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Autore: Porrima Noctuam Tacet433    31/07/2015    1 recensioni
Sempre Geoffrey Martewall, ma attraverso occhi diversi.
Hector- "...aveva capito che c’erano ancora troppe ferite che il suo animo indomito tentava di sanare ogni giorno, troppa voglia di liberarsi da qualcosa."
Brianna-" Lo aveva visto dalle finestre e non aveva capito subito perché la paura l’avesse attaccata a tradimento, così all’improvviso. Poi la verità le si era rivelata in un modo così evidente che Brianna non aveva potuto continuare ad ignorarla."
Gant-"« Dovete sentirvi molto solo, sir. » gli aveva sputato addosso Gant, con una calma solo apparente.
Martewall aveva fermato il suo passo ma non si era voltato.
Jerome-"E sapeva anche che non avrebbe ascoltato il suo ordine.
Sembrava nato per essere diverso dagli altri, e, di conseguenza, per essere allo stesso tempo dannatamente irritante e dannatamente insostituibile."
Etienne-"Erano state poche le volte in cui aveva provato ad immaginare cosa pensasse.
Forse perché se c’era una cosa che Etienne detestava, era fallire. E da quel punto di vista, Martewall rappresentava un fallimento continuo."
Guillaume-" « Cercate solo… » disse, senza più voltarsi « Di non fare per orgoglio o paura la mia stessa fine. » "
...
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Geoffrey Martewall, Un po' tutti | Coppie: Geoffrey/Brianna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ancora non ci credo, di avercela fatta. -.-“ Intanto mi scuso per essere sparita per così tanto tempo. Mi devo davvero scusare tantissimo, ma non avevo idea che mi sarei ritrovata senza computer per tutto questo tempo. Ho avuto molti problemi con internet, oltretutto XD

Ma sono felicissima di poter tornare a pubblicare!!!

Ovviamente ho altre cose da dire ( non ho ancora finito di rompere J) ma le dirò a fine capitolo.

 

 

Aveva mantenuto quel portamento un po’ selvaggio che aveva da giovane, lo sguardo reso freddo e altero da una vita passata senza nessun riposo, senza nessuno sconto. Una vita che esigeva molto, ancora, da lui.

Geoffrey Martewall era invecchiato. Ma non era invecchiato da altezzoso nobile, da feudatario, da proprietario e signore di ciò che portava guadagno e ricchezza alle sue terre. Era un guerriero ancora, come lo era sempre stato. Era ancora colui che gli uomini seguivano in battaglia, che era pronto a condividere la sorte dei suoi soldati, lo stratega e la guida. Il leone che il tempo non aveva ancora sconfitto.

Il fisico asciutto, frutto di esercizio costante, lo sguardo ancora senza cedimenti anche se circondato da qualche ruga, la barba corta ad indurirgli i tratti, la sua bellezza appena trascurata e inconsapevole o indifferente, che gli donava un po’ di fascino in più. Solo qualche capello bianco si affacciava al mondo, all'altezza dell'attaccatura. La schiena era ancora ritta e forte e sembrava solida come una colonna greca. Ciò che era cambiato in lui era proprio ciò che cambiava in un'antica colonna quando rimaneva sola, sempre in piedi e ancorata al terreno, attorniata dalle macerie e senza più nessun tempio sopra di sé.

Ora tutto in lui aveva il fascino di un'esperienza sofferta, di molte cose viste e sentite, di molte battaglie e di molte speranze spezzate. Il suo sguardo adesso era ancora più difficile da sostenere. Il peso degli anni gravava su di esso, il peso di una personalità indomita.

Geoffrey Martewall aveva considerato William Lunga Spada, per buona parte della sua giovinezza, con un rispettoso senso d'inferiorità. L'inferiorità di un barone verso il fratello del re, dall'esperienza ricca e vittoriosa. L'inferiorità di un soldato di fronte ad un comandante. Ma oramai da molto tempo non era più così.

I suoi giorni di ragazzo erano finiti molto prima che effettivamente Geoffrey dimostrasse l'età per essere uomo. Ed erano finiti i giorni in cui William di Salisbury poteva sfruttare la sua fama, la sua abilità e perfino la sua stazza per sembrare inarrivabile. A differenza di molti altri, Geoffrey non piegava la sua volontà a quella del conte o di chiunque altro, non più.

lo vedeva nei suoi occhi, il disprezzo nei suoi confronti. Forse li riteneva alla pari dal punto di vista militare, cosa di cui lo stesso Salisbury non era più tanto sicuro, ma non poteva e non voleva nascondere l'antipatia verso il fratellastro del re defunto e indegno.

Ma l'odio di Geoffrey non era determinato dal pensiero di Salisbury come fratello bastardo dell'uomo che aveva fatto decapitare suo padre. Era rivolto verso un uomo che riteneva ipocrita e vigliacco, che si era riparato dietro alla prudenza, alla strategia, agli aiuti informali, ad una famiglia da proteggere e che invece avrebbe potuto salvaguardare in mille altri modi, furbo com'era.

Tutto questo per non ammettere che voleva solo tenere al sicuro la propria vita e il proprio ruolo. E aveva trovato il modo perfetto. Non fu mai nemico dei baroni, ma neanche di Giovanni. Non rischiò nulla di più di quello che aveva sempre rischiato in prima persona, lasciando ai baroni una guerra incerta da combattere.

Salisbury sospirò a fondo, esaminando il suo passato come il vecchio che era. Lo sguardo di Martewall bruciava ancora, bruciava la coscienza, bruciavano i ricordi di una testa che rotolava grottesca sul pavimento.

E i ricordi lo assalirono all'improvviso.

 

« Tengo conto del vostro buon cuore, William. »

Lunga Spada non tradisce un solo pensiero. Ma il suo animo è martoriato da sentimenti forti. Non è deluso. Non ha mai pensato davvero che le sue parole potessero salvare sir Harald dal re.

Mi dispiace, pensa, ben attento a non incrociare lo sguardo di sir Harald per più di qualche secondo.

Mi dispiace tanto.

Vede gli occhi del barone, fieri e fermi. E sa che solo il pensiero dei suoi figli lo preoccupa, di quella figlia prigioniera nelle mani della corona e di quel figlio disperso e braccato, l'ultimo, il più giovane dei figli maschi, il più solo. Lui che era partito per salvarli tutti, lui che avrebbe appreso della morte del padre solo troppo tardi, quando sarebbe stato impotente.

William può farsi un'idea della sua reazione futura. Giovanni no, è evidente. Forse crede che Geoffrey non tornerà, che sia scappato per non tornare. Forse è talmente sprovveduto da non averci pensato, o crede di poterlo ancora mandare alla forca. Cosa che, in cuor suo, ha sempre desiderato fare.

Vede il re ghignare all'apice della soddisfazione, e si chiede come possano condividere, anche se in parte, lo stesso sangue. Gli occhi di Harald sono fissi sul sovrano. Sono così simili a quelli di Geoffrey. E per questo sembrano promettere vendetta.

William sente la rabbia crescere mentre segue Giovanni, ancora gongolante, all'interno del castello di Dunchester. Lo vede appropriarsi di ogni spazio e di ogni cosa, come ha sempre fatto.

William riesce solo a pensare che il suo carissimo fratellastro non sa che cosa lo aspetta. Lunga Spada non sa ancora se i baroni reagiranno con le armi o no, anche se, a giudicare dalla tempra di alcuni di loro, non si sente ancora nella condizione di perdere la speranza.

Ma Geoffrey avrebbe ottenuto la sua vendetta in ogni caso. William ha una fiducia profonda in lui.

Passano in mezzo ai mercenari del re e ai cavalieri più fidati, che poco si differenziano dai primi, per valori morali e comportamenti.

William spera che Geoffrey Martewall non abbia pietà per nessuno.

 

E così era stato.

Pur rimanendo nell'ombra, William di Salisbury aveva seguito molto da vicino le azioni dei baroni ribelli. Li aveva spronati e aiutati più di una volta, portando cucita addosso nel contempo la maschera di sostenitore del re, un re sempre più paranoico, crudele, disperato e codardo.

Un re che, ogni volta che lo guardava, risentiva ancora chiaramente le parole che gli aveva rivolto dopo l'uccisione di sir Harald, con terrore.

Come fossero una profezia inquietante e veritiera.

 

« Si vendicherà »

Anche William prova un sottile, freddo, penetrante e sibilante desiderio di rivalsa. Le parole gli erano uscite dalla bocca con uno scopo preciso, uno scopo lucido. Con freddezza osserva il volto del re, che si era voltato di scatto con stupore per poi assumere un sorrisetto sarcastico ma velato d'incertezza.

«Di chi parli, William?» chiede, fingendosi inconsapevole e divertito. Ma non lo è. Non lo è perché sa bene a chi si riferisce.

Lunga Spada si sforza per nascondere un'ilarità quasi isterica. Non riesce a scrollarsi di dosso la sensazione, per qualche istante, che Giovanni abbia appena provocato la sua stessa morte, anche se sa che dovrebbe pensare in maniera più razionale.

Per adesso, si accontenta di spaventarlo.

«Lo sapete, mio re.» dice, fingendosi preoccupato ed accorto.

Giovanni scuote la testa con un sorriso subdolo, viscido e quasi folle nella paura celata.

«Geoffrey Martewall è già morto.» ride.

«No, non ancora. E vorrà vendicarsi. Vorrà la vostra testa e quella di molti altri. Ricordate il suo spirito, il suo...»

William si interrompe all'incedere brusco di Giovanni verso di lui. Il sorriso è scomparso per lasciare il posto solo ad una smorfia brutale sul suo volto arrossato.

« Lo farò impiccare come avrei dovuto fare anni fa. Un traditore si riconosce dal momento in cui comincia ad impugnare una spada. Il suo corpo penzolerà dalla forca per mesi, divorato dai corvi. » il suo viso è vicinissimo a quello del conte, con i suoi occhi folli e dalle pupille strette, l'espressione è un misto di bramosia e timore, la voce un sibilo vibrante di rabbia.

« Dubiti forse di questo, William? Dubiti della vittoria del tuo re, del suo diritto al trono?»

William lo guarda. Giovanni sa che il conte è esperto, sa che deve ascoltare le sue parole preziose. Ma non sempre il suo orgoglio gli permette di capire chi, tra i due, sia il più abile e degno su tutti i fronti.

« No, mio signore.»

 

Geoffrey è ancora davanti a lui, attento, imperscrutabile, severo.  William lo vede ancora, in un certo senso, come l'uomo che era a trent'anni. Il rispetto nei suoi confronti non è mutato, è rimasto lo stesso in tutta la sua grandezza. Ha sempre ammirato il suo coraggio, nonostante il modo in cui l’ha trattato il giorno che l’ha obbligato a scappare dal suo castello. Ammira la sua forza. E forse anche per questo non si è fatto problemi nell’annunciargli indirettamente ciò che gli sarebbe potuto accadere in Francia, anni prima.  

Ammira anche il suo posto in prima linea, sempre, qualunque guerra fosse. Qualunque nemico vi fosse davanti.

Geoffrey non temeva la sua spada. Lo avrebbe sfidato anche subito, se avesse pensato che fosse la cosa giusta da fare. La vecchiaia gli era servita a consolidare ciò che per natura ed educazione già sapeva, a rafforzare la sua capacità di frenare ogni istinto e, allo stesso tempo, agire talvolta con un ardimento quasi sconsiderato quanto inventivo.

Indifferente della propria vita. Come se ci fosse sempre qualcosa di più importante da seguire o per cui combattere.

William era certo che l'altro non sapesse di essere ammirato e rispettato oltre ogni misura. Ma quando aveva capito che il barone lo avrebbe odiato per sempre, il conte era rimasto addolorato, pur non mostrando questo suo sentimento.

Fin da quando era un ragazzo, aveva capito che sarebbe stato un ottimo comandante dell'esercito, un'ottima guida. Giovanni aveva cominciato a temerlo. Un ragazzo che pareva uno scherzo del destino, qualcuno che non sembrava potesse diventare particolarmente importante, l'ultimo di tre maschi, che divenne un'insospettabile arma a doppio taglio. Senza l'aiuto di nessuno.

William lo ricordava in più occasioni di quante Martewall stesso ricordasse.

Conosceva la sua indomabilità, la sua testardaggine, la sua freddezza, la sua componente passionale e il suo dolore, persino, in qualche occasione.

Conosceva la paura che portava cucita al mantello.

 

Giovanni sembra quasi febbricitante. Con una mano stringe convulsamente le tende pesanti di una finestra, mentre l'altra si aggrappa alla spada ricca di perle e intarsi che tiene alla cintura come se ne andasse della sua vita. Gli occhi sono sbarrati e liquidi, rivolti verso le luci delle torce che si possono vedere nel buio. Al loro interno si annida una paura folle. Una paura che William studia con attenzione, gustandosi ogni momento di quella sera.

Avevi ragione, ci sono queste parole in quello sguardo. Tu sapevi.

William trattiene un ghigno.

« So già quale sarà il blasone che vedrò per primo da queste finestre.» mormora Giovanni, in un soffio.

 

« Sir Martewall...» esordì William, rimanendo seduto sul suo scranno. « so che non vi fa piacere venire a farmi visita.»

Geoffrey si appoggiò alla parete con le braccia incrociate sul petto, più muscoloso di quando era giovane. Il conte constatò come non avesse perso i suoi modi ben poco impettiti, riuscendo comunque ad avere qualcosa di elegante nei movimenti.

« Infatti non è una visita di cortesia. » replicò freddo.

William annuì con un' espressione rassegnata.

« So bene a cosa è dovuta la vostra visita. » affermò adombrandosi. «se venite da me è solo perché siete obbligato dalle vostre convinzioni. Allora... immagino che non potremo contare sul vostro aiuto per la guerra in terra francese. »intuì subito Salisbury, cupo.

Martewall sorrise appena, sarcastico e sfrontato, staccandosi dalla parete con un movimento soddisfatto.

« Adoro risparmiare tempo. »

E fece per dirigersi verso la porta col suo solito passo deciso. 

« Dal momento che vi avvalete del permesso concesso generosamente dal nostro re di non rispondere alla chiamata alle armi della corona, dovrei almeno sapere il motivo di questa vostra scelta. »

Martewall si voltò di nuovo verso di lui, per nulla sorpreso da quel nuovo intervento.

« Ormai dovreste saperlo, Lunga Spada. Ho smesso di combattere guerre inutili nel momento in cui ho imparato a riconoscerle. »

Salisbury lo fissò in volto, calmo. Sarebbe stato ore a studiarlo, se solo Martewall non fosse stato così sfuggente per natura.

« certo. » disse a mezza voce, riflessivo. « e la vostra amicizia con la corona francese vi spronerà sempre a valutare bene questo tipo di situazioni.» non era un'accusa, né una affermazione sprezzante. Era semplicemente una constatazione, abbastanza ammirata, persino. L'uomo politico che era in lui apprezzava l'idea di Martewall di farsi un alleato così potente.

Ma dubitava, onestamente, che il barone agisse in quel modo davvero per quel motivo, o che avesse ricercato lui stesso l'alleanza coi francesi. Non gli era mai importato nulla di questo genere di cose e non era un politico, non era un diplomatico. Era un uomo d'onore e un guerriero.

Ed era qualcuno che Salisbury, in fin dei conti, aveva voluto provocare. Forse per dissipare, almeno in parte, l'accusa che leggeva nel suo sguardo costantemente.

Martewall non sembrò stupito dalle sue parole. Non poteva certo sperare che William non si fosse accorto del suo legame con la regina Bianca, o della sua improbabile amicizia col Falco d'Argento. Tuttavia fece qualche passo verso il conte, lo sguardo freddo, punto sul vivo.

« Se pensassi che l'Inghilterra meriti di diritto ciò che sta pretendendo, allora non ci sarebbe francese che potrebbe frenarmi. Ma non è così. Non lo è da anni.»

Salisbury lo sapeva. Sapeva che non vi era nessuno che amasse quella terra di pioggia, foreste e sassoni come Geoffrey Martewall. Ma se lo avesse detto, il barone lo avrebbe interpretato come una presa in giro.

« Non vi stavo accusando di nulla. » ci tenne a precisare il conte.

Martewall sostenne il suo sguardo con freddezza estrema.

«In ogni caso non do più molto valore alle accuse che ricevo. Sono stato accusato di tradire l'Inghilterra mentre davo ogni fibra del mio essere per salvarla. »

Salisbury si ritrovò ad aprirsi in un piccolo sorriso amaro. Lui non sentiva di aver dato nulla alla sua terra in confronto al barone, e Martewall forse voleva proprio ricordarglielo.

« Siete una persona particolare, sir Martewall. Andate contro ad ogni comune pensiero. » affermò, con un gesto vago.

« Al contrario. Spesso mi capita di essere il portavoce di molti. E già che siamo in argomento... » aggiunse il barone, sicuro e fiero. « Vi rammento di ricordare al re che la Magna Charta non esiste solo per i morti come suo padre. E non è discutibile. »

Salisbury annuì una sola volta in un gesto quasi maestoso.

« Avete avuto modo di conoscerlo, sir Geoffrey. Non è come suo padre. Rispetterà sempre il vostro amato parlamento. Enrico potrebbe essere molto peggio di com'è »

« Sì. » ammise Geoffrey, alzando di poco un angolo della bocca « Ma non per molto. »

il conte sospirò quasi divertito.

« E se vi avesse obbligato a partire per la Francia?»

Geoffrey parve indolente e noncurante.

« Ho perso troppo per accettare ancora un obbligo del genere. Ma i figli imparano dagli errori dei padri, a quanto vedo. »

Salisbury si morse la lingua prima di rispondere. Decisamente, Martewall non aveva imparato dall'errore di suo padre. Non avrebbe mai imparato a tenersi lontano dalle battaglie più spinose. Il conflitto di interessi tra il re e il parlamento era tra questi.

« Non avete intenzione di posare la spada, vero? Non vi sentite ancora del tutto al sicuro dalle ingiustizie. »

« Non si è mai del tutto al sicuro dall'ingiustizia. » replicò Martewall, gelido, prima di voltarsi nuovamente, per l'ultima volta.

 

Salisbury quasi trasalì nel constatare quanto gli fosse famigliare la sua ferocia. La riconobbe in quegli occhi grigi come la nebbia delle sue terre affacciate sul mare. Era un'eco lontano, adesso, ma anche se era momentaneamente sopito, la sua ombra sembrò oscurare le iridi ferine del barone.

Nel suo viso c'era qualcosa che faceva continuamente venir voglia di mettere mano alla spada, con un atteggiamento guardingo.

Il conte volse lo sguardo verso la moglie di Martewall. Lei ricambiò, preoccupata, con una lieve angoscia che, al fianco di Martewall, aveva sempre provato. Lei lo amava davvero, glielo si leggeva negli occhi. Lo amava come lui non si era mai amato, lo amava sopra ad ogni altra cosa.

Salisbury riuscì solo a pensare che non fosse bastato l'amore a far sparire le ombre dagli occhi di Martewall.

Sarebbe bastata la sua morte?

« Perchè siete qui?»

Era crudele venire a fargli visita. Proprio lui. Proprio chi più di chiunque altro avrebbe potuto ricordargli i sacrifici del passato. Lo vide osservarlo dall'alto, evitando di sedersi, guardando il suo corpo affondato nel letto.

Non vi era nessuna espressione, adesso, sul suo viso.

Salisbury aspettò. Confusamente si chiese anche quanto avesse insistito con i servi per riuscire a entrare nella stanza.

Sapeva che non avrebbe ignorato la sua domanda. Non si ignorano mai le parole di un moribondo, non è cortese.

« Volevo darvi il mio ultimo saluto. » la sua voce era profonda e, inaspettatamente, sinceramente addolorata, anche se non voleva dare questa impressione.

Salisbury sorrise debolmente. Il barone avrebbe potuto abbandonare parte del suo orgoglio, dato che sarebbe morto di lì a poco. Ma le abitudini sono dure a morire.

« Grazie. »

Era forse una delle parole più sentite che avesse mai pronunciato. Grazie, Geoffrey Martewall, per non avermi mentito, per non aver detto che sei venuto per sincerarti della mia salute.

Se non fosse stato convinto che sarebbe morto, non sarebbe mai venuto.

William respirò con fatica, appena più forte.

«Non riesco a vedere il vostro volto. » disse il conte, ed era vero. Non lo vedeva più bene, da quando aveva fatto qualche passo avanti. Percepì la sua esitazione. Poi, con un movimento lento, vide la sua ombra spostarsi verso la luce.

Lo osservò a lungo con gli occhi socchiusi e brucianti a causa della febbre.

«Geoffrey. » lo chiamò per nome per la prima volta in vita sua, sentendosi sempre meno lucido, ma la parola uscì rantolata dalla sua bocca, quasi incomprensibile.

Rivedeva il suo volto da ragazzo, i suoi occhi colmi di tormento.

«Non avrei mai voluto... » riuscì a dire il conte, scandendo di più le parole.

« Lo so. » la voce di Martewall fu perentoria, secca, potente. William la immaginò come una grande falce che sibilava nell'aria, mossa da braccia forti e veloci. I suoi tratti si contrassero dalla sorpresa.

« Non è stata colpa vostra.»

William si abbandonò all'oblio con un sorriso. Martewall non si smentiva mai, perché in quel momento era là con lui, a regalargli una morte serena, e nessuno dei due, per una volta, aveva qualcosa di cui scusarsi. Aveva parlato come chi ha capito solo da poco il desiderio di una persona, ciò he avrebbe dovuto fare.

Martewall voleva donargli il perdono che, forse, avrebbe voluto avere la possibilità di concedere anche ad altre persone.

William sentì la falce cadere su di lui.

L'ultima sensazione che provò fu il sentire l'odore del mare, della pioggia e della libertà, e la mano di Martewall che stringeva forte la sua.

 

 

Eccomi, Popolo Efpinese! Non sono stata spedita nello spazio!

Come ho detto, c’è altro che vorrei dire a parte il fatto che mi vergogno per la lunga assenza. Per prima cosa, scusate se ho descritto Lunga Spada in modo un po’ Oc. Ok, molto Oc.

Ho scritto di getto ciò che ho sempre pensato, e cioè che William sia un personaggio, diciamo così, che nasconde tante cose perché gli riesce bene e gli risulta utile farlo. Mi piace molto come personaggio, e non volevo descriverlo affetto da un vero e proprio rimorso, ma ho cercato di immaginarlo più vecchio e propenso a guardarsi alle spalle. Ho inventato molte cose, come la sua morte, di cui sinceramente non  so la data. Come ho detto, ho scritto di getto. In più non avendo internet non ho potuto informarmi.

Il finale è ciò he più mi impensierisce, ma se continuo a rileggerlo lascio la storia incompleta, in un punto in cui non sento di doverla finire, quindi, dato che comunque mi piace l’idea di descrivere la sua morte, lo lascio al vostro giudizio. XD

Come ultima cosa devo dire che non ho completamente risolto i miei problemi col computer ma, ehi, ci sono vicina ; )

Grazie infinite per aver letto fino a qui!

Alla prossima!!!

  
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