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Autore: Respirandoparole    03/08/2015    0 recensioni
Giovanna ha passato tre mesi nella cella umida e sporca della prigione della città perdendo se stessa... È diventata un fantasma, debole e fragile senza neanche la forza per parlare e ora in quella calda giornata d'agosto stà andando incontro al suo destino, riservato ai più infimi tra gli esseri, alle donne affiliate con il diavolo, alle streghe.
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Gocce d'acqua sporca cadevano ritmicamente dal soffitto della cella buia e umida e il suono del leggero impatto echeggiava rimbalzando tra le pareti mentre l'acqua che riempiva la piccola pozzanghera si increspava. Giovanna era seduta dall'altro lato della stanza, i capelli neri unti e sporchi le si erano incollati al viso scavato dalla fame e le braccia erano abbandonate scompostamente lungo i fianchi della giovane. Le gambe, snelle e lunghe erano ripiegate sotto il corpo esile ed erano nascoste dalla tunica di sacco che la rivestiva. Giovanna era come in coma: da tre mesi era in quella cella e da due aveva smesso di chiedere giustizia, aveva smesso di piangere, aveva smesso di sperare di essere liberata. Le uniche cose che faceva erano mangiare la scodella di pane bagnato che un giorno si e l'altro forse le passavano da sotto la feritoia e pensare al sole. Pensava al sole continuamente, pensava a come avrebbe desiderato avere di nuovo quel tepore sulla pelle, come le mancava quella luce che le invadeva gli occhi ogni giorno quando apriva la porta della sua bottega di sarta. Si era spento, quel sole, una giornata di maggio quando, insieme al sole e al profumo dei fiori primaverili erano entrati anche i commissari del Vaticano che avevano infilzato il suo gatto con una lancia e l'avevano dichiarata in arresto per il reato di stregoneria. L'avevano legata e condotta fuori con una benda sugli occhi mentre lei cercava invano di divincolarsi e urlava disperata di sapere perché, cos'aveva fatto di male. Lo scoprì solo dopo, quando, davanti allo sguardo sadico di Monsignor Girolamo era stata sottoposta alle torture. Nuda su una tavola di legno con i polsi e le caviglie legati stava piangente davanti agli inquisitori che le chiedevano maneggiando ferri arroventati in quale notte dell'anno il diavolo fosse andato a farle visita. Se non rispondeva come loro volevano il boia girava le manovelle a cui erano collegate le corde e il suo corpo veniva tirato come un elastico. Più d'una volta pensò che le si fosse rotto un legamento e in due casi non sbagliò affatto. Se ciò non bastava i ferri che gli inquisitori tenevano in mano le venivano appoggiati sulla pelle fino, a volte, a sfarla del tutto. Capì, dalle domande che le fecero, che il vecchio a cui due giorni prima aveva venduto una lozione curativa per il mal di denti era deceduto nella notte e che la causa della morte era stata attribuita alla pozione di erbe che lei aveva prodotto. La moglie aveva detto che già da tempo nutriva dei sospetti nei confronti di Giovanna e che quella lozione velenosa venduta come cura per il mal di denti ad un vecchio indifeso era la prova che lei era ormai da tempo figlia del diavolo. Aveva inoltre giurato di aver sentito il gatto nero della giovane parlare nella notte con una voce terrificante. E lei non poté niente contro la violenza del dolore disumano che la stava attraversando. Non volevano che si dichiarasse innocente e non avrebbero smesso di massacrarla finché non l'avessero uccisa o finché lei non avesse detto di essere affiliata con satana. E alla fine cedette, dopo un giorno di torture non riuscì più a sopportare e finì per confessare reati mai compiuti. La slegarono, la vestirono di un sacco e la trascinarono fino in quella cella dove ormai aveva perso se stessa. Prima di entrare era una ragazza solare, felice di vivere, bella e in età da marito. Parecchi uomini erano entrati nella sua bottega per corteggiarla facendole i compimenti per i suoi lunghi capelli neri o per la pelle di porcellana o per le labbra rosse e perfette. Di tutta la grazia che avvolgeva la sua figura erano sopravvissute solo poche tracce e ora quel che rimaneva di Giovanna era un corpo esile e debole raggomitolato su se stesso che forse, a volte, si sentiva sospirare. Ogni tanto la giovane girava la testa a guardare con orrore la piaga che la catena di ferro che aveva stretta intorno alla caviglia le aveva procurato per poi spostarlo subito nella vana speranza che se non l'avesse guardata questa sarebbe scomparsa. Quel giorno di fine agosto la guardia girò per la prima volta dopo mesi la pesante chiave nella serratura e le ordinò di alzarsi. Giovanna restò immobile senza neanche la forza per rispondere dando l'impressione di essere morta. Allora la guardia chiamò il collega e insieme la issarono da terra e, mentre una le toglieva le catene l'altra la prendeva in braccio con ben poca cura e la portava su per le scale. La luce del mezzogiorno le trafisse gli occhi e, per la prima volta nella sua vita il sole le procurò dolore e fu l'unico dolore che Giovanna fu felice di provare. Appena si abituò si scostò i capelli dal viso e guardò il cielo come in estasi, quasi bevendo l'azzurro che quella giornata le stava regalando. Intanto la guardia l'aveva issata su un carro e questo aveva cominciato a muoversi in direzione della piazza. Il centro della città era gremito di persone e il baccano era tale quanto se ne sentiva solo durante le manifestazioni pubbliche. Urla e imprecazioni e schiamazzi riempivano l'aria e Giovanna dal fondo del carro pensava di volerli zittire tutti, tutti: le loro grida rovinavano la perfezione di quella giornata d'agosto, così limpida e calda, così profumata. Il carro si fermò al centro della piazza e Giovanna fu nuovamente presa in braccio da una delle guardie che la lasciò in mezzo al palco che era stato costruito davanti alla chiesa. Intanto, mentre le urla intorno di erano fatte più forti, un boia l'aveva strattonata verso un palo fissato tra le assi del palco. E fu allora che Giovanna si risvegliò dal suo oblio, fu allora che sbarrò gli occhi e spalancò la bocca in un grido di terrore. 
-No! Non voglio morire, non voglio morire, non ho fatto niente, non ho fatto niente! Lasciatemi, no!
E mentre il debole corpo di Giovanna cercava di divincolarsi lei era già stata legata al palo e zittita con uno straccio che le era stato infilato in bocca. Di fronte a lei su un baldacchino rosso e oro stava Monsignor Girolamo che, con aria teatrale aveva srotolato una pergamena e, ottenuto il silenzio della folla, aveva esclamato:
-Giovanna della famiglia dei Fiorentini, accusata di stregoneria e omicidio oggi verrai purificata dai tuoi peccati che verranno puniti con la morte sul rogo!
La folla ruggiva indemoniata e da ogni dove si alzavano grida:
-Puttana!
-Strega!
-Figlia del demonio!
-Muori anti cristiana!
-Che tu possa marcire all'inferno!
-Lucifero sarà felice di riaverti al suo fianco!  
E mentre intorno infuriavano insulti sotto il palco una donna in lacrime aveva cominciato ad urlare:
-Giovanna, tesoro, Giovanna, Giovanna! 
La giovane girò la testa e, sputato lo straccio, rispose:
-Mamma, mamma..
Intanto il boia aveva appiccato fuoco alla paglia che stava ai piedi della ragazza e il fumo stava cominciando a riempirle i polmoni.
-Mamma, io non ho fatto niente, non sono una strega, lo giuro!
-Lo so tesoro, lo so...-
-Mamma, ho paura- Giovanna urlava isterica tra un colpo di tosse e l'altro, tra i singhiozzi. 
-Sta' tranquilla, tutto passerà in fretta.
Giovanna sorrise prima che le fiamme la avvolgessero e la sua immagine sparisse agli occhi della folla. 
E dal fianco della madre in lacrime, una vecchia grinzosa e molle aprì la bocca in un ghigno sdentato prima di gridare verso il rogo:
-Si, tesoro della mamma, sta tranquilla, brucerà solo un pochino.  

-Angolo dell'autrice-
Non chiedetemi da dove venga fuori tutta questa violenza perché non lo so, so solo che volevo scrivere qualcosa che terminasse con la frase "Brucerà solo un pochino" e questo è quello che é venuto fuori. Spero che vi piaccia, mi ci sono impegnata parecchio. Ah, i consigli e le critiche sono sempre ben accetti. 
Arrivederci gente.
   
 
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