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Autore: Invader_from_Hell    28/02/2005    2 recensioni
Io, autore di questa storia, prometto solennemente che prima del calar della notte Teofrasto Eolico avrà composto la sua più bella lirica d’amore. Per renderla possibile, però, adesso dovremo raccontargli cosa sia l’amore. Chiaramente assurdo.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Peggior Malattia

La Peggior Malattia

 

La serata si era subito annunciata molto fresca. Una deliziosa brezza spirava dal mare portando sui nostri volti refrigerio e salsedine. La sensazione della pelle corrugata ed increspata dal sale marino risultava estremamente fastidiosa a tutti quegli stranieri che erano in visita alla riviera per piacere o per affari.

Si era ormai prossimi al tramonto, e la via principale che costeggiava il litorale era brulicante di volti abbronzati e di voci per lo più rilassate e serene. L’unica eccezione, qualcuno che borbottava per il prezzo del pesce, decisamente in aumento rispetto alla media nel resto del paese. Del resto, osservavano molti, la località stava diventando ormai rinomata anche per l’ottimo pesce offerto dalle sue acque.

Chi vi fosse tornato dopo un paio d’anni d’assenza non avrebbe potuto non meravigliarsi di fronte alla moltitudine di persone che affollavano le vie, visibilmente ristrutturate anche se mai private del loro fascino antico.

Quello che fino a poco tempo prima non era altro che un villaggio aggrappato ad un litorale roccioso, adesso si era trasformato in una località frequentata da persone di ogni tipo e provenienti da ogni parte della regione. I turisti stranieri ancora non vi erano troppo bene accetti, ma si poteva stare certi che la mentalità di quei pescatori sarebbe presto cambiata. Difatti, il primo nuovo edificio che sorse dopo la Venuta, fu un liceo. I giovani dell’isola, superato un primo momento diffidente, accolsero la novità con grandissimo entusiasmo, ed alcuni di loro riuscivano straordinariamente bene nello studio. Quello, non crediate, era un liceo in piena regola, non meno degno di uno dei rinomati licei del paese. Vi insegnavano docenti molto ben preparati, o addirittura celebri, ed era spesso sede delle lezioni di uomini di cultura che cercavano di attirare  sull’isola sempre più persone. E ne valeva la pena, certamente, perché in quel momento non si sarebbe trovato da nessuna parte un luogo tanto adatto al riposo e al divertimento. In pochissimo tempo erano state costruite abitazioni, stabilimenti, servizi, tanto che la cittadina sarebbe stata facilmente scambiata per il centro storico di una città grande e ormai sviluppata da tempi immemori.

Tuttavia, questa nuova e travolgente modernità sembrava aver coinvolto la popolazione solamente in modo positivo. Nessuno aveva infatti abbandonato il proprio lavoro per darsi ai nuovi piaceri, nessuno era diventato possidente, e le quote che i visitatori versavano per alloggiare nelle nuovissime abitazioni erano interamente devoluti all’amministrazione cittadina, che li utilizzava per mantenere in movimento quella brulicante moltitudine.  Si era perfino creato un quartiere multi etnico. A dire il vero era ancora oggetto degli ultimi sospiri della diffidenza della popolazione di pescatori ed allevatori, ma per i visitatori esterni o stranieri era veramente uno spettacolo magnifico. Per dare un’idea verosimile della sua estensione, si consideri che era stato costruito all’interno della cittadina, e coinvolgeva più o meno un intero isolato.

Si sarebbe definito il tipico quartiere orientale: una festa di bagliori e colori sgargianti, incensieri asmatici che tossivano le loro fragranze in ogni direzione, combustioni profumate, sapori piccanti, prostitute che nessuno avrebbe mai maltrattato, data l’incredibilità dignità che esse mostravano nel loro comportamento. Era evidente che esse fossero vere professioniste nell’arte dell’intrattenimento maschile. Questo era forse l’aspetto più simile alle grandi città che si era sviluppato nel processo di accrescimento.

Per quanto riguarda la convivenza con la natura, certamente quella città si poteva definire come esempio mirabile. Era sempre stato un centro abitato che stringeva la scogliera come un pidocchio stringe la cute di un cane. Adesso, era un’aquila posata sulle rocce. Sotto, soltanto il mare.

Il mare era di un colore davvero particolare, era la prima cosa che notasse chi veniva in visita alla città per la prima volta. Quando il sole lo tempestava di oro con i suoi raggi, l’acqua appariva come madreperla liquida tinteggiata di verde e di blu. Ma era il tramonto il momento più suggestivo, quando in un momento l’acqua vinceva la paura della notte incombente e bruciava di una fiamma indaco che avvolgeva le sue onde e cantava canzoni racchiuse in conchiglie appese alle porte delle case dei pescatori. Ed era appunto in questo incendio fresco e sprizzante di gioia che i due amici osservavano l’orizzonte, sporgendosi da una terrazza poco frequentata del lungomare. Si erano ritrovati dopo una giornata che avevano trascorso impegnati ciascuno nei propri uffici, e di fronte al tramonto stavano dando sollievo alla pelle scottata dal sole, in attesa della cena che – avevano detto- sarebbe stata servita di lì a poco. Entrambi godevano di quell’indecifrabile sensazione che si prova al termine di ogni grande impresa, mentre di fronte alla spossatezza si aspetta la ricompensa al fresco, pensando già all’avvicinarsi di una nuova avventura. La terrazza era a picco sulla scogliera, abbassando lo sguardo e sporgendosi un po’ si potevano vedere un trentina di metri di assoluto vuoto, per poi frenare la propria vista sulla spiaggia pietrosa. per raggiungere la costa si poteva fare uso delle scale disseminate per tutto il lungomare, oppure – se si aveva voglia di passeggiare- era possibile raggiungere uno dei piccoli promontori che racchiudevano il golfo cittadino e scendere per gradi seguendo il piccolo sentiero. Quanto ai promontori in sé, dopo di loro non ci sarebbe stato più nulla per diversi chilometri, solo porticcioli e voli di gabbiani, acque limpide e qualche musa.

Osservando l’orizzonte, si indovinavano le forma di altre isole minori, facilmente raggiungibili con una qualsiasi imbarcazione, le distanze nautiche erano veramente ridicole. Con un paio d’ore di viaggio in nave sarebbe stato possibile raggiungere la terraferma e le grandi città, ed in meno di un’ora si giungeva nell’isola più vicina, patria di uomini e donne illustri.

Il poeta – di lavoro e di vocazione - indossava un abito bianco molto leggero che non gravava sulla sua pelle scottata. Il vento giocava con i lembi bianchi e li trascinava qua e là, in cerca di una nuova patria dove insinuarsi e portare refrigerio. I suoi capelli biondi erano usciti da tre giornate di intenso sole ulteriormente schiariti. Tornava da un periodo di studio in Italia e il sole delle sue spiagge l’aveva trovato decisamente impreparato. Pregustando la cena e l’orizzonte, stava appoggiato alla ringhiera e con la cosa dell’occhio osservava i  movimenti dell’amico che si manteneva leggermente distante.  I due, per la verità, non si erano recati là di comune accordo, ed il loro incontro era stato casuale. Il poeta aveva visto l’amico che usciva dal liceo e ne aveva subito riconosciuta l’andatura. Era un mattinata soleggiata ma incredibilmente fresca, ed avevano deciso di festeggiare l’incontro con un pomeriggio di solo divertimento, cosicché potessero dimenticare versi e lezioni, e godersi il sole ed il nuovo assetto vacanziero dell’isola. Erano entrambi arrivati lo stesso giorno, e stavano pianificando di far ritorno a casa insieme, perché le vacanze sarebbero presto terminate ed entrambi sarebbero dovuti tornare alle rispettive occupazioni.

-          Scritto nulla oggi?- chiese l’amico appoggiandosi anch’esso alla ringhiera.

-          Niente..- rispose il poeta scotendo la testa. – e a te come è andata a lezione?- chiese

-          Mah, niente male tutto sommato, credevo che nessuno mi avrebbe seguito, e invece mi sembra che alcuni ci siano riusciti brillantemente!- rispose l’amico quasi mimando il proprio entusiasmo. Era sulla ventina e quelle erano le sue prime esperienze. Non aveva ancora avuto l’opportunità di tenere un dibattito con studenti, e ancora gli pareva strana essendo stato solo pochissimi anni prima studente a sua volta. Il poeta sorrise e con un colpetto sulla mano dell’amico lo richiamò ad un punto che adesso stava indicando poco sotto l’orizzonte.

-          Cos’è?- chiese l’amico.

-          Ah, solo un volgarissimo scoglio. Ma sono messo così male che oggi ho fatto di tutto per farmelo sembrare qualcosa di eccitante per riuscire a scrivere qualcosa… - rispose il poeta a metà tra l’amareggiato ed il divertito.

-          Voi poeti siete tremendi… quando vi manca l’ispirazione diventate assolutamente smaniosi e paranoici!- disse l’amico ridendo. Batté una pacca affettuosa sulla spalla dell’amico, che sussultò per il dolore alla schiena provocato dalle bruciature.

-          Scusa, dimenticavo!- sghignazzò l’amico.

-          Magari questo dolore potesse ispirarmi qualcosa, mi farei anche frustare la schiena!-

L’amico rise e pensò di raccontare al poeta del discorso che aveva tenuto oggi al liceo e della discussione che si era sviluppata. Lo scenario, peraltro, sembrava favorire racconti e discussioni, a patto che si accettasse di condividerle con il tramonto e a patto di non coprire con la propria voce quella del mare.

-          Sai, da tanto tempo che ci conosciamo non abbiamo mai parlato di amore, e per esempio oggi al liceo è nata una discussione proprio sul tema- esordì l’amico

-          La peggior malattia…- rispose il poeta interrompendolo.

-          Eh! Per dire una cosa del genere, devi aver subito una delusione bruciante di recente!- lo apostrofò l’amico, per niente sicuro della necessità di quella battuta.

-          Non direi proprio, lo sai che non ho mai avuto rapporti di quel genere con nessuno…- replicò il poeta staccandosi bruscamente dalla ringhiera, e occupando la posizione che l’amico occupava prima di raggiungerlo alla ringhiera.

-          Beh, a maggior ragione allora non puoi dare un giudizio così categorico…- replicò a sua volta l’amico.

-          No, ti sbagli, io l’ho visto negli altri e sono un poeta, il mio lavoro è immaginarmi cosa provino le altre persone e scriverlo in modo che queste persone si riconoscano in ciò che scrivo ed acquistino i miei libri!- esclamò il poeta. Peraltro, non sarebbe stato facile capire se la sua apologia fosse rivolta all’amico in ascolto oppure al cielo.

-          Ahia… che diamine ti è successo? – chiese l’amico, intuendo che sotto l’atteggiamento risentito del poeta dovesse nascondersi una bruciatura provocata da un sole che non sorge in cielo.

-          C’è che non riesco a scrivere- rispose lapidario il poeta.

-          Bisogna essere sani per scrivere?- chiese l’amico, alludendo chiaramente alla definizione d’amore che poco prima aveva dato il poeta. – e non c’è persona più sana di chi accetta la sua malattia, caro mio – disse poi per incalzare.

-          L’ultima volta che ho aspettato non è tornato e ho giurato di non aspettare più- rispose il poeta.

-          Scommetto che se ti mettessi in attesa con gli occhi puntati all’orizzonte riusciresti a scrivere – disse l’amico. Un poeta innamorato è un folle che tenta di spengere il fuoco con la pece.

-          Ma io voglio uscirne sano! Non ho assolutamente intenzione di camminare senza vedere dove vado e di passare le serate a declamare guai e disavventure in preda al vino , io voglio assolutamente sopravvivere alo strazio della mia stupidità, o non avrà senso neppure lo scrivere!- il poeta piagnucolava.

-          Teofrasto, mi sembri assai confuso, mi permetti di venirti in aiuto?- disse l’amico.

-          E come penseresti di fare?-

-          Che sei innamorato, l’hanno capito tutti, ma sarebbe brutto che questo dialogo proseguisse in modo così infantile ed includente, non trovi?-

-          Va bene, hai ragione…-

-          E allora se io e l’autore provassimo a convincerti della necessità della tua .. malattia?-

-          Io, non saprei…-

-          Eddai, se non altro avrai ascoltato qualche piacevole racconto, come ai vecchi tempi sotto il portico!-

-          Proviamoci, ma la vedo brutta…-

-          Perfetto, allora iniziamo subito!- esclamò soddisfatto l’amico.

-          Grazie Socrate…- disse il poeta sollevato e stanco.

-          Di nulla Teofrasto, ringrazia l’autore! – replicò Socrate.

 

Io, autore di questa storia, prometto solennemente che prima del calar della notte Teofrasto Eolico avrà composto la sua più bella lirica d’amore. Per renderla possibile, però, adesso io e Socrate dovremo raccontargli cosa sia l’amore attraverso tre o quattro racconti scritti meglio che possiamo…

Inizia l’opera, giudicatela con equo animo e non vogliatene all’autore se non sarà di vostro gradimento.

Per le proteste, c’è Socrate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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