Genere: Angst, introspettvo
Tipo di coppia: //
Personaggi: Mibuchi
Reo
Rating: Verde… ?
Giallo per la tematica?
Parole: 760+
Note: Credo possa catalogarsi come “tematica delicata”—comunque, stavolta non c’è nessuna ship.
Non ho mai
approfondito particolarmente il personaggio di Reo, ma appena lessi il prompt
non ho potuto figurarmi niente di diverso da questa
OS.
Scritta il: 24/06/2015
10# • Things you
said that made me feel like shit
Le dita pallide tremavano
sull’occhiello delle forbici splendenti, una ciocca di capelli neri già pronta ad essere giustiziata dalle due ghigliottine che non
aspettavano altro che chiudersi su di lei.
Non aveva neanche il
coraggio di guardarsi allo specchio, conscio dello spettacolo pietoso a cui contribuivano non solo quella patetica incertezza, ma
anche gli occhi arrossati e le guance rigate di lacrime. Come ci era arrivato a
quel punto, com’era possibile che quello che lo faceva sentire a suo agio era
ciò a cui gli altri si attaccavano per deriderlo,
mortificarlo e schernirlo?
Non era colpa sua se Madre
Natura gli aveva donato, fin da quando era piccolo, quei lineamenti eleganti e
raffinati. Le ciglia lunghe e lo sguardo gentile, i capelli che aveva sempre amato lasciar crescere un po’ più dei suoi
compagni maschietti, l’atteggiamento educato che tutte le mamme invidiavano e
avrebbero voluto vedere nei loro pargoli… quante volte aveva sentito dire
“Dovresti prendere esempio dal piccolo Reo, lui sì che sa come ci si comporta”?
Era un continuo di lodi e
di apprezzamenti, almeno nei primi anni della sua vita. Così tanto, così
spesso, che quei tratti caratteristici erano diventati il suo più grande motivo
di orgoglio.
Si piaceva, Reo, e sapeva
di piacere anche agli altri. Era un bambino intelligente, anche anni fa, e
sapeva perfettamente di essere, in un modo o nell’altro, diverso; sapeva
che mentre i suoi amici si interessavano a passatempi
sempre più rudi e rumorosi, lui preferiva la calma di attività che i suoi
coetanei appellavano come da femminucce. Eppure non ci vedeva niente di
male nell’avere interessi più simili a quelli delle ragazze, o anche, a volte,
essere scambiato per una di loro, così come testimoniavano le dichiarazioni che
gli capitava di ricevere da spasimanti ignari e un po’
confusi.
Quelle attività, quel modo
di fare e di presentarsi — era ciò che lo definiva, e continuava
ad andarne fiero.
Almeno finché l’opinione
degli altri non si fece ancora più invadente, e gli stereotipi che per la norma
avrebbe dovuto seguire non iniziarono a pressare su di
lui.
“Eh… ma come mai ti diverti
a fare l’ambiguo e a spacciarti per donna?”
Fino a che non gli furono
rivolte queste parole, mai aveva pensato a come gli altri, effettivamente, lo
vedessero. Si era sempre concentrato sull’essere se stesso, abituato a tutti i
giudizi positivi che avevano accompagnato ogni sua scelta, e non credeva che
qualcuno pensasse davvero che quella era una sorta di
finzione.
Non voleva ingannare
nessuno, non era sua intenzione “spacciarsi” per qualcosa di diverso da ciò che
era; gli avevano sempre detto che era un esempio da seguire, da quando era
diventato ambiguo?
Era come se improvvisamente
avesse aperto gli occhi, e la dolce favola in cui aveva vissuto fino a quel
momento si fosse disgregata come un castello di carte al fronte di un uragano.
Anche le persone che lo acclamavano e si complimentavano con lui, via via che
il tempo passava, avevano iniziato a cambiare la loro opinione, invalidando
tutto quello che avevano sempre apprezzato.
“Non potresti iniziare a
comportarti un po’ più come gli altri ragazzi della tua età?”
Certo che avrebbe potuto,
ma questo non significava che avrebbe voluto! Nessuno
si può sentire a suo agio recitando una parte quasi totalmente opposta a quella
in cui ci si sente più in pace con se stessi, perché mai per lui sarebbe dovuto
essere diverso?
Eppure non faceva niente di
offensivo. Non si reputava una persona fastidiosa, molesta, o in qualsiasi altro modo problematica… o forse lo era, e non se ne era mai
reso conto? Cose del genere iniziarono a farlo dubitare di ogni sua azione
passata e presente; neppure il maturare del suo aspetto in quello di un giovane
adulto bastò a scollarsi di dosso quelle affermazioni.
Anzi, se è possibile,
diventarono ancora più ignoranti e crudeli.
“Senti… stammi lontano.”
“Io te lo devo dire, averti
intorno mi mette a disagio.”
“Sei inquietante, non farti
più vedere.”
Tutte gocce che lente e
inesorabili finirono per far traboccare il vaso.
Non aveva mai smesso di
apprezzare ciò che era. Lui amava il suo aspetto curato e il suo atteggiamento
un po’ altezzoso a volte, certo, ma sempre signorile. Ma
quando il suo essere era così insopportabile per il prossimo, allora, cosa
avrebbe dovuto fare?
Quanto
ancora avrebbe potuto sopportare quelle parole di
astio, quelle occhiate schifate, quel continuo isolamento in cui era costretto
a rimanere relegato?
Sbatté le palpebre, una
lacrima che scivolò silenziosa sulla ceramica del lavandino.
E, con essa, il primo della
pioggia di ciuffi corvini che la seguirono subito dopo.