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Autore: Read_This_Cookie_Dude    04/08/2015    5 recensioni
Erin Fitzgerald è un ragazzo molto pigro e svogliato nel fare qualsiasi cosa, per questo il padre lo costringe a cercare un lavoro estivo. E lo trova! Al nuovissimo e rimodernato Freddy Fazbear's Pizza, come guardia notturna! I sorridenti humanized animatronic, l'atmosfera gioviale, la pizza... il paradiso per Erin. Finché non scopre che la pizzeria nasconde un terribile segreto di cui il caro proprietario non gli aveva parlato (hehe... furbacchione...). Con un pizzico di comicità e thriller, dietro uno sfondo un po' demenziale, Erin racconta le sue spaventose cinque notti da Freddy. [TEMPORANEAMENTE SOSPESA/INCOMPLETA]
Genere: Comico, Demenziale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prefazione: RECENSITE! RECENSITE IN TANTI! Detto questo, buona lettura. 

CAPITOLO 6
SENSI DI COLPA E LO ZIO FRITZ!
 
Ore 10.30 Una volta lasciato Harvey di fronte a casa sua, verso le sei e un quarto circa, ho parcheggiato la macchina nel suo garage e sono tornato a casa a piedi. Per fortuna abitiamo a pochi isolati di distanza.
Non abbiamo detto una parola per tutta la durata del viaggio, e né Lolita né Harvey hanno salutato quando sono arrivati: erano sbattuti peggio di un paio di uova strapazzate, tremanti e tesi.
Ora mi sento un gran pezzo di stronzo; voglio dire, mi sono fatto grande solo perché sapevo di avere ragione sulla pizzeria, ma se non fossimo stati così pronti con quel paio di pulsanti a nostra disposizione, un morto, forse, ci scappava, e io li ho riempiti di “ve l’avevo detto” e “ora ci credete?” e ancora giù con ordini. Non mi sorprenderebbe se, una volta ripresi, mi rinfacciassero tutto e non mi rivolgessero più la parola. Una parte di me dice: “e allora? È colpa loro! Se la sono cercata.”, ma d’altro canto un piccolo omino nascosto nel mio cervello sperava che si unissero a me nella seconda notte.
Anche stavolta mamma mi ha sgamato mentre rincasavo, ma invece di darmi del malato, mi ha semplicemente detto che avevo un’espressione stanchissima, mi ha fatto sedere e mi ha preparato waffles e macedonia per colazione. Mentre mangiavo non la smetteva di accarezzarmi i capelli e di sorridermi. Mi metteva un po’ a disagio a dir la verità, ma poi ho pensato che era da anni che non me lo concedeva, questo lusso, e alla fine mi sono lasciato coccolare per tutto il tempo, finché non è comparsa Izzie sulla soglia della cucina; il modo in cui lo ha fatto mi ha ricordato un po’ gli humanized animatronics ed io ho sussultato.
- Elin ha paula? – ha chiesto la mia sorellina avvicinandosi a mamma, l’orsacchiotto di peluche stretto forte sotto il braccino.
- No, tesoro. – le ha risposto mamma. – Erin è stanco perché ha lavorato stanotte. Non ha fatto la nanna. –Una volta realizzato cosa mamma avesse detto, Izzie mi è venuta vicino e mi ha messo l’orsacchiotto in grembo. – Gingel ti aiuta a fale la nanna. – e mi ha abbracciato.
Le ho balbettato un grazie e a quel punto la sensazione di stronzaggine è tornata a galla.
Prima che papà si svegliasse e mi bombardasse di domande, sono corso nella mia stanza e sono crollato sul letto, addormentandomi con il pupazzo di Izzie.
Ho passato due notti di cacchina in una pizzeria maledetta, ho rischiato di essere ucciso dagli animatronics e mi sono beccato una bella botta di sensi di colpa a causa dei miei amici. Bé, poteva andare peggio. Ah, no. In effetti quando dirò al vecchio le mie intenzioni si scatenerà l’apocalisse. Non può andare peggio.
Il bello è che non posso nemmeno denunciare la cosa senza passare per un matto; nessuno mi crederebbe mai, neanche se mi presentassi con l’uncino di Foxy che fa capolino dal mio stomaco o con il cupcake di Chica ficcato in gola a forza.
Ora la domanda è: come faccio a dire a papà che mollo il lavoro?
 
Ore 12.00 PM Seduto sulla sua scrivania, piegato sopra dei fogliacci pieni zeppi di numeri e parole incomprensibili, mio padre ha l’aria di uno ch non ha voglia di ricevere cattive notizie… un punto a sfavore per la mia impresa, vorrei sottolineare, titanica.
I capelli biondo cenere leggermente arruffati e la barbetta incolta che normalmente non ha mi fanno capire che è da un botto di tempo che ci sta sopra, a quei calcoli e a quei ragionamenti. Si tiene la testa con una mano e si vede che da un momento a l’altro rischia di crollare.
E noi non volgiamo disturbarlo, vero? Quindi adesso, con molta nonchalance… No! Erin, sei un uomo o un cavallo? … No, non era un topo? Un cavallo e un topo? Essere o non essere? Argh! Al diavolo!
Prendo un respiro profondo e mi faccio avanti.
- Buongiorno, papà. –Papà alza lo sguardo e accenna ad un sorriso. – Buongiorno, Erin. Ti volevo proprio parlare, sai? –
Mi siedo sulla poltrona accanto al tavolo e incrocio le braccia. – Davvero? Che mi dovevi dire? – chiedo. Comincio a riprendere in considerazione l’opzione di fuga. La finestra è aperta? Sì. Molto bene.
Il vecchio scrolla le spalle e butta la penna sulle scartoffie, sgranchendosi la mano. – Oh be’, ieri non abbiamo avuto occasione di parlare, con il lavoro la mattina e tu che il pomeriggio sei uscito con i tuoi amici. – pausa. – A proposito, volevo scusarmi con te per averli chiamati idioti. Certi commenti dovrei tenerli per me… -
Ah, sono felice che si sia scusato per questa storia! Gli ho sbraitato in faccia quel giorno proprio per questo motivo ed è stata la nostra ultima conversazione ben strutturata. Per quanto le nostre conversazioni possano essere ben strutturate. Non è che parlo molto con papi, e se dobbiamo discutere su qualcosa i nostri argomenti sono quasi permanentemente: baseball, hot dog, università, lavoro, stipendio, il motore di quel rottame che convenzionalmente chiamiamo ancora auto e ancora “il ventilatore oggi è mio”.
- Comunque, dimmi, come sono andati i due primi giorni di lavoro? –Ora la cosa si fa critica. Non posso rintanarmi nella fodera della poltrona e dire: “Mm… papà, m-mi daresti il permesso di licenziarmi, p-perché ho paura dei p-pup-pazzi …”. Sicuramente a questa scenata ci sarebbe gente che potrebbe pensare “Fratello, che ciofeca”. No, un momento, zitti! Quando devo dare una brutta notizia a papà che riguarda scuola, università e lavoro in generale e a lui capita di avermi faccia a faccia e quindi l’occasione di distruggermi psicologicamente fino a farmi sentire uno schifo (ma qualche volta anche fisicamente), c’è sempre d’aver paura. Ma ora sono qui e devo scegliere tra cominciare un dibattito con mio padre che potrebbe durare fino a nuovo secolo, con alte possibilità di perdita, o gettami dalla finestra dal primo piano in un disperato tentativo di salvare il mio sodo didietro accalappia ragazze (non ancora testato) dalla furia spietata di mio padre. Pessime scelte in ogni caso.
- Erin? –
- Eh? –
- Ci sei? Ti ho fatto una domanda cinque minuti fa. –
- Ah! È passato così tanto? –
- Sì. –
- Be’,  ehm… è un po’ strano… -
- Cosa? –Mi arrendo! È troppo difficile. Sto riconsiderando l’idea della finestra.
Proprio in quel momento qualcuno suona al campanello. Papà punta lo sguardo sulla porta e io ne approfitto per afflosciarmi sulla poltrona tutto sudato.
Sento provenire delle voci dal piano disotto, mamma ha aperto la porta e ha salutato qualcuno tutta contenta e ora sta salendo sulle scale. Quando si affaccia la porta dice rivolta a papà: - Caro, Smith è arrivato. –
- Arrivo immediatamente, Penny. – risponde papà. 

Ore 12.26 PM Evviva! Adoro lo zio Smith!
In realtà il suo nome completo è Fritz Smith, ma lo chiamano tutti per cognome per paura di scoppiare a ridere. Lo sappiamo tutti che è un nome completamente normale Made in USA, ma non ne possiamo fare a meno da quando hanno inventato le caramelle Fritz Cola-Lemon[1]. Come se già non facesse ridere da se: alto, magro come un giunco, coi riccioli pel di carota e le lentiggini. Tante. Lentiggini. Le ha dappertutto. A volte mi chiedo se le abbia anche sul… Coff coff! E poi è anche un po’ fesso e imbranato. Ma gli vogliamo un mondo di bene. Specialmente io, quando mi porta…
- Tre biglietti per il Super Bowl del prossimo gennaio?! Come diamine hai fatto ad averli?! – ho la voce strozzata.Lo zio si passa una mano sulla camicia, tutto impettito e con un sorriso sornione. – Conoscenze. –
 
Ore 12.35 PM Ero così emozionato che per ben cinque lunghi, gloriosi minuti ho saltato per tutta la casa urlando “Oh, Dio, santissimo, non ci credo! Il Super Bowl! Andrò al Super Bowl! Con Harvey e Lolita! Il Super Bowl! Il Super Bowl!”. Se non si è capito adoro la partitissima del Super Bowl. Ho persino preso in braccio Izzie e gli ho fatto fare vola vola per dieci volte di seguito per sua gioia. Poi mi sono calmato e mi sono seduto in salotto con lo zio, mio padre, aspettando il pranzo. Papà gli fa domande sul suo lavoro (ma và!) e sulla sua fidanzata del mese, Cassidy Lovett.
- Oh… - fa lo zio. – Ci siamo lasciati. – dice tutto malinconico.Bah! La cosa non mi sorprende: Smith si innamora sempre di belle donne bionde dal davanzale abbondante, una bellezza alla vista, ma opportuniste e viscide, che lo mollano appena trovano qualcuno di più benestante e bello (e con un nome decente).
- Mi spiace molto. – dice mio padre, realmente mortificato.
- Fa niente! – dice con gesto veloce della mano e sforzandosi di sorridere, pur sapendo di non saper minimamente simulare. – Ma, dimmi Erin, so che ti sei trovato un lavoretto estivo! –
- Ehmm… sì?- balbetto.
- Caro! – chiama mia madre dalla cucina. – verresti ad aiutarmi con la lasagna? –
- Eccomi! – e papà corre in cucina lasciando me e mio zio da soli.Lo zio si tira su gli occhiali dalla montatura rossa e torna a fissarmi. – Dicevi? –
Ora che ci penso, lui è l’unico a cui posso rivelare tutto, disposto a mantenere segreto. Una volta, quando avevo otto anni, gli confessai di aver rotto la penna a stilo preferita di mio padre, smontandola ma non riuscendo a rimontarla, e Smith la prese e se la portò a casa. Una settimana dopo tornò con quella completamente aggiustata, dicendo al vecchio di avergliela presa per sbaglio. Insomma, potrei dirgli della notizia da dare a mio padre e chiedergli qualche consiglio. Ovviamente salterò la parte di Bastardo di Las Vegas, Chiquita banana e compagnia bella.
E gli dico tutto.
- Secondo me non dovresti mollare. – mi dice infine. – Se fossi Fitzgerald Senior ti direi che non dovresti arrenderti alle prime difficoltà… -
- Sì sì, conosco quella parte. – dico.
- Be’, aggira il problema. Trova una soluzione concreta e risolvi. Ti ho detto che io e tuo padre abbiamo lavorato insieme per un po’, vero? Sì. Io sono stato licenziato alla prima botta dopo un incidente per cui mi accusarono, ma tuo padre resistette alle difficoltà peggiori pur di dimostrare di valere qualcosa  infine riuscì ad essere promosso. Tutto questo senza violare il regolamento e stringendo i denti. Ammetto che era una persona migliore di me. –Sigh! Se solo sapesse…
- Ma tu non capisci! Qui si tratta molto di più che stingere i denti e andare avanti! – sussurro esasperato.
- Immagino… - sospira. – In ogni caso non ti consiglio di licenziarti. Finisci almeno i giorni di prova! Sono sicuro che tuo padre sarà fiero di te. – 

Ore 15.00 PM
 
Ehi…

Harvey
Erin!

 
Lolita
Erin! Ci dispiace! Dovevamo crederti!
 
Harvey
Sì! Non ce l’hai con noi, vero?
 
Ma no!
 
Bene, non ce l’hanno con me!

 
Lolita
Hai detto a tuo padre che ti licenzi?
 
Harvey
Se vuoi veniamo lì così per te sarà più
facile spiegarglielo.
 
No…

 
Harvey
No che??
 
Lolita
Non gliel’hai detto?
 
No… non mi licenzio!
 
Mi rispondono solo dopo minuti silenziosi e di agonia.
 
Lolita
COSA?!

 
Harvey
No! Erin! Non puoi tornare!
 
Lolita
Aspetta! Collegatevi su Skype!
 
E lo faccio. Accendo Skype e subito ricevo la chiamata di Lolita, sconvolta e con le borse sotto gli occhi. Si unisce anche Harvey, che non è da meno, con la camicia sgualcita e gli occhi rossi.
- Ci stai prendendo in giro! – esclama quest’ultimo.
- No. – rispondo pacato. – Non posso licenziarmi. –
- È per tuo padre, vero? – dice Lolita con fare accusatorio. – Non dargli ascolto! Hai diciott’anni, Eri! Puoi decidere sa so… -
- Lo so! – esclamo. – Ma vorrei anche dimostrargli che posso farcela a mantenermi un lavoro! Che so essere come lui e che non sono uno svogliato. –
- PUOI FARCELA?!?! – urla Lolita con la voce spezzata dalla rabbia. Mano a mano sta assumendo un colorito scarlatto simile al colore dei capelli di Mangle. – Erin, forse non ricordi! STIAMO PARLANDO DI ROBOT MALEDETTI! NON E’ UNA SITUAZIONE NORMALE! –
- Eri, non puoi fare sul serio! – dice Harvey. – Sei nostro amico! Noi non te lo permettiamo. -
- E io non vi do ascolto! – mi sto comportando come uno stupido e non credo neanche io alle mie stesse parole, ma so di aver deluso più volte mio padre. - È che mi è sembrato così fiero di me quando mi ha chiesto di parlargli dei miei primi giorni di lavoro… L’ho deluso un sacco di volte: a scuola, al campo scout, a casa… non voglio che pensi che ha cresciuto un figlio incapace e tu, Lolita, dovresti capirlo più di tutti. –Lolita sembra pronta a ribattere, ma si limita a sospirare, Harvey che aspetta impaziente una sua reazione che mi convinca a rinunciare.
- E va bene. – dice Lolita. – Ma io non ti lascio solo. Vengo con te anche stanotte. –
- Cosa?!?! – esclama Harvey. Dopo un minuto di riflessione in sacrosanto silenzio, il mio nerd si riprende e borbotta. – Okay, vi accompagno. Se Lolita è i muscoli e Erin la mano lesta, vi manca solo un cervello che stia di vedetta. -Un sorriso radioso, uno dei più rari, si fa strada sul volto di Lolita. - Sapevo di poter contare su dite, Harvey! –
 
Ore 16.00 PM Siamo al Freddy’s, io, Lolita e Harvey per studiare il comportamento di tutti gli animatronics e magari trarne vantaggio.
Abbiamo notato che Bonnie ha registrata una personalità per cui è abituato a stare al centro dell’attenzione, forse è per questo che è il primo a scendere dal palco e quando si muove è spesso rivolto verso la telecamera? Bimbo minchia… Chica invece fa spesso il giro di tutte le stanze per assicurarsi che i bambini stiano bene e fa lo slalom tra tutti i tavoli, uno per uno, sorridendo al suo piccolo pubblico quando non canta, un po’ come Freddy, ma lui gira e intona filastrocche del locale e presenta i vari show, tra i quali anche quello di Foxy che resta spesso e volentieri nascosto dietro il suo orribile sipario viola ed esce solo per cantare qualche canzoncina. Nel Kids Cove ci sono più membri della sicurezza del solito, con i bambini che urlano e strepitano divertiti e Mangle sul soffitto alla quale i bambini hanno deciso di sottoporre un make over allungandole delle braccia con pezzi di ricambio (che un qualche mini impavido ha sicuramente rubato dal backstage) e vari oggetti trovati nella stanza tra i quali palloncini, cappelli da festa, disegni, una pallina da tennis, nastri e stelline di plastica, quelle appese al soffitto con fili trasparenti. Ha ancora il nastro adesivo a tenerla tutta in piedi.
- Non dovrebbe comportarsi così! – sussurra preoccupato uno della sicurezza al suo collega che ci da le spalle.
- La manutenzione non vuole saperne di ripararla, ma ora non possiamo intervenire con tutti questi bambini: potrebbero farsi male! –Lo riconosco: - Scott! – lo chiamo e lui si volta.
- Erin! –
- Mangle vi da ancora problemi? Perché non la disattivate? – chiedo speranzoso. Gli occhi dei miei amici brillano al solo pensiero di avere almeno un animatronic fuori gioco.Invece Scott scuote la testa. – Non possiamo fare nulla senza gli ordini del grande capo. –
- Mike. –
- Esatto. Ma anche oggi aveva degli impegni. In banca, immagino. Quindi…–
- Mm… - 
- La terremo impegnata fino a nuovo ordine. -
Lolita e Harvey si sgonfiano come palloncini.
 
Ore 16.30 PM Ci siamo diligentemente appuntati tutte le possibili strategia, idea Made in Harvey’s Brain, e siamo tornati a casa mesti.
- Non siete obbligati a venire con me se non volete. – ho detto loro, ma hanno risposto che era tutto okay, che erano solo un po’ preoccupati e che sarebbero venuti con me in ogni caso.Con loro al mio fianco, sono pronto ad affrontare la terza notte da Freddy.

[1] Completamente inventate da me, come le Crock Crisp.
   
 
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