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Autore: high_function221B    04/08/2015    0 recensioni
Riflettè un attimo: fra 7 secondi esatti, il treno le avrebbe tolto il respiro per qualche minuto, privandola di una parte di sé, come faceva ogni volta.
Quei binari significavano tutto per lei: due linee unite da qualcosa ma che mai riuscivano a incontrarsi, come innamorati che non riuscivano ad amare. Calpestati dal mondo, che li superava ignaro di ciò che provocava, che li calpestava e li uccideva ogni secondo di più. In trappola.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Conoscevo una ragazza, il suo nome era Aurora.
Un tempo, Aurora era felice, un tempo era solita avere tante passioni, ma era bastato un autunno, foglie dorate, cremisi e malinconiche accompagnate dal vento nel loro ultimo viaggio, era bastata la gelida brezza e il profumo dell'inverno, quel turbinio di colori caldi ma terribilmente tristi a spazzare via tutto.
Aveva perso tutto.
Eccetto la sua ultima passione, l'unica che ancora la legasse tramite un filo invisibile a quel mondo che per lei non era altro che un inferno.
Era una strana passione, la sua. In realtà non sapeva bene quando fosse nata, fin da piccola aveva amato quella cacofonia che le permetteva di estraniarsi dal mondo, quel mondo grigio e oscuro che non avrebbe mai associato alla parola "casa". Ormai solo quella ferrovia lignea a strapiombo su un fiume che impetuoso scorreva sotto al ponte, solo quei binari vicini, ma che mai riuscivano a sfiorarsi, riusciva a provocarle un brivido sulla schiena. A farla sentire qualcuno. Viva.
Il bosco, in lontananza, tanto incantevole quanto impenetrabile, sembrava attirarla verso quel luogo.
Le nuvole, che si stendevano alte nel cielo ceruleo, parevano simili a dei dolci ricoperti di panna montata, dei quali non si sapeva né il gusto né l'odore.
Così immobili, così immateriali.
Come morte.
La fresca brezza primaverile le solleticava la pelle chiara, scompigliandole i capelli e cingendola in un dolce abbraccio, come può fare una madre con il proprio bambino. E quel ronzio sommesso, accompagnato da un dolce dondolio, emesso dal ponte quando il treno le toglieva il fiato, sfiorandole il corpo a pochi metri di distanza, quello le faceva ricordare che dopotutto significava ancora qualcosa per quel mondo che tanto odiava.
Poi il fruscio lasciato dall'ultimo vagone interrompeva quella sensazione e lei tornava a non esistere. Come sempre.
Da tempo la aveva perso la voglia di resistere e anche la capacità di farlo. Non si controllava più, era la sua mente che lo faceva, che decideva per lei. Il suo più grande desiderio era poter controllare sé stessa, ma ogni volta che tornava in quel luogo, con il suo profumo di aghi di pino, il fruscio del vento fra le foglie, il flemmatico scorrere dell'acqua, per quanti sforzi avesse fatto a casa per convincersi che sì, lei aveva in pugno la sua stessa vita, ecco che tutto perdeva consistenza, e come sabbia questa le scivolava via dalle mani.
Era uno di quei luoghi senza tempo, di quelli che ti cambiano dentro. E quei treni le rammentavano costantemente la realtà dei fatti: lei non aveva il controllo di nulla.
Aurora si trovava sul ciglio di quel ponte sospeso sul nulla, ad ascoltare se stessa e le sensazioni che le trasmetteva quel luogo, quando esso prese ad ondeggiare pericolosamente, come soleva fare ogni qualvolta un treno vi passasse.
Riflettè un attimo: fra 7 secondi esatti, il treno le avrebbe tolto il respiro per qualche minuto, privandola di una parte di sé, come faceva ogni volta. Quei binari significavano tutto per lei: due linee unite da qualcosa ma che mai riuscivano a incontrarsi, come innamorati che non riuscivano ad amare. Calpestati dal mondo, che li superava ignaro di ciò che provocava, che li calpestava e li uccideva ogni secondo di più. In trappola.
E Aurora se ne stava lì, sospirando sommessamente ad ogni secondo che passava.
È così che si ci si sente quando la vita ti cattura: immobili, come bicchieri di cristallo sull'orlo di un tavolo troppo alto. Rotti ma integri.
Il treno passò, e una sensazione di appartenenza le trapassò il cuore. Rimase senza fiato.
Tutto quello sferragliare le ricordava la confusione che ogni giorno doveva sopportare. Detestava quella sua vita, caotica e priva di spessore, monotona, si sentiva anche lei come uno di quei binari: calpestata della ruote delle esperienze, dalle altre persone, dal mondo che la circondava.
Qualcosa di maledettamente inutile, privo di senso o significato, senza un posto nel mondo.

Settimane prima era stata trascinata a forza da quella che si era identificata come "qualcuno che ti può aiutare" un 'odiosa persona che non aveva fatto altro che farla parlare di cose inutili tipo
"quanti animali hai?"
"quanti siete in famiglia?"
e le aveva fatto riempire fogli e fogli con domande, di qualsiasi tipo.
"Ti ritieni non esattamente bella e sovrappeso?"
O sì, Aurora era grassa, o perlomeno si sentiva così, ma i fatti dimostravano l'esatto contrario.
Aurora era pericolosamente sottopeso e non se ne rendeva conto.
Certo, si sentiva svenire, la notte non dormiva perché le facevano male le ossa, aveva un pensiero fisso, soffocante, e il bisogno di sentirsi leggera, libera, ma la verità era tutt'altra, Aurora si sentiva potente, poteva controllarsi e decidere finalmente su qualcosa!
La diagnosi era stata relativamente semplice: anoressia nervosa con forte depressione. Ma erano solo balle, lei non era malata, i medici non sapevano nulla, erano solo bugiardi, lei stava bene!
Aurora amava continuare a mentirsi al punto da convincersi delle cose. Ormai aveva imparato a interpretare numerosi ruoli, era certa che da grande sarebbe potuta diventare un'attrice.
Era stata la parola "ricovero" pronunciata proprio quella stessa mattina a farle crollare ogni singolo castello, a farle trovare la forza per arrivare alla ferrovia. "solo qualche chilo" lei non ci sarebbe caduta,diceva poco tempo prima...
Una vertigine la colse all' improvviso e si sentì per la prima volta davvero persa.
Il treno era appena scomparso aldilà degli alberi e lei si trovava lì, sola, sul ciglio di un dirupo.
Cosa avrebbe dovuto fare?
Se n'era andata, ora non poteva tornare.
Sarebbe bastato un attimo, un secondo, quello stesso attimo in cui il treno passava.
Ci sarebbe voluto un attimo e avrebbe potuto essere finalmente libera. Libera da quella gabbia che lei stessa si era costruita attorno a sé, libera dai giudizi della gente e da quelle dita puntate verso di lei, libera da quel mondo che ormai le andava stretto.
Spesso associava la morte a immagini dei più catastrofici incidenti e i conseguenti funerali. Ma in fondo la morte non era altro che una liberazione, quello che cercava da troppo tempo, in vano. Non ne poteva più.
Una folata di vento la colse all'improvviso, facendola rabbrividire. Si era ancora una volta persa nei suoi pensieri, dimenticandosi di tutto il resto.
E se anche la morte fosse stata così? Un sereno abbandonarsi in un oceano nero? Quando si muore tutti si rendono conto di quanto quella persona fosse importante, che esisteva, sorrideva, piangeva, viveva. Parlano, conservano oggetti di sua appartenenza, ricordano e qualcuno è talmente dispiaciuto da arrivare a piangere.
L'aveva sempre trovato assurdo, ma dopotutto si comprende l'importanza di qualcosa solamente perdendola.
I suoi digiuni, i suoi chili in meno, quel vomito indotto non erano atteggiamenti volti alla morte, né cercava attenzioni, al contrario detestava coloro che le facevano notare quanto stesse perdendo peso, quanto avesse perso il controllo. Lei aveva il controllo di tutto, credeva, e certamente non le serviva qualcuno che badasse a lei. Nessuno. Ma inconsapevolemente richiamava sempre più l'attenzione dei pochi che ancora la circondavano, curiosi. Solo sulla base del suo nome, si poteva immaginare una persona solare, sorridente e disponibile, lucente come il sole e in fondo Aurora era stata davvero una ragazza solare e allegra, pronta ad aiutare chiunque ne avesse bisogno e con dei veri amici che la circondavano, sorreggendola sempre. Era stata quella ragazza buona, dolce, educata, felice. Poi un giorno fra tanti qualcosa era improvvisamente cambiato in lei: così da un piatto di pasta aveva iniziato a dimezzare: metà... un quarto... giusto due penne e infine il digiuno. E così come le dosi anche il suo carattere mutava, peggiorando , rendendola sempre più schiva, chiusa, nervosa, acida e isterica, con manie di perfezionismo.
Il flusso di pensiero terminò, lasciandola senza fiato, ancora scossa da quelle immagini raccapriccianti e il passaggio del treno. Con quest'ultimo pensiero ghermì con forza il bordo del ponte, ormai decisa a cercare una nuova libertà.
Quella nuova libertà.
Forse, finalmente, qualcuno l'avrebbe amata, qualcuno avrebbe pensato a lei con nostalgia.
Forse, finalmente, si sarebbe sentita a casa, per sempre persa in quel luogo.
L'unico sentimento che le riempiva il cuore era un barlume di speranza: la speranza di qualcosa di nuovo, qualcosa di stabile e forse la felicità. Sospirò e davanti alle sue labbra si formò una nuvoletta eterea di vapore acqueo. Un brivido le accarezzò la schiena, ancora.
Non aveva affatto paura, dopotutto, cosa aveva da perdere? Ormai non le rimaneva nulla.
Si alzò in piedi, in procinto di buttarsi, quando avvertì una stretta familiare sul polso pieno di braccialetti, una mano che si protendeva verso di lei, impedendole di cadere.
Piuttosto interdetta si volse verso quella persona che l'aveva appena fermata da quel folle gesto e si ritrovò il viso di Andrea a pochi centimetri dal suo, attraversato da una smorfia di triste consapevolezza.
Oltre a lei, era l'unica a conoscenza di quel luogo, che le aveva mostrato molti anni addietro, quasi per gioco, quando anche lei ne aveva scoperto l'esistenza.
Non si aspettava che se ne ricordasse. Andrea... già una dei pochi che da quando quella gabbia l'aveva rinchiusa, privandola della sua stessa libertà, avesse deliberatamente deciso di cercare la chiave per liberarla, una dei pochi che da quando quel demone era entrato nella sua vita le fosse rimasta vicina continuando a stringerle la mano, senza mai giudicarla, colei che anche quando era sparita era stata capace di strarle accanto senza troppa insistenza, colei che dopotutto significava ancora minimamente qualcosa.
Non si scambiarono parole, le loro labbra non emisero un suono, a quello bastavano i loro sguardi. Sembravano urlare, cercando di farsi sentire, cercando di dire tutto ciò che non si poteva pronunciare. Paura, ora sì, ce n'era tanta. In fondo, non aveva perso esattamente tutto. Si fissarono a lungo, occhi negli occhi, in quella muta discussione.
Perché l'aveva fermata? Lei voleva morire. Non ne poteva più di quel mondo e la sua presenza non avrebbe cambiato nulla.
Gli occhi di entrambe si riempirono di lacrime, che Aurora nascose voltandosi dall'altra parte. In quegli occhi Andrea ci aveva letto un solo grande desiderio, la morte.
Era sempre stata l'unica a capire Aurora, ma ora, ora non poteva assecondarla... o sì? In fondo, forse, era davvero la cosa più giusta...
Le lasciò andare il polso, mentre le lacrime rigavano il suo viso, sempre più numerose. Aurora lanciò un ultimo lungo sguardo ad Andrea, lo sguardo vuoto di chi è già morto dentro da troppo tempo.
Oh, Andrea... un tempo l'aveva amata e per lei significava ancora molto ma al contempo si rendeva conto che era troppo poco per rimanere, che non sarebbe mai riuscita a sopravvivere un giorno in più, con l'inferno che infuriava fuori e dentro di lei.
Si lasciò andare. Ma ancora una volta si sentì stringere forte da dietro. Era ancora lei. Non l'avrebbe lasciata andare. Non stavolta.
Un altro treno passò dietro di loro, provocando una folata d'aria e un inquietante cigolio. Involontariamente avevano entrambe trattenuto il respiro: si trovavano al capolinea.
<< Ti prego, non farlo. Ti salverò, te lo prometto >> aveva intrecciato le sue dite con quelle di Aurora, più piccole e magre, voltandola verso di sé e guardandola negli occhi. << Ti prego... vieni con me >> le aveva preso la mano, stringendola con sicurezza, e aveva iniziato a tornare sui suoi passi. Insieme.
Aurora aveva paura, ancora tanta, troppa paura. Ma Andrea, la aveva salvata, ancora una volta.
Si avviarono verso casa, ancora entrambe tremanti e traumatizzate, lo aveva fatto, ci aveva provato davvero.
Il cuore di Aurora batteva all'impazzata, come un uccellino che vuole liberarsi da una gabbia, minacciando di uscire da quello spazio ristretto.
Era confusa e colpita da come tutta quella situazione le stesse sfuggendo di mano, di come in così poco tempo tutto fosse cambiato.
Fra le pareti della sua mente echeggiavano parole che aveva sentito tempo prima, probabilmente da qualche film o libro, impresse nella memoria come un tatuaggio indelebile.
“Forse la vita è un insieme di giorni x: quello in cui tua madre smette di darti il bacio della buonanotte, quello dove perdi le chiavi di casa, quello in cui muore qualcuno al quale dovevi dire tante cose... E quello in cui smetti di mangiare. Noi non ci accorgiamo di questi momenti, eppure ogni volta perdiamo qualcosa.”
O sì, Aurora aveva perso tanto, aveva perso tutto, perfino sé stessa. Smarrita al tal punto che la sua vita era d'un tratto diventata in bianco e nero, vissuto da quella ragazza di cui era rimasto solo il guscio, che credeva di conoscere ma che non sarebbe mai voluta diventare.
Era successo così, di colpo, era cambiata.
Non ricordava con precisione quel giorno, la prima volta che aveva iniziato a restringere le porzioni, a controllare quei numeri su quel display troppo di frequente, a cambiare carattere, ma era sicura che quella giornata non se la sarebbe dimenticata.
Aveva rischiato di perdere tutto, eppure aveva ritrovato un barlume di speranza. “All'inferno e ritorno”
Sperava che un giorno avrebbe potuto mettere nero su bianco la sua storia, lanciando un messaggio di speranza e liberandosi per sempre di quel demone.
Quello stesso lunedì sarebbe stata ricoverata e malgrado il timore iniziava ad avvertire che qualcosa stava cambiando dentro di lei.
Ci sarebbe stato sicuramente da lottare, sarebbe stato un percorso lungo e accidentato, avrebbe dovuto iniziare a chiamare per nome la sua malattia, individuarla e ammetterne l'esistenza, a riconoscerla e a remarle contro, ci sarebbero stati alti e bassi, come sempre, ma iniziava a credere di potercela fare.
A questo pensiero un'ultima lacrima rigò il suo volto, segnato dalle cicatrici invisibili che la vita le avevano procurato.
Ma, in fondo, sorrideva.




Piccolo antro dell'autrice:
Ciao a tutti!
Finalmemte ho riscoperto l'esistenza di EFP e presa un po' dalla nostalgia ho riniziato a postare( si lo so è depressa e triste)
Spero che la storia vi sia piaciuta, fate un applauso anche  a Lyset che oltre a fare da Beta mi ha pure aiutato a scriverla.
Miraccomando fatemi sapere se vi è piaciuta o se devo iniziare a nascondermi per il tiro dei pomodori.
Presto ne arriva una su Mika DECISAMENTE più allegra. 
Un bacione :)
  
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