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Autore: Curse_My_Name    01/08/2015    3 recensioni
-Il disastro è già iniziato, e coloro che ti hanno inviato non ti hanno nemmeno detto cosa cerchi-
-E sarebbe?-
-Ciò che bramano tutti quelli che praticano la magia: la conoscenza-
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Dovahkiin
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Questa fic si basa un po’ su quella che è stata la mia esperienza di gioco e un po’ sulla mia fantasia. I vari dialoghi riportati non saranno sempre identici a quelli originali, dato che su Skyrim sono poco scorrevoli e le frasi di ogni personaggio tendono a essere ripetitive.
 
Prima di iniziare, premetto di aver imparato una lezione importante: mai iniziare una storia a capitoli con le vacanze alle porte. MAI. Perché il tempo e la voglia di scrivere rasentano lo zero.. e finisci che aggiorni in ritardo. Sigh ç_ç
 
Detto questo, spero che apprezzerete il mio lavoro.


 

6. I segreti di Labyrinthian


 
Il puzzo che proveniva dalla pelliccia dei troll le fece salire un conato di vomito. Se quella era l’accoglienza, quanto terribile poteva essere ciò che la aspettava più avanti?
Ejinara era rimasta molto sorpresa quando Mirabelle le aveva confessato che Savos conosceva già Labyrinthian. A quanto pare l’arcimago c’era stato in gioventù, ma non amava raccontare di quel che vi aveva trovato. La redguard si chiese, mentre percorreva i vasti spiazzi di pietra dell’antica cittadella, se lo stregone fosse a conoscenza della presenza del Bastone di Magnus in quel luogo e, se così era, perché non lo avesse detto subito. Era stata una fortuna che ne avesse riparlato con la sua fedele sovrintendente prima di morire: in questo modo Mirabelle aveva potuto dare alla Sangue di Drago la chiave per aprire le porte che Savos stesso aveva sbarrato.
Mentre le due donne si scambiavano queste informazioni, alcuni maghi erano accorsi a Winterhold. Phinis Gestor aveva raccontato di strane creature simili a spettri del ghiaccio, anomalie magiche create involontariamente da Ancano mentre cercava di controllare l’Occhio e che avevano attaccato gli abitanti della città. Altri colleghi, invece, erano rimasti per tenere d’occhio il thalmor. Mirabelle aveva spronato Ejinara a fare in fretta, perché non sapeva per quanto a lungo sarebbero riusciti a trattenerlo, e lei  non se lo era fatto ripetere. Conscia di starsi per avventurare in un posto ben più pericoloso di Mzulft, la redguard, aiutata da un’esitante Brelyna, aveva indossato la propria armatura, ignorando il braccio sinistro che, anche se libero dalle bende, ancora non funzionava egregiamente. Aveva raccontato alla dunmer come fosse morto J’zargo, e gli occhi cremisi della giovane si erano riempiti di lacrime, che però lei aveva scacciato in fretta.
-Abbi cura di te, Nara- erano state le parole con cui l’aveva salutata. E certo la Dovahkiin non aveva intenzione di morire.
Ejinara inserì il battente di metallo nell’ampio portone di ingresso di Labyrinthian, decorato di intarsi e bassorilievi che il freddo e le intemperie avevano ridotto a poco più di ghirigori confusi; stava per usarlo, quando quello si animò e bussò due volte.
La redguard si era quasi aspettata di ricevere la visione di uno Psijic che la rimproverava per non essere arrivata in tempo per fermare Ancano, ma in fin dei conti era meglio che quegli strani monaci non si facessero vedere per un po'. Il portone iniziò a dischiudersi con numerosi scricchiolii, alzando una nube di polvere che per qualche secondo impedì alla donna di vedere cosa c'era oltre. Quando ci riuscì, Nara si trovò davanti sei figure sottili e trasparenti, che emanavano una soffusa luce azzurra e tremolavano leggermente: indossavano tuniche da mago e guardavano davanti a loro, senza dar segno di essersi accorti della presenza della Sangue di Drago. Lei si stava ancora chiedendo se avesse dovuto combatterli quando uno di loro parlò, gelandole il sangue nelle vene
-Immaginate le loro facce quando ci vedranno tornare!- quella voce.. non poteva certo..
-Parli come se fossi sicuro che troveremo qualcosa di utile, qui-
-Scherzi? Armi incantate.. tomi pieni di antica conoscenza.. forse i segreti stessi di Shalidor!- continuò il primo, e Nara deglutì: era davvero lui. Era Savos Aren -chissà quali tesori ci aspettano-
-E se ci fosse qualcosa che protegge questo posto?- intervenne un'altra dei maghi, riconoscibile come argoniana per la voce raschiosa e la coda a scaglie che fuoriusciva dal bordo della tunica.
-Contro sei maestri dell'Accademia? Non penso ci sia da preoccuparsi-
-Andiamo, allora. Non perdiamo altro tempo- le figure si dissolsero nel nulla, lasciando la Sangue di Drago ancora a bocca aperta. Aveva davvero visto l'arcimago parlare? Forse se lo era immaginato, forse gli avvenimenti di quei giorni la avevano lasciata scossa.. o forse quella era una traccia lasciata da Savos stesso, un avvertimento per chi si recava nel luogo dove anche lui era stato con i suoi compagni. Forse quei fantasmi rappresentavano dei ricordi, e il fatto che la redguard non avesse riconosciuto nessuno di loro le faceva intuire che fosse successo qualcosa, in quel posto, qualcosa di terribile. Ma cosa?
L'unico modo per scoprirlo era proseguire. E non ci avrebbe messo tanto se oltre la porta che avevano imboccato gli spiriti non ci fosse stata un’ampissima caverna custodita da un drago. O meglio, da ciò che ne restava; l’enorme scheletro senza anima aveva conservato in qualche modo i suoi poteri, e il suo soffio gelido andò a creare grosse lastre di ghiaccio sui muri e sul pavimento, una delle quali fece anche perdere l’equilibrio alla Dovahkiin. A dar manforte alla bestia accorsero altri non morti, e Ejinara riuscì a cavarsela solo grazie a un piccolo colpo di genio; stava schivando il fendente di un cadavere tornato in vita quando dalla sua bisaccia cadde qualcosa. Era un foglio di pergamena, stropicciato e bruciacchiato, che lei riconobbe subito. Si lanciò a terra per prenderlo e lo srotolò in fretta, recitando le parole dalla calligrafia riccioluta che vi erano scritte. In breve si ritrovò circondata da un manto di fiamme che fece a pezzi tutti i nemici che in quel momento si trovavano troppo vicini a lei. Preparò un incantesimo di cura e uno di protezione e si inginocchiò proprio al centro della sala, chiudendo gli occhi e sperando che l’idea funzionasse. L’esplosione arrivò proprio un attimo prima che il drago scheletrico la raggiungesse, e fece tremare violentemente la grotta. Il fuoco si riversò sui non morti rimasti, e dal soffitto precipitarono numerose stalattiti, una delle quali si incastrò nelle costole scoperte del drago, inchiodandolo al suolo e impedendogli di fuggire mentre le fiamme lo distruggevano.
Nara si rialzò solo quando fu certa che tutto fosse finito. Questa volta le bruciature sui suoi vestiti erano minime e non aveva riportato ferite gravi. La redguard lanciò un’ultima occhiata alla pergamena prima che questa si sgretolasse tra le sue mani e ringraziò mentalmente J’zargo per avergli infilato di nascosto nella bisaccia una delle sue creazioni, quindi proseguì.
Questa volta i ricordi erano appostati intorno a un piedistallo.
-Siamo usciti vivi da lì per un pelo, e tu vuoi tornare indietro? Hai visto quella cosa?-
-Di che bestia si trattava poi?-
-Dèi, cosa abbiamo fatto..-
-Basta così. È troppo tardi per guardarci alle spalle. Dobbiamo andare avanti, possiamo ancora farcela!-
-Savos ha ragione. Dobbiamo solo fare attenzione- Ejinara non riusciva a capacitarsi come quel Savos ambizioso, audace, che non sembrava volersi fermare e spingeva i compagni a proseguire nonostante i pericoli che correvano, potesse essere lo stesso arcimago che aveva conosciuto, che non avrebbe mai rischiato la vita dei propri colleghi e anzi non aveva voluto che andasse a Mzulft quando aveva il braccio rotto. Il dunmer doveva aver subito un grosso cambiamento.
Quando gli spiriti scomparvero Nara notò che sul piedistallo c’era un tavola di pietra che recava un’incisione:
Gloria alla valorosa città di Bromjunaar
Queste mura si ergeranno per sempre
Possano i nemici ammirarne la maestosità
Possa ogni cosa tremare nel contemplarla.
Bromjunaar. La parola aveva il suono della lingua dei draghi, la donna poteva sentirselo rimbombare nella testa. Un brutto presentimento iniziò ad aleggiare su di lei, e si fece concreto poche stanze dopo, quando una voce bassa e rauca fece tremare il terreno
-Wo meyz wah dii vul junaar?- la Dovahkiin avvertì un profondo senso di stanchezza, come se quelle parole avessero attaccato direttamente i suoi muscoli e la sua mente. Tentò di andare avanti nonostante la testa che le scoppiava.
-Nivahriin muz fent siiv nid aaz het..- draconico, senza dubbio. Ma chi parlava? C’era forse un drago intrappolato nelle profondità di quel labirinto? O qualcosa di peggiore? La lingua dei dovah era potere puro; per questo Paarthurnax si rivolgeva a lei parlando come un mortale, per questo i Barbagrigia più esperti non osavano aprire bocca. Dover resistere a una forza così grande stava costando molto sforzo a Ejinara: i suoi passi si stavano facendo sempre più lenti e pesanti, l’eco di quelle brevi frasi rimbalzava da una parete all’altra senza darle pace.
Quando la redguard provò a lanciare un incantesimo a un non morto che la stava caricando fu colta da una nausea tremenda e non riuscì a far uscire dalla mano tesa altro che delle deboli scintille. Il colpo nemico la prese in pieno, fortunatamente assorbito dall’armatura, ma Nara cadde comunque a terra per l’impatto, e fece appena in tempo ad estrarre l’ascia per bloccare un secondo fendente, diretto alla sua testa scoperta. Raccolse le forze necessarie per spingersi verso l’alto e tirò un pugno in faccia alla creatura, stordendola il necessario per disarmarla e ucciderla.
Quand’era stata l’ultima volta che un non morto la aveva messa così in difficoltà? Doveva fare attenzione a quella Voce, o avrebbe raggiunto l’aldilà in modo davvero stupido.
 
Labyrinthian era davvero il nome più azzeccato per quel luogo: il numero di strade, cunicoli, sottopassaggi e scorciatoie che quell’antica città possedeva la rendevano un vero e proprio dedalo, pieno di trappole e tranelli, oltre che di nemici pronti a spuntare dall’ombra per aggredire chi osava disturbare il loro sonno. La terribile voce aveva iniziato a esprimersi usando la lingua dei mortali, che a Ejinara non provocò nessun effetto negativo. La prima volta che si era rivolto a lei la aveva scambiata per l’arcimago
-Aren, vecchio amico mio- aveva detto -sei tornato per finire ciò che non sei riuscito a fare in passato? Non puoi più fallire, sai..- la Sangue di Drago non aveva aperto bocca e aveva continuato ad avanzare. Era scesa, risalita e scesa di nuovo, aveva trovato e seguito un fiume sotterraneo e aveva assistito alle discussioni e i litigi degli spiriti dei giovani maghi. Mai una volta Savos Aren aveva accettato di tornare indietro, e mai si era scomposto di fronte alla morte di uno dei suoi compagni.
Dopo un tempo che le parse infinito la redguard arrivò di fronte a quello che una volta doveva essere stato un grande ingresso, ma ora non era altro che un cancello scardinato a metà e ricoperto di ruggine e muffa. La voce si presentò di nuovo mentre lo attraversava, e aveva un tono quasi stupito
-Tu.. tu non sei Aren, vero? Ha mandato te al suo posto?- la donna continuò caparbiamente a rimanere in silenzio e la Voce la imitò fino a quando non raggiunse quello che sembrava un cimitero; il terreno si era fatto umido sotto i suoi piedi, e qua e là erano piantati pali di pietra e rocce levigate come per sostituire delle lapidi. Tra questi fluttuava una creatura dalle forme femminili, che si girò a guardare curiosa Ejinara. Era una Fatua Madre: eterea e bellissima, con lunghe vesti che brillavano di luce bianca e occhi simili a due stelle del cielo. Non sembrava avere intenzioni nocive e la redguard aveva appena abbassato l’arma, quando i muri tremarono di nuovo
-Ti ha avvertito che il tuo potere sarebbe stata anche la tua rovina?- nel sentire la Voce la luminosa creatura si piegò su sé stessa e si portò le mani alle orecchie, con aria sofferente -ti ha avvertito che sono il padrone di questa città?- la Sangue di Drago fece appena in tempo a creare una barriera difensiva per non venire uccisa dagli artigli che ora ornavano le lunghe mani della Madre. Il bel viso era contratto da un’espressione di odio selvaggio, e dai palmi lucenti si scatenò una bufera di ghiaccio che distrusse la difesa della redguard. Lei mise via l’ascia dopo poco tempo, dato che la Madre era veloce e poteva volare per schivare i suoi colpi ravvicinati. La combatté con la magia e con gli Urli, e quando riuscì a distruggerla lei emise un urlo straziante, poi esplose in mille fiocchi di neve che vennero assorbiti dal terreno. Ancora col cuore che batteva a mille, Nara iniziò a correre, mentre la Voce rideva di scherno.
 
-Non possiamo fermarci adesso, dobbiamo proseguire-
-Aspettate, dov’è Elvali? Era qui dietro di me un attimo fa..-
-Morta. Qualcosa l’ha afferrata alle spalle. È andata prima che potessi fare qualcosa-
-No.. no! È colpa mia, devo tornare indietro, forse posso..-
-Tornare indietro vorrebbe dire la fine per tutti noi- di nuovo Savos Aren sembrava sordo al tono disperato nella voce dei suoi colleghi, ora rimasti solo due -abbiamo continuato a spingerci oltre, e lo faremo anche adesso! Andiamo!- Ejinara, seduta contro un muro, li guardò sparire, a disagio. Aveva fatto bene a venire da sola, qualunque suo accompagnatore avrebbe fatto da carne da macello in quel luogo e lei non voleva altre morti sulla coscienza. Si alzò a fatica, decidendo di aver riposato abbastanza e chiedendosi come aveva potuto Savos andare avanti mentre i suoi compagni morivano per la sua ambizione. Certo, anche lei aveva continuato la sua missione dopo la morte di J’zargo, ma doveva salvare l’Accademia. Lui, invece, quale scusa aveva?
Prendersela coi morti non è una cosa onorevole, si sa, ma in quel momento  la redguard ribolliva di sdegno e rabbia per come si era comportato il dunmer. L’Augure di Dunlain le aveva detto che la fame di conoscenza trasformava le persone, e infatti questo era successo allo stregone; se poi si era pentito o meno, questo Nara non poteva saperlo.
Come non poteva sapere che quella grata sotto di lei si sarebbe aperta!
La caduta la prese completamente alla sprovvista, e se non fosse stato per quel briciolo di istinto che ancora conservava, sarebbe morta miseramente. Riuscì infatti ad allungare la mano sinistra e aggrapparsi a un rampicante che saliva lungo le pareti interne di quel pozzo mortale, e che fortunatamente resse il suo peso e le impedì di schiantarsi sul pavimento sottostante. Lo strattone che il braccio ricevette fu doloroso e per un attimo le fece temere che potesse rompersi di nuovo; ossa e muscoli, però, resistettero, e la redguard iniziò una lenta e rischiosa risalita, stringendo i denti per lo sforzo e cercando appigli sicuri tra i mattoni umidi e le piante marce. Solo una volta perse la presa, sbilanciandosi, ma di nuovo riuscì miracolosamente a non cadere e dopo lunghi minuti uscì dalla trappola.
Si lasciò scivolare a terra e chiuse gli occhi, riprendendo fiato. Ancora una volta aveva abbassato la guardia. Troppo esausta per pensare di curarsi con un incantesimo, rovistò nella bisaccia finché non trovò una boccetta scura. Si trattava di un liquore che le avrebbe permesso di recuperare energie per un breve lasso di tempo ma che era restìa ad usare, poiché sapeva che quando l’effetto sarebbe svanito la spossatezza sarebbe tornata, superiore a quella iniziale. Tuttavia, non aveva altra scelta, dato che ogni secondo che passava i suoi colleghi in Accademia rischiavano la morte e lei non poteva sprecare tempo. Ejinara stappò quindi la fiala e la vuotò in un sorso: subito sentì un forte calore percorrerle il corpo e la stanchezza scivolò via.
Scattò in piedi e si guardò intorno, con le mani che formicolavano per l’impazienza, quindi superò il pozzo a grandi passi e imboccò la strada che aveva davanti, distruggendo con velocità gli strani nemici che incontrò lungo il cammino (erano simili a draurg, ma trasparenti come fantasmi; non aveva il tempo di osservarli per bene).
La Voce si fece risentire, ma lei non capì cosa avesse detto. Vide anche Savos, seguito da un solo mago, ma non si fermò ad ascoltare per quale motivo stessero di nuovo litigando e aprì la grande porta a due ante che avevano davanti.
Si ritrovò in un’ampissima caverna, più grande ancora di quella all’ingresso, che ospitava una di quelle strutture a torri che erano solite decorare le cime delle più importanti tombe nordiche di Skyrim. Davanti alla costruzione c’era un altare, e qui, circondato da una sfera protettiva, stava una figura scheletrica, avvolta in vesti sbrindellate e scolorite che una volta dovevano essere state sontuose. Il suo viso era coperto da una maschera di metallo che lo indicava come lich, un Antico Sacerdote dei Draghi. In mano stringeva un bastone.
-Vieni, affronta la tua fine..- la Voce apparteneva allora a quella creatura, che tuttavia non si mosse di un millimetro nel pronunciare quella minaccia. La Dovahkiin valutò velocemente la situazione: la sfera che proteggeva il lich aveva due fonti di energia, ovvero due maghi che, appollaiati sulle torri davanti all’altare, la mantenevano viva.
O almeno questo era quel che sembrava. Forse in realtà loro lo stavano tenendo prigioniero. Forse non dovevano morire. Il dubbio purtroppo raggiunse Nara solo dopo che il secondo stregone cadde morto, e a quel punto il Sacerdote alzò di scatto la testa e la attaccò.
Quando, più tardi, chiesero alla redguard come avesse fatto a sconfiggere un lich da sola, lei dovette inventare un’appassionante storia su come, a seguito di un intenso scambio di incantesimi, metà dell’altare fosse crollato addosso al Sacerdote, uccidendolo, e di come lei avesse poi scavato tra le macerie per recuperarne la potente maschera e prendere il Bastone di Magnus.
In verità, la donna non avrebbe saputo descrivere l’incontro perché il liquore che aveva ingerito le aveva annebbiato il cervello a tal punto che non ricordava quasi nulla.  Sapeva di aver preso dei brutti colpi, sapeva di averne inflitti altri, ma poco efficaci, e poi d’un tratto il Bastone di Magnus si trovava nelle sue mani invece che in quelle del lich. Come avesse fatto a strapparlo alla sua presa, Ejinara non lo ricordò mai. Ipotizzò che, siccome non era del tutto in sé stessa, fosse saltata addosso al Sacerdote per prenderlo, o forse era riuscita a disarmarlo con un incantesimo, oppure un Urlo lo aveva fatto tentennare e lei ne aveva approfittato.
In un modo o nell’altro, insomma, la donna aveva usato il Bastone per prosciugare la vita del lich, fino a che di lui non era rimasto che un mucchio di cenere fumante. Poi l’effetto del liquore era svanito, e lei aveva perso i sensi.
Aveva sognato che un gruppo di monaci Psijic, i cui volti erano invisibili, la aiutava a risollevarsi e la curava, aveva sentito voci sconosciute congratularsi e spronarla a proseguire, e infine si era risvegliata, davanti all’altare, abbracciata al Bastone. Si era accorta che la sua armatura aveva un grosso buco all’altezza dello stomaco e che le mancavano uno spallaccio e uno stivale. Si era costretta ad alzarsi nonostante il corpo stanco e la testa pulsante, aveva ignorato il sangue che le usciva da una ferita alla testa e si era diretta verso l’uscita. Aveva visto il fantasma di Savos Aren piangere, pentito, davanti al cadavere dell’unico amico rimastogli, e poi aveva incontrato uno stupido thalmor che aveva cercato di prenderle il Bastone e si era ritrovato con la testa aperta a metà.
E infine era tornata all’Accademia.
 
Avrebbe ricordato l’espressione di Ancano per tutta la vita: gli occhi gialli sgranati, il viso contratto in una smorfia di stupore e paura, le gambe che per un attimo avevano ceduto.
Mirabelle era morta. Arniel Gane era morto. Quando Ejinara era arrivata, aveva trovato i suoi compagni feriti e stremati, ma ancora imbattuti. Non avevano permesso al Thalmor di liberare il potere dell’Occhio; lo avevano tenuto imprigionato, distratto, con grande coraggio, ed erano riusciti a farlo abbastanza a lungo.
La redguard entrò nella Sala degli Elementi con una maschera di metallo sul viso, la corazza semidistrutta e sporca di sangue e terra e il Bastone di Magnus in mano. Avrebbe spaventato i morti, ma Ancano, da vero altmer, si riprese in fretta.
-Sei arrivata, finalmente! Ho dovuto aspettare fin troppo per avere quel bastone-
-Arrenditi, folle!- gli gridò Tolfdir, entrato con la sua allieva
-Arrendermi? Io?- l’elfo rise -il potere di rimodellare il mondo è nella mie mani, e voi pensate di poter fare qualcosa?- l’anziano mago gli lanciò contro una palla di fuoco, ma le fiamme scivolarono via dal corpo dell’altmer come gocce di pioggia sull’acciaio, facendolo ridere di nuovo -chi è ora il folle, vecchio?- a quel punto Ejinara alzò il bastone, puntandolo alla gola dell’altmer. Lui si zittì e la guardò cercando di mantenere un’aria di sfida. Tutti rimasero in silenzio per istanti che parvero interminabili, poi la Sangue di Drago si girò di scatto verso l’Occhio e lo colpì con il bastone. La sfera rispose in fretta; le piastre che la componevano si staccarono e separarono, mostrando il nucleo centrale dell’Occhio, un concentrato di magia e potere pronto a liberarsi. Ancano tentò subito di approfittarne, ma dal globo uscì un’anomalia magica, che iniziò ad attaccarlo, distraendolo il necessario per permettere a Nara di richiudere l’Occhio.
-Ora, maestro- il mago non se lo fece ripetere due volte e attaccò di nuovo il thalmor, che, non più immune agli incantesimi e ancora impegnato, si prese tutti i colpi dell’anziano.
Tolfdir descrisse sempre quel giorno come il più soddisfacente della sua vita.
 
 

Ed eccoci qua, mi scuso per il ritardo della pubblicazione e per la lunghezza del capitolo. Mi è dispiaciuto molto per Savos Aren quando ho scoperto tutto quello che aveva passato a Labyrinthian, ma forse proprio quell’esperienza lo ha reso una persona migliore, visto che poi è diventato arcimago. Ho sminuito lo scontro con Ancano perché personalmente mi è sempre sembrata poca cosa in confronto a quello contro Morokei, il Sacerdote del Drago. La storia del liquore era l’unico modo che ho trovato per non dover descrivere passo passo la battaglia (nella prima stesura del capitolo ci ho provato, ma veniva una cosa lunga e ripetitiva per cui.. zac, tagliata via).
A brevissimo pubblicherò l’epilogo, che sarà più corto degli altri capitoli perché beh, è un epilogo u.u
PS: Brom-jun-aar è un nome formato da tre parole: nord (inteso come punto cardinale), re e schiavo. Anche se Labyrinthian è un nome adatto per quel luogo, si tratta sempre di una sostituzione, e forse Bromjunaar rende più l'idea di che razza di posto fosse quello. Ma beh, sono curiosità e piccolezze senza importanza (^ ^*)

  
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