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Autore: Charlie1961    01/08/2015    1 recensioni
Il mio nome è Nuralanya sono un'elfa....un'elfa Dalish.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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~~Il mio nome è Nuralanya sono un'elfa....un'elfa Dalish. Il mio clan è accampato ormai da più di due stagioni nei boschi a sud del Ferelden a non più di quattro giorni di cammino dalla foresta di Brecilian. Siamo un gruppo non eccessivamente numeroso dedito alla caccia e alla conservazione delle nostre tradizioni. Gli umani, gli sh'amlen, come noi elfi li chiamiamo ci hanno perseguitato per secoli, costringendo i nostri antenati ad una vita di schiavitù, soggiogandoci ai loro voleri riducendo i nostri nobili guerrieri ad una mesta esistenza al loro servizio. Molti del mio popolo alla fine accettarono questa supremazia ritrovandosi  a vivere nelle loro città, all'intero di enclavi sudice e maleodoranti con poco cibo per sopravvivere e ancora meno speranze di riuscire a farlo.
Gli uomini per lo più lavoravano i campi per i loro padroni, in cambio ottenevano una lurida baracca entro cui vivere e riprodursi; erano piccole, fatiscenti spesso a ridosso di untuosi corsi d'acqua che lentamente correvano verso le pianure ai margini delle città portando con se l'odore e il putridume degli scarichi dei ricchi dalle orecchie piatte.
Le femmine era solito trovarle nelle cucine dei palazzi o a carponi su qualche pavimento intente a strofinare i marmi finemente lavorati o a servire le vecchie donne umane senza mai alzare gli occhi dalla punta dei loro piedi. Non era consentito loro nemmeno parlare in presenza dei padroni, un breve cenno del capo bastava per accettare l'ordine impartito e niente più. Tutto questo se la femmina era fortunata, in caso contrario la sua unica mansione era aprire le gambe ad ogni richiesta dei ricchi umani. Una prostituta elfa è buona per due motivi: non parla e non ti chiede corone in cambio di una notte nel suo letto. Era così da più di trecento anni, niente sarebbe mutato nessuna ribellione avrebbe posto fine a tutto questo, nemmeno un nuovo flagello sarebbe riuscito a cambiare le cose.
I racconti della Guardiana riportavano con meticolosa precisione la lunga guerra che portò gli sh’amlen scontrarsi con gli elfi per il dominio dei territori a nord di Denerim; si combatteva e si moriva per la propria libertà ed indipendenza, il sangue di migliaia di elfi fu versato per l'onore del mio popolo e l'odio cresceva impetuoso, irruento, senza freno alcuno come se alla fine di tutto fosse bastato un solo uomo rimasto in piedi, umano o elfo, a decretare la mesta vittoria. Ma non fu sempre così, all'epoca dell'ultimo flagello, quattro secoli prima, quando un'orda famelica di darkspawn risalì dal ventre della terra con l'intento di annientare ogni forma di vita di superficie elfi, sh’amlen e nani, si unirono compatti per affrontare il male e sconfiggerlo. Le leggende raccontano di un'esercito imponente schierato sul campo di battaglia, deciso a non permettere che il male li travolgesse. E il mio onorato popolo, la mia gente, era li fianco a
 fianco degli umani, i nostri archi tesi a difendere gli attacchi furiosi dei nani, a prenderci cura dei feriti, abbiamo dato tanto come tutti del resto, abbiamo lottato per la vita del Ferelden e del Thidas tutto. Il flagello era stato respinto la vita ha continuato il suo ciclo costante.
Ma questa è storia del passato, ora le cose stavano così, da una parte i nostri oppressori dall'altra gli elfi di città. Ma esiste un'ulteriore risvolto, centinaia forse migliaia di elfi che si opposero a questa sudditanza e fuggirono sparpagliandosi in numerosi clan e trovando rifugio fra i boschi a sud del continente, determinati ad alimentare il fuoco delle nostre tradizioni che ci vogliono liberi e figli della natura. Questi clan, questi elfi orgogliosi del loro retaggio sono conosciuti come Dalish....e tutt'ora ve ne sono a migliaia.
Le nostre regole i nostri ruoli all'intero dei clan sono ferrèi dettati più dal conscio sapere di essere un popolo libero; nel nostro dna è scritto cosa siamo e per nulla al mondo siamo disposti a rinunciarvi. Gli Spiriti ci guidano attraverso le rigogliose foreste alla ricerca di cibo, siamo cacciatori abili e abili guerrieri, ogni membro del clan è fratello ogni anima che lo compone, è rispettosa del volere dei Guardiani gli unici in grado di decidere il destino dei clan. Si dice che una volta gli elfi fossero immortali, che nelle nostre vene scorresse lo stesso sangue degli Dei, e da immortali vivevamo ai confini della vita. Forse questo nostro dono era alla base dell'odio o dell'invidia degli sh’amlen, ci volevamo cancellare dal mondo di superficie, per un'umano tutto ciò che andava oltre il loro sapere e il loro comprendere era il male, non importa se giudicavano gli elfi e le darkspawn allo stesso modo, il male non ha un volto preciso: è male e basta.
I lunghi secoli vissuti al fianco degli umani ci hanno cambiato, ci siamo adattati alle loro brevi vite e nei racconti dei bardi si dice che alla fine la nostra immortalità svanì piano piano, diventammo come loro, mortali e rassegnati. Eppure i Guardiani alimentano tutt'ora questa verità, vivono una lunga vita piena di saggezza e di amore per i propri simili, loro sono le mani e gli occhi degli Dei, il loro respiro è lo stesso degli Dei....non dissimile la loro magia.
Io sono un'elfa Dalish, sono fiera di essere e di vivere questa condizione, lavoro giorno per giorno per il mio clan, ogni mio pensiero ogni mia azione è tesa verso questo puro e semplice status quo: io sono Nuralanya e sono una Dalish! 
Nella rugginosa e spigolosa lingua degli umani il mio nome potrebbe essere tradotto come "freccia degli Spiriti" o una cosa simile. Sentendo parlare quei pochi umani che ho avuto la sfortuna di incontrare mi sono chiesta come potessero riuscire ad esprimere i loro pensieri, i loro sentimenti il loro essere creatura voluta dagli Dei utilizzando quei suoni strani, usavano rumori non parole, non c'era armonia nella loro voce, un lungo seguito di frasi monocorde avrebbe dovuto descrivere i loro pensieri.
Se solo tutto fosse stato diverso, se l'amore ed il rispetto reciproco avesse preso il posto dell'odio cieco e sordo, allora ci sarebbe stata l'opportunità di un incontro fra i nostri popoli, avremmo portato in dono la nostra salda considerazione reciproca ricevendo in cambio il loro sapere, le nostre culture si sarebbero incontrate lungo il cammino e la fratellanza avrebbe vinto su tutto. Elfi e umani su di un'unico grande pascolo di felicità e gioia, dove mancava l'uno era presente l'altro ed invece le nostre frecce e le loro spade sono gli unici argomenti di discussione.
Re Cailan sovrano dell'impero di istanza a Denerim, la capitale del Ferelden è un uomo di valore e giusto di intenti; un umano certo, ma la sua sincera passione per l'unità dei popoli è fuori discussione. Le sue idee sono ragionevoli, riconosce il valore di noi elfi nella storia e a modo suo lotta per una uguaglianza senza alcun vincolo. Giovane sposo di Anoira figlia di Theryn Loghain luogotenente  di suo padre il vecchio Re Maric morto si dice sul campo di battaglia, è accecato da sogni di gloria; si ritiene un Re guerriero più che uno statico amministratore del popolo e la politica, quella contorta, viziata, insulsa gioca un ruolo determinante nel futuro del Ferelden.
I ricchi e potenti Bann decidono per lui. Dategli una spada e una corazza e lasciatelo combattere se proprio vuole, ma all'amministrazione dello stato ci pensiamo noi. La politica ha questo potere: uccide di più un ciarlatano umano che un nobile guerriero elfo.
Se fossi una sh'amlen potrei in egual misura vantare nobili tradizioni; ma nella vita di un elfo il passato è solo un volere degli Spiriti, non c'è spazio per rivendicare nulla e nulla si tramanda oltre il dovuto.
Mio padre era un rispettato Guardiano, ha guidato per lunghi anni il nostro clan ha affrontato e superato numerose battaglie e il suo giudizio era ascoltato da tutti. Ho sbiaditi ricordi di lui, nemmeno più il suono della sua voce è nella mia memoria, però so per certo che fu un buon Guardiano e seppe guidare i suoi fratelli con saggezza e amore. Sposò mia madre all'inizio della Decade del Falco e il loro amore fu d'orgoglio e felicità per tutti. Lei era una forte e abile guerriera, si dice che potesse uccidere un orso con una sola freccia scoccata con precisione a più di duecento passi di distanza. Si racconta di lei che riusciva a stordire un uomo con il solo colpo del suo scudo per poi finirlo con un deciso e armonioso taglio della sua spada di ossidiana.
Nelle mie vene scorre il loro sangue, per metà intriso di equilibrio e amore il resto la caparbietà guerriera e sfacciata.
Mi piace la caccia, sentire l'odore della preda, scrutare attenta ogni suo movimento, mi piace occultare la mia presenza nei folti cespugli che costeggiano il piccolo fiume e aspettare paziente che il suo movimento incroci il mio sguardo,  sentire lo stridio del legno del mio arco mentre si flette minaccioso, lasciarsi invadere dal sibilo della freccia e gioire per l'ottimo risultato.
In questo sono identica a mia madre, tutto il mio clan riconosce in me questa preziosa eredità, ma lo sconforto e la malinconia che per giornate intere accompagna la mia vita senza apparente motivo, è un mio retaggio unico nato da chissà quale disegno celestiale non certo tramandato da mio padre e mia madre.
Rimasi orfana cinque anni fa, allora avevo vent'anni e per un Dalish vent'anni significa l'ingresso nell'età adulta. Sono le mani dell'anziano Avarel a dipingere sul volto dei nuovi adulti l'elaborato tatuaggio che con leggeri tratti descrive il tuo ruolo nel clan; sono le sapienti dita di Jashoua a costruire l'arco in ciliegio che porterai a tracolla per il resto della tua vita, è la destrezza di Lalaith a confezionare la tua veste da caccia in morbido cuoio borchiato con eleganti spallacci e sopraffini intrecci lungo i fianchi, infine è la Guardiana a sancire il tuo arrivo fra gli adulti del gruppo.
A quei tempi eravamo accampati più a nord, a pochi chilometri dal Picco del Drago, si racconta che su quelle vette gelide oltre la linea delle nubi riposi un'enorme drago rosso, da lì il nome della montagna. Per secoli potenti guerrieri si incamminavano lungo i ripidi sentieri armati di tutto punto con la stupida illusione di sconfiggere la bestia e godere degli immensi tesori sepolti all'interno della sua tana, nel profondo di una grotta. File di carovane si inerpicavano lente come una laconica processione, sparivano oltre le nubi e nessuno lì vedeva più fare ritorno.
Giungevano da ogni dove, umani da Redcliff guerrieri dalla lontana Orzammar la capitale del mondo sotterraneo impero dei piccoli e aggressivi guerrieri nanici, ognuno con una speranza e una decisione forte come l'acciaio, ognuno di loro scomparso lassù fra la neve e il freddo vento del nord.
I miei genitori stavano rientrando da un pacifico incontro con elfi di un vicino clan quando un gruppo di quei meschini guerrieri umani li attaccò. Mio padre non era avvezzo all'arte della guerra, i suoi talenti si palesavano nell'oratoria divina, lui sapeva dove trovare il cuore di un uomo per poterlo scaldare con parole sagge e non per trafiggerlo con lame appuntite. Fu il primo a cadere sotto gli occhi terrorizzati di mia madre. La vidi rientrare al campo sconvolta, sporca di sangue umano con ancora la spada fra le mani e lo scudo ciondoloni sul fianco. Non mi riuscì di proferir parola e quando realizzai cosa fosse successo seppi solo correre disperata e tremante lungo i sentieri che conducono alla Fonte del Ristoro rimanendo accovacciata sul greto del fiume come inebetita. Mi raccontarono che subito partirono i nostri guerrieri più forti alla ricerca del corpo del loro Guardiano, e lo spettacolo che li attese fu terribile. Il corpo di mio padre senza vita adagiato contro una roccia come seduto a riposare dopo un lungo cammino, attorno a lui i resti di sei sh'amlen straziati come se un grosso orco inferocito avesse teso loro una trappola. Chi con il capo mozzato, chi impalato con la sua stessa picca, un terzo con il viso squarciato a metà, una piccola nana dal corpo rigonfio e il petto aperto come un frutto di stagione....la furia di mia madre alla vista del suo uomo ucciso si scatenò su di loro come una maledizione divina. 
L'odio insulso per noi elfi li aveva spinti ad attaccare, la lama della spada di mia madre li aveva condotti dinnanzi al loro Creatore.
Trascorsero due mesi e alla fine il dolore e la disperazione di mia madre ebbero il sopravvento. Si allontanò di buon mattino dirigendosi verso i vicini boschi dove era solita cacciare e non fece più ritorno al campo. La Guardiana ancora oggi ripete mestamente la sua versione dei fatti, così come chiunque nel clan interrogato mi ripete instancabile: un grosso lupo ha assalito tua madre riportando la sua anima al cospetto degli Spiriti. Ma non mi lascio ingannare da queste pietose false verità, Lei non avrebbe mai potuto soccombere davanti alla forza di nessun lupo; io credo e sono certa che ha voluto raggiungere il suo amore perduto. Per un Dalish togliersi la vita è quanto di più sacrilego ci possa essere, siamo un dono degli Dei su questa terra, e solo Loro o il nemico possono toglierci questa vita. Il sacrilegio del suicidio si ritorce sui figli dei figli del suicida; in poche parole l'intero clan conscio del mio dolore straziante ha voluto cambiare la verità per scongiurare quel sacrilegio. Sono passati cinque anni non saprei dire a tutt'oggi  se fu un bene questa loro decisione.
A dirla tutta, vent'anni è l'età giusta per un Dalish per iniziare le fasi del corteggiamento, è in quegli anni che gli amori tenuti segreti agli occhi dei più si manifestano improvvisi; si celebrano matrimoni, in genere sfarzosi e festaioli, nuove tende si aggiungono all'accampamento e ben presto il numero del clan cresce a vista d'occhio.
Per poter sancire le loro unioni il maschio deve dimostrarsi un'abile cacciatore così da poter assicurare alla sua nuova famiglia la sicurezza del cibo. Ho aiutato molti dei miei fratelli elfi a portare a termine la loro caccia restando nell'ombra, all'insaputa della Guardiana li accompagnavo lungo il loro sentiero rimediando ai loro goffi tentativi di uccidere le loro prede.
Ti sono debitore Nuralanya, ti prometto che quando sarà il tuo momento sarò pronto ad aiutarti, mi ripetevano con il viso solare e raggiante, mi limitavo ad un sorriso invitandoli a tornare al campo trionfanti.
A tutt'oggi nessun giovane elfo è uscito dal campo per dimostrarsi abile nella caccia tanto da poter reclamare il mio amore.
Le occasioni non mi sono certo mancate, a sentir loro sono un'elfa "ben riuscita" com'erano solito ripetere; odiavo quella frase così come a volte odio il mio corpo agile e snello, la mia pelle ambrata i miei occhi color del cielo.
Io amavo passare le mie giornate fra i boschi con l'arco fra le mani, non mi stancavo mai era una forza divina a spingermi a farlo e ho trovato in Tamlen un giovano elfo della mia età un fedele compagno di avventure. Ci vedevano rientrare all'accampamento con i sacchi rigonfi di selvaggina sporchi di fango e sangue animale, stanchi ma felici e orgogliosi delle nostre giornate.
I più maliziosi sorridevano credendo di intuire in quella nostra granitica amicizia e intesa un amore nascosto, ma per lui provo un' amore fraterno e sono certa che sia così anche per il mio compare.
Dopo la morte dei miei genitori l'anziana Guardiana si è presa cura di me come una figlia. Ha voluto che la mia tenda fosse posizionata accanto alla sua, aveva e ha tutt'ora sempre un' occhio di riguardo nei miei confronti, ritiene che queste dure prove alle quali gli Spiriti hanno deciso di mettermi davanti sono un segno del fato, un giorno sarò una Dalish rispettata ed importante è solita ripetermi, il mio nome sarà ricordato per secoli, i bardi del Ferelden assoceranno la mia figura a grandi avventure ma tutto questo a me non importava, datemi il mio arco e la compagnia di Tamlen e mi vedrete davvero felice.



 
   
 
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