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Autore: letitbeatles    05/08/2015    2 recensioni
fine 1500, Londra.
"All'unico ispiratore di
questi seguenti sonetti
Mr. W.H. Ogni felicità
e quella eternità
promessa
dal
nostro immortale poeta
augura
colui che con un buon augurio
si avventura nel pubblicare."
Genere: Fluff, Poesia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney, Quasi tutti
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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George bussò tre volte alla porta della camera del poeta.
Nessuna risposta.
Il ragazzo attese un istante, poi provò a bussare di nuovo.
Ancora nessuna risposta.
"Ehm, signore?".
Accostò un orecchio alla superficie scura, nel tentativo di captare un segno vitale proveniente dall'interno della stanza. Niente.
Preoccupato, il giovane bussò ancora più forte, facendosi male alle nocche della mano.
"Signore!" pronunciò quella parola a voce alta, ma non riuscì ad assumere un tono deciso.
Che cosa poteva essere successo? Magari il poeta era uscito e lui non se n'era accorto?
Provò a girare la maniglia, e stranamente non trovò resistenza. La porta non era chiusa a chiave. L'abbassò completamente e aprì la porta, con un movimento lento. Infilò la testa nella stanza e diede uno sguardo all'interno. Nel grande letto della camera, sotto un'esorbitante numero di coperte e lenzuola soffici, c'era l'uomo che cercava, di cui si intravedevano esclusivamente qualche ciocca di capelli castani. Era immobile.
George, ansioso, si fece avanti, avvicinandosi al letto.
"Signore? State bene?" sussurrò.
L'altro non si mosse, ma George, accostandosi al letto, vide che le coperte si alzavano e abbassavano ritmicamente, con un movimento quasi impercettibile. A quel punto George si rilassò visibilmente e chiamò per l'ennesima volta il ragazzo, che, di nuovo, non diede cenno di averlo sentito.
"Magari il poeta è sordo" si disse, ridacchiando subito dopo per l'assurdità a cui aveva pensato.
Decise di appoggiare una mano sulla spalla del giovane per scrollarlo da quel sonno profondo. Appena lo scosse leggermente, quasi come reazione a quel contatto, una delle braccia del poeta afferrò  la spalla del servo. George sobbalzò e riuscì a trattenere un urlo di spavento per un pelo. Il giovane, disteso nel letto, grugnì e si voltò verso George, tenendo gli occhi chiusi.
"Stu, lasciami dormire, non ti è bastato quello che abbiamo fatto poco fa?"
George lo guardò confuso. Di che diamine stava parlano? E chi era Stu?
"Sentite signore, il sole si è levato ormai da un pezzo, mi ha mandato il signor conte a svegliarvi".
Il giovane ridacchiò a quelle parole, continuando a tenere gli occhi chiusi.
"Che scusa da quattro soldi, Stu. Ora lasciami dormire, domattina devo lavorare." Il ragazzo, si voltò nuovamente, tornando a dormire.
George aveva la bocca spalancata, troppo perplesso per pronunciare una singola sillaba. Ma qual'era il suo problema?
Non volendo disubbidire al conte e non volendo arrendersi, si avvicinò alla finestra e aprì di colpo le grandi tende, che raggiungevano il pavimento, formando pieghe sinuose. Il sole inondò la stanza e il giovane poeta serrò ancora di più gli occhi, cercando riparo dalla forte luce sotto le coperte. George allora intervenne di nuovo e tirò giù le coperte, mostrando la parte superiore del corpo del giovane.
"Ma che...?" farfugliò confuso il poeta, aprendo finalmente gli occhi, strizzandoli per la luce accecante che penetrava dalla finestra.
"Il signor McCartney la sta aspettando in sala da pranzo e non gradisce che lo si faccia attendere più del dovuto" affermò George, sorridendo trionfante, con le mani appoggiate sui propri fianchi.
Il giovane poeta sbarrò gli occhi. Si tirò su e si guardò intorno. Era molto stupito, quasi come se non sapesse dove si trovava. Poi, respirando profondamente, si calmò, accorgendosi della presenza dell'altro ragazzo nella stanza. Abbassò lo sguardo, imbarazzato.
"Scusatemi davvero, n-non so che mi sia preso. Questo letto è troppo comodo".
Quella dichiarazione sincera e ingenua fece scoppiare George in una risata. Il poeta, sbattè le palpebre per un momento, e poi si unì alla risata dell'altro.
George smise di ridere e si scusò di averlo svegliato in quel modo.
"Scusatemi voi, quando sono stanco ho il sonno un po' pesante. Ci sarà voluta un'eternità per svegliarmi" il poeta si grattò la testa.
"Non preoccupatevi, vestitevi. Io vi aspetto fuori". George sorrise e poi uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

Dopo pochi minuti, i due stavano percorrendo un lungo corridoio. I loro passi rimbombavano nello spazio vuoto, come se qualcuno stesse battendo su una grancassa.
“Come vi chiamate?” chiese improvvisamente il poeta.
George fu sorpreso per quella domanda inconsueta. A chi interessava il nome di un servo?
“Il mio nome è George” disse.
A quella risposta, il giovane poeta trattenne a stento una risata.
“Vi chiamate tutti George qui?” chiese.
George non capì subito a cosa stesse alludendo. Poi, ricordandosi che il maggiordomo era andato ad accoglierlo la notte precedente, ridacchiò. “No, non preoccupatevi”.
Il ragazzo di fianco a lui sorrise.
“V-voi come vi chiamate invece?” chiese George.
“John” rispose tranquillamente l'altro. Poi, dopo un breve istante di silenzio, riprese.
“Quindi, George, servite da molto tempo in questo palazzo?”.
“Sì, da circa dieci anni” rispose l'altro prontamente.
Il poeta inarcò le sopracciglia.
“Sono molti anni per un giovane come voi, dovevate essere un bambino”.
“E' così. Il signor McCartney è stato magnanimo nei miei confronti. Mi ha tolto dalla strada e mi ha accolto qua.” disse George, guardandosi i piedi mentre continuava ad avanzare.
“E' stato un gesto nobile” constatò John.
“In realtà il merito è stato di suo figlio” lo corresse.
“Parlamene” chiese John, interessato.
“La mia famiglia mi ha abbandonato quando avevo pochi anni perché non avevano soldi per un'altra bocca da sfamare. Per caso, un giorno, è apparso nella via dove abitavo con altri senzatetto, e ha iniziato a giocare con me. Abbiamo giocato e scherzato per ore. Ero rimasto sorpreso che un ragazzo come lui non mi avesse ignorato, come avevano sempre fatto tutti i figli di benestanti che erano passate di lì. Diventammo amici, e, ogni volta che veniva in città, trovava sempre il tempo per venirmi a trovare, di solito con un accompagnatore, che cercava sempre di farlo ragionare e portarlo via da me. Poi un giorno ha convinto il conte a portarmi con loro a corte, ma suo padre mi avrebbe accettato solo ad  una condizione: sarei dovuto diventare un servo, il servo di suo figlio, visto a quale classe sociale appartenevo e data la riconoscenza che gli dovevo per il suo gesto di generosità. Suo figlio era scontento di quell'accordo, ma io accettai di buon grado. Avrei avuto un tetto e un amico, andava più che bene per me.” Apparve un sorriso sulle labbra di George, mentre ne parlava.
John lo notò e non poté che sorridere a sua volta.
“E dunque il figlio del conte ha un cuore.”dichiarò ironicamente.
George ridacchiò divertito.
“Stamattina il signor Paul mi ha raccontato tutto della sera scorsa. Voi siete lo stesso giovane con cui si è scontrato a Londra, giusto?”
“Esatto” rispose John con un ghigno.
“Non preoccupatevi, è solo irritato per essersi sporcato. E' un po' la sua mania, sapete. Parlategli con delicatezza, scusatevi ancora, e scoprirete che non è affatto come lo vedete adesso. E' difficile, se non impossibile, che qualcuno provi dell'astio per lui.” annuì George, sicuro delle sue stesse parole.
John lo osservò per qualche istante.
“Ci proverò”.

Parlando, si ritrovarono di fronte ad una grande porta color crema. Era molto raffinata, con maniglie rigorosamente d'oro. George si fece avanti e bussò tre volte, aspettando una risposta.
“Avanti” disse la voce ovattata di un uomo all'interno.
George aprì la porta e si inchinò.
“Il poeta è qui.” annunciò.
“Entrate pure” disse la solita voce, stavolta più chiara e rivolta a John.
Il giovane si  fece avanti ed entrò nella sala.
Dovette quasi socchiudere gli occhi per la forte intensità della luce che regnava nella grande sala.
In mezzo all'ampia stanza, tra mura alte, dello stesso colore della porta, e sotto un imponente soffitto affrescato, da cui pendeva un grosso lampadario intarsiato di pietre preziose, c'era un tavolo lungo e massiccio, reso scuro dall'ebano, di cui era fatto. Sopra il legno erano poggiate, su fazzoletti ricamati in pizzo, delle posate e dei piatti lucidissimi, su cui la luce si rifletteva.
John era rimasto così incantato dal lusso e dalla ricercatezza del luogo, tanto da non accorgersi a momenti dell'uomo seduto a capotavola di quel meraviglioso tavolo, che appena l'aveva visto entrare, si era alzato in piedi.
"Benvenuto, signor Lennon." dichiarò a braccia aperte il conte. Poi fece segno a John di sedersi di fianco a lui. Il giovane si affrettò a raggiungere la sedia, e si sedette contemporanemante con il conte. Subito dei servi, tra cui George, portarono dei piatti per la colazione, con ogni squisitezza possibile.
"Il mio nome è James McCartney, conte di Southampton. Sono lieto che abbiate accettato il mio invito di venire a corte."
"Si figuri, è un piacere essere qui". magari se mi aveste avvertito invece di rapirmi in piena notte, sarebbe stato anche meglio, pensò John, ma si trattenne e accennò un sorriso.
"Dunque, come vi avrà detto il signor Shakespeare, vorrei che scriveste dei sonetti d'amore, potete scegliere qualsiasi oggetto o persona per l'ispirazione. Vi concederò tutto il tempo che volete", dichiarò il conte, versandosi nel piatto del porridge.
"Certo, grazie infinite", disse John, annuendo.
"Vi pregherei anche di una cosa" disse il conte, alzando un dito.
"Prima di tutto, vi ho chiamato qua perché mio figlio Paul adora la poesia. Dedica molte ore ogni giorno alla lettura e, se voi potreste dargli lezioni, o consigli, o anche semplicemente leggergli qualcosa, ne sarei lusingato."
 "Signore, non dovete neanche chiederlo, lo farò con piacere" disse John, abbassando la testa in un lieve inchino.
Quando ebbero finito di mangiare, John si alzò dalla tavola.
"Vado a cercare suo figlio, se non vi dispiace. Non mi sono ancora presentato diligentemente."
"Ma certo, fate pure! A quest'ora dovrebbe essere fuori per una passeggiata" disse felice il conte.
"La ringrazio" John accennò un inchino, voltandosi e raggiungendo a grandi passi la maestosa porta da cui era entrato. Poi, prima di uscire, si voltò verso il conte.
"Vi ringrazio ancora per l'invito a corte, non ve ne pentirete".


Salvee!
Non uccidetemi vi prego, è dal 25 giugno che dovevo aggiornare, perdonatemi. Non ho avuto molto tempo e ispirazione per scrivere in questo periodo, ma adesso sono tornata con questo capitolo, molto breve e di passaggio, è vero, ma vi prometto che il prossimo lo pubblicherò prima, o almeno spero.
Spero che comunqe vi sia piaciuto, nonostante non succeda nulla di importante. Fatemi sapere se vi sta piacendo almeno un po' questa ff.
Alla prossima!

vi lascio anche u po' di miei contatti:
se vi va, questo il mio canale di youtube (let_it_beatles) dove faccio molti video sui Beatles: https://www.youtube.com/channel/UCpKMPJc6uLnr-8RWM-KqHKg

Se avete Twitter, sono @heyabbeyroad e su Instagram the.long.and.winding.road












  
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