WE ARE OUT FOR PROMPT –
31 LUGLIO/02 AGOSTO 2015
Titolo: Dopo il caos, la quiete
Personaggi: Inuyasha/Kagome
Prompt ©Elisa Story Zabini. Anime, InuKag. AU storica. Ferite di
battaglia.
Avvertimenti: AU, AH (All Human)
Note: Supponendo che "AU storica" significasse trasportare i due personaggi in un ambiente più realistico, ho mantenuto l'epoca Sengoku (conosciuta come 'periodo degli stati belligeranti') come punto di partenza e trasformato Inuyasha eKagome in due creature che avrebbero potuto incontrarsi facilmente in una simile situazione - una sacerdotessa (le infermiere da campo dell'epoca, se vogliamo) e un soldato. Spero che il risultato sia gradevole!
Buona lettura. :)
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Dopo il caos, la quiete
Un’altra lunga giornata si
avviava stancamente al suo termine. Le cicale lasciavano il posto ai grilli e l’azzurro
del cielo andava via via tingendosi di rosa e arancio, e più in alto, dove la
volta celeste era già più scura, si intravedevano le prime stelle.
Kagome aveva smesso di trovare
conforto nella bellezza della natura – aveva visto già troppa morte e
disperazione nella sua breve vita per potersi permettere di essere così
disincantata. Le sue orecchie non potevano apprezzare il canto notturno dei
grilli, perché erano colme dei lamenti dei feriti e dei pianti di chi si doleva
dei morti; i suoi occhi non riuscivano ad ammirare la semplicità del tramonto,
perché tutto ciò che vedeva era sangue; e l’odore dei fiori era a lungo
dimenticato, perché tutto ciò che permeava l’aria era l’odore acre del fumo e
quello, indescrivibile, dei cadaveri che bruciavano.
Si trascinò con rassegnazione
tra le fila dei feriti, portando quel po’ di conforto che poteva, spendendo una
parola o due con chi giaceva, da solo, su giacigli di fortuna, e aiutandoli a
bere acqua – i soldati avrebbero preferito senza dubbio qualcosa di più forte,
ma il sakè era meglio utilizzato nel disinfettare le ferite.
I suoi occhi saettavano da una
parte all’altra alla ricerca di chi aveva bisogno di lei, e d’un tratto una
voce si innalzò dall’oceano di lamenti.
«Miko», la chiamò a fatica.
Kagome si volse subito verso di
lui, ma non lo trovò immediatamente: non si trovava vicino agli altri feriti,
ma al bordo della radura, appena fuori dal villaggio, e lei lo udì quasi per
caso. Giaceva sdraiato contro un albero, e malgrado la stranezza della cosa
Kagome vi si avvicinò e si accucciò al suo fianco per impedirgli di sforzarsi
troppo. «Dimmi, soldato», invitò gentilmente, osservando con un misto di
sorpresa e ammirazione – come poteva rimanere indifferente a quella visione? –
i lunghi capelli argentei del ragazzo, il cui sangue incrostato teneva
incollati sulle tempie e ai lati del volto.
Lo vide deglutire, quel ragazzo
che non poteva essere molto più grande di lei, e indicare con un cenno del capo
la borraccia che lei teneva tra le mani. «Acqua, per favore», gracchiò.
Gliela porse, avvicinandogliela
alle labbra e aiutandolo a bere a piccoli sorsi. Quando egli ebbe finito,
tuttavia, Kagome si accorse che non desiderava andarsene. C’era qualcosa in
lui, nella sua espressione, nei suoi occhi – non ne era certa, visto che le
altre donne avevano appena iniziato ad accendere qualche torcia, ma avrebbe
detto che fossero dorati – che la spingeva a rimanergli accanto.
«Non ti ho mai visto prima d’ora»,
sbottò prima di poterselo impedire. Subito però se ne pentì e piegò il capo in
un breve inchino di scusa, maledicendo la propria curiosità. «Perdonami,
soldato. Ho oltrepassato il mio limite.»
Fece per alzarsi e andarsene
prima che Kaede-sama si accorgesse della sua indolenza e venisse a
rimproverarla, ma prima che potesse fare un passo la mano del giovane si
strinse intorno al suo polso, con una forza notevole in qualcuno che doveva
faticare per mettere una parola appresso all’altra.
«Va tutto bene, miko», mormorò
lui, dandole un delicato strattone per convincerla a tornargli accanto. «È
bello parlare con qualcuno che non urla ordini o insulti.»
La sua indecisione non durò a
lungo – la curiosità prevalse. Tornando ad accucciarsi presso di lui, Kagome
piegò appena il capo di lato, dimostrando la sua disponibilità ad ascoltare. «La
tua uniforme… Perdonami, soldato, ma il rosso non è colore dell’Est.»
Lui non esitò nello scuotere il
capo. «No, infatti. È il colore dell’Ovest», rispose, confermando le ipotesi
della sacerdotessa. Ma la sua mano la teneva ancora ferma, e andarsene le era
impossibile – per cui rimase a sentire cos’altro aveva da dire. «Ma nella morte
abbiamo tutti lo stesso colore, miko.»
Lo sguardo clinico di Kagome lo
percorse da capo a piedi, e infine aggrottò la fronte. «Posso assicurarti che non
stai morendo, soldato», disse piano, allungando d’istinto una mano a sfiorargli
la guancia e spostargli i capelli sporchi dal viso. Una ruga le si formò tra le
sopracciglia nel rendersi conto di quanto fosse rovente la sua pelle, e un
palpito di preoccupazione si fece largo nel suo animo.
«Keh», sbuffò lui, piegando il
capo per meglio godere della gentile carezza. «Forse non oggi. Ma domani, o il
giorno dopo… Chi può dirlo. Se questa guerra non finisce stanotte, miko, non
arriverò a vedere un’altra primavera.»
Rimasero in silenzio a lungo, e
infine Kagome ritirò la mano e posò per terra la borraccia. «Permettimi di
controllare le tue ferite, soldato», si offrì gentilmente. Quando vide che il
giovane era pronto a rifiutare, sollevò una mano per farlo tacere. «Devo rendermi
utile, o non avrò alcuna scusa per restare qui.»
Il brusco cenno del capo che le
rivolse fu risposta sufficiente.
Passandogli un braccio intorno
alle spalle lo aiutò a mettersi seduto, poi, con infinita delicatezza, gli
slacciò la corazza e la depose da un lato. A questo punto si occupò di
sfilargli l’haori color rosso sangue che gli avrebbe sicuramente procurato dei
problemi non appena il sole fosse sorto un’altra volta, e quando la sua schiena
fu nuda contro l’aria della notte Kagome si lasciò scappare un gemito.
Il soldato si irrigidì
leggermente, ma non si mosse. «Perdonami, miko. Avrei dovuto avvertirti.»
Sentendosi in colpa per la sua
reazione, la sacerdotessa gli posò una mano sulla spalla e strinse appena in
segno di conforto. «Ho visto di peggio. Sono solo stanca», si giustificò.
Kagome non credeva di aver
mentito – aveva visto cose piuttosto impressionanti sin da quando aveva
iniziato ad assistere i soldati che ogni giorno riempivano le vie disabitate
del loro villaggio in cerca di cibo e riparo – eppure adesso non riusciva a
ricordare nulla che fosse altrettanto tremendo. La sua schiena era una rete di
cicatrici delle più svariate nature – frustate, colpi di spada, pugnale, punte
di freccia – e creavano sulla pelle diafana un intreccio a tratti scuri e a
tratti perlaceo, laddove le cicatrici erano più vecchie, dando l’impressione che
pulsassero in modo imperituro per un dolore fantasma.
Cercando di concentrarsi sul suo
lavoro, Kagome bagnò il panno che teneva allacciato al cinto dei propri hakama
e iniziò ad occuparsi delle ferite più fresche, riconoscibili per via del
sangue raggrumatovisi intorno. Quando lo udì sibilare addolcì il tocco, e
decise di cercare una qualche forma di distrazione.
«Mi chiamo Kagome», mormorò, tamponando
con cura intorno a una ferita che pareva inferta da qualche animale feroce. «E
ti posso giurare che non riporterò la tua presenza al campo, soldato.»
Non aveva dubbi infatti che
avrebbero potuto imprigionarlo – o, peggio, ucciderlo. Probabilmente Kaede-sama
gli avrebbe offerto asilo in ogni caso, ma Kagome non si fidava della
compassione degli altri soldati presenti. Aveva visto nei loro occhi la brama
di sangue e vendetta, di cui il suo attuale paziente era privo.
«Inuyasha», fece lui dopo un po’,
ricambiandole il favore attraverso denti stretti. «E ti ringrazio, miko Kagome.
Ma sarò sparito prima dell’alba.»
Il silenzio si insinuò
nuovamente tra loro. Kagome non poteva contraddirlo – era saggio che avesse in
programma di andarsene prima di venire riconosciuto, poiché nessuno tra coloro
che occupavano il villaggio avrebbe avuto un briciolo di rimorso a uccidere un
nemico disarmato e al di fuori del campo di battaglia – eppure l’idea che se
volesse andare col favore delle tenebre, stanco e ferito, privo di cibo e in
pieno territorio ostile la metteva stranamente a disagio.
Ma cosa poteva fare? Condivideva
la sua capanna con Kaede-sama e altre due ragazze, non avrebbe avuto modo di
nasconderlo in nessun caso. Inoltre, a chi avrebbe dovuto offrire il suo
sostegno? Come sacerdotessa si supponeva che dovesse aiutare chiunque fosse in
difficoltà, ma come abitante dell’Est… In teoria, lui era un nemico tanto suo
quanto degli altri soldati. Sospirò, pregando silenziosamente affinché i Kami
le mandassero una qualche risposta.
«Mh», gemette in quel momento il
soldato – Inuyasha, si corresse mentalmente – e lei temette di avergli fatto
male. Ma poi lui continuò, con aria pacifica e assonnata. «Hai un tocco così delicato,
Kagome...»
La giovane arrossì. «Stai
sognando, Inuyasha?» Gli chiese sottovoce, osando allungare una mano per
passargliela tra i capelli. Avrebbe voluto vederli in tempo di pace, lunghi e
puliti da ogni traccia di sangue, splendenti sotto al sole, ma avrebbe dovuto
vivere probabilmente con quel desiderio.
Egli mugugnò qualcos’altro che
Kagome non riuscì a udire, e comprese allora che il soldato si era effettivamente
addormentato. Accennando un sorriso si apprestò a rivestirlo, lasciando da una
parte la corazza e sistemandolo in una posizione più comoda: istintivamente, il
capo di Inuyasha trovò la strada verso il suo grembo, e lì rimase con l’aria
più serena del mondo.
Fu allora, mentre prendeva ad
accarezzargli e scioglierli i capelli con movimenti morbidi delle dita, che
Kagome prese la sua decisione: lo avrebbe nascosto. C’era una caverna in mezzo
al bosco, non troppo lontano da lì, dove lo avrebbe rimesso in salute finché
non fosse stato abbastanza forte da andarsene con la certezza di sopravvivere
fino al rientro nel suo territorio. Si sarebbe assicurata che Inuyasha vedesse
la prossima primavera, e ai Kami piacendo, anche molte altre dopo di quella.
Era una sacerdotessa: era suo
compito. A guerra finita cose come Est e Ovest non avrebbero più avuto il
medesimo significato, e fu cullando quel barlume di speranza che anche lei si arrese
al sonno.
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Oneshot: 1560 parole.