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Autore: PuccaChan_Traduce    04/08/2015    3 recensioni
Bilbo Baggins torna a casa profondamente addolorato dopo la Battaglia delle Cinque Armate. Tutta la Terra di Mezzo ha saputo che Thorin Scudodiquercia e i suoi due nipoti sono caduti in battaglia. Sembra che a Bilbo non resti altro da fare che vivere un’esistenza tranquilla, seppur solitaria; una notte però il Fato, sotto forma di una giovane Elfa incinta, bussa alla sua porta...
Bilbo Baggins, a quanto pare, non è destinato ad avere una vita tranquilla.
Disclaimer: questa fanfiction è una TRADUZIONE che viene effettuata con il permesso del legittimo autore; tutti i personaggi citati appartengono ai rispettivi autori.
QUESTA STORIA È INCOMPIUTA!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bilbo, Kili, Tauriel, Un po' tutti
Note: Movieverse, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

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(note della traduttrice) Perdonate il ritardo nell'aggiornamento, ma con il caldo di questi giorni tutto avevo voglia di fare tranne che mettermi al computer >< comunque non mi sono dimenticata di questa storia, non vi preoccupate! Tra l'altro mi manca poco per finire tutti i capitoli finora disponibili - l'autrice la sta ancora scrivendo, anche se con lentezza - quindi il rallentamento è un bene, così non ci ritroveremo a bocca asciutta troppo a lungo. ^^

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Prima che fuggissero dal palazzo, Tauriel aveva trovato un momento per prendere da parte Rhemyrn e dirle: “Dovresti lasciare Bosco Atro con noi. Se Re Thranduil scopre che ci hai aiutati a fuggire, temo per ciò che potrebbe farti nella sua ira.”
“Il peggio che potrebbe fare è esiliarmi. E nel caso...” La giovane guardia si strinse nelle spalle. “Ho sempre voluto viaggiare. Mi recherei a est e cercherei di trovare il popolo di mio padre. A meno che il Re non decida di imprigionarmi, naturalmente.”
Tauriel scosse il capo ma sapeva che, quando Rhemyrn prendeva una decisione, era impossibile farle cambiare idea. “Se il Re dovesse imprigionarti, tornerò e ti libererò io stessa.”
Rhemyrn rise forte, attirandosi occhiate circospette dai Nani radunati lì vicino. “E non dubito che avresti successo. Fà buon viaggio, Capitano.”
Tauriel sapeva che le avrebbe risposto in quel modo e perciò, senza disturbarsi a puntualizzare che non era più Capitano, la salutò dicendo: “Possano le stelle guidare i tuoi passi.”
“Se la caverà?” chiese Bilbo mentre osservavano Rhemyrn correre via per occuparsi dei dettagli finali.
“Io credo di sì. Ci penserà la Regina Meriliel.” Aveva parlato per rassicurare lo Hobbit, ma il solo accenno alla Regina tranquillizzò la stessa Tauriel. Con il suo ritorno, di certo adesso sarebbe andato tutto bene nel Reame Boscoso.
Bilbo pareva scettico. “Saprà davvero tenere Re Thranduil in riga?”
Mellon, se tu conoscessi la Regina Meriliel non mi faresti questa domanda.”
“Ma perchè lo ha lasciato?”
Tauriel ricordava bene il freddo e amaro confronto che Thranduil e Meriliel avevano avuto circa il rifiuto del Re di soccorrere le vittime dell’attacco di Smaug. All’epoca lei sapeva già che la loro unione non era più solida come un tempo, ma non aveva potuto fare nulla eccetto restare in disparte per non costituire un altro elemento di dissenso tra il Re e la Regina. Alla fine, però, questo non aveva fatto la differenza: Tauriel si era allontanata da Meriliel inutilmente ed era questa considerazione, forse, a farle male più di tutto.
Thranduil non era stato sempre il tiranno che la Compagnia aveva conosciuto. Era vero che non era mai stato particolarmente buono o gentile, ma era comunque stato un Re saggio e molto amato, almeno finchè il male non aveva messo radici nel cuore del Reame Boscoso. Tauriel era troppo giovane per ricordare Boscoverde il Grande, ma persino Bosco Atro non era sempre stato tanto corrotto. A volte aveva l’impressione che la foresta si fosse oscurata, così come il cuore del Re.
Ma non sapeva come spiegare tutto ciò a qualcuno che non era stato presente durante quegli eventi, perciò rispose con un semplice: “Non saprei dirlo.”
Capì che Bilbo non le credeva, ma egli fu tanto gentile da non insistere oltre.
Rhemyrn aveva fatto in modo che cibo e rifornimenti fossero lasciati per loro presso alcune postazioni di guardia, dislocate lungo il percorso tra il Palazzo e Dale. Alla fine del primo giorno di viaggio si fermarono per un pò presso la prima di queste postazioni, che erano camuffate tra i rami più alti degli alberi.
“Presto dovremo accamparci,” disse Elladan.
Tauriel aveva già considerato la questione, segnandosi il punto in cui si trovavano nella propria mappa mentale della foresta. “Concordo. C’è un villaggio abbandonato, non lontano da qui, che dovrebbe essere facilmente difendibile come accampamento.”
Bilbo parve allarmarsi. “C’è proprio bisogno di preoccuparci di una difesa contro le forze di Re Thranduil? Credevo che lo scopo di convincere la Regina Meriliel a tornare fosse proprio quello di evitare che il Re mandasse le sue guardie a cercarci.”
“È così, e sono certa che se il nostro statagemma non avesse avuto successo ci avrebbero già ripresi,” disse Tauriel, facendo andare il proprio cavallo al passo. “Ma non sono le forze di Re Thranduil il pericolo maggiore in questa foresta. O hai già dimenticato i ragni giganti?”
“Orride creature.” Lanciando un’occhiataccia agli alberi, Bilbo posò una mano sull’elsa della corta spada elfica che portava appesa al fianco. “Se ci attaccano di nuovo, Pungolo qui sarà pronta a riceverli.”
Il villaggio era proprio dove Tauriel ricordava, un agglomerato di piccole case di pietra in forma circolare posto tra le radici di grandi alberi. La maggior parte delle case era ancora in buone condizioni, anche se parecchi dei tetti in ardesia avevano ceduto.
Si sistemarono in quella più grande, che Tauriel ritenne essere stata l’abitazione della Madre del Clan quando il villaggio era ancora abitato. Una volta stabilito che l’alloggiamento centrale per il fuoco era in buone condizioni, si diedero da fare ad accenderne uno; più tardi, riscaldati dalle fiamme e al riparo dai pericoli della foresta, la casa abbandonata apparve sorprendentemente confortevole.
“Questo villaggio non sarebbe fuori posto nella Contea,” disse Bilbo. “Non è proprio come me l’aspettavo!”
“E come ti aspettavi che fosse?” chiese Tauriel.
“Beh, supponevo che voi Elfi viveste sugli alberi.”
“Gli accampamenti arborei sono solo temporanei, non sono difendibili abbastanza a lungo. Una dozzina di ragni giganti ne distruggerebbe uno nel giro di pochi minuti.”
“La tua gente... vive costantemente in guerra, vero?” domandò Bilbo con un’espressione che Tauriel non riuscì a decifrare.
“Questa è un pò un’esagerazione, mellon. Bosco Atro è un posto pericoloso: abbiamo semplicemente imparato ad adattarci ad esso.”
“E cos’è successo alle persone che vivevano in questo villaggio? Sono state...?” Lo Hobbit, turbato, non completò la frase.
“No, credo si siano unite a qualche clan a nord del palazzo.” Tauriel non sapeva bene perchè evitasse di divulgare quell’informazione. Di certo gli abitanti del villaggio si erano uniti ad un clan più grande per avere maggiore protezione contro i ragni e gli Orchi. Forse, ora che la corruzione della foresta sembrava diminuita, avrebbero potuto far ritorno nelle loro case.
“E io che pensavo fossero stati rapiti dai ragni giganti... sciocco da parte mia, suppongo.” Con una risatina, Bilbo si scusò e raggiunse Bofur per una buona fumata.
Tauriel si era accorta che Dìs si era seduta nei suoi pressi, ma fino a quel momento la madre di Kìli aveva evitato di rivolgerle la parola se non per le necessità basiche del viaggio; perciò fu con grande sorpresa che la sentì commentare: “Sembrava che sapessi bene di cosa parlavi, a proposito della difesa contro i ragni giganti.”
Era la prima volta che Dìs iniziava una conversazione con lei in tutte quelle settimane di viaggio, e Tauriel fu attenta a mantenere una facciata neutrale malgrado il proprio stupore. “Sono stata Capitano della Guardia di Bosco Atro per oltre cento anni. Se non sapessi prevedere le tattiche dei nostri più grandi nemici, sarei un Capitano molto scarso.”
“Vero, vero.” Dìs distolse lo sguardo come se non fosse più interessata a quel discorso; Tauriel però sapeva che fingeva. “Oltre cento anni, hai detto. Posso chiederti quanti anni hai, allora?”
“Ho appena passato i seicento anni. Non sono una bambina tra la mia gente, ma sono comunque considerata molto giovane.”
“È impressionante che tu abbia raggiunto una posizione tanto prestigiosa ad una così giovane età.”
“Grazie,” rispose Tauriel, rilassandosi poichè la conversazione sembrava dirottare dagli argomenti più spinosi.
“Giovane, dici... eppure sei più anziana di mio figlio di oltre cinquecento anni, e ancora oltre gli sopravvivrai una volta che egli sarà tornato alla pietra da cui è venuto.”
Il pensiero causò a Tauriel un dolore fisico, come se una mano di ghiaccio le serrasse il cuore. Prese un respiro profondo e rispose: “In questo ti sbagli. Quando Kìli passerà da questo mondo, io non gli sopravvivrò a lungo.”
“No?” Dìs le rivolse una lunga occhiata valutativa. “Gli Elfi, a meno che non stia sbagliando di grosso, sono immortali.”
Tauriel sostenne il suo sguardo. “Il tempo non reca pericoli di sorta per me, ma non ho mai pensato di vivere per sempre. Sono un soldato, Lady Dìs: mi aspetto di perire un giorno sul campo di battaglia. Se Kìli dovesse morire prima di me, saprò che quel giorno giungerà presto. Il più presto possibile.”
La dura espressione della Nana parve addolcirsi un poco. “Non serve che mi chiami con il mio titolo. In fondo adesso siamo parenti: chiamami Dìs.”
L’Elfa annuì, sentendosi cautamente compiaciuta. “Dìs, allora. E tu, per favore, chiamami Tauriel.”
“Dunque, Tauriel... hai già pensato ad un nome per mio nipote?”
Tauriel sgranò gli occhi. “No...?”
Dìs emise un suono disapprovatorio. “Mettiamo in chiaro una cosa: un figlio della stirpe di Durin non avrà uno di quei nomi elfici eccessivamente lunghi e complicati. L’erede al trono di Erebor avrà un solido e appropriato nome nanico.”
Fissando la suocera con costernazione, Tauriel desiderò una volta di più che Kìli fosse lì con lei.

~
 
Bosco Atro non era esattamente il posto meno preferito di Bilbo al mondo (quel dubbio onore spettava alle grotte sotto le Montagne Nebbiose), ma ci andava molto vicino.
Alla notte trascorsa al villaggio abbandonato seguirono parecchi altri giorni di viaggio, ma non trovarono più un posto così confortevole in cui accamparsi. Se non altro, almeno questa volta non si erano irrimediabilmente persi nè soffrivano di strane allucinazioni.
Bilbo ne parlò con Tauriel, che lo interrogò a fondo su cosa fosse accaduto esattamente alla Compagnia prima che si imbattessero nella pattuglia guidata da lei e Legolas.
“Per caso, prima che iniziassero le allucinazioni, avete raccolto alcuni rami caduti e li avete usati per accendere il fuoco?” domandò l’Elfa.
“Sì, per quello che è valso. Il fuoco emanava più fumo puzzolente che luce o calore.”
Lei annuì, soddisfatta della sua risposta. “Questo spiega tutto. Ritengo che vi siate imbattuti nelle spore di certi funghi che crescono sulla corteccia di alcuni alberi di questa foresta. Possono causare allucinazioni e comportamento irrazionale in coloro che vi sono esposti.”
Bilbo si sentì un pò sciocco, ma ammise: “Credevamo si trattasse di magia elfica.”
Tauriel incurvò le labbra in un piccolo sorriso. “Non esattamente. Bosco Atro ha un proprio sistema di autodifesa, in un certo senso. Ti ho detto che la residenza della Regina Meriliel a nord è circondata da mura di rose?”
“Rose? Splendidi fiori, ma non vedo come possano costituire un sistema di difesa.”
“E se ti dicessi che le mura sono alte più di nove metri e ricoperte di spine lunghe quasi mezzo metro e affilate come pugnali?”
Bilbo sbuffò, esasperato e vagamente divertito al tempo stesso. “Trasformare qualcosa di innocuo come le rose in un’arma micidiale... tipico di Bosco Atro.”
“E non ti ho ancora detto che le spine si muovono a loro piacimento e sono in grado di infilzare qualunque orco o ragno gigante osi scalare le mura.”
Bilbo la fissò a bocca aperta. “Non mi prendi in giro, vero?”
Tauriel scosse il capo. “Ti assicuro di no.”
“Sul serio! Bosco Atro,” concluse lo Hobbit scuotendo la testa.
Tauriel rise. Il suono della sua risata non somigliava a rintocchi di campane, come Bilbo aveva udito tante volte descrivere l’allegria degli Elfi: c’era una nota predominante di selvatico in essa, come il suono del verso di un falco trasportato dal vento. Bilbo vide che tutti e tre i Nani si giravano a guardarla; bene, pensò. Era un bene che vedessero che non tutti gli Elfi erano come Re Thranduil o come Lord Elrond.
Beorn aveva avuto ragione, in un certo senso, quando aveva detto che gli Elfi Silvani erano meno saggi e più pericolosi dei loro parenti di Gran Burrone; la differenza principale, secondo Bilbo, era che gli Elfi Silvani erano più simili ai mortali di qualunque altro Elfo egli avesse mai incontrato. Thranduil ed Elrond erano al di fuori del tempo, quasi come statue perfette ed immutabili; ma Tauriel, lei... era cambiamento.
Non c’è da stupirsi che Re Thranduil abbia cercato di imprigionarla, riflettè Bilbo. Se c’era una cosa che il Re degli Elfi temeva, era il cambiamento.
I suoi timori, comunque, non si materializzarono e nessuno li inseguì. Prima che trascorressero troppi altri giorni, stavano doppiando il margine settentrionale del Lago Lungo e si avvicinavano alla periferia di Dale. Si accamparono presto quella sera, tenendosi al di fuori dalla vista di eventuali pattuglie di Erebor o Dale, e si radunarono in una sorta di consiglio di guerra.
“Dobbiamo scoprire come vanno le cose a Erebor prima di entrare,” esordì Dìs. “Andrò a Dale da sola. Nessuno dei Colli Ferrosi saprebbe riconoscermi, a parte mio cugino.”
“Di certo non andrai da sola,” obiettò Bilbo. “È troppo pericoloso.”
“Mio fratello ed io possiamo entrare in città,” disse Elladan. “Nessuno collegherà i figli di Lord Elrond ad un complotto per liberare Thorin Scudodiquercia e i suoi nipoti.”
Nori ghignò. “Questo sarà pure vero, ma voi due spicchereste come diamanti nella ghiaia. Nessuno parlerebbe con un paio di signori elfici. E lo stesso vale per te,” egli aggiunse, puntando un dito verso Tauriel prima ancora che lei aprisse bocca. “Direi anzi che non dovresti entrare affatto a Dale, considerato che il bambino che aspetti è il legittimo erede al trono di Erebor e che sei una fuggiasca di Bosco Atro.”
“Quando si tratta di dove dovresti o non dovresti andare, Nori è un vero esperto,” intervenne Bofur. “Io lo ascolterei se fossi in te.”
Con gran sorpresa di Bilbo, Tauriel cedette senza protestare. “Hai ragione, mastro Nori. Anche se mi pesa enormemente non poter essere d’aiuto, non posso contestare le tue affermazioni.”
“Finalmente qualcuno si decide ad ascoltare il ladro,” disse Nori con grande soddisfazione.
“Posso intrufolarmi io in città. No, statemi a sentire,” disse Bilbo mentre gli altri iniziavano a protestare. “Vi assicuro che posso entrare e uscire da Dale senza che nessuno mi veda.”
“Magia Hobbit,” esclamò Bofur. “Bilbo, è geniale!”
Bilbo aprì la bocca e subito la richiuse, non sapendo come spiegare la faccenda senza tirare in ballo nessuna ‘magia Hobbit’ nè tantomeno il suo anello. Una parte di lui si ribellava ferocemente alla sola idea di mostrarlo agli altri. A quanto pareva, la migliore tra le due opzioni era proprio lasciare che i suoi amici continuassero a credere che gli Hobbit avessero poteri magici.
“Ssssì,” rispose dopo una pausa durata forse un pò troppo. “Entrerò a Dale usando la mia... magia Hobbit.”
“Allora siamo d’accordo: Bilbo, Nori ed io andremo in città,” riassunse brevemente Dìs. “Partiremo prima dell’alba, così ci sarà meno gente per le strade.”
Ci fu qualche altra discussione sui come e sui perchè, ma in realtà il piano era molto semplice: Bilbo, Nori e Dìs si sarebbero introdotti a Dale e avrebbero raccolto quante più informazioni possibili sulla città, possibilmente senza attirare l’attenzione di nessuno. Bilbo approvava il tutto: nella sua esperienza, erano sempre i piani più complicati che alla fine ti portavano a penzolare sull’orlo di un burrone – qualche volta letteralmente.
Terminate le discussioni e una volta che il gruppo si fu disperso, Bilbo andò in cerca di Tauriel. La trovò seduta contro il tronco di un albero, appena fuori del cerchio di luce dato dal falò. Sembrava profondamente assorta nei suoi pensieri, così lo Hobbit rimase ancora qualche istante in silenzio prima di parlare. “Sembri di cattivo umore, mellon.”
Un muscolo guizzò sulla mandibola dell’Elfa e sulle prime Bilbo pensò che non gli avrebbe risposto. “Credevo... credevo che avvicinandomi a Erebor avrei ricominciato a vedere lo spirito di Kìli. Sono trascorsi mesi, Bilbo – mesi – senza che abbia più avuto segno alcuno del mio amato. C’è una connessione tra le nostre anime, e di certo l’avrei saputo se fosse... I–io ho fiducia nel fatto che viva ancora, ma perchè non riesco a sentirlo?” Gli occhi di lei erano colmi di angoscia.
“Oh, mia cara ragazza.” Bilbo pose una mano sulla sua più grande e strinse delicatamente le dita. “Sono sicuro che sta bene. Non dico di aver capito perfettamente come funziona questa connessione tra anime, ma forse è un bene che Kìli non sia più in grado di andarsene in giro sotto forma di spirito. Voglio dire, questa non può essere una cosa buona per il corpo, no?”
Tauriel aggrottò la fronte. “Già, suppongo di no. Prego affinchè tu abbia ragione.” Dopo una lunga pausa, si girò a guardarlo e stavolta sul suo viso era dipinta un’espressione colpevole. “Perdonami, Bilbo. So che anche tu sei molto preoccupato per la sorte di Thorin Scudodiquercia, ed io me ne sto qui a chiederti di rassicurarmi ancora una volta.”
“Sciocchezze, mia cara. Sai che sono sempre disposto ad offrirti una spalla su cui piangere.”
“Ma sai come si dice? Gli alberi che si appoggiano l’uno all’altro hanno più probabilità di resistere contro i venti del nord... ah, perdonami, non credo che questa sia la traduzione esatta.” E Tauriel scosse il capo, frustrata. “Ciò di cui parla questo detto è che i veri amici si sostengono a vicenda. Sarei davvero una pessima amica se condividessi solo le mie paure con te senza ascoltare mai le tue. Mellon nin, so che sei in ansia per Thorin Scudodiquercia: permettimi di essere la tua spalla, per una volta.”
Borbottando tra sè, Bilbo si accese la pipa con meticolosa e studiata lentezza, sperando che lei si arrendesse; ma Tauriel continuava ad osservarlo in silenzio e con occhi pazienti.
Alla fine egli ammise: “Beh, sì. Certo che sono in ansia. Come potrei non esserlo, quando le ultime voci su Thorin lo davano morto per le ferite e in tutti i mesi successivi alla battaglia non vi è stato segno alcuno di lui? Se davvero Dàin Piediferro ha usurpato il trono di Erebor terrà i ragazzi come ostaggi, ma è improbabile che sia stato tanto sciocco da non uccidere il Re legittimo avendone avuta l’occasione...”
Gli tornò in mente l’ultima volta che aveva visto Thorin. Sembrava così in pace in quegli ultimi momenti, perfettamente immobile sul ghiaccio; si sarebbe quasi potuto credere che stesse dormendo, non fosse stato per il sangue e la sporcizia che gli imbrattavano l’armatura e il viso.
“Mi dispiace, Bilbo.” Stavolta fu Tauriel a poggiare una mano sulla sua e a stringerla; era straordinario come un gesto così semplice potesse arrecare tanto conforto. “Prego il Cacciatore e la sua Signora affinchè li ritroviamo tutti e tre sani e salvi.”
Bilbo trasse un respiro profondo e si schiarì la gola. “Sì, beh... lo scopriremo presto, in un modo o nell’altro.”

~
 
Fin da quando, in tenera età, aveva scoperto che suo padre discendeva nientepopodimeno che da Lord Girion in persona, Bain sognava come fosse essere un Principe di Dale. Si perdeva continuamente nelle sue fantasticherie, anche mentre era intento a rammendare una rete da pesca, sognando di poter mangiare tutto il cibo che voleva quando lo voleva e di non dover mai più eviscerare un pesce – e se c’era una cosa che Bain odiava era proprio eviscerare i pesci.
Ma non aveva mai immaginato il gran numero di noiosi e inutili incontri riguardanti il governo di una città. Suo padre voleva che vi assistesse perchè fosse pronto a diventare Re dopo di lui, e perciò Bain era costretto a partecipare a riunioni interminabili con Elfi impassibili e Nani esagitati. Perlomeno i Nani erano divertenti, anche se a volte non riusciva a capire cosa dicessero; gli Elfi invece erano solo noiosi, per nulla eccitanti nè eroici come il Principe Legolas o il Capitano Tauriel. Ma c’era una cosa persino peggiore di quelle riunioni, ed erano le lezioni di storia che Pà insisteva che prendesse.
Quella mattina, incapace di sopportare il pensiero di assistere all’ennesima lezione sulla storia antica di Gondor, Bain si era alzato prima dell’alba ed era sgattaiolato via dal maniero prima che chiunque altro, a parte i servi, si svegliasse. Pà gli avrebbe riservato una sonora lavata di capo più tardi, ma mentre s’incamminava per le vie del paese masticando un involtino di salsiccia comprato presso il banchetto di un mercante, Bain pensò che ne sarebbe valsa la pena. Perchè poi solo Sigrid poteva saltare le lezioni? Non era giusto.
Non che Bain fosse ansioso di ritrovarsi chiuso in una stanza tutto il giorno, ma almeno avrebbero potuto chiederglielo. Magari avrebbe potuto aiutare il Principe Legolas e il Principe Fìli per qualcosa – anche se non aveva idea in che cosa consistesse questo ‘qualcosa’, ma era certo che fosse eccitante e avventuroso, con un sacco di fughe sul filo del rasoio. Oh sì, lui sapeva tutto dei Nani e dell’Elfo che stavano nei vecchi alloggi della servitù. Con Sigrid avevano parlato di tutto... beh, quasi tutto. E quindi Bain era stato adeguatamente informato sull’intera saga dei visitatori nascosti nei vecchi alloggi della servitù – anche se avrebbe volentieri fatto a meno di tutte quelle informazioni su uno dei principi Nani in particolare...
E così, mentre ripensava agli avvenimenti dello scorso novembre, Bain osservava pigramente la piazza del mercato illuminata dalla tenue luce della pre-alba (e già affollata malgrado l’ora) quando vide una figura dall’aspetto familiare sparire dietro un angolo lì vicino. Era più bassa e aveva il passo più leggero rispetto a un Nano: poteva essere un bambino o persino un piccolo Elfo, ma il ragazzo era certo che non era nessuna di queste cose.
Si ficcò in bocca il resto dell’involtino e si affrettò verso l’altro lato della piazza per raggiungere la figura, ora completamente scomparsa nel dedalo di stradine, scalinate e vicoli che costituivano la parte vecchia di Dale.
Girato l’angolo e scorta di nuovo la persona che svoltava in un altro vicolo, Bain si mise a correre; proprio mentre raggiungeva il vicolo, però, qualcuno lo prese per un braccio, glielo torse e lo sbattè di malagrazia contro il muro di un edificio.
Il giovane gridò di dolore e si fece istintivamente indietro, il che si rivelò un errore perchè il braccio gli si torse ancora di più; capita l’antifona Bain si arrese e si afflosciò al suolo, sperando che il suo assalitore si accontentasse di prendergli il portamonete e lo lasciasse andare.
“Se non ci dici subito chi ti ha mandato ti infilzo da parte a parte, che te ne pare?” ringhiò la persona, puntandogli qualcosa di affilato all’altezza dei reni. Oh merda, pensò Bain – un coltello, è sicuramente un coltello!
“Non mi manda nessuno! Ho solo pensato di aver visto qualcuno che conosco e stavo cercando di raggiungerlo...”
“Non sei bravo a mentire.” Il coltello lo pungolò più forte e Bain si lasciò sfuggire un imbarazzante gridolino, certo di stare per morire.
In quel momento una voce familiare sbottò: “Oh, per tutti i fulmini! Questo è Bain, il figlio di Bard. Lascialo andare, Nori. Tsk, Nani!” aggiunse in un borbottio irritato.
Il braccio di Bain venne finalmente rilasciato e il suo aggressore indietreggiò. Massaggiandosi il gomito dolorante, il ragazzo si volse e si ritrovò faccia a faccia con lo Hobbit, Bilbo, un Nano dai capelli rossicci e l’aria vagamente familiare e una donna Nana che non riconobbe.
“Buongiorno, Bain. E scusa per la mancanza di educazione di Nori,” lo salutò Bilbo.
“Mastro Bilbo!” rispose Bain, sinceramente contento. Non aveva trascorso molto tempo con lo Hobbit, ma lo ricordava come uno dei membri più amichevoli della pittoresca compagnia che suo padre aveva fatto entrare a Pontelagolungo grazie a dei barili. “Mi chiedevo se ti saresti fatto rivedere.”
Bilbo parve confuso. “Mi stavi aspettando?”
“Non proprio, ma visto che il Principe Legolas è qui ho pensato che avrei rivisto anche voialtri. Anche se devo dire che mi aspettavo di vedere prima il Capitano Tauriel.”
“Il Principe Legolas... il figlio di Re Thranduil è qui?”
“Ma certo. È venuto a Dale dopo la battaglia e ci sta aiutando nella ricostruzione.”
“Il Principe Legolas potrebbe essere molto utile come contatto,” disse Bilbo ai Nani stringendosi nelle spalle. “Dopotutto è più o meno il fratello acquisito di Tauriel.”
La donna Nana scosse il capo. “Non c’è nessunissima ragione di coinvolgere un altro Elfo in questa faccenda.”
“Potrebbe avere altre informazioni su Erebor da quando Nori e Bofur se ne sono andati,” puntualizzò Bilbo.
Il Nano dalla curiosa capigliatura rossiccia fece roteare con noncuranza un piccolo coltello. “Datemi un paio d’ore e vi saprò dire persino cos’ha mangiato  Dàin a colazione.”
“Ma potreste chiederlo a Ori. O anche ai Principi, suppongo, anche se Sigrid dice che quello con i capelli scuri non è proprio in forma al momento.”
Tutti e tre si girarono a guardarlo; Bain deglutì e cercò di raddrizzarsi. Poi scoppiò un vero pandemonio e tutti cominciarono a sommergerlo di domande senza dargli il tempo di rispondere. Bain indietreggiò fino a trovarsi con la schiena contro il muro.
“Bain,” disse allora Bilbo in un tono di voce deliberatamente calmo, “stai dicendo che Fìli e Kìli si trovano a Dale? In questo momento?”
“Beh... sì. Mia sorella Sigrid è con loro. Perchè, non lo sapevate?”
Bain non riusciva proprio a capire perchè tutti e tre lo fissassero come se gli fosse spuntata una seconda testa.

~
 
L’attesa per il ritorno di Dìs, Bilbo e Nori da Dale sembrava infinita.
Inizialmente Tauriel non fece altro che andare avanti e indietro per l’accampamento, ma dopo un pò si accorse che cominciava ad infastidire persino il sempre gioviale Bofur. Andò quindi a sedersi a una certa distanza dal gruppo e provò ad eseguire alcuni degli esercizi di meditazione che aveva appreso durante l’addestramento nella Guardia: poco dopo riuscì ad entrare in una leggera trance, ma era troppo nervosa e preoccupata perchè durasse a lungo.
Aprì gli occhi e sospirò, irritata con sè stessa. Anche una recluta avrebbe saputo fare di meglio. Come fosse stato d’accordo con lei, sentì il lieve agitarsi del bambino nel proprio grembo. Andrà tutto bene, pensò cercando di rassicurare sè stessa oltre che il suo piccolo fiore. Troveremo presto il tuo papà.
“Tauriel,” disse in quel momento Elrohir raggiungendola e chinando rispettosamente il capo. “Posso esserti d’aiuto? Non ho potuto fare a meno di notare che stavi avendo qualche difficoltà con la tua meditazione.”
Nonostante i timori di Bilbo, fino a quel momento Tauriel non aveva avuto alcun problema con la gravidanza. Tutto ciò che Elrohir aveva dovuto fare era stato esaminarla di quando in quando per accertarsi che tutto procedesse normalmente – o perlomeno il più normalmente possibile, trattandosi di una gravidanza metà elfica e metà nanica. Malgrado questo, i due Elfi si erano avvicinati sempre più durante il viaggio al punto che secondo Tauriel erano quasi sul punto di stringere una vera amicizia.
Tauriel annuì e si spostò per consentirgli di sedersi davanti a lei, con le gambe ripiegate sotto il corpo. La voce tenorile di Elrohir era come un balsamo lenitivo per il suo spirito: riuscì a condurla attraverso una profonda analisi interiore e poi in una luminosa trance meditativa.
“Ti ringrazio,” gli disse quando ebbero terminato, aprendo gli occhi e sentendosi rilassata e molto alleggerita dalla tensione che l’aveva afflitta.
“È stato un piacere. Il bambino è sempre in salute,” aggiunse lui prima che lei lo chiedesse. “Credo anzi che avresti potuto tranquillamente fare a meno della mia assistenza durante questo viaggio. Non che mi sia dispiaciuto accompagnarti, naturalmente.”
“Sì, ma sono certa che in molti sentono la tua mancanza a Gran Burrone. Tuo padre sicuramente... e forse anche Lindir,” aggiunse lei con voce affettuosamente scherzosa.
Elrohir chinò il capo, mantenendo una facciata composta ma senza riuscire a nascondere il sorriso nello sguardo. “Potresti aver ragione. Anche se mio padre dice sempre che l’assenza può aiutare un cuore incerto a trovare la sua strada.”
“E chi siamo noi per controbattere alla saggezza di Lord Elrond?”
I loro sguardi si incontrarono ed entrambi sorrisero. Tauriel sperò che la lunga separazione aiutasse davvero Lindir a fare chiarezza su qualunque riserva potesse avere riguardo Elrohir.
Gli occhi di Tauriel vagarono da quelli dell’altro Elfo e soppresse un sospiro al vedere il suo gemello che svaniva nel bosco con il proprio arco. “Come sta tuo fratello?” gli chiese di punto in bianco; non aveva la pazienza necessaria per rispettare l’etichetta in casi come quello.
Elrohir si strinse elegantemente nelle spalle. “Si sta riprendendo. Il suo cuore è stato solo scalfito, non infranto.”
“Sono lieta di sentirlo.” Anche se non ricambiava i suoi sentimenti, Tauriel era stata molto preoccupata per Elladan; un amore non corrisposto poteva uccidere un Elfo tanto quanto una freccia avvelenata, se si trattava di vero amore e non di una semplice infatuazione.
“Lo stesso vale per me. Anche se... per quanto ami mio fratello, ti dirò in confidenza che ritengo il suo orgoglio sia stato ferito più del suo cuore. Non è abituato ad essere il cacciatore e non la preda nelle questioni amorose, men che meno a venire respinto.”
Lei sollevò un sopracciglio. “Le dame di Gran Burrone sono dunque così prese da lui?” In effetti però non faceva fatica a crederlo. I figli di Lord Elrond avevano ereditato il suo aspetto affascinante e l’intelletto acuto, anche se entrambi recavano una dolcezza nei tratti che dovevano sicuramente aver preso dalla loro madre.
“Gran Burrone, Lothlorien, Mithlon... invero, fino a che non abbiamo incontrato gli Elfi di Bosco Atro mio fratello non aveva mai conosciuto delle signore che non lo trovassero attraente.”
“Signore? Quindi ci sono state altre donne oltre me?”
Elrohir emise un colpo di tosse per nascondere il divertimento. “Mi ha detto parecchie volte di trovare la guardia Rhemyrn ostinata, testarda ed incredibilmente fastidiosa. Comincio a notare un modello ricorrente nell’attrazione che mio fratello sembra sviluppare verso donne che assolutamente non paiono interessate a lui.”
“Davvero?” Il pensiero di Elladan, tanto sicuro di sè da rasentare l’arroganza, che cercava di conquistare il cuore di Rhemyrn – la quale, malgrado la giovane età e la relativa inesperienza, era realmente uno degli Elfi più testardi che Tauriel avesse mai conosciuto – era forse fin troppo divertente per essere appropriato.
“Non mi ha parlato dei suoi sentimenti, ma io conosco troppo bene mio fratello. Vorrei chiederti... che tu sappia, Rhemyrn è già innamorata di qualcuno? O magari la compagnia degli uomini non le aggrada?”
“Nè l’una nè l’altra cosa, che io sappia.”
“Hmmm. Allora forse mio fratello ha una possibilità. Se riesce a non infastidirla per qualche minuto almeno, s’intende.”
Stavano ancora ridacchiando sommessamente quando udirono il segnale che li avvertiva che qualcuno si stava avvicinando all’accampamento; entrambi si zittirono immediatamente e si mossero tra gli alberi nella direzione da cui aveva avuto origine il segnale.
Raggiungendo l’altura su cui Bofur stava di vedetta, si sdraiarono a terra e strisciarono in avanti per guardare oltre il bordo senza essere notati. “Un cavaliere sulla pista,” mormorò Bofur quasi senza muovere le labbra.
Tauriel lo riconobbe all’istante. “È il Principe Legolas.”
“Peste e corna!” sibilò il Nano. “Alla fine il re elfico ci ha trovati.”
“No, non credo,” rispose lei. “Legolas ha lasciato il regno, non agisce più per conto di suo padre. Andrò a parlare con lui, da sola, e scoprirò cosa lo porta qui.”
“Sei certa che sia una cosa saggia da fare?” domandò Elrohir.
“Io mi fido di lui. Legolas non mi tradirebbe mai.”
L’Elfo annuì, lasciando ricadere la mano che aveva alzato per trattenerla. Tauriel si allontanò sempre strisciando quel tanto che bastava per non rivelare la posizione degli altri prima di alzarsi in piedi. Non dovevano rinunciare a tutti i loro vantaggi solo perchè si fidava di Legolas, specialmente se gli eventi avessero preso una piega ben diversa da quella che lei si augurava.
“Principe Legolas, devo parlare con te,” esordì in Sindarin mentre il suo cavallo si avvicinava.
Legolas fermò l’animale e saltò con grazia a terra. “Tauriel! Grande è stato il mio timore per te durante questi mesi, amica mia,” rispose nella stessa lingua, avvicinandosi a lei. “È una grande gioia per il mio cuore ritrovarti sana e salva.”
Tauriel si sentì mancare il fiato. Aveva sperato che egli la considerasse ancora sua amica, ma sentirlo rivolgersi a lei con tanto affetto, come aveva sempre fatto, le sembrava quasi troppo bello per essere vero. “Anche per me, amico mio,” riuscì a rispondere dopo un momento.
Lui le venne vicino, scostandole una ciocca di capelli dal viso. “Mi sei mancata molto. Sembri...” In quel momento lo sguardo di lui scese sul suo ventre arrotondato: i suoi occhi chiari si spalancarono di sorpresa, così come la sua bocca. Tauriel non lo aveva mai visto tanto sconcertato.
“...Incinta. E lo sono,” concluse per lui.
“Sono stato testimone del tuo matrimonio con il Principe Nano e so che sei fedele e costante come la stella del vespro; ma com’è possibile che aspetti un bambino?”
“Anche se siamo un Elfo e un Nano, Kìli è il padre del mio bambino,” rispose lei sollevando il mento con fierezza, ma ansiosa per la reazione di lui.
“Per quanto la notizia mi abbia sorpreso, ti credo.” Legolas fece un respiro profondo e lo rilasciò, sollevando finalmente gli occhi su di lei. “Il mio cuore gioisce per entrambi.”
“Davvero?” chiese lei con voce incerta suo malgrado.
Legolas le prese delicatamente le mani e se le portò sul petto. “Possano le stelle vegliare sempre su di voi e possa il tuo bambino essere benedetto da Eru Ilùvatar.”
Tauriel battè le palpebre più volte per frenare le lacrime. “Legolas...”
“Non piangere, sorella mia. O se proprio devi, fà che siano lacrime di gioia, poichè ti porto notizie di tuo marito. Egli vive ed è al sicuro nella città di Dale, per grazia di Re Bard l’Uccisore del Drago.”
Anche se a Bilbo non l’avrebbe mai confessato (per timore di esser presa in giro esattamente come aveva fatto lei con il suo svenimento), fu solo con uno sforzo supremo che Tauriel riuscì a restare in piedi dopo quella notizia, a dispetto del ronzio nelle orecchie e della leggerezza alla testa che minacciavano di sopraffarla.
Le ore successive trascorsero come in un sogno. Non avrebbe avuto memoria del racconto di Legolas circa l’introduzione dei Nani a Dale, e avrebbe solo vagamente rammentato il suo accenno ad un carro puzzolente di cavoli. Tornò in sè stessa solo quando furono in un piccolo cortile, celato alla vista da alte mura e chiuso da un solido portone in legno. C’era una sola porta nella parete interna del cortile: alla bussata di Legolas, il fratello di Kìli – Fìli – venne ad aprire e, sorridendo, fece loro cenno di entrare.
Questo è certamente un sogno, pensò Tauriel. Che Kìli si trovasse a Dale, assistito da Legolas e da suo fratello, invece che in una delle prigioni di Erebor le sembrava davvero troppo bello per essere vero.
I suoi occhi registrarono a malapena una piccola cucina e le persone presenti, passando in rassegna i volti con frustrazione alla ricerca dell’unico che mancava. “Dov’è Kìli?”
“Il Principe Kìli è da questa parte,” disse la figlia di Bard, Sigrid. Furono le prime parole veramente in grado di perforare la foschia che sembrava aver avvolto la mente di Tauriel. Oltrepassò la ragazza senza rispondere, troppo concentrata sulla porta alle sue spalle per prestarle attenzione.
La porta si aprì su una piccola camera da letto, fiocamente illuminata da un focherello nel camino e da un paio di lampade a olio, calda in maniera quasi soffocante. Una figura giaceva immobile in un grande letto al centro della stanza, sotto uno spesso strato di coperte. Dìs, la testa china, era seduta su una sedia presso il letto.
Tauriel vacillò sulla porta, stringendo il pomello tanto forte da farsi sbiancare le nocche. “Kìli?”
La figura nel letto non si mosse al suono della sua voce.
Sigrid apparve al suo fianco. “Capitano Tauriel, era questo che volevo dirti prima: il Principe Kìli è incosciente da oltre un giorno. Non siamo più riusciti a svegliarlo...” C’era dell’altro che le stava dicendo, ma Tauriel aveva nuovamente smesso di ascoltare.
Il mondo cadde nel silenzio e aveva la sensazione di fluttare mentre si avvicinava al capezzale di Kìli. Sembrava esserci qualcosa, come una fune tesa dal centro del suo petto, che la attraeva inesorabilmente verso di lui.
Si fermò accanto al letto e stese una mano, lasciandola vagare sul viso di lui ma senza osare toccarlo, timorosa di scoprire che era davvero solo frutto della sua immaginazione. “Kìli...”
Lui si mosse piano, aggrottando la fronte nel sonno, prima di tornare ad immobilizzarsi. Fu strano e sconvolgente per lei vederlo così immobile: di solito il suo amato era sempre in movimento, sempre indaffarato con le mani, a smontare cose per vedere com’erano fatte e poi cercare di rimetterle insieme. Essere completamente immobile era sbagliato per lui.
Tauriel si sedette sul bordo del letto e si chinò su di lui, sussurrando di nuovo: “Kìli?”
“Non risponde, qualunque cosa diciamo,” disse Dìs con voce roca. Trasse un respiro profondo e continuò: “Ma continua a parlargli. Quell’Elfo, Legolas, dice che può aiutare. Se solo fosse vero...”
Nae, meleth nin! Gûrin nallon!” Finalmente osando toccarlo, Tauriel fece scorrere un dito sulla tenera pelle della sua tempia fino alla curva dello zigomo.
Le palpebre di Kìli tremolarono fino ad aprirsi, poi le battè più volte prima di fissare lo sguardo su di lei. “Tauriel...”
“Kìli?”
Il suo sorriso fu come il sole che sorge, e quando stese una mano tremante per intrecciare le dita alle sue Tauriel sentì l’anima di lui protendersi verso la propria, come un faro sfolgorante di luce che la  guidava verso casa.
Amrâlimê.”

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(glossario)
 Nae, meleth nin! Gûrin nallon –> Ahimè, amore mio! Il mio cuore sanguina
  
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