a "Boom! Il contest che vi lascerà con il fiato sospeso!" indetto da Sam27 sul forum di EFP.
Osservava
il temporale in avvicinamento dalla terrazza dell’albergo in
cui alloggiava
da appena qualche ora e ripensava al viaggio da poco concluso. Dylia
non
aveva
mai visto un cielo così violaceo in tutte le sue precedenti
escursioni su quel pianeta. Nonostante nell'atmosfera si
aggirassero frotte di droni deflatori, programmati per
assorbire tutti gli elettroni in eccesso, l’aria
restava carica
d’elettricità statica e la sentiva sul
viso e sui capelli come una mano invisibile che continuava a sfiorarla.
Il
messaggio che le avevano girato quelli della E-Security,
per cui lavorava, parlava chiaro: qualcuno avrebbe fatto
saltare un ordigno all’interno della stazione Damon per il
turismo spaziale a
mezzogiorno in punto di quello stesso giorno. Ed erano
già le undici. Ispirò
profondamente e poi rientrò nel salotto della suite:
mezz’ora
era più che sufficiente per
collegare le apparecchiature e assicurarsi del funzionamento del
dispositivo di
trasposizione. Dopodiché avrebbe indossato la tuta con gli
elettrodi,
l’avrebbe sincronizzata con il programma installato nel
computer e, stesa sul
letto, sarebbe caduta nel sonno vigile che era abituata a sperimentare
da quando
aveva ottenuto l’incarico di traspositrice. In conseguenza di
quel processo la sua coscienza o, più
correttamente, la sua
proiezione astrale, si sarebbe separata dal corpo fisico e allora
avrebbe potuto entrare in azione.
Quindici minuti prima dell'ora X tutto era pronto; il timer
d’attivazione
scattò alle undici e cinquanta e Dylia, senza complicazioni,
si
ritrovò improvvisamente all'interno della
stazione Damon. Scansò
un
turista frettoloso che la stava per investire appiattendosi prontamente
contro
la parete del deposito oggetti smarriti. Trasse un sospiro di sollievo:
il
pericolo maggiore era proprio quello di finire imprigionati nel corpo
di
qualche ignaro passante, per cui in luoghi affollati come quello
bisognava prestare la massima attenzione.
Prima
di dirigersi verso l’albergo aveva volontariamente
dimenticato una valigia
dentro la navetta che l’aveva portata fin lì; poi
aveva atteso pazientemente fuori dal mezzo di trasporto, confondendosi
fra
i viaggiatori che lasciavano la stazione, per assicurarsi che il
bagaglio
fosse portato effettivamente nel deposito. Se
qualcuno avesse deciso di osservarne il contenuto
non avrebbe comunque capito l’utilità
dell’oggetto al suo interno: quella che appariva come una
semplice scatoletta metallica, era in realtà
un prototipo segreto che lavorava in simbiosi con
l’apparecchiatura che Dylia aveva
messo in funzione nella suite dell'albergo. Serviva per
creare il presupposto
di distorsione del campo elettromagnetico che consentiva al suo doppio
astrale di venire scagliato lì alla stazione, quando il suo
corpo fisico
giaceva invece sul comodo
letto del momentaneo alloggio. Senza di quell’oggetto,
l’apparecchiatura per
la trasposizione l’avrebbe proiettata in quella stessa
camera a qualche
metro dal letto su cui giaceva, diventando inutile per la missione.
Nel
sonno vigile i sensi appaiono paradossalmente amplificati, il che
significa che
si possono percepire vaghe tracce dei pensieri inconsci e dell'aura
delle altre persone.
Mentre si muoveva con circospezione all’interno della
stazione, Dylia poteva quindi osservare l’aura dei passanti e
udire un continuo fastidioso vociare
dentro la sua
testa. Le sarebbe bastato sincronizzarsi come al solito con la
frequenza di pensiero del
terrorista per scoprire ciò che aveva in mente, dove aveva
piazzato l’ordigno e
come fare per disinnescarlo, ma quel giorno qualcosa offuscava i suoi
sensi.
Il
temporale in avvicinamento che aveva osservato un’ora prima
dalla
terrazza
dell’albergo ora era esattamente sopra la città.
Non
scendeva una goccia di
pioggia, ma si sentiva il rumore ravvicinato dei tuoni: era senza
dubbio una tempesta di fulmini
di grande intensità. Ipotizzò che la sua carenza
percettiva fosse causata dall’elettricità statica
presente nell’atmosfera. Un po’ perché
si trovava ad
agire da sola, senza
l’ausilio di un collega, un po’ per colpa dei
fulmini e
dei sensi
alterati, man mano che i minuti passavano e si avvicinava
l’ora
predestinata, una sensazione pressante d’ansia si faceva
sempre più
vivida in lei. Mancava pochissimo a mezzogiorno e lei
continuava a vagare all’interno della stazione senza
una
direzione precisa. Poi, tutt'a un tratto, s'immobilizzò.
Qualcuno
era entrato nella camera dell'albergo e
si era seduto di fianco al suo corpo addormentato sul letto: avvertiva
distintamente
la sua presenza, ma non riusciva a vederlo in
faccia. Poi avvertì
una mano sconosciuta accarezzargli i capelli sparsi sul cuscino e si
sentì male.
Chiunque fosse entrato in quella stanza non aveva di certo a cuore la
sua sicurezza.
Tutti sapevano che era rischiosissimo tentare un contatto diretto con
una
persona separata dalla sua componente astrale: nel peggiore dei casi
poteva avvenire
un arresto cardiaco fatale.
«Sei caduta in trappola come un'ingenua, cara
Dylia.» La voce profonda e
innaturale di un uomo risuonò
amplificata nella sua mente. Le
stava
evidentemente parlando a qualche centimetro dal viso. «Non
ci
sarà nessun
attentato questo mezzogiorno. Oh, tuttavia mi rifarò nei
prossimi giorni,
quando tu non potrai più interferire.» Le parve
di
vedere
un ghigno malvagio
nascere sulle labbra di quel misterioso individuo. In quel preciso
momento
scattarono le dodici in punto e alla stazione Damon tutto
continuò a
procedere
tranquillamente; il computer nel salotto della suite interruppe il
processo di trasposizione, ma il corpo astrale di Dylia rimase
confinato
lì dov'era. Doveva
tornare indietro il prima possibile. Si mosse velocemente verso il
deposito degli
oggetti
smarriti dove aveva lasciato la valigia e cercò di liberare
la mente (più si
avvicinava al dispositivo di
distorsione del campo elettromagnetico, più sarebbe stato
semplice tornare), ma continuava a sentire le mani
di
quello
sconosciuto accarezzarla ora sulle le guance, ora sulle labbra, ora sul
collo.
Aveva bisogno di concentrazione assoluta per tornare, lui lo sapeva e
agiva intenzionalmente per
metterla
in difficoltà, eppure forse
c’era una
soluzione alternativa:
si avvicinò alla base di lancio delle navette e
notò
alcuni cavi scoperti in
una zona di lavori in corso opportunamente transennata.
Attraversò come un fantasma le sbarre
che vietavano l’accesso al pubblico e
allungò le mani. Non era sicura che fosse una buona idea, l'unica cosa
di cui aveva la certezza era che
doveva trovare al più presto un metodo per tornare in
sé e svegliarsi se non voleva fare una brutta fine. Afferrò
i cavi. Una scossa di energia
elettrica la
investì e andò a
riversarsi sull’apparecchiatura che aveva sistemato nella
suite
dell’albergo
facendola fondere. Quando il meccanismo saltò, Dylia
riacquisì immediatamente il
controllo del proprio corpo e sferrò
prontamente un pugno in
faccia all’uomo che le stava davanti. Sentì un
dolore acuto sulle
nocche della mano, serrò
i denti e alzandosi di scatto si preparò per il prossimo
colpo ma qualcosa la
bloccò. Shulik
- così si faceva chiamare l’attentatore che si
divertiva a far saltare ordigni
esplosivi in luoghi pubblici - era davanti a lei con un rivolo di
sangue che gli
scendeva
dal labbro inferiore.
«Mi
hai fatto male», disse lui con un sorriso proprio di una
personalità perversa che
ama il dolore.
«Te
ne posso fare anche di più se vuoi!»
«Non
aspetto altro», rispose con tono provocatorio.
Lo
sguardo dell’agente Dylia scivolò per qualche
istante ai
piedi del letto, sul
tappeto che si infilava sotto al comodino dove
aveva
nascosto il taser elettrico in previsione di casi come quello, poi
tornò a
fissare
l’uomo che aveva davanti. Lo aveva visto in faccia
un paio di volte prima di allora, ma mai così da vicino e
mai di
persona. Aveva
sventato alcuni dei suoi attentati, sempre in sicurezza, sempre
agendo a
distanza proiettando il suo doppio astrale nei posti predestinati; come
fosse
arrivato a lei era inspiegabile.
«Come
hai fatto a trovarmi?», chiese.
Dagli
occhi dalle iridi nere di lui guizzò una scintilla di
desiderio immorale. Aveva
un viso dai lineamenti aggraziati e capelli neri come la notte proprio
come
piacevano a lei. Sembrava impossibile che una persona così
bella potesse nascondere un'anima corrotta; eppure quello che aveva
davanti era un fuorilegge con
una
taglia a molti zeri sulla testa.
«Magia!», esclamò sorridendo
sadicamente. Era chiaro che oltre ad
essere pericoloso e senza scrupoli era anche del tutto suonato.
Per riprendere il controllo dalla situazione le bastava
soltanto raggiungere il taser, ma qualcosa continuava a frenarla
e non
riusciva a capire se fosse paura o altro. Constatò
che Shulik era disarmato e il
rivolo di sangue che
gli scendeva dall’angolo della bocca per lambire
quel viso privo
di difetti non era necessario; quasi le dispiacque di essere
stata lei la causa di
quell’imperfezione.
«Seguirmi
fino in albergo è stato un gravissimo errore!»,
disse con voce alterata,
cercando più che altro di convincere se stessa di quello che
stava per fare.
«Uccidimi!», la provocò lui con una
smorfia di sfida.
«Ah già, dimenticavo! Voi traspositori non avete
armi mortali. Che fregatura!» E detto ciò, rise.
«Ti ucciderò lo stesso!»
«Oltre
alla mia taglia riceverai un riconoscimento, una medaglia forse, poi ti
trasferiranno in
un dipartimento più prestigioso…»,
fece
una breve pausa durante la quale non smise di fissarla
con quegli occhi neri da diavolo, «… e non ci
rivedremo mai più. Mai.
Più.»
Lui
l’avrebbe di certo uccisa senza rimorsi. Se ora era ancora
viva
lo doveva solo
a se stessa, alla sua prontezza di riflessi e alla sua
capacità
di trovare una
soluzione nei momenti peggiori. A lui non sarebbe importato
niente se fosse stata costretta a vagare per sempre come un fantasma in
un limbo a metà tra il mondo reale, per cui a lei non doveva
importare
niente di prendere quel taser e azionarlo contro di lui. Con uno scatto
felino scese
dal materasso, s’inginocchiò, afferrò
l’arma dal nascondiglio e
gliela puntò contro esercitando una
leggera pressione sul grilletto pronta a fare fuoco. Tutto avvenne in
un istante, ma al momento il tempo sembrò andare a
rallentatore:
Shulik si mosse a carponi verso di lei e, restando sopra al letto,
afferrò con decisione il polso
della mano con cui teneva il taser costringendola ad allentare la
presa e a lasciar cadere l'arma. Lo sguardo di Dylia
incrociò quello di Shulik e in quegli
occhi scolpiti in un viso paradossalmente angelico,
percepì qualcosa di
indecifrabile, una misteriosa scintilla di luce. Perché non
la
faceva finita una volta per tutte? Senza proferire parola, le strinse
più forte il polso iniziando a farle male. Sentiva che se
non
avesse agito immediatamente sarebbe entrata nel panico, quindi usando
la mano libera
raggiunse l'arma e premette il grilletto: i due dardi si
precipitarono sul torace del criminale scaricandogli addosso una scossa
ad alta tensione.
Shulik finì privo
di
sensi
steso sul letto dopo un gemito.
Dylia si
lasciò cadere seduta sul pavimento e si massaggiò
un po' il polso indolenzito mentre cercava di
calmarsi. Ci avrebbero pensato i
suoi colleghi a fare
giustizia; la sentenza del tribunale extrasolare sarebbe stata senza
dubbio una
condanna a morte. Prese le manette che aveva nella fondina
sul fianco e immobilizzò Shulik legandolo alla spalliera del
letto. Nello svolgere quell'operazione si sorprese ad osservare quelle
sue mani dalle dita affusolate; sembravano le mani di un artista, non
quelle
di un pericoloso criminale fissato con gli esplosivi. Scosse la testa
per
scacciare il pensiero e s’incamminò nella stanza
del
soggiorno in cui aveva
lasciato le attrezzature per la trasposizione. Il dispositivo
principale era
completamente fuso, ma il salvavita collegato al portatile aveva fatto
il suo dovere.
Ora le
bastava premere un tasto per inviare alla centrale gli aggiornamenti
sulla
missione. Le bastava premere un tasto per segnare la fine della
miserabile vita
di quel fuorilegge.
Click.
Percorrendo
la strada che portava verso la stazione ripensò a Shulik, a
quel suo volto dai lineamenti perfetti nonostante
il rivolo di sangue che gli scendeva dal labbro. Quell'immagine di lui
le si era stampata nella mente. Entrò in
stazione passando
prima per il deposito degli oggetti smarriti a ritirare il bagaglio che
aveva
volontariamente dimenticato. Osservò una squadra di operai
che cercava di
spegnere le fiamme con un estintore lì dove, in una zona di
lavori in corso esclusa
al pubblico, si era verificato un inspiegabile cortocircuito. Per un
attimo
ebbe un ripensamento; automaticamente portò una mano nel
fianco dove aveva
riposto le manette nella speranza di non trovarle, invece erano proprio
lì al loro posto. Nel biglietto
lasciato sul comodino aveva scritto: Ti
propongo una sfida, tu e io, senza coinvolgere più nessun
innocente. Ci stai?
Se
il capo del dipartimento avesse saputo quello che aveva fatto,
l’avrebbe
come minimo rimossa dall’incarico e costretta a
seguire le
sedute di uno psicoanalista.
Aveva fatto la cosa giusta dando a quel criminale una seconda
possibilità? Assolutamente no. Non
si aspettava nemmeno di ricevere una risposta. Molto probabilmente
avrebbe
ricominciato a far saltare ordigni in luoghi affollati ferendo a morte
gente
innocente e la colpa sarebbe stata tutta sua: una traspositrice che non
aveva avuto il coraggio di agire secondo la legge. Avrebbe dovuto
essere
radiata ed esiliata su un pianeta-circondariale.
Spostandosi
verso la piattaforma di lancio notò uno strano fermento
tra i viaggiatori; all'inizio non
capì,
poi sollevò lo sguardo verso i tabelloni elettronici che
recavano gli orari e le destinazioni delle prossime partenze e
comprese il motivo di tanto agitarsi: al posto delle consuete
informazioni
compariva una sola scritta a caratteri cubitali: Solo tu e
io.
Note autore:
La storia potrebbe benissimo terminare qui. In realtà il capitolo era nato proprio per essere una one-shot, poi però mi sono affezionata troppo ai personaggi che ho creato e, poiché odio i finali, ho deciso di continuare la narrazione. Sarò ben lieta di leggere i vostri pareri al riguardo.
In questa storia c'è molta fantascienza e qualche elemento che può essere ricondotto al sovrannaturale. Se qualcuno si interessa vagamente di esoterismo è probabile che abbia intuito qualcosa di familiare.
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