…
Ancora non ci credo, di avercela
fatta. -.-“ Intanto
mi scuso per essere sparita per così tanto tempo. Mi devo davvero
scusare
tantissimo, ma non avevo idea che mi sarei ritrovata senza computer per
tutto
questo tempo. Ho avuto molti problemi con internet, oltretutto XD
Ma sono felicissima di poter tornare
a pubblicare!!!
Ovviamente ho altre cose da dire (
non ho ancora
finito di rompere J) ma le dirò a fine capitolo.
Aveva
mantenuto
quel portamento un po’ selvaggio che aveva da giovane, lo sguardo reso
freddo e
altero da una vita passata senza nessun riposo, senza nessuno sconto.
Una vita
che esigeva molto, ancora, da lui.
Geoffrey
Martewall era invecchiato. Ma non era invecchiato da altezzoso nobile,
da
feudatario, da proprietario e signore di ciò che portava guadagno e
ricchezza
alle sue terre. Era un guerriero ancora, come lo era sempre stato. Era
ancora
colui che gli uomini seguivano in battaglia, che era pronto a
condividere la
sorte dei suoi soldati, lo stratega e la guida. Il leone che il tempo
non aveva
ancora sconfitto.
Il
fisico asciutto, frutto di esercizio costante, lo sguardo ancora senza
cedimenti anche se circondato da qualche ruga, la barba corta ad
indurirgli i
tratti, la sua bellezza appena trascurata e inconsapevole o
indifferente, che
gli donava un po’ di fascino in più. Solo qualche capello bianco si
affacciava
al mondo, all'altezza dell'attaccatura. La schiena era ancora ritta e
forte e
sembrava solida come una colonna greca. Ciò che era cambiato in lui era
proprio
ciò che cambiava in un'antica colonna quando rimaneva sola, sempre in
piedi e
ancorata al terreno, attorniata dalle macerie e senza più nessun tempio
sopra
di sé.
Ora
tutto in lui aveva il fascino di un'esperienza sofferta, di molte cose
viste e
sentite, di molte battaglie e di molte speranze spezzate. Il suo
sguardo adesso
era ancora più difficile da sostenere. Il peso degli anni gravava su di
esso,
il peso di una personalità indomita.
Geoffrey
Martewall aveva considerato William Lunga Spada, per buona parte della
sua
giovinezza, con un rispettoso senso d'inferiorità. L'inferiorità di un
barone
verso il fratello del re, dall'esperienza ricca e vittoriosa.
L'inferiorità di
un soldato di fronte ad un comandante. Ma oramai da molto tempo non era
più
così.
I suoi
giorni di ragazzo erano finiti molto prima che effettivamente Geoffrey
dimostrasse l'età per essere uomo. Ed erano finiti i giorni in cui
William di
Salisbury poteva sfruttare la sua fama, la sua abilità e perfino la sua
stazza
per sembrare inarrivabile. A differenza di molti altri, Geoffrey non
piegava la
sua volontà a quella del conte o di chiunque altro, non più.
lo
vedeva nei suoi occhi, il disprezzo nei suoi confronti. Forse li
riteneva alla
pari dal punto di vista militare, cosa di cui lo stesso Salisbury non
era più
tanto sicuro, ma non poteva e non voleva nascondere l'antipatia verso
il
fratellastro del re defunto e indegno.
Ma
l'odio di Geoffrey non era determinato dal pensiero di Salisbury come
fratello
bastardo dell'uomo che aveva fatto decapitare suo padre. Era rivolto
verso un
uomo che riteneva ipocrita e vigliacco, che si era riparato dietro alla
prudenza, alla strategia, agli aiuti informali, ad una famiglia da
proteggere e
che invece avrebbe potuto salvaguardare in mille altri modi, furbo
com'era.
Tutto
questo per non ammettere che voleva solo tenere al sicuro la propria
vita e il
proprio ruolo. E aveva trovato il modo perfetto. Non fu mai nemico dei
baroni,
ma neanche di Giovanni. Non rischiò nulla di più di quello che aveva
sempre
rischiato in prima persona, lasciando ai baroni una guerra incerta da
combattere.
Salisbury
sospirò a fondo, esaminando il suo passato come il vecchio che era. Lo
sguardo
di Martewall bruciava ancora, bruciava la coscienza, bruciavano i
ricordi di
una testa che rotolava grottesca sul pavimento.
E i
ricordi lo assalirono all'improvviso.
« Tengo
conto del vostro buon cuore, William. »
Lunga Spada non tradisce un solo pensiero. Ma il suo animo è
martoriato da sentimenti forti. Non è deluso. Non ha mai pensato
davvero che le
sue parole potessero salvare sir Harald dal re.
Mi
dispiace, pensa, ben attento a non
incrociare lo sguardo di sir Harald per più di qualche secondo.
Mi
dispiace tanto.
Vede gli occhi del barone, fieri e fermi. E sa che solo il
pensiero dei suoi figli lo preoccupa, di quella figlia prigioniera
nelle mani
della corona e di quel figlio disperso e braccato, l'ultimo, il più
giovane dei
figli maschi, il più solo. Lui che era partito per salvarli tutti, lui
che
avrebbe appreso della morte del padre solo troppo tardi, quando sarebbe
stato
impotente.
William può farsi un'idea della sua reazione futura.
Giovanni no, è evidente. Forse crede che Geoffrey non tornerà, che sia
scappato
per non tornare. Forse è talmente sprovveduto da non averci pensato, o
crede di
poterlo ancora mandare alla forca. Cosa che, in cuor suo, ha sempre
desiderato
fare.
Vede il re ghignare all'apice della soddisfazione, e si
chiede come possano condividere, anche se in parte, lo stesso sangue.
Gli occhi
di Harald sono fissi sul sovrano. Sono così simili a quelli di
Geoffrey. E per
questo sembrano promettere vendetta.
William sente la rabbia crescere mentre segue Giovanni,
ancora gongolante, all'interno del castello di Dunchester. Lo vede
appropriarsi
di ogni spazio e di ogni cosa, come ha sempre fatto.
William riesce solo a pensare che il suo carissimo
fratellastro non sa che cosa lo aspetta. Lunga Spada non sa ancora se i
baroni reagiranno
con le armi o no, anche se, a giudicare dalla tempra di alcuni di loro,
non si
sente ancora nella condizione di perdere la speranza.
Ma Geoffrey avrebbe ottenuto la sua vendetta in ogni caso.
William ha una fiducia profonda in lui.
Passano in mezzo ai mercenari del re
e ai cavalieri più fidati, che poco si differenziano dai primi, per
valori
morali e comportamenti.
William spera che Geoffrey Martewall
non abbia pietà per nessuno.
E così era stato.
Pur rimanendo nell'ombra, William di Salisbury aveva
seguito molto da vicino le azioni dei baroni ribelli. Li aveva spronati
e
aiutati più di una volta, portando cucita addosso nel contempo la
maschera di
sostenitore del re, un re sempre più paranoico, crudele, disperato e
codardo.
Un re che, ogni volta che lo guardava, risentiva
ancora chiaramente le parole che gli aveva rivolto dopo l'uccisione di
sir
Harald, con terrore.
Come fossero una profezia inquietante e veritiera.
«
Si vendicherà »
Anche William prova un sottile,
freddo, penetrante e sibilante desiderio di rivalsa. Le parole gli
erano uscite
dalla bocca con uno scopo preciso, uno scopo lucido. Con freddezza
osserva il
volto del re, che si era voltato di scatto con stupore per poi assumere
un
sorrisetto sarcastico ma velato d'incertezza.
«Di chi
parli, William?» chiede, fingendosi inconsapevole e
divertito. Ma non
lo è. Non lo è perché sa bene a chi si riferisce.
Lunga Spada si sforza per nascondere
un'ilarità quasi isterica. Non riesce a scrollarsi di dosso la
sensazione, per
qualche istante, che Giovanni abbia appena provocato la sua stessa
morte, anche
se sa che dovrebbe pensare in maniera più razionale.
Per adesso, si accontenta di
spaventarlo.
«Lo
sapete, mio re.» dice, fingendosi preoccupato ed
accorto.
Giovanni scuote la testa con un
sorriso subdolo, viscido e quasi folle nella paura celata.
«Geoffrey
Martewall è già morto.»
ride.
«No,
non ancora. E vorrà vendicarsi. Vorrà la vostra
testa e quella di molti altri. Ricordate il suo spirito, il suo...»
William si interrompe all'incedere
brusco di Giovanni verso di lui. Il sorriso è scomparso per lasciare il
posto
solo ad una smorfia brutale sul suo volto arrossato.
« Lo
farò impiccare come avrei dovuto fare anni fa. Un
traditore si riconosce dal momento in cui comincia ad impugnare una
spada. Il
suo corpo penzolerà dalla forca per mesi, divorato dai corvi. » il suo viso è vicinissimo a quello del conte, con
i
suoi occhi folli e dalle pupille strette, l'espressione è un misto di
bramosia
e timore, la voce un sibilo vibrante di rabbia.
«
Dubiti forse di questo, William? Dubiti della
vittoria del tuo re, del suo diritto al trono?»
William lo guarda. Giovanni sa che
il conte è esperto, sa che deve ascoltare le sue parole preziose. Ma
non sempre
il suo orgoglio gli permette di capire chi, tra i due, sia il più abile
e degno
su tutti i fronti.
« No,
mio signore.»
Geoffrey è ancora davanti a lui, attento,
imperscrutabile, severo. William lo vede
ancora, in un certo senso, come l'uomo che era a trent'anni. Il
rispetto nei
suoi confronti non è mutato, è rimasto lo stesso in tutta la sua
grandezza. Ha
sempre ammirato il suo coraggio, nonostante il modo in cui l’ha
trattato il
giorno che l’ha obbligato a scappare dal suo castello. Ammira la sua
forza. E
forse anche per questo non si è fatto problemi nell’annunciargli
indirettamente
ciò che gli sarebbe potuto accadere in Francia, anni prima.
Ammira anche il suo posto in prima linea, sempre,
qualunque guerra fosse. Qualunque nemico vi fosse davanti.
Geoffrey non temeva la sua spada. Lo avrebbe sfidato
anche subito, se avesse pensato che fosse la cosa giusta da fare. La
vecchiaia
gli era servita a consolidare ciò che per natura ed educazione già
sapeva, a
rafforzare la sua capacità di frenare ogni istinto e, allo stesso
tempo, agire
talvolta con un ardimento quasi sconsiderato quanto inventivo.
Indifferente della propria vita. Come se ci fosse
sempre qualcosa di più importante da seguire o per cui combattere.
William era certo che l'altro non sapesse di essere
ammirato e rispettato oltre ogni misura. Ma quando aveva capito che il
barone
lo avrebbe odiato per sempre, il conte era rimasto addolorato, pur non
mostrando questo suo sentimento.
Fin da quando era un ragazzo, aveva capito che sarebbe
stato un ottimo comandante dell'esercito, un'ottima guida. Giovanni
aveva
cominciato a temerlo. Un ragazzo che pareva uno scherzo del destino,
qualcuno
che non sembrava potesse diventare particolarmente importante, l'ultimo
di tre
maschi, che divenne un'insospettabile arma a doppio taglio. Senza
l'aiuto di
nessuno.
William lo ricordava in più occasioni di quante
Martewall stesso ricordasse.
Conosceva la sua indomabilità, la sua testardaggine,
la sua freddezza, la sua componente passionale e il suo dolore,
persino, in
qualche occasione.
Conosceva la paura che portava cucita al mantello.
Giovanni sembra quasi febbricitante.
Con una mano stringe convulsamente le tende pesanti di una finestra,
mentre
l'altra si aggrappa alla spada ricca di perle e intarsi che tiene alla
cintura
come se ne andasse della sua vita. Gli occhi sono sbarrati e liquidi,
rivolti
verso le luci delle torce che si possono vedere nel buio. Al loro
interno si
annida una paura folle. Una paura che William studia con attenzione,
gustandosi
ogni momento di quella sera.
Avevi ragione,
ci sono queste parole in quello sguardo. Tu sapevi.
William trattiene un ghigno.
« So già quale sarà il blasone che
vedrò per primo da queste finestre.» mormora Giovanni, in un soffio.
« Sir Martewall...» esordì William,
rimanendo seduto sul suo scranno. « so che non vi fa piacere venire a farmi visita.»
Geoffrey si appoggiò alla parete con le braccia
incrociate sul petto, più muscoloso di quando era giovane. Il conte
constatò
come non avesse perso i suoi modi ben poco impettiti, riuscendo
comunque ad
avere qualcosa di elegante nei movimenti.
« Infatti non è una visita
di cortesia. » replicò freddo.
William annuì con un' espressione rassegnata.
« So bene a cosa è dovuta la
vostra visita. » affermò adombrandosi. «se venite da me è solo perché siete obbligato dalle
vostre convinzioni. Allora... immagino che non potremo contare sul
vostro aiuto
per la guerra in terra francese. »intuì subito Salisbury, cupo.
Martewall sorrise appena, sarcastico e sfrontato,
staccandosi dalla parete con un movimento soddisfatto.
« Adoro risparmiare tempo. »
E fece per dirigersi verso la porta col suo solito
passo deciso.
« Dal momento che vi avvalete del permesso concesso
generosamente dal nostro re di non rispondere alla chiamata alle armi
della
corona, dovrei almeno sapere il motivo di questa vostra scelta. »
Martewall si voltò di nuovo verso di lui, per nulla
sorpreso da quel nuovo intervento.
« Ormai dovreste saperlo, Lunga Spada. Ho smesso di
combattere guerre inutili nel momento in cui ho imparato a
riconoscerle. »
Salisbury lo fissò in volto, calmo. Sarebbe stato ore
a studiarlo, se solo Martewall non fosse stato così sfuggente per
natura.
« certo. » disse a mezza voce, riflessivo. « e la vostra
amicizia con la corona francese vi spronerà sempre a valutare bene
questo tipo
di situazioni.» non era un'accusa, né una affermazione sprezzante. Era
semplicemente una constatazione, abbastanza ammirata, persino. L'uomo
politico
che era in lui apprezzava l'idea di Martewall di farsi un alleato così
potente.
Ma dubitava, onestamente, che il barone agisse in quel
modo davvero per quel motivo, o che avesse ricercato lui stesso
l'alleanza coi
francesi. Non gli era mai importato nulla di questo genere di cose e
non era un
politico, non era un diplomatico. Era un uomo d'onore e un guerriero.
Ed era qualcuno che Salisbury, in fin dei conti, aveva
voluto provocare. Forse per dissipare, almeno in parte, l'accusa che
leggeva
nel suo sguardo costantemente.
Martewall non sembrò stupito dalle sue parole. Non
poteva certo sperare che William non si fosse accorto del suo legame
con la
regina Bianca, o della sua improbabile amicizia col Falco d'Argento.
Tuttavia
fece qualche passo verso il conte, lo sguardo freddo, punto sul vivo.
« Se pensassi che l'Inghilterra meriti di diritto ciò
che sta pretendendo, allora non ci sarebbe francese che potrebbe
frenarmi. Ma
non è così. Non lo è da anni.»
Salisbury lo sapeva. Sapeva che non vi era nessuno che
amasse quella terra di pioggia, foreste e sassoni come Geoffrey
Martewall. Ma
se lo avesse detto, il barone lo avrebbe interpretato come una presa in
giro.
« Non vi stavo accusando di nulla. » ci tenne a
precisare il conte.
Martewall sostenne il suo sguardo con freddezza
estrema.
«In ogni caso non do più molto valore alle accuse che
ricevo. Sono stato accusato di tradire l'Inghilterra mentre davo ogni
fibra del
mio essere per salvarla. »
Salisbury si ritrovò ad aprirsi in un piccolo sorriso
amaro. Lui non sentiva di aver dato nulla alla sua terra in confronto
al
barone, e Martewall forse voleva proprio ricordarglielo.
« Siete una persona particolare, sir Martewall. Andate
contro ad ogni comune pensiero. » affermò, con un gesto vago.
« Al contrario. Spesso mi capita di essere il
portavoce di molti. E già che siamo in argomento... » aggiunse il
barone,
sicuro e fiero. « Vi rammento di ricordare al re che la Magna Charta
non esiste
solo per i morti come suo padre. E non è discutibile. »
Salisbury annuì una sola volta in un gesto quasi
maestoso.
« Avete avuto modo di conoscerlo, sir Geoffrey. Non è
come suo padre. Rispetterà sempre il vostro amato parlamento. Enrico
potrebbe
essere molto peggio di com'è »
« Sì. » ammise Geoffrey, alzando di poco un angolo
della bocca « Ma non per molto. »
il conte sospirò quasi divertito.
« E se vi avesse obbligato a partire per la Francia?»
Geoffrey parve indolente e noncurante.
« Ho perso troppo per accettare ancora un obbligo del
genere. Ma i figli imparano dagli errori dei padri, a quanto vedo. »
Salisbury si morse la lingua prima di rispondere.
Decisamente, Martewall non aveva imparato dall'errore di suo padre. Non
avrebbe
mai imparato a tenersi lontano dalle battaglie più spinose. Il
conflitto di
interessi tra il re e il parlamento era tra questi.
« Non avete intenzione di posare la spada, vero? Non
vi sentite ancora del tutto al sicuro dalle ingiustizie. »
« Non si è mai del tutto al sicuro dall'ingiustizia. »
replicò Martewall, gelido, prima di voltarsi nuovamente, per l'ultima
volta.
Salisbury
quasi trasalì nel constatare quanto gli fosse famigliare la sua
ferocia. La
riconobbe in quegli occhi grigi come la nebbia delle sue terre
affacciate sul
mare. Era un'eco lontano, adesso, ma anche se era momentaneamente
sopito, la
sua ombra sembrò oscurare le iridi ferine del barone.
Nel
suo viso c'era qualcosa che faceva continuamente venir voglia di
mettere mano
alla spada, con un atteggiamento guardingo.
Il
conte volse lo sguardo verso la moglie di Martewall. Lei ricambiò,
preoccupata,
con una lieve angoscia che, al fianco di Martewall, aveva sempre
provato. Lei
lo amava davvero, glielo si leggeva negli occhi. Lo amava come lui non
si era
mai amato, lo amava sopra ad ogni altra cosa.
Salisbury
riuscì solo a pensare che non fosse bastato l'amore a far sparire le
ombre
dagli occhi di Martewall.
Sarebbe
bastata la sua morte?
«
Perchè
siete qui?»
Era
crudele venire a fargli visita. Proprio lui. Proprio chi più di
chiunque altro
avrebbe potuto ricordargli i sacrifici del passato. Lo vide osservarlo
dall'alto, evitando di sedersi, guardando il suo corpo affondato nel
letto.
Non vi
era nessuna espressione, adesso, sul suo viso.
Salisbury
aspettò. Confusamente si chiese anche quanto avesse insistito con i
servi per
riuscire a entrare nella stanza.
Sapeva
che non avrebbe ignorato la sua domanda. Non si ignorano mai le parole
di un
moribondo, non è cortese.
«
Volevo
darvi il mio ultimo saluto. » la sua voce era profonda e,
inaspettatamente,
sinceramente addolorata, anche se non voleva dare questa impressione.
Salisbury
sorrise debolmente. Il barone avrebbe potuto abbandonare parte del suo
orgoglio, dato che sarebbe morto di lì a poco. Ma le abitudini sono
dure a morire.
«
Grazie.
»
Era
forse una delle parole più sentite che avesse mai pronunciato. Grazie, Geoffrey Martewall, per non avermi
mentito, per non aver detto che sei venuto per sincerarti della mia
salute.
Se non
fosse stato convinto che sarebbe morto, non sarebbe mai venuto.
William
respirò con fatica, appena più forte.
«Non riesco a vedere il vostro volto. » disse il conte, ed era vero. Non lo vedeva più bene, da
quando aveva fatto qualche passo avanti. Percepì la sua esitazione.
Poi, con un
movimento lento, vide la sua ombra spostarsi verso la luce.
Lo
osservò a lungo con gli occhi socchiusi e brucianti a causa della
febbre.
«Geoffrey. »
lo chiamò per nome per la prima volta in vita sua, sentendosi sempre
meno
lucido, ma la parola uscì rantolata dalla sua bocca, quasi
incomprensibile.
Rivedeva
il suo volto da ragazzo, i suoi occhi colmi di tormento.
«Non avrei mai voluto... » riuscì a
dire il conte, scandendo di più le parole.
« Lo so. »
la voce di Martewall fu perentoria, secca, potente. William la immaginò
come
una grande falce che sibilava nell'aria, mossa da braccia forti e
veloci. I
suoi tratti si contrassero dalla sorpresa.
« Non
è stata colpa vostra.»
William
si abbandonò all'oblio con un sorriso. Martewall non si smentiva mai,
perché in
quel momento era là con lui, a regalargli una morte serena, e nessuno
dei due,
per una volta, aveva qualcosa di cui scusarsi. Aveva parlato come chi
ha capito
solo da poco il desiderio di una persona, ciò he avrebbe dovuto fare.
Martewall
voleva donargli il perdono che, forse, avrebbe voluto avere la
possibilità di
concedere anche ad altre persone.
William
sentì la falce cadere su di lui.
L'ultima
sensazione che provò fu il sentire l'odore del mare, della pioggia e
della
libertà, e la mano di Martewall che stringeva forte la sua.
Eccomi, Popolo Efpinese! Non sono
stata
spedita nello spazio!
Come ho detto, c’è altro che vorrei
dire a
parte il fatto che mi vergogno per la lunga assenza. Per prima cosa,
scusate se
ho descritto Lunga Spada in modo un po’ Oc. Ok, molto Oc.
Ho scritto di getto ciò che ho
sempre pensato,
e cioè che William sia un personaggio, diciamo così, che nasconde tante
cose
perché gli riesce bene e gli risulta utile farlo. Mi piace molto come
personaggio, e non volevo descriverlo affetto da un vero e proprio
rimorso, ma
ho cercato di immaginarlo più vecchio e propenso a guardarsi alle
spalle. Ho
inventato molte cose, come la sua morte, di cui sinceramente non so la data. Come ho detto, ho scritto di
getto. In più non avendo internet non ho potuto informarmi.
Il finale è ciò he più mi
impensierisce, ma se
continuo a rileggerlo lascio la storia incompleta, in un punto in cui
non sento
di doverla finire, quindi, dato che comunque mi piace l’idea di
descrivere la
sua morte, lo lascio al vostro giudizio. XD
Come ultima cosa devo dire che non
ho
completamente risolto i miei problemi col computer ma, ehi, ci sono
vicina ; )
Grazie infinite per aver letto fino
a qui!
Alla prossima!!!