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Autore: Calliope49    04/08/2015    2 recensioni
[Seguito di “By any other name”]
La regina di Inghilterra sta per giungere a Parigi da suo fratello, re Luigi. Un sicario straniero viene mandato a ucciderla, un agente al soldo del duca di Buckingham viene mandato per salvarla.
Nel mezzo, i moschettieri, Diane alle prese con il suo nuovo incarico e, ancora una volta, il confine tra “buoni” e “cattivi” che non è così preciso come si vorrebbe…
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Milady De Winter, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'On the side of the angels '
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Bentrovati!
E seguito di “By any other name” fu!
Sì, lo so, potevo rintanarmi nel mio antro e lasciare in pace i moschettieri, ma non c’è stato verso.
La storia è già a buon punto sul mio pc e spero come sempre che chi leggerà si divertirà anche solo un decimo di quanto mi sto divertendo io a scriverla.
Ci leggiamo come di consueto con un capitolo ogni sabato, a partire da questa settimana.
A chiunque voglia farmi compagnia, buona lettura :)
C.
 
____
 
 
Prologo
 
La sera era avvolta nella foschia che saliva lenta dalle acque del fiume.
Dal bastione più alto della Torre di Londra, il duca di Buckingham osservava il buio che assediava la città.
«Le donne belle sono tutte sciocche» disse. Un lampo di frustrazione alterò la sua maschera di perfetta cortesia.
Una donna - bella e per nulla sciocca - uscì dalla striscia d’ombra  di un pilastro, una visione avvolta in un ricco abito di raso scuro.
«Gli uomini invece non hanno bisogno dell’avvenenza per essere sciocchi» replicò.
«Oh, il mio commento ha turbato la vostra suscettibilità?»
«Dio non voglia arriviate mai a scoprire cosa turba la mia suscettibilità».
Il duca sorrise, di un sorriso che non arrivò mai ai suoi freddi occhi azzurri.
«Eravate così pungente anche col vostro vecchio padrone? Non mi stupisce che sia finita male» asserì, voltandosi per poter guardare la sua interlocutrice.
La donna sostenne lo sguardo. Aveva occhi da gatta, del colore verde intenso degli aghi di pino. Versò del liquore da un’elegante caraffa d’argento, riempì un bicchiere per il duca e uno per sé.
«Cosa vi turba, stasera?» domandò. «Non certo la mia impertinenza».
Buckingham rigirò tra le mani il bicchiere. 
«La nostra meravigliosa regina [*] ha deciso di lasciare Londra per andare a Parigi a far visita a quello smidollato di suo fratello. Ho tentato di farla desistere, ma ho evidentemente sottovalutato la caparbietà dei francesi».
La donna sorrise. «Potrei raccontare storie sulla caparbietà dei francesi».
«Potrebbero annegare tutti nella Manica, per quel che mi concerne» sospirò il duca. Bevve il liquore in un solo sorso. «Ma l’equilibrio in Europa è fragile e Inghilterra e Francia hanno bisogno l’una dell’altra».
«Non mi state dicendo tutto». La donna si sedette sul piano della scrivania, gettando all’indietro la testa. Trovava divertente vedere quella scintilla di desiderio accendersi nello sguardo gelido del duca, le rammentava la misura del suo potere sugli uomini.
«Se vi dovessi dire ogni cosa, significherebbe che non state facendo bene il vostro lavoro» disse lui.
La donna annuì con sussiego. «Se la regina inglese morisse, re Carlo sposerebbe l’infanta di Spagna, come era nei piani prima che Richelieu orchestrasse l’unione con la Francia. Così la Spagna avrebbe ben due sue figlie sui maggiori troni d’Europa, qui in Inghilterra e in Francia. Temete che possano approfittare della visita a Parigi per uccidere Enrichetta Maria, non è così?».
Buckingham fece una carezza pigra tra le spalle della donna, sfiorandole il girocollo di seta e indugiando con la punta delle dita sul bordo di pizzo della scollatura.
«È molto peggio di così» ammise, prima di sfiorarle le labbra con le proprie. «Non temo che possano attentare alla vita della regina: so per certo che vogliono farlo. Mi sono giunte voci di un sicario molto esperto assoldato appositamente per questo compito»
«E come pensate di fermarlo?»
«Immagino che sarete in grado di escogitare qualcosa. Precederete sua maestà a Parigi e mi porterete la testa di quel sicario».
La donna ebbe un sussulto, si sottrasse alle carezze dell’uomo con un scatto e gli diede le spalle per non lasciargli scorgere il moto di panico che le aveva alterato i lineamenti.
«Non andrò a Parigi» disse. «Sapete che non posso tornare in Francia, a Parigi meno che mai».
«I moschettieri, già. O un moschettiere in particolare, non ricordo e non mi importa» rispose il duca senza alterarsi. «È il vostro lavoro e voi lo porterete a termine per me»
«Non posso proteggere la regina se sono impegnata a nascondermi dai miei nemici!»
«Suvvia, siete molto più in gamba di così» concluse il ministro. Allungò una mano per afferrare il fianco della donna, ma lei fu lesta a sottrarsi.
Buckingham sbuffò con indolenza e la lasciò andare senza più curarsi di lei o della sua espressione oltraggiata - spaventata, forse.
«Naturalmente» esclamò prima che la donna uscisse, «se la regina non dovesse rientrare sana e salva, sarà mia premura rispedirvi dal cardinale, o dai moschettieri - vi lascerei scegliere, in onore dei nostri trascorsi più piacevoli. Ma questo lo sapete, vero, Milady?». 
 
***
 
Lo stridore delle lame era l’unico suono nella quiete del bosco.
Le spade luccicavano sotto i raggi di sole che filtravano dalla cupola di foglie e rami, bagliori rapidissimi come lampi.
Diane parò un colpo montante, ma per tenere a distanza di sicurezza l’avversario fu costretta a piegarsi sulle ginocchia. La polvere alzata dalle suole degli stivali le annebbiò la vista per un attimo, il cuore le martellava nelle tempie.
Doveva guadagnare spazio, doveva evitare di finire spalle al muro. 
Spinse con forza e poi scivolò di lato, velocissima, evitando un altro fendente. Ancora una volta era la rapidità a salvarle la pelle.
Erano passate appena due settimane da quando aveva deciso di rimanere a Parigi e da quando la regina Anna le aveva affidato l’incarico di essere i suoi occhi e le sue orecchie fuori dalla reggia, la sua lente per conoscere il mondo oltre le sbarre della gabbia dorata del Louvre.
La parola “spia” faceva ancora uscire di senno il capitano Treville.
Diane inspirò l’odore dolciastro dei tigli e fece appello a tutta la sua concentrazione. Una stilla di sudore le solcò la guancia come una lacrima.
La lama del pugnale da duello guizzò troppo vicino alla sua spalla sinistra. Diane scattò all’indietro e fissò l’avversario con disappunto.
«Non rovinarmi la giubba. È un regalo di Constance, ci tengo».
Era una giubba di cuoio rosso con applicazioni di velluto, sul petto a sinistra era ricamato un fleur de lis in fili d’oro. Il rosso era decisamente il suo colore: madame Bonacieux aveva occhio per quel genere di cose.
«I tuoi avversari faranno molto di più che rovinarti la giubba» disse Athos in tono piatto, poi attaccò. La lama fischiò a mezz’aria e colpì il ciuffo cadente di un salice, foglie lunghe e scure volarono via portate dal vento.
La ragazza indietreggiò, certa che non sarebbe riuscita a parare un altro colpo.
Athos combatteva con l’eleganza di un felino, preciso come se la sua lama dovesse ricamare l’aria. Lei si batteva con la foga di un soldato nella mischia di una rissa. Athos prestava attenzione a ogni dettaglio, lei vedeva solo la lama avversaria di fronte a sé.
Il moschettiere sembrava perfettamente calmo ma Diane notò che aveva accelerato il respiro, le labbra strette per la concentrazione. Senza sapere come, la giovane si trovò con le spalle contro il tronco di un albero, in trappola, come aveva temuto.
Lui fece saltare il pugnale sul palmo della mano e lei credette che lo avrebbe conficcato nella manica della giubba per darle una lezione, invece si limitò a spingere la lama nel tronco a pochi centimetri dalla sua guancia.
«Ti odio» borbottò la ragazza, lasciando cadere la spada.
Athos inarcò un sopracciglio con noncuranza.
«Fa’ pure. Mi preme solo che impari a difenderti in maniera appropriata».
La ragazza sorrise a denti stretti. «Il tuo romanticismo lascia molto a desiderare».
Lo sfarfallio di una risata le rimase imprigionato nella gola quando lui le cinse la vita con un braccio e la baciò.
Nell’amore di Athos c’era tutta la disperazione del naufrago che cerca di ritornare a galla. Si era lasciato sommergere da un dolore che lei non conosceva, ma non si era arreso.
Diane si ritrovò senza fiato, stretta a lui.
«Così va meglio» gli disse piano.
L’uomo la strinse più forte per un istante, prima di recuperare la spada da terra.
«Sei molto migliorata, ad ogni modo» ammise, restituendole l’arma.
Diane spalancò gli occhi, Athos era avaro di complimenti quando si trattava del suo addestramento.
«Sto solo recuperando» considerò. «Quando sono tornata a Parigi era una vita che non toccavo una spada, ma ho passato quasi cinque anni ad allenarmi con una certa costanza»
«Non si può certo dire che sia stato tempo sprecato».
La ragazza sorrise. Non aveva più pensato a Sebastiano, al soldato disertore nascosto nel monastero dove era cresciuta, il fantasma di ogni suo rammarico che l’aveva perseguitata con una voce che ora Diane faceva fatica a rammentare. Era in pace, non c’era posto per le ombre nel suo cuore speranzoso e innamorato - e quindi un po’ egoista.   
Un campanile lontano suonò le dieci, i rintocchi cupi fecero volare via uno stormo di uccelli che corse a ripararsi tra le ombre morbide del bosco.
«Devo tornare». La ragazza rinfoderò la spada. «La regina mi aspetta».
Per ora, tutto quello che aveva fatto per sua maestà era esserle amica e tenerle compagnia, ma non aspettava che un’occasione per dimostrare che era degna della fiducia che era stata riposta in lei, per convincere suo zio e i moschettieri che era qualcosa di più di una ragazza incosciente.
Athos annuì, si cacciò in testa il cappello che aveva appeso a un ramo e andò a recuperare il cavallo che brucava pigramente l’erba all’ombra di una quercia.
L’animale sbuffò quando il moschettiere lo sottrasse al suo spuntino e lo seguì reticente, strusciando gli zoccoli contro il terreno. Diane gli accarezzò il muso ottenendo un nitrito condiscendente.
Riusciva ad avere a che fare con i cavalli senza provare l’istinto di scappare: erano cambiate molte cose dal giorno del suo ritorno dall’Italia. 
Athos montò in sella e le tese un braccio per aiutarla a salire. Diane si sistemò all’amazzone, in un incastro perfetto tra l’arcione e il petto del moschettiere.
Quello del ritorno dal bosco era il suo momento preferito della giornata, un momento loro e loro soltanto, l’unico che avessero a disposizione, il primo sottile pilastro di un’intimità che sembrava ancora difficile da costruire.
In una notte di tempesta si erano lasciati andare a una passione troppo cieca e troppo acerba, quando c’erano ancora segreti a tenerli lontani. Ora che ogni distanza era stata annullata, le corazze e le maschere cadute un frammento alla volta, quell’amore inatteso aveva bisogno di crescere e respirare, per riempire una ad una tutte le crepe di due cuori feriti. 
A Diane non importava altro ora che era appoggiata con il capo sulla spalla di Athos e le sue labbra di tanto in tanto le sfioravano una tempia in un bacio distratto.
La strada del ritorno era sempre così dannatamente breve.
Il moschettiere si fermò davanti alla casa di Treville, in mezzo al viavai rumoroso di rue du Vieux-Colombier [**].
Diane smontò, scivolando a terra con un balzo agile. Trattenne l’uomo stringendogli il polso.
«Athos,» gli sussurrò, «grazie».
Lui la guardò da sotto le falde del cappello. «Non devi ringraziarmi. Mai» le disse, prima di rimettersi in marcia verso la guarnigione.
 
 
 
 
[*] Si sta parlando, naturalmente, di Enrichetta Maria di Borbone, la più piccola delle sorelle di Luigi XIII andata in sposa a Carlo I di Inghilterra.
[**] Nel romanzo, è la via dove si trova la casa di Treville. Lo so che nella serie vivono tutti alla guarnigione come i puffi, ma io ho in testa questa cosa delle case a causa del libro e me la sono trascinata dietro.
  
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