra all’orecchio mutilato, che l’aria forte aveva condotto sino al suo pugno.
E lì, di fronte alle Prove, comprese.
Beatrice comprese.
“Ti ha mandato mio nonno, Orso?”
E fu buio.

Beatrice non aveva mai lasciato il palazzo, dal giorno in cui suo fratello aveva accettato di tenerla con loro, purché ella si facesse regolarmente controllare le missive che le arrivavano e quelle che dovevano partire. Non solo. Doveva essere seguita giorno e notte da Dragonetti e i suoi. Qualcuno doveva sempre tenere conto dei suoi spostamenti e delle persone con cui parlava, perché Lorenzo non si fidava e pretendeva di arginare la fuga di informazioni che pareva ormai irrefrenabile.
La giovane contessa aveva accettato solo perché così facendo, suo figlio sarebbe stato al sicuro. Peccato che non potevano controllarla sempre e non si era rivelato affatto complesso lasciare il palazzo nel cuore della notte.
L’aveva fatto una miriade di altre volte e con Alessandro addormentato e sorvegliato dalla lupa, lei poteva concedersi un istante per prendere aria.
Le mancava il respiro, certe volte, come quando indossava corsetti troppo stretti.
Aveva gli occhi di tutti addosso e s’era ritrovata dal sentirsi una sconosciuta nella casa in cui era cresciuta, all’essere etichettata come un potenziale nemico, al contrario di come tutti trattavano Madonna Donati. Era sullo stesso piano di una meretrice, ma pareva dettar ordini a palazzo de Medici più di Clarice, in certe occasioni. La sua vanagloriosa brama di mostrare quanto fosse vantaggioso farsi usare da Lorenzo era a dir poco ridicola.
Se non fosse stata così superficiale e frivola, Beatrice avrebbe attribuito il ruolo di spia proprio a Lucrezia, ma non era abbastanza furba, o almeno così pareva.
Non capiva come Clarice potesse sopportarla. Anzi, lo capiva benissimo visto che anche lei era sapeva cosa provava una moglie nel sapere il marito infedele. Quando meno, questa volta non era una serva abissina, ad umiliare la matrona.
Con un sospiro, Beatrice guardò sotto di sé l’acqua dell’Arno scorrere lenta. Ponte Vecchio era silenzioso e anche l’ultima luce alla finestra pareva essersi spenta ormai da tempo.
Chissà da quanto tempo era seduta lì a pensare. Il fatto che avesse anche iniziato a fare quel sogno ricorrente, quasi ogni notte, non le dava pace nemmeno fra le braccia di Orfeo. Era frustrante sotto ogni punto di vista.
Orso che parlava per metafore, che mai aveva fatto in vita sua, immerso in un luogo meraviglioso e pacifico, da far concorrenza ai Campi Elisi. A Beatrice piaceva immaginarlo proprio così, finalmente in pace e sereno dopo una vita di stenti e sofferenze.
Peccato che tutta la faccenda delle Case, delle sfide da superare per arriva a un ipotetico Dono non le piacesse affatto, stonava col contesto angelico.
Non era nemmeno divertente da pensare. Altre fatiche, altre sofferenze.
“Fiducia, forza, tenacia, coraggio e riconoscenza…. Come se non fossi già fin troppo riconoscente ogni giorno del fatto che codesta missione mi condurrà nella tomba.” Istintivamente lanciò un sasso nelle acque pacate del fiume, cercando di disturbarle come si sentiva disturbata lei.
Poi si diede della folle e decise che, magari, era il caso di tornare verso palazzo e dormire un paio di ore, sperando di non scomodare nuovamente il povero Vallesanta, che meritava di riposare in pace e di non far più il lacché di nessuno, specialmente dei Figli di Mitra.
Stava giusto per imboccare una viuzzola che costeggiava Palazzo de'Medici, per entrarvi delle stalle e non destare interesse alcuno, quando si ritrovò di fronte una persona che non credeva che avrebbe mai incontrato, in tale situazione.
"Madonna Donati." disse sorpresa, guardando il volto della donna improvvisamente più pallido e come stravolto dalla sorpresa. Cosa ci faceva una nobildonna di quel rango, a spasso per le strade di Firenze in quell’ora così tarda?
Certo, lei era l'ultima persona a poter parlare di simili casualità, ma quel momento stonava parecchio con ciò che si aspettava da Lucrezia Donati.
La fiorentina però parve di nuovo a suo agio "Mi avete spaventato, contessa Riario de'Medici." si sbrigò a dire, con una piccola riverenza. "Mi scuso per l'ora tarda e per l'avervi sbarrato la strada, ma sto tornando a casa or ora..."
"Un orario un po' insolito per una passeggiata fuoriporta, non credete madonna?"
"Sono stata chiamata da vostro fratello, contessa. Comprenderete da voi il motivo della mia presenza a Palazzo."
Ah, giusto. Lucrezia Donati non era solo la donna più volubile di Firenze, ma sottolineava questa inclinazione andando a letto con Lorenzo. Beatrice avrebbe dovuto pensarci, ma tutte le volte che associava suo fratello a quella donnaccia aveva come un rifiuto spontaneo per il fatto; la storia però era credibile visto che il Magnifico si dilettava spesso con madonna Donati.
"Comprendo, Lucrezia." replicò semplicemente la contessa, tenendo testa all'altra che s'era fatta leggermente sfrontata nell'ultima risposta. La guardò spostare i capelli dal viso, notando l'anello di acquamarina sull'anulare sinistro. E non solo "Fareste meglio ad affrettarvi, ordunque. Non è luogo per una dama, la città che dorme. Senza contare che passerete dei guai, se Dragonetti vi trova fuori durante il coprifuoco."
La Donati sorrise, abbassando leggermente il capo "Lo stesso vale per voi, mia signora. Fareste meglio a tornare da vostro figlio prima che vi scorgano. La gente parla, dopotutto e non vorrei che vostro fratello pensasse male di voi."
Beatrice sorrise leggermente, con amarezza. Dietro quella falsa premura si nascondeva un'atroce realtà. La risposta era quindi ovvia: lei non aveva visto Lucrezia ed ella, in risposta, non aveva visto lei.
"Passate una buona notte, madonna."
"Anche voi, vostra Grazia."
Senza aggiungere altro, Beatrice la superò, dirigendosi ad ampi passi verso Palazzo de'Medici.
C'era qualcosa di strano in quella donna, nascosto fra lo sguardo e le parole. Senza tener conto dei fatti...
Lucrezia Donati aveva le mani sporche di gesso.


“Nella venerabile chiesa di Santa Maria Novella, un martedì mattina, non essendovi quasi alcuna altra persona, si ritrovarono sette giovani donne...”
Il timido raggio di sole primaverile che si rispecchiava sul marmo bianco di Carrara della basilica, illuminava la giornata nonostante essa fosse iniziata da poche ore.
Un insolita quiete regnava sul mercato della Novella, pronto però a vedersi rovinato da una manifestazione di infame Malvagità.
Beatrice non credeva davvero nell’esistenza del demonio, poiché era quasi del tutto sicura che il vero male fosse solo arte dell’uomo, per questo aveva osservato un’insolita scena con freddezza, quasi fra la folla, mentre suo fratello Giuliano dava nuovamente prova di senso pratico, sedando la folla.
Una suora, colta da malore, che pareva posseduta da una manifestazione demonica.
Non s’era capito da dove essa avesse acquisito quel morbo, ma era stata assai lesta a puntare il dito contro coloro che, a detta sua, avevano trasformato Firenze in una Sodoma; ovviamente i de’Medici.
La contessa aveva quindi goduto di quella scena, non scomponendosi affatto. Non aveva trovato un vero senso in ciò che aveva udito, che andasse al di la delle comuni calunnie con le quali veniva spesso infamata la sua famiglia, ma aveva intuito che sotto doveva esserci molto di più, per giustificare una così drammatica scena al centro del mercato cittadino.
Aveva quindi concordato con Giuliano, quando egli aveva deciso di partire alla volta del convento di provenienza della sventurata, al fine di carpire l’origine di quel – a quanto pareva- generale malessere.
Lei era rimasta a palazzo, a cercare un modo per avere udienza con suo fratello, che s’era chiuso in un assoluto mutismo dopo ciò che era avvenuto circa Girolamo e le armi. A lei era andata la colpa, il fardello di qualcosa di cui era all’oscuro e che amareggiava la giovane molto più di Lorenzo.
Tra un bisticcio e l’altro con Becchi e Fabrizio, che negavano alla ragazza di vedere il maggiore della casata, Beatrice passava in rassegna ogni suo dovere. Primo fra tutti, quello nei confronti del figlio piccolo.
Secondariamente, le missive.
Amministrazioni cittadine per Forlivio, controlli delle magioni di famiglia e della prossima raccolta di messi e vendemmia….
Aveva sempre qualcosa da legge e da spulciare, quando non riusciva a prendere sonno la notte, in quel letto così grande e incredibilmente freddo per lei e Alessandro soli.
Nel momento in cui adempiva al dovere di contessa, però, Girolamo le mancava più che mai. Come maestro e come marito.
Con quel pensiero poco felice a perseguitarla, Beatrice si destreggiava fra una missiva e l’altra, leggendo e rispondendo ormai meccanicamente. Proprio mentre selezionava l’ultima a cui rispondere prima di coricarsi, cercando quella meno panciuta e quindi meno piena di incombenze, gliene capitò una strana fra le mani.
La prese, corrugando le sopracciglia per il modo in cui era stato scritto il suo nome, voltandola e studiando il sigillo che la teneva chiusa. Sulla cera lacca vi era un pesce stilizzato, un simbolo ebraico che lasciò perplessa la contessa. Forlì era una contea papale, ergo non  aveva creditori semitici.
La aprì incuriosita, chiedendosi cosa potesse mai essere e si ritrovò alquanto stupita di ritrovarsi  fra le mani un ducato d’oro e un piccolo foglietto spiegazzato e sporco di polvere. Un necrologio, che annunciava la morte di Abrahm Lysimacus.
Beatrice rimase per un istante senza parole.
Poi venne investita da una marea di ricordi, che andarono a sommarsi a tutta la melanconia di quei giorni.
Un sorriso amaro si aprì sulle sue labbra, mentre di nuovo metteva in discussione tutto il suo operato di quell’ultimo anno. Se avesse potuto scegliere un'altra vita, sarebbe tornata indietro dragando il Fiume del Tempo e non avrebbe fatto nulla di ciò che invece aveva deciso. Non avrebbe dato ascolto a Brancacci e non avrebbe cercato quel Lysimachus…
Poiché nulla era più stato lo stesso. Non avrebbe mai più potuto fidarsi di Girolamo, poiché in vero, non sapeva più chi egli fosse.
Alle volte, il non sapere è la miglior difesa contro i demoni del passato.


Otto mesi prima....

Affacciandosi all’ampia vetrata dello studio, Beatrice non poté che chiedersi se aveva avuto un’idea  saggia. Mandare Edoardo a cercare i Vallesanta poteva rivelarsi un passo falso, visto che nonostante i molti mesi passati alle sue dipendenze, il rosso sembrava non volersi adattare a quella grande e pericolosa città, risultando spesso fin troppo evidente e peccando di mancata cautela.
Sospirò, passandosi una mano sul ventre che continuava a crescerle di giorno in giorno, mentre si chiedeva chi poteva mandare per recuperarlo nel caso in cui non avesse fatto ritorno sulle sue gambe.
Grunwald era fuori discussione, dopotutto era partito per Biscegliere insieme a suo marito. Non sarebbero tornati per almeno altri quattro giorni, dando così il tempo a Beatrice di organizzarsi.
Era prigioniera a Villa Orsini, ma una prigioniera molto astuta.
Poteva ancora ricevere visite e scomparire con il favore della notte, se lo desiderava e se la gravidanza lo permetteva. Le serviva però una valida guida per raggiungere incolume la sua meta.
Da qualche tempo, la voce di Brancacci aveva ripreso a ronzarle nella testa, cantilenando quel nome – Lysimacus- come una lenta litania. Era successo per caso, il riportare alla mente quel nome e quel volto martirizzato dalle torture; mentre raccontava ad un banchetto di Forlì e delle sue difese militari, astutamente ricreate dalla contessa, non era riuscita a non pensare a quell'uomo affascinante dai biondi e ricci capelli. 
Era sempre stata eccessivamente curiosa e spesso ne aveva pagato le conseguenze, manon temeva più nulla ormai. Se Girolamo non l’aveva fatta fuori in ben peggiori occasioni, non sarebbe più  successo. Difficilmente avrebbe dimenticato l'incidente di Costantinopoli.
Stava iniziando a tramontare il sole, quando finalmente il Capitano della sua scorta personale apparve insieme ai suoi quattro uomini, con al suo seguito i due gemelli di Vallesanta.
Bussò allo studio del Conte, dove era certo di trovare la sua Signora, e una volta che gli fu concessa l’entrata sorrise vittorioso “Li abbiamo quasi persi, quando hanno deciso di fuggire. Catturata la ragazza, però, l’altro non se l’è sentita di lasciarla a noi.”
“Non volevano venire di loro iniziativa?” domandò confusa la Contessa, alzandosi dal tavolo pieno di carte disordinate e timbri papali.
Edoardo scosse il capo “Sono ancora convinti che si tratti di vostro marito, Beatrice. Non vi è stato verso di far capire loro che invece siete voi, a desiderare una consulenza.”
La mora sospirò, comprendendo le motivazioni dei suoi due ospiti. “Portami da loro.” Disse solamente, indossando una vestaglia da camera su un vestito candido che soleva portare in casa. Ormai era troppo abbondante per corsetti e merletti.
I due fratelli sedevano  su un divano dell’’anticamera del palazzo, poco distante dall’ingresso principale, sorvegliati da tre guardie forlivesi. Quando la giovane entrò insieme a Zita, del teh e un sorriso, parvero stupiti di vedere che si trattava davvero di lei.
Porpora si era fatta un po’ più grande di statura, senza arrivare però alle spalle del fratello, e aveva i capelli più lunghi, legati a coda di cavallo sopra la nuca.
Orso, invece, era rimasto più o meno lo stesso, con le sue sgargianti piume a coprire l’orecchio mancante. Quel giorno, erano tutte verdi e rosse.
“Beatrice”, biascicò, alzando le mani come a voler dare un saluto che non arrivò mai. Rimase invece immobile con lo sguardo fisso sul ventre rigonfio di lei e per un istante non respirò nemmeno.  “Credevamo foste vostro marito ad averci convocati”.
La Contessa, così presa dalle buone maniere, non si rese conto di dove lo sguardo del ragazzo fosse caduto. Si sistemò la vestaglia, prima di riempire ella stessa tre tazze di teh e passarne due ai due giovani, sistemando anche un vassoio pieno zeppo di vivaci biscotti innanzi a loro.
Prese poi posto sulla poltrona davanti a loro, sorridendo ancor di più “Sono così felice di incontrarvi di nuovo, amici mie.” Strinse la tazza in mano, mentre Zita si inchina e prendeva concedo.
Edoardo fece uscire le guardie, rimanendo solo davanti alla porta chiusa, con le braccia incrociate.
“Perdonatevi se vi ho fatti prelevare, ma temo di aver bisogno di voi per un favore.”
Veloce come il vento, Porpora allungò la mano sui biscotti, ficcandosene un pugno intero in bocca e cominciando a masticare rumorosamente.
Orso la guardò, accigliandosi appena, ma si voltò subito verso Beatrice, prendendo un sorso di tè con fare elegante.
“Perdonateci”, esordì, poi, prendendo a sua volta un biscotto. “Non mangiavamo da due giorni”. Fece una pausa che utilizzò per buttare giù il boccone. “Anche noi siamo molto felici di rivedervi, Beatrice. Non sapevamo foste a Roma”.
Porpora alzò gli occhi al cielo.
“Io lo sapevo”.
La mora scostò una ciocca dal viso “Allora spero che accetterete di rimanere a cena con me, stasera. O quanto meno, che permettiate ai miei cuochi di prepararvi qualcosa da portare con voi” Ripose la tazza sul ripiano del tavolo, incrociando le mani sul ginocchio accavallato “Sono sola a casa. Mio marito si è recato nel Regno di Napoli per una missione…. Diciamo umanitaria.”
Storse la bocca in una smorfietta sarcastica, mentre Edoardo si avvicinava a passi lenti, portandosi dietro alla sua poltrona e controllando i due giovani.
“Anche per questo vi ho fatti chiamare ora.”
Porpora mollò la tazzina vuota in grembo, spostandosi un poco per seguire meglio con lo sguardo i movimenti del capitano. Doveva ancora avere bene in mente la sua cattura di poco prima.
“Lieto di sapere che vostro marito è fuori città”, commentò Orso, sorridendo da dietro la tazza di tè. Poi parve accorgersi di essersi fatto troppo spavaldo e arrossì di colpo, chinando il capo con aria affranta. “Nel senso che non credo sarebbe stato molto felice di vederci. Non è mai felice di vederci”.
Beatrice gli sorrise, mentre i suoi occhi azzurri scintillavano appena “Bhe, se contassimo tutte le persone che non sono mai felici di vedere lui, potremmo riempire tutta la città di Roma. Io sono felice di vedervi, Orso.”
Olivieri trattenne un sorrisetto, prima di rivolgersi a Porpora “Io sono lieto di vedere voi, Porpora. Scusate per i capelli, ma non sono arrivato alla spalla.”
La ragazza si portò le mani alla coda, aggiustandosela un poco con fare scocciato prima di avvicinarsi al fratello in cerca di protezione.
“Fatevi crescere le braccia più lunghe, la prossima volta”, ribatté, sbuffando. “E non sono lieta di rivedervi”.
Con un sorriso, Orso le passò un braccio attorno alle spalle e parve calmarsi un poco.
“Cosa possiamo fare per voi, Madonna?”, riprese dopo un po’ il ragazzo, guardando nuovamente nella direzione di Beatrice. “Un animale da imbalsamare?”
Olivieri trattenne una risata, mentre scambiava uno sguardo birichino con la sua Signora. Poi tornò serio, drizzando le spalle.
“Diciamo più che altro che mi servono due guide esperte.” Disse la Contessa, prendendo a sua volta un biscotto “Devo uscire di nascosto, nel cuore della notte, e devo trovare una persona. Voi dovete condurmi nel luogo in cui vive.”
Passò gli occhi da uno all’altro, valutando se potevano o meno accettare.
La posta in gioco era alta, lo sapeva bene. Se fosse successo qualcosa a lei o alla creatura che le cresceva in grembo, Girolamo non avrebbe lasciato in piedi una sola casa.
Il gioco però valeva la candela
“Ovviamente il compenso sarà proporzionale al disturbo.”
Orso aprì la bocca per parlare; sembrava indeciso.
Peccato che non ebbe il tempo di proferire parola.
“D’accordo!”, trillò Porpora, svegliandosi improvvisamente dall’abbraccio del fratello. “Se c’è un lauto compenso, noi ci siamo”.
Scambiò un’occhiata con Orso, poi si mise a sedere in modo più composto.
“Di chi si tratta?”, chiese, assottigliando appena lo sguardo scuro.
Beatrice si torturò le mani, giocherellando con l’anello nuziale. Passò una mano sul rubino rosso, prima di sospirare “Devo recarmi nel quartiere ebraico.” Disse decisa “Nottetempo, così che nessuno possa vedermi. Una volta lì, chiederò della persona che cerco. Edoardo...?”
Il soldato si voltò, prendendo qualcosa su uno scaffale.
Quando appoggiò davanti ai Vallesanta uno scrigno, i due parvero non crederci. Non era molto più grande di due dei pugni di orso tenuti vicini, ma sembrava piuttosto pieno.
Una volta aperto il coperchio, videro tante monete come mai in vita loro.
“Questo non è solo per il fare da guide” disse Olivieri “Ma per la discrezione. Non dovrete porre domande e, cosa più importante, dir nulla a nessuno.”
Porpora gli scoccò un’occhiata seccata.
“Lavoriamo per il Papa, secondo te non sappiamo tenere la bocca chiusa?”, sbuffò, scrollando il capo. “Non vogliamo impicci. Siete in cerca di una persona pericolosa? Se è così, il prezzo sale”.
Orso annuì, seppur poco convinto.
“Non ne faremo parola con nessuno”, promise.
Beatrice guardò pensierosa Porpora “Non conosco l’uomo che devo incontrare, quindi non saprei dirvi. So solo che è legato da qualche vincolo al conte Riario e io devo saperne il motivo.”
Allungò una mano, raccogliendo un pugno di monete e lasciandole ricadere una ad una, fissando la ragazza negli occhi.
“Trecento fiorini d’oro, Porpora. Per una sola notte nella quale non farete altro se non camminare.”
“Anche l’ultima volta non si doveva far altro che camminare fino a Vignola”, ribatté Porpora, stretto tra i denti. “Ma non sono stata io quella che ha trovato un passatempo, durante la passeggiata”.
Non spostò lo sguardo dagli occhi di Beatrice finché non fu Orso ad alzarsi e a mettersi in mezzo, afferrando sua sorella per la spalla e ributtandola con la schiena sul divanetto.
“Trecento fiorini andranno benissimo”, borbottò, un po’ rosso in viso. “Tuttavia sarò io, a fare da guida. Nel ghetto c’è tanta brava gente quanto briganti”. Si voltò verso Beatrice e le sorrise appena. “Ma conosco le strade giuste per evitare brutti incontri”.
Per nulla toccata dalle parole della ragazza, Beatrice ricambiò il sorriso di Orso “E sia, mi accompagnerete voi soltanto. Trovo che questa sia anche meglio, come soluzione. Mi fido molto più di voi che di vostra sorella.”
Si alzò in piedi, ignorando la giovane e porse la mano ad Orso.
Edoardo non pareva soddisfatto per nulla, ma non disse niente.
“Abbiamo un patto?”
Orso le prese la mano, portandosela alle labbra per onorarla con un lieve bacio.
“Abbiamo un patto”.

 

I’m not a stranger
 No I am yours
 With crippled anger
 And tears that still drip sore
 I do not want to be afraid
 I do not want to die inside just to breathe in
 I’m tired of feeling so numb
 Relief exists I found it when
 I was cut

  
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